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Autore: Fissie    03/01/2010    29 recensioni
13 Settembre 2087
Isabella Marie Cullen compie cento anni, ma da ottantuno ha smesso di vivere.
L’equilibrio si trova nel punto esatto a metà strada fra due opposti.
Il loro è trentasette gradi.

Vuoi tornare ad essere umana, Bella?
[Ottantuno anni dopo BD]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Isabella Swan, Jacob Black | Coppie: Bella/Jacob
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Angolino
Buon anno a tutti voi che siete capitati in questa pagina, per caso o per vostra volontà (masochisti)!
Che dire. In questo periodo mi sembra tutto ingarbugliato, compreso quello che scrivo. Ad ogni modo, spero che questa ennesima one-shot possa convincere voi più di me. Ovviamente, vede come protagonisti - neanche a dirlo! - Jacob e Bella. Se ci fossero stati ancora dubbi sulla coppia per cui parteggiavo... XD
Vi auguro una buona lettura.
Baci,
Fissie




Trentasette gradi



- Adesso si fa sul serio – Bella, ancora ridendo, sollevò la lattina di birra e in un sol sorso ingollò quel che restava della bevanda sgasata. Deglutì con una smorfia, mentre si chinava in avanti per depositare il cilindro di latta sul bordo del tavolo.
Sopra di esso imperava il disordine. Fogli, penne, bicchieri, residui di cibo e tovaglioli accartocciati erano sparpagliati ovunque in un marasma confuso che circondava quattro cartoni di pizza. Un rivolo d’olio gocciolava da uno di essi sugli appunti di fisica e del pomodoro era stato distrattamente spalmato sulla copertina lucida di un plico che doveva appartenere a suo padre.
Charlie non avrebbe apprezzato, notò Bella, registrando quel particolare appena ai margini dell’attenzione, mentre recuperava il libro di fisica dal pavimento.
Jacob intuì all’istante le sue intenzioni. – Fobbiamo pfopfio? – domandò, masticando l’ultimo pezzo di un bordo di pizza.
Bella lanciò un’occhiata di sbieco al ragazzo seduto accanto a lei, che nel frattempo si stava sfregando le mani per scrollare i granelli di cibo. – Sì che dobbiamo – gli rispose, cercando di risultare convincente, benché la sua scarsissima imponenza fisica non le facesse certo acquistare punti. Grazie alla sua statura, Jacob riusciva a troneggiare su di lei anche da seduti e il fatto che fosse semi addossato al suo fianco e che la circondasse con un braccio posato sullo schienale appena dietro la sua testa non l’aiutava ad attenuare la sensazione di essere una lillipuziana accanto a Gulliver.
– Ma ci stavamo divertendo – protestò, sfoderando l’espressione implorante più persuasiva del suo repertorio. Bella inclinò il capo di lato e distolse lo sguardo, per nascondergli la sua quasi nulla capacità di resistergli.
– Jake, non conosco nessuno che abbia preso zero e mezzo ad un compito, oltre te. –
Jacob sorrise orgoglioso, strofinando le unghie sulla maglietta, ma non ebbe il tempo di soffiarvici sopra che Bella gli aveva già piantato una gomitata sul fianco. – Non è qualcosa di cui ci si possa vantare, scemo – lo rimproverò, con un mezzo sorriso che tradiva il suo tentativo di mostrarsi seria.
- Ah no? –
- No. –
- Ma non è da tutti sbagliare a copiare il testo dell’esercizio e consegnare il foglio senza nient’altro. –
- In effetti, ha del portentoso – gli concesse.
- Lo so, sono un talento – Jacob allungò anche l’altro braccio sullo schienale e inclinò la testa verso di lei, con un sorriso impenitente sul volto. - Questa sera danno un film di mummie che camminano per strada cavando gli occhi alla gente. Sembra figo – disse ancora, dopo pochi istanti.
- Non indurre in tentazione una giovane adulta assennata, Jake. Io sono più grande di te… - Bella sventolò l’indice sotto il naso di Jacob, con un ghigno sornione sulle labbra - …e quindi sono responsabile della tua educazione. –
Jacob sorrise amabilmente, senza scomporsi. – L’età anagrafica non conta. Io dimostro ben trentotto anni, il che significa che sono sei anni più maturo di te. –
- Quando e perché li hai aggiunti gli ultimi tre, imbroglione? – Bella gli assestò un pugno sulla spalla, col solo risultato di farsi male alle nocche.
