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Autore: braver than nana    03/01/2010    1 recensioni
*Quarta classificata allo Scolastic Yaoi Contest di Rei e Iaia*
Ogni volta che la voce acida di Karin, la speaker della radio della scuola, faceva gli avvisi mattutini provava a fare tutt’altro ma quando finiva con il solito countdown, il numero dei giorni risuonava nella testa.
Quel giorno erano trentaquattro.
Trentaquattro maledettissimi giorni.
Trentaquattro tristi e lunghi giorni.
Poco più di un mese senza avere neanche mezza opportunità per fargli cambiare idea.
Perché Shikamaru non cambiava mai idea. ShikaKiba
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kiba Inuzuka, Shikamaru Nara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Nana° (nanaosaki93 su efp)

Titolo: Trentaquattro.

Personaggi (Coppia): Shikamaru Nara, Kiba Inuzuka.      

Genere: Sentimentale, Introspettivo.

Rating: Verde

Avvertimenti: One shot, Yaoi

Presentazione:

{Ogni volta che la voce acida di Karin, la speaker della radio della scuola, faceva gli avvisi mattutini provava a fare tutt’altro ma quando finiva con il solito countdown, il numero dei giorni risuonava nella testa.

Quel giorno erano trentaquattro.

Trentaquattro maledettissimi giorni.

Trentaquattro tristi e lunghi giorni.

Poco più di un mese senza avere neanche mezza opportunità per fargli cambiare idea.

Perché Shikamaru non cambiava mai idea. ShikaKiba}

 

Note dell’autore: Ci ho messo anni e pensare che l’idea mi era venuta in mente quasi subito. L’IC non credo sia perfetto, soprattutto per Shikamaru -.- per fortuna ce l’ho fatta nonostante stia odiando questo mio continuo ridurmi all’ultimo minuto. Avrò fatto un casino di errori ma sono contenta di esserci riuscita.

Non so perché ma mi ricorda il film Cinderella Story xD

Buona lettura…

Trentaquattro.

 

La fine della scuola era vicina.

Non poteva non rendersene conto neanche volendolo.

Ogni corridoio era ricoperto da infiniti cartelloni di ogni colore. Giallo, verde, azzurro, rosa shocking.

Qualsiasi colore fosforescente era perfetto per far risaltare le scritte a caratteri cubitali che chissà quali poveri disgraziati del comitato studentesco avevano scritto.

Non potevi provare a ignorarli. Perché ti trovavano comunque ed eri sommerso da volantini altrettanto fluorescenti ovunque.

Li attaccavano ogni giorno su ogni armadietto. Ne aveva trovato uno anche nel secondo cubicolo del bagno al terzo piano.

Era una specie d’invasione.

Quanto più non voleva pensarci, più si sentiva attaccato sui vari fronti.

 

Le frasi erano alquanto banali.

Ti ricordavano dell’avvicinarsi degli esami e del ballo di fine anno. Quest’ultimo era tra solo una settimana.

E, ovviamente, ancora non era riuscito ad invitare nessuna.

Non gli aveva dato troppo peso quando era stata annunciata la data alla classe e a quel punto tutte le ragazze carine erano occupate.

Quando ne aveva parlato a casa sua sorella lo aveva preso in giro e sua madre si era opposta categoricamente.

 

«Non andrai a quel ballo. Accompagnatrice o no. Con i tuoi voti così scarsi dovresti rimanere a casa a studiare e non andare a divertirti.» aveva detto.

 

Ecco come si era ritrovato lì, seduto a guardare fuori dalla finestra invece di seguire il professore di biologia.

Se non avesse voluto vedere il ballo dalla terrazza con un binocolo, avrebbe dovuto prendere almeno un voto superiore alla sufficienza in matematica.

Ormai si era quasi del tutto rassegnato.

Aveva vagliato ogni alternativa e di idea gliene era venuta solo una, che sarebbe stata perfetta se non avesse litigato qualche giorno prima con la sua unica speranza.

 

- Mi hanno proposto di sostenere gli esami dell’ultimo anno, per entrare prima al college. Io ho accettato.

Guardava le poche nuvole e parlava come se niente fosse, uscendo quel discorso dal nulla.

Dal prato dietro casa mia, mi alzai e tornai in cucina con il fiato corto.

Non aveva senso quella reazione ma non sentivo più il fiato nei polmoni e sentivo in testa soltanto la voce del mio migliore amico che mi annunciava che non avremmo finito la scuola insieme.

 

Voleva andare via.

 

Si era arrabbiato perché stava rovinando ogni progetto, ogni sogno che avevano fatto sin da bambini. Insieme.

