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Autore: Marian Yagami    03/01/2010    1 recensioni
In un mondo parallelo, umani e Starlight (luci stellari) vivono in armonia. A turbare questo equilibrio, però, ci si mette di mezzo il malvagio e spietato sovrano di un impero sotterraneo, che mira ad impossessarsi dell'incredibile e illimitato potere delle Starlight.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8

 

La stazione di Neapolys era molto più piccola e molto meno affollata della Stazione centrale.

Nola e gli altri scesero dal treno, recuperando tutte le valigie e dirigendosi all’uscita. Quello che avevano notato guardando fuori dal finestrino, si era concretizzato davanti ai loro occhi.

Se la Repubblica dell’Aria era principalmente uno Stato costituito da campagne disseminate di fattorie ( fatta eccezione per le poche grandi città),  il Regno della Terra era esattamente l’opposto.

IL territorio nazionale era coperto da una ragnatela di strade che collegavano tante città e paesi posti molto vicini l’uno all’altro.

La città di Neapolys era di grandezza modesta, e da essa partivano numerose strade e anche l’autostrada. Era una cittadina moderna, ma manteneva un non so che di rustico. C’erano pochi grattacieli, mentre tra le costruzioni recenti si potevano trovare edifici di alcuni secoli addietro, ristrutturati e resi agibili.

Dalla stazione, i ragazzi si incamminarono per la via principale della città, e la visitarono più o meno tutta, in cerca di un posto dove stare.

- Gli alberghi e le pensioni sono tutti troppo costosi… - sospirò Nola.

- Io ho la carta di credito! – esclamò Wythe, tirandola fuori dalla borsetta.

- Non vorremmo farti spendere così tanto! E poi non potremmo vivere a spese di tuo padre per tutto il viaggio! – fece Mick.

- Sapete cosa dovremmo fare? Viaggiare di notte. Con i mezzi pubblici si paga molto poco, e in più ci si può dormire. Per mangiare ci arrangeremo… - propose Shia.

- Non mangeremo nei fast food, vero? La mia linea perfetta andrà al creatore, e io diventerò tutta ciccia e brufoli! – esclamò Wythe, disperata, scatenando una risata generale.

 

 

- Guardate là! – esclamò Nola, con gli occhi brillanti.

I quattro erano arrivati in prossimità della spiaggia.

- Possiamo fare una passeggiata piccola piccola? – chiese la ragazza, implorante.

- No! – dichiarò Wythe.

- Si! – esclamarono Shia e Mick in coro.

Wythe guardò i due, imbronciata.

I ragazzi scesero in spiaggia, togliendosi calze e scarpe e lanciandosi in una corsa allegra nella sabbia fina e bianca.

Wythe rimase indietro, imbronciata.

- Nessuno mi ascolta… - mormorò tra se.

Si diresse verso un piccolo edificio che sorgeva sulla spiaggia, che scoprì essere un bar, e si sedette ad uno dei tavolini esterni.

- Perché non vieni a divertirti anche tu? – fece Nola, raggiungendo la ragazza, seguita dagli altri due.

- Si sta benissimo! La sabbia e finissima, e l’acqua non è per niente fredda! – esclamò Mick.

- Se avessi il costume da bagno a portata di mano, mi farei giusto un tuffo! – disse Shia, alzando le braccia al cielo per stiracchiarsi.

Immaginando Shia in costume da bagno e a petto nudo, Wythe divenne improvvisamente rossa, ma si riscosse subito.

- Non possiamo stare a gingillarci! Dobbiamo cercare un posto dove stare, si sta già facendo sera! -   

- Se cercate un posto dove stare… - disse il proprietario del locale, avvicinandosi.

- … potrei ospitarvi io. –

I quattro ragazzi si voltarono di scatto a guardarlo.

 

 

- Salite questa scala, arriveremo a casa mia. – disse il barista, guidandoli dietro il locale, da cui partiva una scala che conduceva al piano superiore.

- Qui sopra tengo una specie di magazzino, ma già da tempo avevo pensato di affittarlo. Ormai è diventato un vero e proprio appartamento… -

- Ci fa piacere che voglia ospitarci, ma ci sarebbe un piccolo problema… Non possiamo permetterci tutto questo! E in più c’è anche Boris... – spiegò Nola, indicando il cane, che abbaiò soddisfatto.