- Precisamente adesso. Neanche Spongebob tira pugni peggio di te! – il sorriso di Jacob si allargò spudoratamente, incurante del suo disappunto.
- Sei un… un… un imbecille – brontolò Bella, frustrata per non aver trovato un insulto migliore, mentre massaggiava mestamente la mano con cui lo aveva colpito. Jacob, allora, abbandonò ogni freno e rise apertamente, nel suo modo sguaiato, avvolgendo un braccio attorno alle sue spalle. Bella lo guardò piccata dal basso, ma quella finta arrabbiatura, che non era nemmeno brava a simulare, abbandonò presto il suo viso. Tutta colpa di Jacob e della sua allegria contagiosa.
In men che non si dica, si ritrovò a ridere anche lei, senza sapere bene perché, e il soggiorno venne riempito dei loro schiamazzi. Bella spintonò Jacob, facendolo scivolare per lungo sul divano, ma lui la strattonò per un braccio trascinandola sopra di sé. Stravaccati su quel divano troppo piccolo, con le mani premute contro la pancia e i corpi che si toccavano, e intrecciavano, e addossavano senza difficoltà, come incastrandosi l’uno con l’altro in una complementarietà perfetta quanto misteriosa, Jacob e Bella non erano mai stati così umani e così identici.
- Ci guardiamo il film! – esclamò Jacob all’improvviso, esultante, già col braccio teso verso il telecomando.
- No, no, no, no, no! – Bella, tra le risa che scemavano, gli arpionò le spalle con entrambe le mani e lo fece cadere nuovamente supino sul divano. - Non sarò responsabile del tuo cattivo rendimento scolastico – disse, mentre raccoglieva il libro che era stato scalzato per terra. Jacob unì le dita a mo’ di pistola, puntò la canna formata dall’indice e il medio alle tempie e mimò il suono di uno sparo. Bella gli diede un pizzicotto sulla gamba, mentre lui si accasciava tra i cuscini a peso morto, fingendosi cadavere.
- Dai, pezzo d’asino, studiamo – lo spronò, aprendo il libro alla pagina che riportava in cima la scritta “Termodinamica”. Jacob si levò a sedere stancamente, emettendo un sospiro rassegnato.
- Dove eravamo rimasti? Ah sì… - Bella tossicchiò per schiarirsi la voce. - Quando sussiste una differenza di temperatura tra due sistemi, il calore tende a muoversi dal sistema a temperatura più alta al sistema a temperatura più bassa – Jacob, a spalle curve e gomiti piantati sulle ginocchia, giocava con un bicchiere di plastica appena recuperato dal tavolo, facendolo ruotare tra i palmi. Bella lo guardò con la coda dell’occhio. – Quando i due sistemi raggiungono la stessa temperatura, si dicono in equilibrio termodina… – Jacob strizzò il bicchiere tra le mani e il rumore della plastica coprì quello delle parole di Bella. - E dai, mi stai ascoltando? – esclamò.
- Certo certo – rispose Jacob, dandole l’assoluta conferma che non lo stesse facendo affatto.
– Ripeti quello che ho detto – lo sfidò, incrociando le braccia sul petto.
Jacob increspò le sopracciglia e si grattò la nuca, nel classico atteggiamento da “passo alla domanda successiva”. – Hai detto che… —


- …se due corpi a temperatura differente sono posti a contatto, il calore tende a trasferirsi da quello più caldo a quello più freddo – dice Jacob, quasi parlando a se stesso.
Bella si volta appena, perplessa, e attende in silenzio che l’altro le spieghi.
I profili dei loro corpi ritagliano sagome scure nel cielo terso sopra la collina. Jacob, con le mani infilate nelle tasche dei jeans, smuove distrattamente il terriccio ai suoi piedi, sporcando la punta della scarpa da tennis. Bella si staglia immobile come una statua di marmo e annega lo sguardo nella nebbia. Una brezza leggera accarezza entrambi, la vampira e il licantropo, coprendo la distanza che li separa.
- Ma non mi dire. Questa sì che è una scoperta – commenta infine, sarcastica, una volta appurato che Jacob non seguitava a fornirle spiegazioni.