Sognavano di andare lontano da quella sciocca cittadina e vivere insieme in qualche metropoli. Insieme contro il mondo che è al dì là del loro cortile.

Lui è sempre stato intelligente e nonostante la pigrizia aveva intenzione di continuare gli studi, Kiba no.  

Non ci aveva mai pensato.

Era convinto che avrebbe dovuto continuare la tradizione di famiglia, lavorando nell’azienda del padre, tramandata sino a lui da suo nonno, continuando all’infinito da illimitate generazioni Inuzuka.

Invece alla fine lo aveva convinto ad andare con lui al college, spingendolo verso veterinaria.

Ci sarebbe stato lui a dargli una mano.

Avrebbero affrontato tutto insieme.

 

Adesso invece voleva andarsene via e lasciarlo qui.

Lui era andato a cercarlo e quando gli aveva chiesto se qualcosa non andava, era esploso.

 

- Qualcosa non va? Ti sembra che qualcosa vada per il verso giusto, in questo momento? Come fai a pensare di andare via, di... di abbandonarmi in questa maniera? Mi vuoi lasciare qui, vuoi rompere ogni promessa, eliminare ogni progetto...

Sentivo di star per piangere e quindi smisi di urlare.

Dopo mise su quell’espressione seria che non usa quasi mai e mi guardò dritto negli occhi.

- Non hai nessun diritto di decidere il mio futuro. Ho riflettuto a lungo prima di prendere questa decisione e so che è la cosa migliore per me.

 

Poi girò i tacchi e se ne andò.

Al solo pensiero tornavano ancora i nervi a fior di pelle.

In fondo sapeva che aveva ragione, era la sua vita, il suo futuro e per prendere certe decisioni non doveva avere il suo permesso.

Eppure si sentiva tradito.

Se avesse voluto, avrebbe potuto girare la testa e guardarlo. Era ancora seduto nel banco dietro il suo ma si sentiva già tremendamente solo.

 

Per questo cercava di ignorare ogni segnale della fine della scuola.

Ogni volta che la voce acida di Karin, la speaker della radio della scuola, faceva gli avvisi mattutini provava a fare tutt’altro ma quando finiva con il solito countdown, il numero dei giorni risuonava nella testa.

Quel giorno erano trentaquattro.

 

Trentaquattro maledettissimi giorni.

Trentaquattro tristi e lunghi giorni.

Poco più di un mese senza avere neanche mezza opportunità per fargli cambiare idea.

Perché Shikamaru non cambiava mai idea.

 

- Inuzuka? Cosa c’è di così interessante fuori dalla finestra?

 

La voce del professore era lontana e nonostante si stesse avvicinando proprio al suo banco, lui non riusciva a sentirla. Aveva la mente da tutt’altra parte e la scuola era proprio inutile se non c’era Shikamaru a ripetergli con quella voce noiosa di girarsi e lasciarlo in pace. Di provare a seguire almeno un po’.

Qualcosa toccò la sua sedia, un paio di volte.

Non voleva badarci e continuava imperterrito a guardare il cielo azzurro tipico dell’avvicinarsi dell’estate, con quelle piccole nuvole bianche e vaporose.

Ritmico quel tocco sulla sedia, diventava sempre più insistente e stava iniziando a non sopportarlo fino a quando, un calcio più forte quasi non lo fece cadere dalla sedia.

 

La classe scoppiò in una risata e si rese conto, ritornando violentemente alla realtà, di essere al centro dell’attenzione.

Il professore proprio davanti al suo banco aveva un’aria più irritata del solito e uno strano tic all’occhio sinistro. Girava e rigirava la stessa ciocca unta attorno a un dito nodoso.

Spostava lo sguardo da lui a dietro la sua sedia velocemente e contraeva le labbra in un evidente sforzo di non urlare.

 

- Punizione. – sussurrò alla fine, in una specie di spasmo. – Lei e Nara. Dopo la scuola.

- Nara? Che c’entra Nara?

- Il suo tentativo di riportarti alla realtà è stato fin troppo evidente e scocciante. Rimarrete a pulire la classe e vi assegnerò dei compiti extra che mi consegnerete prima di andare via.

 

La campanella suonò nel momento esatto in cui il professore finì il suo discorso. Prese le sue cose e andò via senza lasciargli il tempo di replicare.

Non tardò ad arrivare la scontatissima reazione di Shikamaru, alle sue spalle.

 

- Che seccatura.

 

***

 

Durante tutte e sei le ore, compreso l’intervallo e i cambi dell’ora, momenti solitamente dedicati al fare casino con Naruto e gli altri, era rimasto seduto al suo banco con la testa tra le nuvole.