Il barista, un uomo gioviale, le sorrise.

- Non dovete assolutamente pagare niente. E c’è posto anche per il vostro cane. – disse, e i ragazzi lo fissarono increduli e grati.

- Basterà che voi lavoriate per me! –

 

 

Tully, il barista, era un uomo abbastanza giovane, che gestiva il bar sulla spiaggia assieme alla moglie, Olga. I due avevano tre figli, tre adorabili bambini di cui il più grande non aveva ancora sette anni. Scorrazzavano in giro e portavano sempre una ventata di allegria.

- Avete capito cosa dovete fare? – chiese Tully ai quattro. Loro annuirono.

Indossavano tutti una salopette di jeans, stivaloni di gomma, una bandana tra i capelli, e un retino da pesca in mano.

Si diressero verso la riva.

- Ehi! – chiamò Tully.

- Avete dimenticato i secchi! –

I ragazzi tornarono indietro a prenderli.

Boris, con i suoi lucidi occhi canini, fissava la scena interessato.

 

 

- Pronti? – fece Shia, sorridendo.

Gli altri tre annuirono.

- Allora andiamo! – esclamò, e i quattro si lanciarono verso l’acqua.

Improvvisamente, la superficie del mare si increspò e si riempì di piccole meduse azzurrine e arancioni, che saltavano fuori dall’acqua.

I ragazzi si lanciarono contro gli invertebrati e iniziarono a catturane quanti più possibile con i retini, per poi buttarli nei secchi.

- Con tutte quelle meduse la gente ha paura e non viene al mare, perciò il mio locale sta andando in malora! – aveva detto Tully ai ragazzi.

A loro era stato affidato il compito di dare una ripulita, insomma.

- Non buttatele dopo, però, dall’ombrella della medusa si ottiene una crema che idrata la pelle straordinariamente! – aveva ancora raccomandato il barista.

 

 

Verso le dieci di mattina, non vi era più ombra di meduse, perciò i ragazzi decisero di tornare da Tully con i secchi traboccanti.

- Ho i piedi e le gambe che sembrano fave raggrinzite! – si lamentò Wythe, lanciando il retino sulla sabbia.

- AHIA! – gridò Mick, toccandosi la gamba vicino alla caviglia. – Ce n’era un’altra, di quelle meduse! –

Con un colpo di retino catturò l’animale e lo cacciò in un secchio.

Era l’unica medusa di diverso colore, un rosso molto vivo.

- Dai, torniamo al bar! Ho proprio voglia di una granita! – esclamò Nola, prendendo il suo secchio.

 

 

- Andiamo a farci un tuffo? – propose Wythe, quando la spiaggia iniziò a riempirsi di gente.

- Si! Stavo pensando la stessa cosa! – disse Shia, e gli occhi della ragazza si illuminarono.

- Io non credo che verrò, sono un po’ stanco, credo che mi farò una dormita… - disse Mick.

- Ma se ti sei svegliato tardissimo! Come fai ad essere stanco?! – lo apostrofò Wythe, ma lui non la rispose e salì nel magazzino.

- E tu, Nola, vieni? – chiese speranzoso Shia.

Le speranze di Wythe erano completamente diverse. “Ti prego, non venire, così io e Shia passeremo una romantica mattinata da soli!”

- Non so se verrò… - disse la ragazza, mentre a Wythe scappava un gridolino di felicità.

- Perché? –

- Ecco… Io… mi vergogno… -

- E di cosa? –

- Sono… sono troppo magra, mi si vedono le ossa. – affermò infine la ragazza.

Shia scoppiò a ridere.

- Ma dai! Mettiti il costume da bagno e non fare tante storie! –

Anche a Nola scappò un sorriso, mentre Wythe la fissava contrariata.

 

 

I tre amici stesero il telo da spiaggia e corsero in acqua a farsi un bagno.

- Finalmente un po’ di riposo! – disse Shia, dopo essersi steso al sole assieme alle amiche.

Era davvero una bella giornata, il sole brillava alto e soffiava una leggera brezza fresca.

- Wythe, non senti nessuna vibrazione strana? Non so come percepisci le altre Starlight, ma… non senti niente? –

Sdraiata com’era, la ragazza chiuse gli occhi, e rimase così per una decina di secondi.