Jacob scrolla le spalle, noncurante, e fa schioccare la lingua. – Banale, vero? La cosa incredibile è che lo scrivono sui libri di scuola e che qualcuno insiste pure a fartelo studiare – Il suo sguardo ha del canzonatorio, adesso. Bella lo ricambia, confusa. Impiega qualche secondo per cogliere l’allusione, poi, non appena ricorda, sbuffa dal naso e sorride con le belle labbra perlacee.
E’ stato quasi un secolo prima.

:::


- Cento anni – aveva constatato Jacob il pomeriggio di quel tredici settembre, squadrandola dall’alto in basso con sguardo analitico. – Caspita se li porti bene, nonna. –
Dicendolo, aveva atteggiato la bocca in una smorfia di apprezzamento che aveva indotto Bella a roteare gli occhi.
- Taci, novantottenne, non sei nella posizione idonea per giudicare. –
Entrambi avevano riso, di quelle risate simili a borbottii che muoiono prima di arrivare agli occhi e sono destinate ad affogare nei silenzi. Jacob aveva incurvato le spalle e si era dondolato sulle gambe, mentre Bella era rimasta immobile, congelata nella propria stasi senza tempo.
Quel giorno, come tutti i tredici settembre d’ogni anno, i Cullen erano usciti per una battuta di caccia senza chiedere a Bella se intendesse venire con loro. Era una tradizione, frutto di un tacito accordo mai reso esplicito, una forma di rispetto discreto che ciascun membro della famiglia riserbava agli altri il giorno del loro compleanno, consapevoli che le ricorrenze portano spesso in seno la nostalgia verso ciò che onorano: nel caso del compleanno, per un vampiro, gli anni che non ha vissuto.
In verità, gli unici beneficiari di quel gesto ad avere qualcosa da rimpiangere e a necessitare, dunque, della sola compagnia dei propri fantasmi, erano Edward, Rosalie e, negli ultimi anni, Bella.
Non era stato così fin dapprincipio. I primi tempi, Bella aveva seguito i propri familiari acquisiti non appena si erano apprestati ad uscire di casa. Non c’era mai stato bisogno di spiegare. Il giorno del proprio compleanno, ciascuno decideva se andare con gli altri o restare solo, certo che, in un modo o nell’altro, i propri cari avrebbero capito. Quello era il significato del patto.
Dal giorno della propria trasformazione, Bella aveva imparato a coesistere con la consapevolezza di aver abdicato alla vita per abbracciare un’esistenza da immortale. Gradualmente, da quando il seme di quella decisione si era impiantato dentro di lei e mentre germogliava lentamente, come nutrito dall’amore per Edward, sino ad affondare saldamente le proprie radici nella sua coscienza, Bella si era abituata all’idea di rinunciare al mondo a cui apparteneva e alla propria natura umana per tramutare se stessa in qualcosa di diverso. Quello che non aveva calcolato, la realtà che aveva dimenticato di includere nei propri conti, era la cruda constatazione che, anche dopo la sua morte, altri avrebbero continuato a vivere. Quella consapevolezza l’aveva raggiunta solo molto tempo dopo dal punto di non ritorno, quando recriminare era ormai inutile.
Era stata la scomparsa di Charlie a farle aprire gli occhi. Cristallizzata nella propria realtà senza tempo, indifferente ai cambi di stagione, al succedersi dei mesi o al passare degli anni, aveva perso dimestichezza con una cosa tanto umana qual è il fatto di doversi rapportare al cambiamento. Mentre lei permaneva nella propria staticità, il mondo attorno a lei cresceva, invecchiava, si rinnovava, adattava e trasformava, dinamicamente, come aveva sempre fatto. D’improvviso, i margini della propria visuale si erano ampliati, oltrepassando gli argini costretti del mondo sovrannaturale al quale adesso apparteneva, e Bella aveva scoperto cos’erano davvero gli immortali: nient’altro che bolle d’aria nelle profondità del mare, parentesi d’eternità immerse nel flusso della vita che, dal proprio angolo impermeabile, avrebbero potuto solo osservare e non più avervi parte.