Si sentiva così poco se stesso.

Avrebbe voluto fregarsene e affrontare quegli ultimi trentaquattro giorni con tranquillità. Sarebbero dovuti essere gli ultimi verso l’estate, verso la libertà e avrebbe voluto godersi l’aria frizzante che aleggiava in quei corridoi troppo colorati come chiunque altro nella scuola.

Invece era costretto in quella specie di limbo.

Era insopportabile ma non riusciva a liberarsene.

 

Si sentiva come se gli mancasse un pezzo, come se i suoi giorni di ragionamenti fossero stati inutili e che stesse dimenticando qualcosa d’importante. Ma cosa?

Ogni volta arrivava in quel vicolo cieco.

Odiava profondamente sentirsi bloccato, anche solo mentalmente. Non riusciva a sopportare la tensione e il sentirsi messo alle strette.

Sarebbe scoppiato, e presto. Lo sapeva.

 

Pensando era arrivato alla classe del professor Orochimaru che, come al solito, aveva la porta chiusa.

Respirò profondamente e con decisione abbassò la maniglia spalancando la porta, ma all’interno non c’era nessuno. Solo una lavagna con su scritti i compiti che avrebbero dovuto fare e i raggi di un sole più basso di quanto l’avesse mai visto in quell’ala delle scuola. Arrivava dritto nella classe come se volesse sedersi ad un banco e prendere ripetizioni di biologia anche lui.

Camminando scosse la testa per cercare di cacciare i pensieri sciocchi che continuava a fare e si sedette al suo banco vicino la finestra. Sospirò pesantemente e uscì il quaderno a quadretti verde che utilizzava per tutte le materie. Ne strappò un foglio e iniziò a scrivere.

Prima iniziava, prima avrebbe finito e magari Shikamaru aveva deciso di non venire e di saltare la punizione. Infondo era stato punito ingiustamente.

O forse era venuto, aveva fatto gli esercizi in cinque minuti ed era andato via. Ne era capace quell’intelligentone del cavolo.

 

Se però i suoi ragionamenti si fossero rivelati veritieri avrebbe perso la possibilità di chiarire con lui. Perché sotto sotto, era stato contento dell’occasione che si era creata pensando di avere l’opportunità di parlare con lui, magari tranquillamente e senza arrabbiarsi più di tanto.

Non sapeva se ci sarebbe riuscito, ma quelle erano le sue intenzioni.

 

Scrisse la prima traccia e guardò distrattamente le parole messe una di fianco all’altra senza però leggere veramente.

La finestra di fianco a lui era chiusa e quando iniziò a sentire caldo, completamente avvolto da quei raggi bollenti, si alzò per aprirla e lasciare entrare l’aria piena di profumi di quel periodo.

Nel campo della scuola la sua squadra di calcio si allenava.

Avrebbe dovuto essere lì anche lui, ad allenarsi per la partita di domenica.

Riconosceva i suoi compagni in pantaloncini rossi e maglietta bianca che correvano da una parte all’altra del campo. Naruto tirò uno dei suoi calci ed effetto e fece gol al povero Rock Lee che parava. Il biondo corse in braccio a Sasuke che gli aveva crossato la palla. Com’erano strani quei due, ora che avevano dichiarato apertamente il loro rapporto.

Sorrise amaramente senza capirne realmente il motivo.

 

Sentì arrivare un odore inconfondibile e si girò di scatto verso la porta. Trovò proprio ciò che si aspettava di vedere: Shikamaru, con quasi un quarto d’ora di ritardo, che arrivava con la sua solita cammina ciondolante.

Gli occhi chiusi, le mani in tasca.

Sorrise non appena scorse la sua figura che si avvicinava.

La camicia bianca dell’uniforme fuori dai pantaloni e il codino ormai molle sulla testa lo facevano apparire trasandato ma completamente se stesso. Era una scena rassicurante, familiare.

Perché doveva perdere tutto quello? Perché non potevano continuare a vivere, a crescere insieme?

Perché non poteva più vederlo camminare dondolando verso di lui?

Perché?

 

Il sorriso gli scomparve in una fazione si secondo, proprio com’era arrivato.

Al suo posto apparve una smorfia strana nella quale il dolore e la rabbia si mescolavano.

Quella morsa nel petto era lancinante e sentiva di nuovo mancare il fiato.

Faceva così male.

Perché soffriva in quel modo? Non era giusto...

 

«Non è giusto.»

La voce del Nara arrivò sino alle sue orecchie intorpidite dai pensieri e attraversarono il suo cervello lentamente.