Nola le si avvicinò piano.

- Stai dormendo? – le sussurrò.

Wythe si mise seduta e riaprì gli occhi, arrabbiata.

- Stavo cercando di sentire qualcosa, scema, ma tu mi hai distratta! –

- Hai percepito qualcosa? – le chiese Shia.

Lei si voltò raggiante.

- Niente! – esclamò.

- Che ne dite di tornare? È quasi ora di pranzo e sento un certo languore… - disse il ragazzo.

 

 

Arrivati al bar, videro che Tully e la famiglia erano seduti ad un tavolo a pranzare.

- Mick non è ancora sceso? – chiesero i ragazzi.

Il barista scosse la testa.

- Forse sta ancora dormendo… -

- Come minimo! – fece Nola, ridendo. – Salgo a chiamarlo. –

Salì di corsa le scale e aprì la porta del magazzino.

- Mick! Scendi a pranzare! Stai ancora dormendo? –

La ragazza si guardò intorno, ma il piccolo appartamento era vuoto. Entrò nella camera dove dormivano lei e Wythe, ma era vuota pure quella.

“Allora dev’essere in bagno!” pensò.

Aprì la porta della piccola toilette e trattenne il respiro, poi cacciò un urlo di terrore.

 

 

- Che succede! – gridò Shia, entrando di corsa nell’appartamento. Era seguito da Wythe e da Tully.

Nola era quasi sdraiata per terra e aveva gli occhi spalancati dalla paura. Con fatica, cercava di trascinarsi il più lontano possibile dalla toilette.

Shia corse da lei e la strinse in un abbraccio, mentre cercava di rialzarla da terra.

Gli occhi di tutti erano fissi sulla stessa immagine.

Lungo disteso per terra, con le braccia ancora aggrappate allo sportello della doccia, si trovava Mick.

- È morto? – chiese Wythe in un soffio.

Tully gli si avvicinò e gli sentì il polso.

- No, è solo svenuto. – disse con un sospiro di sollievo.

- Guardate! Cos’ha sulla gamba? – fece Shia.

Sulla gamba di Mick, partendo dalla caviglia, si estendeva una lunga macchia rossastra e pulsante.

- Spero non sia quello che penso… - mormorò Tully, preoccupato.

- Che cosa? – esclamarono i ragazzi, in coro.

- Per caso Mick è stato punto da una medusa? –

I tre si guardarono negli occhi, atterriti.

- In effetti si… - ammise Nola.

- Avete conservato le meduse come vi ho chiesto? – esclamò il barista, balzando in piedi.

I ragazzi annuirono. – Sono nel retro del bar. –

- Io scendo un attimo, voi cercate di stendere Mick sul letto e bagnategli la fronte con un panno bagnato: ha la febbre molto alta! –

 

 

Tully tornò poco dopo. In mano aveva un sacchetto di plastica trasparente, che conteneva la medusa rossa.

- È questa che lo ha punto, vero? – chiese il barista.

Wythe annuì. – Si, l’ho visto io… -

- Ho chiamato il medico. – continuò Tully. – Arriverà tra poco. –

Nola continuava a bagnargli la fronte con il panno bagnato, ma Mick non dava segno di essere cosciente. La sua espressione in viso era neutra. Sembrava tranquillo, ma il rossore alla gamba si estendeva sempre di più.

- Nel frattempo che il dottore non arriva, mettete dell’ammoniaca sulla puntura. – disse Tully, porgendo una bottiglietta a Nola, poi tornò giù al bar ad attendere il medico.

 

 

La fronte di Mick era incandescente, e i suoi occhi si muovevano sotto le palpebre chiuse in movimenti molto rapidi.

Nola strizzò la pezza e gliela pose nuovamente sulla fronte, mentre Wythe continuava a bagnare la puntura con l’ammoniaca.

Shia era sulla porta, in attesa del dottore.

Nola si avvicinò a lui.

- Se la caverà? – chiese in un sussurro.

Il ragazzo le circondò le spalle con un braccio e la strinse a se.

- Non preoccuparti, è un ragazzo forte. –

Lei scoppiò a piangere contro il suo petto.

 

 

- È arrivato il dottore! – gridò Tully, salendo le scale di corsa.

Il medico, un uomo di mezza età, saliva subito dietro di lui.