Il primo compleanno in cui Bella scelse di non andare a caccia avrebbe dovuto essere il suo sessantottesimo. Quel giorno era tornata a Forks e, senza una meta precisa, aveva vagato per le strade di soppiatto, come l’ombra della fragile umana ch’era stata, che aveva vissuto in quei luoghi e che un tempo aveva respirato quella stessa aria ormai superflua per i suoi polmoni. Era passata davanti al Newton’s Outfitters, il negozio dei genitori di Mike in cui aveva lavorato part-time per racimolare qualche soldo quando aveva davvero gli anni che avrebbe dimostrato per sempre. Al suo posto sorgeva adesso una pasticceria, gli articoli d’equipaggiamento erano stati rimpiazzati da torte e dolciumi d’ogni tipo e, invece della figura smilza del signor Newton, un omaccione dalla pancia come un mappamondo aveva salutato il suo ingresso nel locale con un caloroso “buongiorno, bella signorina”. Aveva appreso che il vecchio negozio aveva cambiato gestione più di vent’anni addietro, quando Newton senior lo aveva rifilato ai suoi tre figli per trasferirsi ad Orlando, città natale della seconda moglie. In un primo momento, Bella era rimasta perplessa. Non ricordava che Mike avesse dei fratelli, né immaginava il suo arcigno padre convolare a seconde nozze con una giovane abbronzata proveniente dal centro della Florida. Poi, aveva capito. Il Newton senior a cui il proprietario della pasticceria si riferiva era Mike. Senza poco sconcerto – quello sconcerto che deriva dallo scoprire quanto ci si è persi della vita di persone incrociate un tempo nel nostro cammino – Bella aveva realizzato che Mike si era sposato, aveva avuto tre figli, aveva divorziato, si era risposato e, infine, aveva abbandonato la piovosa Forks in cui era nato e cresciuto per trasferirsi in una città battuta dal sole anche d’inverno.
Solo un istante si era soffermata sull’ironia del paradosso. Mike aveva scelto quello che lei aveva sempre amato e a cui, invece, proprio lei aveva rinunciato.
Una cornacchia aveva sorvolato il cielo, emettendo il proprio stridulo verso. Jacob aveva alzato il capo ed intercettato pigramente l’uccello con lo sguardo, seguendo la traiettoria del suo volo finché non era sparito dietro l’orizzonte. Bella, qualche metro più in là, si era lasciata sfuggire un sospiro, residuo di un’abitudine umana non ancora perduta; era uno di quei sospiri saturi di parole che premono per essere dette e Jacob lo sapeva, anche se da ventidue anni, ogni tredici settembre, Bella sospira e non dice nulla.
Jacob non è mai stato discreto quanto i Cullen, perciò è sempre rimasto con Bella il giorno del suo compleanno e Bella non ha mai protestato. E’ un iter ormai collaudato. Tutti i Cullen vanno a caccia la mattina presto, salutando Bella che, però, non si unisce al gruppo, poi anche Bella esce di casa e Jacob la segue a distanza, lasciandosi guidare fin dove lei ha intenzione di andare. Non appena Bella si ferma, Jacob attende qualche minuto e, quando è sicuro che non riprenderà a correre, si palesa con una battuta, la cui risposta è spesso l’unica frase che Bella pronuncia nella giornata.
Jacob sa che Bella è felice e che quello è l’unico giorno dell’anno in cui si concede di provare nostalgia per un passato che non ha mai rimpianto davvero.
Jacob lo sa, per questo Bella non gli ha mai chiesto di andarsene. Non permetterebbe a nessuno di credere che lei consideri la scelta compiuta ottantuno anni prima una scelta sbagliata. Edward e Renesmee sono la sua vita da quando non ha più un cuore in grado di battere.
Eppure, ci sono cose delle quali si sente la mancanza anche se, tornando indietro, faremmo in modo di perderle lo stesso. Bella darebbe la vita per sua figlia mille volte ancora e non baratterebbe un solo giorno senza di lei per tutti gli anni che ha rinunciato a vivere. Questo non diminuisce il peso del suo sacrificio, ma attutisce notevolmente il dolore, perché, anche nella malinconia, non c’è rammarico.