Lo guardò cancellando ogni emozione dal suo viso, sforzandosi al massimo delle sue capacità.

Non era bravo a chiudere la sua mente e sapeva che spesso il suo volto lo ingannava rivelando qualsiasi bugia o sensazione. Soprattutto a Shikamaru.

 

Si sedette con rumore al suo banco superandolo.

Sospirò allungandosi sulla sedia, distendendo una gamba e intrecciando le braccia dietro la testa.

 

«Essere qui per colpa tua, non è giusto. Anche se forse, in una piccola parte so che è per colpa mia.»

«Se io guardo fuori dalla finestra e non bado il professore non è minimante colpa tua. Non sei il centro del mondo.»

«A cosa pensavi allora?»

«Cazzi miei.»

 

Sbuffò tirandosi a sedere in maniera più composta, probabilmente incrociando le braccia per reggere la faccia e chiudendo gli occhi.

 

«Lo so a cosa pensi. Lo so perfettamente...»

«Non sai niente. Non sai assolutamente niente.»

Invece lui, il genio, era probabile che avesse capito. Quasi certamente aveva capito cose che a lui erano ancora sconosciute.

«Ah no? Ma cosa credi, che io sia tutto contento di mandare a puttane la nostra amicizia?»

«Evidentemente sì, visto che lo stai facendo senza nessun problema.»

 

Le gambe in metallo della sedia strofinarono contro le mattonelle orribilmente pallide della classe.

Ecco, si era arrabbiato di nuovo. Era ovvio.

Quelle parole lo avrebbero fatto incavolare, erano fatte apposta.

 

«Sei tu che non sai niente.»

 

Adesso, forse avrebbe parlato e avrebbe detto tutta la verità. Una verità urlata, violenta ma sincera. Proprio quella di cui aveva bisogno in quel momento il ragazzo intrappolato nel suo banco, incatenato dalla tensione e dalla voce dura che aveva usato l’amico.

Il respiro pesante dei ragazzi riempiva il silenzio. Quella era la quiete che preannunciava la tempesta.

 

«Sai quando mi hanno fatto la proposta? All’inizio della scuola. Ho passato un intero anno a convivere con il dubbio, con il terrore. Era l’occasione di una vita ma se avessi accettato sapevo che avrei perso tutto. La vita che ho sempre avuto, i miei ritmi, te... »

La stessa voce che aveva iniziato quel discorso con tono arrabbiato si era calmata, abbassata, diventando quasi un sussurro.

 

«Shikamaru, io...»

«Già Kiba sei tu quello che non ha capito, che non ha voluto capire. E ora ti ritrovi con il vuoto dentro a cercare disperatamente in questa situazione una risposta che esiste solo dentro di te...»

 

Parlava piano ma convinto. Ogni parola aveva il suo peso e doveva essere pronunciata con la dovuta lentezza per essere ben immagazzinata in quel cervello in fermento.

Era raro vedere quel ragazzo, lo stesso che dormiva durante le lezioni e dichiarava una seccatura ogni minimo sforzo, con quello sguardo intenso negli occhi.

Gli si era parato davanti incatenandolo. Rivolti verso di lui quegli occhi di un bel castano caldo sembravano volergli confessare qualcosa o forse si aspettavano che Kiba arrivasse a una conclusione.

Eppure l’Inuzuka non ci riusciva più.

Non reggeva lo sguardo, la tensione.

Non poteva più continuare a cercare quella determinazione che lo aveva sempre caratterizzato. Era necessaria per andare avanti ma sembrava del tutto scomparsa.

Le idee nella testa giravano, le immagini si sovrapponevano. Odori, musiche e sensazioni mixati in un frappé confusionario che piano diventava uniforme.

Se Lui lo sapeva, perché non parlava? Perché fargli sorbire tutta quell’ansia, con il cuore che batteva nelle orecchie talmente forte da potergli scoppiare da un momento all’altro.

Tremava quasi e nonostante si sentisse poco stabile sulle sue stesse gambe cercò di alzarsi in piedi reggendosi al vecchio banco traballante.

Aveva bisogno di chiarezza e si sentiva vicino a una soluzione. Il frullato era quasi del tutto omogeneo.

 

«Come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto? Perché alla fine un discorso deve concludersi così? Io volevo litigare e fare pace con te prima che andassi via, solo questo. Invece...»

«Invece?»

«Ho ancora bisogno di te Shika. Arrivo sempre alla solita conclusione: senza di te non ci so stare.»

 

Aveva bisogno di lui. Era talmente facile ammetterlo che si chiedeva perché non l’avesse fatto prima.