Appena vide Mick, fece un sospiro di sollievo.

- Non è in pericolo di vita, per fortuna! – disse, e tutti esultarono.

- Avete fatto bene a mettergli l’ammoniaca. Avete conservato la medusa che lo ha punto? – chiese il dottore.

Tully annuì.

- Perfetto. L’antidoto a questo avvelenamento si ottiene direttamente dall’ombrella della medusa. Bisogna frullarla, poi metterla a bollire per tre ore e infine lasciarla raffreddare e spalmare bene su tutta la parte arrossata. È tutto chiaro? Purtroppo io non posso fornirvi nessun antidoto, in quanto il veleno di questo tipo di medusa è differente da esemplare a esemplare. –

- Quanto le dobbiamo, dottore? – chiese Nola.

- Nulla, in fondo non ho fatto niente. Ora devo andare, mi raccomando, fate come vi ho detto e tutto si sistemerà. –

 

 

Tully aveva frullato e messo a bollire l’ombrella della medusa, così si era seduto al bancone del  bar e continuava a sospirare.

- Vedrai che quel ragazzo guarirà! – gli disse Olga, facendogli un massaggio alle spalle.

- Lo spero… Dopotutto è stata colpa mia se è stato punto! Avrei potuto chiedere loro di fare i camerieri, o di lavorare in cucina, invece di cacciare le meduse. Sono davvero un’idiota! –

- Non è vero! – affermò la moglie. – Non è colpa di nessuno! Purtroppo è stata una disgrazia… Ora non ci resta che aspettare. –

 

 

Dopo che la pomata si fu raffreddata, Nola la spalmò con delicatezza su tutta la gamba di Mick. Era una crema molto profumata e altrettanto unta, di un vivido colore rosso.

- Farà effetto subito? – si chiese Wythe.

La sua risposta non dovette farsi aspettare, visto che Mick strizzò gli occhi e li aprì piano.

- Che buon profumo! Sei tu, mia cara? – disse, rivolto a Nola.

- Che scemo che sei! È la medicina! –

- Va tutto bene? – gli chiese Shia.

Mick annuì.

- In realtà non ricordo molto di quello che è successo. Ricordo che mi è venuta un’improvvisa voglia di vomitare, pardon, di rimettere, e sono corso in bagno, poi la mia vista si è annebbiata e il sopra è diventato il sotto, e viceversa… -

- Poverino! Vaneggia! – disse Wythe, sarcastica.

- Che simpatica… - disse Mick, ma poi scoppiò a ridere.

- Sei stato punto da una medusa molto velenosa, ma ti abbiamo preparato la pomata per farti guarire. – gli spiegò Nola.

- È MORTO? – gridò la vocina di un bambino. Tutti si voltarono a guardare il proprietario di quella voce. Era il figlio più piccolo di Tully.

- No! – disse il padre, con un sorriso.

- Peccato! Volevo vedere un vero cadavere! –

I quattro amici e Tully strabuzzarono gli occhi.

- Dov’è un vero cadavere?  - chiese un’altra vocina. Era la più grande dei tre, l’unica femmina. Era seguita dal fratello di mezzo, che trasportava Boris in braccio, ma era molto pesante e le zampe di dietro gli strisciavano praticamente per terra.

- Non qui! – esclamarono i ragazzi.

- Quando vedrò un cadavere vi informerò! – promise Mick ai tre bimbi.

- Evviva! – gridarono i tre, e scapparono di corsa a giocare.

I ragazzi si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere.

- Certo che i tuoi figli sono davvero strani! – dissero a Tully.

Lui rise così tanto che cadde dalla sedia dove stava seduto.

 

 

Aspettando che Mick si rimettesse in forze, i ragazzi pensarono di dare una tregua alla ricerca delle Starlight così si dedicarono all’abbronzatura, al bagno al mare e a dare una mano a Tully.

Una sera, il barista organizzò una grigliata in spiaggia, così Mick provò a muovere i primi passi con la gamba ancora irritata. Dopo essersi risvegliato, fatto ormai accaduto una settimana prima, la puntura della medusa aveva cominciato a pizzicare e bruciare, tanto che il ragazzo non riusciva stare in piedi.

Ora però il bruciore era sparito quasi del tutto, e anche se zoppicava un po’, riusciva comunque a camminare.