- Qualche volta… - aveva esordito Bella, esitante, spezzando per la prima volta l’abituale silenzio. Non era mai successo che Bella parlasse, il giorno del suo compleanno, almeno non per dare voce ai suoi pensieri. Jacob si era voltato a guardarla, senza riuscire a dissimulare del tutto lo stupore. Erano seguiti alcuni istanti di silenzio, durante i quali Bella aveva cercato parole che, inesorabilmente, restavano mute. A un certo punto, aveva agitato la mano, come per scacciare una mosca. – No, niente. -
Jacob aveva sospirato e si era dondolato sui piedi, passando il peso dai talloni alle punte. Non era davvero impaziente. Chi ha tutta l’eternità non teme certo le attese.
Tuttavia, aveva dovuto aspettare solo pochi minuti, perché Bella continuasse la frase lasciata in sospeso. Il suo tono era stato casuale, come di chi esprima un commento sul tempo.
- Certe volte mi mancano cose banali dell’essere umani, cose anche prive di importanza che facevo quando lo ero e alle quali non badavo nemmeno – aveva ammesso, parlando lentamente come soppesando ogni parola. - Ad esempio, dormire. Non mi ricordo qual è stato l’ultimo sogno che ho fatto, o l’ultima frase sconnessa che ho detto nel sonno. –
Jacob aveva fatto finta di rifletterci su, emettendo un mugolio pensoso, e poi aveva detto: - Mi piace pensare che sia stata “oh, Jacob, il mio Jacob” – imitando la sua voce in falsetto.
Bella aveva brontolato un: – Mannaggia, te lo ricordi ancora – e si era coperta il viso con le mani, prima di fare passare le dita tra i capelli per portarli all’indietro.
C’era voluto poco perché riprendesse a parlare.
- Altre volte, invece, non mi mancano cose specifiche, ma sensazioni. Vivere mette tutto in una prospettiva differente, ma, anche se constatarlo sembra ovvio, credo che un umano non possa accorgersene, non veramente. Non sa cosa voglia dire avere davanti l’eternità, anche quando non riesce a concepire l’idea di non esistere più... ecco, magari a livello inconscio, però sa che prima o poi tutto questo finirà – Bella aveva rivolto lo sguardo a Jacob e si era chiesta cosa dovesse provare lui, che poteva ancora scegliere di non vivere per sempre. – Può sembrare assurdo, però mi manca sapere di avere un tempo limitato a disposizione e sentire che ogni momento è prezioso. Non voglio dire che non lo sia lo stesso, ma... –
- Sai che, comunque, ci sarà sempre un domani. –
- Già – Bella aveva annuito. Ma nessuna possibilità di scelta, aveva aggiunto un anfratto recondito della sua testa.
- Porca miseria – Jacob si era grattato la nuca, accompagnando l’esclamazione ad un’espressione di comico stupore - da quando siamo diventati così… -
- …filosofici? –
- Sì. Cavolo, sarà l’età. –
Un mezzo sorriso si era dipinto sulla bocca di entrambi, colmando il vuoto lasciato dalle parole.
Questa volta era seguito un silenzio più lungo, attraversato solo dai suoni della foresta. Trasportati dal vento, i pensieri di entrambi erano volati indietro nel tempo, a ghermire il ricordo delle persone che erano stati, banalmente comuni, semplicemente umani. C’era, tra loro, qualcosa di unico, un filo sottile della stessa consistenza fumosa del passato, eppure resistente abbastanza da perdurare oltre i limiti mortali senza dissolversi come nebbia: erano stati umani insieme. Gli immortali non hanno età; consci di non avere fine, dimenticano di avere avuto un inizio, quel punto d’origine, quell’unica frazione di tempo mortale, che impedisce alla linea della loro esistenza di dispiegarsi illimitata in entrambe le direzioni. Per Jacob e Bella l’origine coincideva nello stesso punto.
Loro che, a cavalcioni del tronco sulla spiaggia di La Push, avevano guardato il sole sorgere e sparire all'orizzonte sentendosi ogni volta un giorno più vecchi. Loro che erano stati bambini, che accompagnavano i padri a pescare pur odiando il pesce, che facevano dondolare i piedini dalla riva del lago, che sbuffavano annoiati e giocavano a shangai con i rametti spezzati. Loro che avevano dato significato alla conta degli anni e avevano litigato su chi ne dimostrasse di più. Loro che si erano sentiti infinitamente piccoli e fragili e si erano chiesti insieme quanto grande fosse l’universo.