Era stata tutta colpa di quel piccolo mostro insidioso che si annida nel nostro cervello e che tutti chiamiamo orgoglio.

Chi non lo prova sulla propria pelle, chi non conosce quella bestia forzuta che ti incatena ad una idea e non ti lascia scappare, non lo può capire.

Kiba lo conosceva bene, era sempre stato un amico di famiglia e lui e i suoi pargoli erano cresciuti insieme.

Eppure era bastato quel ragazzo per cancellare, finalmente, anni di dipendenza da quel mostriciattolo spostandolo un po’ più in là.

Sapeva di non poterlo cacciare del tutto ma era contento di aver vinto la sua prima battaglia.

 

Aveva bisogno di Shikamaru molto di più di quanto fosse orgoglioso.

 

Si sentiva più sicuro e molto più se stesso, come se finalmente quello stato d’intorpidimento fosse passato e fosse tornato a sentire il suo corpo. Ne riprendeva poco alla volta il controllo.

Fece un passo sicuro e con un mezzo sorriso guardò il ragazzo davanti a lui sentendosi meglio e molto meno solo.

Sarebbe andato via lo stesso, ormai aveva deciso, ma con l’animo risollevato e il cuore più leggero sarebbe stato più facile affrontarlo.

Alzò una mano resa ruvida da allenamenti e giochi spericolati e la appoggiò sulla guancia liscia del Nara che immobile lo fissava di uno sguardo diverso. Non si aspettava più una risposta ed era come se avesse capito che era tornato tutto al suo posto.

La mano sfiorava la pelle lattea che andava arrossandosi scendendo verso il collo. Le falangi sfiorarono il metallo freddo degli orecchini dorati che non toglieva mai.

 

«Kiba io credo di essermi innamorato di te.»

«Già, anche io.»

 

Con la più pura semplicità, guardandosi nel profondo dell’anima, confessarsi i propri sentimenti fu talmente facile da sembrare irreale. Le fronti appoggiate l’una all’altra, una mano ancora giocava con il collo del piccolo genio e l’altra si reggeva al banco.

Entrambi sapevano che non esisteva nessun dubbio e con leggerezza, senza mai staccare gli occhi ancora ammanettati tra di loro, scoppiarono a ridere soltanto per il gusto di purificare l’aria tersa di cattivo umore che aveva aleggiato in quella stanza fino a poco tempo prima.

Non era bastato che guardarsi negli occhi dopo tutto quel tempo passato forzatamente lontani per cancellare tutto.

Per tornare quelli di prima. Con un rapporto ancora più forte, insuperabile.

 

Kiba si lasciò cadere sulla sua sedia guardando fuori dalla finestra.

I ragazzi stavano ancora giocando, con meno lena rispetto l’ultima volta che li aveva osservati, ma ancora ridevano e si divertivano.

Una mano di infilò tra i suoi capelli e socchiuse un po’ gli occhi godendo di quella sensazione di benessere che gli donava. Si muoveva lenta e di sicuro disordinava i suoi capelli ordinatamente scompigliati.

 

«Partirai però, vero?»

La domanda venne sputata fuori dopo alcuni secondi di silenzio e la risposta che la seguì fu quella che voleva sentirsi dire.

«Si, non mi tiro indietro. Avevo paura di affrontare la situazione ma ora va tutto per il verso giusto.»

«Non ti preoccupare, non mi farò aspettare molto. Dammi un anno e ti raggiungo.»

«Certamente... Anche se forse sarà meglio fare i compiti di biologia se no non ti basterà un anno.»

«Non preoccuparti Darling. Facciamo questi e poi passiamo da casa mia che devi darmi una mano in matematica.»

 

Era convinto di potercela fare.

Lui era Kiba Inuzuka, era tornato se stesso, ed era contento di esserlo. Aveva Shikamaru e i cartelloni colorati non facevano più così paura.

L’aria frizzante dell’estate entrò vibrando dalla finestra facendolo quasi rabbrividire.

Magari il giorno seguente avrebbe ascoltato Karin con più interesse e sarebbe stato contento che i giorni iniziavano a diminuire.

Sarebbero mancati trentatre giorni e un anno per finire la scuola, partire e non tornare più. Per andare da Shikamaru.

Per vivere quella vita che avevano sempre sognato e che era sicuro sarebbe divenuta realtà.

 

Fine.

 

Devo solo dire due parole. Scrivere questa fic è stato un parto ma mi piace. E' esattamente quello che volevo raccontare, che mi sentivo di esprimere da quella immagine che mi è stata assegnata. E' esattamente così che vedo i due. 

Non credo di essere caduta troppo nell'OOC.
Mi piace <3

   
 
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