Si spalmava la pomata due volte al giorno, poi si fasciava la gamba con delle bende fresche.

Anche quella notte si fasciò la gamba, poi scese in spiaggia solo con i bermuda da mare. Anche gli altri indossavano il costume da bagno. Shia i suoi bermuda rossi, Nola il suo due pezzi blu e il pareo e Wyhte il triangolino verde e un paio di pantaloncini corti.

Sulla sabbia, vicino al bar, Tully aveva acceso un falò, che mandava bagliori arancioni nel buio della notte.

- La cena è pronta! – annunciò Olga, e servì a tutti degli ottimi spiedini di carne e verdure.

I bambini li divorarono in un sol boccone, mentre gli altri li gustarono lentamente.

- E ora… non è estate senza… COCCO! -  esclamò Tully, e ne tirò fuori due, belli grandi.

Poi corse dentro il bar e tornò subito dopo con una sciabola ricurva in mano.

- È un antico cimelio di famiglia. – si giustificò. – Da secoli, viene usato dalla mia famiglia per tagliare il cocco. –

Spaccò le due noci di cocco, diede il latte da bere ai bambini, e poi tagliò a pezzi il frutto.

Dopo aver gustato quella bontà, i bimbi corsero a giocare con Boris, mentre i ragazzi preferirono fare una passeggiata lungo il bagnasciuga.

 

 

- Mi dispiace. – disse Mick.

- Per cosa? – chiese Nola.

- Per aver ritardato il vostro viaggio. Mi dispiace. –

- Ma che stai dicendo! Non ci importa niente del viaggio, finché i nostri compagni stanno male! – annunciò Wythe, autoritaria.

- Wow! Non mi aspettavo un discorso così da una come te! – le fece Nola, sorridendo.

- Che vuoi dire? – rispose lei, lanciandole un’occhiataccia.

- Voglio dire… mi sei sembrata fredda nei nostri confronti, invece… -

- Guarda che io ce l’ho un cuore, cosa credi? –

Nola le mise un braccio sulle spalle e rise.

- Scherzavo! –

I ragazzi risero insieme, e anche se non voleva ammetterlo, un sorriso lo fece pure Wythe.

 

 

Dopo un’altra settimana, Mick si accorse che la sua ferita era completamente guarita e non zoppicava più.

- Non c’è ragione per rimanere ancora qui. – dichiarò Wythe un pomeriggio.

- Giusto, è ora di rimetterci in marcia. – le fece eco Shia.

Anche Nola e Mick furono d’accordo, seppur con un velo di tristezza. Sarebbero voluti restare al mare ancora per un po’, ma purtroppo la loro missione li chiamava…

- Come avevo proposto tempo fa, viaggeremo di notte. – disse ancora il ragazzo.

- E quando partiremo? – chiese Nola.

- Stanotte. – intervenne Wythe.

Mick la guardò. – Sei sicura? –

La ragazza annuì vigorosamente.

 

 

- E così dove partire oggi? – chiese Tully, quando vide i ragazzi con borsoni e valigie.

- Si. – disse Shia.

- Non potete andare via! – esclamarono i tre bimbi, correndo ad abbracciare Mick. Si erano davvero affezionati a lui.

- Su, su! Non fate così! Vi assicuro che torneremo a trovarvi! – disse il ragazzo, poi, vedendo i visini tristi dei bambini, raccolse una manciata di sabbia e se la strofinò tra le mani chiuse. Quando le riaprì, al posto della sabbia c’erano tre caramelle alla frutta, che Mick diede ai tre bimbi.

- Sei un mago! – esclamarono entusiasti i bambini.

Olga sorrise, divertita.

- Fate buon viaggio. – disse Tully, stringendo la mano a tutti, e la zampa a Boris.

 

 

Arrivati alla stazione dei treni, aspettarono la coincidenza per Beryl City.

- Era una tappa del mio tour! – sospirò Mick.

- Vedrai che quando tutto questo sarà finito tornerai a calcare le scene e ad essere famoso. – lo rassicurò Nola.

- E tu sarai la mia assistente? – chiese speranzoso.

- Ancora questa storia? Te lo scordi! – rise lei, mentre Shia si irrigidiva.

- Allora vuoi essere tu la mia assistente? – disse il mago, rivolgendosi a Wythe.