- Poi… - Bella aveva lanciato quel “poi” a mo’ di arpione, per riagganciarsi al discorso che aveva cominciato poco prima. Si era mossa sui propri piedi, incomoda, come cercando di scacciare l’imbarazzo per qualcosa di stupido. – Beh, queste sono cose da vampiri – dicendolo aveva rivolto a Jacob uno sguardo a metà tra l’ironia e una supplice richiesta di clemenza. – Ma… mi mancano cose come il battito del cuore. Il calore emanato dal mio corpo o... - si era morsa il labbro inferiore, in evidente difficoltà, dunque aveva emesso una risata stiracchiata - ...inciampare. Un tempo avrei pagato oro per essere meno imbranata, adesso non so cosa darei per riavere indietro l’autentica me stessa, quella che non ne combinava una giusta. -
Jacob aveva sorriso al ricordo di quella buffa ragazza che aveva un brutto rapporto con la forza di gravità. Per un attimo, il morso della mancanza gli aveva serrato la gola, e immagini che la ritraevano gli erano passate dinanzi velocemente, come fotografie sulle pagine di un album sfogliato frettolosamente da una folata di vento. L’ultima – la ragazza adagiata su un tavolo in un lago di sangue – era stata ricacciata via bruscamente.
Da dietro la pellicola dei ricordi che si dissolvevano, la figura di Bella, quella attuale, era riapparsa poco a poco. Jacob aveva lasciato che il suo sguardo indugiasse sulla vampira qualche secondo, vagando alla ricerca di un residuo d’umana imperfezione in quelle fattezze armoniose.
- Tu sei sempre tu – aveva detto, infine, semplicemente, guardandola con tanta intensità come per scrutarle l’anima, o un residuo di essa.
Per un attimo, Bella era rimasta imbrigliata nella rete del suo sguardo magnetico, catturata dalla profondità di quegli occhi caldi e scuri che richiamavano sensazioni antiche e lontane nel tempo.
- Già – aveva convenuto, annuendo quasi a se stessa.
Il vento aveva emesso sospiri lenti e strascicati, insinuandosi leggero tra le fronde degli alberi, tra gli arbusti sottili e tra i fili d’erba.
- Se due corpi a temperatura differente sono posti a contatto, il calore tende a trasferirsi da quello più caldo a quello più freddo – aveva mormorato Jacob, quasi distrattamente.
Era stato appena un sussurro, ma lei ovviamente aveva sentito.

:::


- Puoi ancora provare quelle cose che ai vampiri sono negate – dice Jacob, con una smorfia sulla parola “vampiri”.
Bella lo guarda, con le sopracciglia perfette arcuate in un’espressione interrogativa.
- Ma sì... mica sparo chicche di fisica a casaccio, ti pare? – borbotta, agitando quelle braccia grandi come pale. – La temperatura di un umano in media è trentasette gradi, no? Ecco. Se noi ci abbracciamo... io posso alzare la tua temperatura, e tu puoi abbassare la mia – Jacob corruga la fronte e si porta una mano alla nuca, in attesa della reazione di Bella. Impaziente, si affretta a specificare: – Possiamo raggiungere entrambi i trentase… -
- L’equilibrio termico – constata Bella, prima che lui termini la frase, sorridendo di quell’idea stupidamente perfetta che si chiede come mai non le sia mai venuta in mente.
Trentasette gradi.
Il punto di equilibrio tra me e te è la vita che abbiamo perso.
- E’ una cavolata – dice Jacob.
- Lo è – ammette Bella. – Ma gli umani fanno anche cose senza senso, no? –
Bella scrolla le spalle e Jacob china la testa di lato, sorridendo, mentre infila di nuovo le mani in tasca. Per un attimo, entrambi restano immobili, in attesa di una mossa dell’altro, e, mentre coprono con lo sguardo la distanza, fatta di metri e di anni, che si interpone tra loro, indugiano nei pensieri.
Si chiedono quando sia stata l’ultima volta che si sono abbracciati.
- Allora… cosa aspettiamo? – dice Jacob, avanzando di un passo.
Bella scuote il capo ridendo e si avvicina anche lei: - Non lo so. –
L’istante successivo sono talmente vicini che la differenza di temperatura è quasi palpabile.
Caldo e freddo. Diversi almeno quanto erano stati uguali.