Lei gli lanciò un’occhiataccia. – Mai! –

- Nessuno mi vuole bene! – piagnucolò Mick, e tutti si misero a ridere, mentre Shia gli dava un’amichevole pacca sulla schiena.

 

 

- Che cosa significa?! – gridò Morgan, mentre si copriva la pelle nuda con il lenzuolo.

Dray si alzò dal letto e si infilò l’accappatoio.

- Significa quello che ho detto. – rispose secco.

- Non puoi andare a combattere da solo. Me l’hai promesso, ricordi? Hai detto che qualunque cosa succeda noi due non ci separeremo mai. –

Dray strinse un pugno e chiuse gli occhi.

- Tu devi solo nasconderti e non farti trovare. –

- Come hai detto? – esclamò la ragazza. Si avvolse nel lenzuolo e si parò davanti a lui.

Dray la fissò intensamente negli occhi, poi le posò una mano sulla spalla.

- Perché non mi vuoi al tuo fianco? Non mi vuoi più? Non mi desideri più? Eppure fino ad un attimo fa… -

- Ma che stai dicendo? Tu sei l’unica cosa che conta, per me, e lo sai. Sei la mia unica ragione di vita! Ma… sei in pericolo. –

Morgan sgranò gli occhi.

- È giunto il momento di rivelarti il motivo per cui sono entrato a lavorare per Langarth. –

 

 

- Tu… hai venduto la tua vita per salvare la mia? – sussurrò Morgan, mentre sentiva che le forze la abbandonavano. Dray la afferrò saldamente un attimo prima che lei si accasciasse a terra.

La ragazza poggiò la testa sul petto di lui, e trasse un profondo respiro.

- Perché l’hai fatto? All’epoca neanche mi conoscevi… - chiese.

- Ti sbagli. Tu non conoscevi me, ma io invece sapevo benissimo chi eri. Ti ho amata dalla prima volta che ti ho vista, e non ti avrei condannata per nessuna ragione al mondo. Ho preferito sacrificare me stesso invece di non poterti avere più al mio fianco. –

Calde lacrime scorsero sulle guance di Morgan, che si stringeva sempre più al suo amante.

- Allora scappiamo. – esclamò lei, fissando Dray negli occhi. – Scappiamo in un posto dove Langarth non possa trovarci mai. Io e te, senza dover pensare alle conseguenze. –

Lui sorrise, triste. Non poteva vedere gli occhi della sua dolce amata colmi di lacrime.

- Purtroppo non si può… Se riesco a portare a termine questa missione non dovremmo più preoccuparci. Per questo non posso portarti con me. Tu non ti sei ancora macchiata di nessun omicidio, mentre io… -

- Sai che non è stata colpa tua! – fece lei, scrollandolo. – Ricordati che non sei stato tu a uccidere Aquarius! –

Lui le sorrise di nuovo, questa volta cercando di mascherare la sua sofferenza.

- Tu non sei un assassino! – disse Morgan.

Dray si chinò su di lei, stringendola forte e baciandola appassionatamente, e in un attimo furono nuovamente sul letto.

- Noi due non ci separeremo mai! – mormorò Morgan, mentre sentiva su di se il peso del ragazzo.

 

 

Dray aprì gli occhi. Si alzò dal letto e ammirò per un attimo Morgan, che dormiva profondamente e aveva un’espressione tranquilla in volto. Da sotto il lenzuolo, si poteva notare il suo petto che si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro.

L’uomo andò in bagno e si sciacquò il viso con l’acqua fresca del lavandino. Si guardò allo specchio e scrutò in profondità nei suoi occhi azzurrissimi.

- Vuoi mollare, è così? – disse all’improvviso il suo riflesso.

- Sta zitto, non ti ho cercato. – rispose Dray, seccato.

- Ah, ora non posso neanche più parlarti? –

Dray fece un sospiro, seccato.

- Vattene. – gli disse.

Il Dray del riflesso scoppiò a ridere.