Jacob allunga una mano e la posa sul suo fianco, invitandola ad avvicinarsi ancora un po’. Bella non si oppone, lasciandosi guidare tra le sue braccia, anche se al riparo di quel rifugio solido e accogliente ricorda di aver lasciato una parte di sé, tanto tempo addietro, una parte che ha paura di rincontrare. I loro sguardi si incrociano in una muta richiesta di conferme. Sono entrambi impacciati, come alla ricerca di un incastro che un tempo era stato naturale al pari di respirare e che adesso presenta qualche dentello diverso.
Bella sfiora il suo petto con le dita, avvertendo il calore emanato dal suo corpo come una fiamma che divampa. Fa quasi male.
- Sei bollente – mormora, a un soffio dal suo petto.
Lui avvolge l’altro braccio attorno alla sua schiena, annullando le ultime distanze.
- E tu... sei gelida. –
Bella sorride contro la maglia di Jacob, quando avverte un lieve tremore attraversare il suo corpo: – Non ci credo. Hai freddo. –
- Sfotti pure. Presto sarai il primo vampiro nella storia ad aver sudato – Jacob sorride, senza ombra di scherno, ma quasi con una sorta di dolcezza.
Bella fa scorrere la mano, prima premuta contro il suo petto, fino alla spalla, per invitarlo a chinarsi verso di lei. Adesso hanno entrambi la stessa forza, ma lui è ancora trentacinque centimetri più alto.
Jacob glielo fa notare chiamandola “nana”, mentre si abbassa e affonda la testa nel suo collo.
- Certo che puzzi – dice.
- Ah ah, Jake. Se avessi ancora bisogno di respirare, adesso starei morendo di asfissia. –
Ridono, ma, nel silenzio che segue, entrambi si scoprono a ricordare il profumo che un tempo emanava il corpo dell’altro. Il profumo di una vita passata, di una vita normale, un profumo che sa di occasioni perdute.
La mano sinistra di Bella percorre il braccio abbronzato di Jacob e raggiunge l’altra, allacciandosi al suo collo. La sua fronte, poggiata contro la spalla larga dell’amico, comincia quasi a scottare.
- Lo senti? – sussurra Jacob dopo un po’, tra i suoi capelli.
- Cosa? –
- Il cuore. –
Bella annuisce, ascoltando il rumore ritmico proveniente dal petto dell’amico: - Il tuo. -
- No… - lui la stringe ancora di più, premendola contro di sé, finché il suo cuore è tanto vicino a quello muto di Bella che sembra cedergli una parte dei suoi battiti. – Puoi fingere che sia tuo. Te lo presto – dice.
Serve un cuore? Prendi il mio.
E Bella scopre che la distanza tra esistenza e vita è quella di un abbraccio.
- Ci siamo. Sono trentasette gradi – mormora, contro il tessuto leggero della sua maglia.
Non può averne certezza scientifica, ma non ne ha nemmeno bisogno. Per un poco, ha ricordato cosa volesse dire avvertire un battito all’altezza del petto, sentire il calore sulla pelle e avere la consapevolezza che presto sarebbe finito, come hanno termine tutte le cose mortali. Non c’è mestizia in quel pensiero. Ogni cosa, tra lei e Jacob, è sempre stata destinata a finire per ripresentarsi ancora sotto una forma diversa, come se il loro legame riuscisse a sfuggire al calco dell’eternità e conservasse ancora l’impronta al cambiamento propria della vita.
- Puoi tornare ad essere umana tutte le volte che vuoi, Bell. Basta chiedere. -
I loro corpi si separano appena, quanto basta per guardarsi negli occhi. Jacob sorride nel modo che è il suo marchio di fabbrica, richiamando alla memoria di Bella il fantasma di un se stesso passato. I due visi, quello del ricordo e quello reale, per un istante si sovrappongono, perfettamente identici. Nel tempo alcune cose restano uguali.
- Ti voglio bene, Bella. –
Altre invece cambiano.
Il fantasma si dissolve davanti gli occhi di Bella, diradandosi dal viso di Jacob come una nuvola.
Sei sempre la stessa. Inciampi ancora sui tuoi sentimenti.
Perché, certe volte, si rimpiange anche quello che non vorremmo fosse diverso e che, se pure avessimo l’opportunità di farlo, non cambieremmo.
- Ti voglio bene anch’io, Jake. –


   
 
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