- Non puoi mandarmi via! Io sono te, e tu sei me! –

- Non è vero! Siamo due persone completamente diverse! –

- Oh, ma davvero? Te l’ha detto quella mocciosetta che ti porti appresso? Noi due siamo identici! Non ricordi il profondo piacere che hai provato mentre la vita di Aquarius sfuggiva via dalle tue mani come fosse aria? Non ricordi la gioia, l’euforia, la furia selvaggia? –

Dray si strinse la testa tra le mani. – Basta! Non è vero! Quello che si divertiva eri tu, non io. Io ero profondamente disgustato e oppresso dal senso di colpa. –

- E allora perché non mi hai fermato? – chiese l’altro, con un tono malizioso.  

- Basta! – gridò Dray, e d’improvviso sentì tutto il silenzio della casa, opprimerlo.

Si guardò nuovamente allo specchio, ma vide solo il suo riflesso, e nient’altro.

 

 

Il treno percorreva imperterrito i binari, mentre dai finestrini si poteva ammirare lo scorrere del paesaggio. In lontananza si notavano i profili di tante città, mentre più vicino al percorso del treno crescevano foreste rigogliose e verdissime.

Ma ne Nola ne gli altri poterono osservare il meraviglioso paesaggio baciato dalla luce della luna, perché erano tutti caduti in un sonno profondo.

Il treno arrivò alla stazione quando il cielo si tingeva di arancione e di azzurro pallido, mentre il sole faceva timidamente capolino.

I ragazzi si svegliarono di soprassalto, destati dalla voce registrata che annunciava l’arrivo a Beryl City.

Scesero e recuperarono i bagagli, poi uscirono dalla stazione e si guardarono intorno. La ferrovia si trovava esattamente al centro della città, che si presentò ai loro occhi in tutta la sua bellezza.

Era una città dal fascino antico, e ovunque si potevano notare alti palazzi dalla foggia barocca, bianchi come l’avorio oppure blu, con finestre e porte gialle e bianche.

La stazione si affacciava su un grande viale alberato, che a quell’ora del mattino si cominciava popolare di automobili e altri veicoli.

- E adesso dove andiamo? – chiese Mick, ancora assonnato.

Wyhte si concentrò, ma non riuscì a percepire nulla.

- Non so… - scosse la testa.

- Beh, proviamo a dirigerci da qualche parte, poi si vedrà… - propose Nola.

Mentre attraversavano la strada, un rombo lontano li fece voltare.

Shia agguantò Mick per il colletto della maglia e lo tirò indietro, prima che una brillante moto da corsa nera con delle fiamme rosse disegnate gli passasse sopra.

Si fermò davanti a loro con una derapata. 

- Cosa cavolo ci fate in mezzo alla strada? – fece il motociclista.

Era completamente vestito di nero, da capo a piedi. Le sue braccia muscolose erano tese a tenere il manubrio, e il suo volto era coperto da un casco completamente nero che riprendeva il disegno della moto.

L’unica parte del suo corpo che si vedeva era una folta e lunga coda di capelli castani che gli uscivano dal casco.

 

 

 

 

 

Eccomi di nuovo tra voi, anime viventi! Sono or ora tornata dall’oltretomba...

Lasciando perdere gli scherzi, finalmente sono di nuovo qui, con l’ottavo capitolo.

Qui non c’è nessuna nuova Starlight, ma il barista e la famiglia, che più o meno compensano, no? Sono simpatici, e quei bambini sono davvero dei diavoletti!

Povero Mick! Capitano proprio tutte a lui! Prima i suoi trucchi magici vengono distrutti da un incendio, poi viene punto da una medusa... poverino... U.U

Piuttosto interessante, invece, è la parte riguardante Dray... Cosa nasconder in realtà il suo passato?

X Marta94: mi dispiace tanto che ti sia dovuta rileggere tutto da capo, scusami! >.< Sto cercando di essere più veloce... Come va a scuola? È da un secolo che non ci vediamo! All’Accademia va tutto bene! XDD

X Ladywolf: grazie dei complimenti! ^///^ Lo so, la scena tra Mick e Ivy mi fa ridere come una scema, pur avendola scritta io!!! Sono proprio due anime gemelle! Chiedi scenette romantiche tra Shia e Nola? Chissà se mai ce ne saranno... Mah... <.<

XDDD

Anche per questo capitolo siamo a posto. Come sempre cercherò di non farvi aspettare molto per continuare a leggere, e colgo l’occasione per farvi i migliori auguri di buon 2010. Spero che il nuovo anno vi porti tanta felicità e vi faccia vivere tanti bei momenti.

Alla prossima! XDD

  
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