Autore:
Nana° (nanaosaki93 su efp)
Titolo:
Trentaquattro.
Personaggi
(Coppia): Shikamaru
Nara, Kiba Inuzuka.
Genere:
Sentimentale,
Introspettivo.
Rating:
Verde
Avvertimenti:
One shot, Yaoi
Presentazione:
{Ogni
volta che la voce acida di
Karin, la speaker della radio della scuola, faceva gli avvisi mattutini
provava
a fare tutt’altro ma quando finiva con il solito countdown,
il numero dei
giorni risuonava nella testa.
Quel
giorno erano trentaquattro.
Trentaquattro
maledettissimi
giorni.
Trentaquattro
tristi e lunghi
giorni.
Poco
più di un mese senza avere
neanche mezza opportunità per fargli cambiare idea.
Perché
Shikamaru non cambiava mai
idea. ShikaKiba}
Note
dell’autore: Ci ho messo anni
e pensare che l’idea mi era venuta in mente quasi subito.
L’IC non credo sia
perfetto, soprattutto per Shikamaru -.- per fortuna ce l’ho
fatta nonostante
stia odiando questo mio continuo ridurmi all’ultimo minuto.
Avrò fatto un
casino di errori ma sono contenta di esserci riuscita.
Non
so perché ma mi ricorda il film
Cinderella Story xD
Buona
lettura…
Trentaquattro.
La
fine della scuola era vicina.
Non
poteva non rendersene conto
neanche volendolo.
Ogni
corridoio era ricoperto da
infiniti cartelloni di ogni colore. Giallo, verde, azzurro, rosa
shocking.
Qualsiasi
colore fosforescente era
perfetto per far risaltare le scritte a caratteri cubitali che
chissà quali
poveri disgraziati del comitato studentesco avevano scritto.
Non
potevi provare a ignorarli.
Perché ti trovavano comunque ed eri sommerso da volantini
altrettanto
fluorescenti ovunque.
Li
attaccavano ogni giorno su ogni
armadietto. Ne aveva trovato uno anche nel secondo cubicolo del bagno
al terzo
piano.
Era
una specie d’invasione.
Quanto
più non voleva pensarci, più
si sentiva attaccato sui vari fronti.
Le
frasi erano alquanto banali.
Ti
ricordavano dell’avvicinarsi
degli esami e del ballo di fine anno. Quest’ultimo era tra
solo una settimana.
E,
ovviamente, ancora non era
riuscito ad invitare nessuna.
Non
gli aveva dato troppo peso
quando era stata annunciata la data alla classe e a quel punto tutte le
ragazze
carine erano occupate.
Quando
ne aveva parlato a casa sua
sorella lo aveva preso in giro e sua madre si era opposta
categoricamente.
«Non
andrai a quel ballo.
Accompagnatrice o no. Con i tuoi voti così scarsi dovresti
rimanere a casa a
studiare e non andare a divertirti.» aveva detto.
Ecco
come si era ritrovato lì,
seduto a guardare fuori dalla finestra invece di seguire il professore
di
biologia.
Se
non avesse voluto vedere il
ballo dalla terrazza con un binocolo, avrebbe dovuto prendere almeno un
voto
superiore alla sufficienza in matematica.
Ormai
si era quasi del tutto
rassegnato.
Aveva
vagliato ogni alternativa e
di idea gliene era venuta solo una, che sarebbe stata perfetta se non
avesse
litigato qualche giorno prima con la sua unica speranza.
-
Mi hanno proposto di sostenere gli esami dell’ultimo anno,
per entrare prima al
college. Io ho accettato.
Guardava
le poche nuvole e parlava come se niente fosse, uscendo quel discorso
dal
nulla.
Dal
prato dietro casa mia, mi alzai e tornai in cucina con il fiato corto.
Non
aveva senso quella reazione ma non sentivo più il fiato nei
polmoni e sentivo
in testa soltanto la voce del mio migliore amico che mi annunciava che
non
avremmo finito la scuola insieme.
Voleva
andare via.
Si
era arrabbiato perché stava
rovinando ogni progetto, ogni sogno che avevano fatto sin da bambini.
Insieme.
Sognavano
di andare lontano da
quella sciocca cittadina e vivere insieme in qualche metropoli. Insieme
contro
il mondo che è al dì là del loro
cortile.
Lui
è sempre stato intelligente e
nonostante la pigrizia aveva intenzione di continuare gli studi, Kiba
no.
Non
ci aveva mai pensato.
Era
convinto che avrebbe dovuto
continuare la tradizione di famiglia, lavorando nell’azienda
del padre,
tramandata sino a lui da suo nonno, continuando all’infinito
da illimitate
generazioni Inuzuka.
Invece
alla fine lo aveva convinto
ad andare con lui al college, spingendolo verso veterinaria.
Ci
sarebbe stato lui a dargli una
mano.
Avrebbero
affrontato tutto insieme.
Adesso
invece voleva andarsene via
e lasciarlo qui.
Lui
era andato a cercarlo e quando gli
aveva chiesto se qualcosa non andava, era esploso.
-
Qualcosa non va? Ti sembra che qualcosa vada per il verso giusto, in
questo
momento? Come fai a pensare di andare via, di... di abbandonarmi in
questa
maniera? Mi vuoi
lasciare qui, vuoi rompere ogni promessa,
eliminare ogni progetto...
Sentivo
di star per piangere e quindi smisi di urlare.
Dopo
mise su quell’espressione seria che non usa quasi mai e mi
guardò dritto negli
occhi.
-
Non hai nessun diritto di decidere il mio futuro. Ho riflettuto a lungo
prima
di prendere questa decisione e so che è la cosa migliore per
me.
Poi
girò i tacchi e se ne andò.
Al
solo pensiero tornavano ancora i
nervi a fior di pelle.
In
fondo sapeva che aveva ragione,
era la sua vita, il suo futuro e per prendere certe decisioni non
doveva avere
il suo permesso.
Eppure
si sentiva tradito.
Se
avesse voluto, avrebbe potuto
girare la testa e guardarlo. Era ancora seduto nel banco dietro il suo
ma si
sentiva già tremendamente solo.
Per
questo cercava di ignorare ogni
segnale della fine della scuola.
Ogni
volta che la voce acida di
Karin, la speaker della radio della scuola, faceva gli avvisi mattutini
provava
a fare tutt’altro ma quando finiva con il solito countdown,
il numero dei
giorni risuonava nella testa.
Quel
giorno erano trentaquattro.
Trentaquattro
maledettissimi giorni.
Trentaquattro
tristi e lunghi
giorni.
Poco
più di un mese senza avere
neanche mezza opportunità per fargli cambiare idea.
Perché
Shikamaru non cambiava mai idea.
-
Inuzuka? Cosa c’è di così interessante
fuori dalla finestra?
La
voce del professore era lontana e nonostante si stesse avvicinando
proprio al
suo banco, lui non riusciva a sentirla. Aveva la mente da
tutt’altra parte e la
scuola era proprio inutile se non c’era Shikamaru a
ripetergli con quella voce
noiosa di girarsi e lasciarlo in pace. Di provare a seguire almeno un
po’.
Qualcosa
toccò la sua sedia, un paio di volte.
Non
voleva badarci e continuava imperterrito a guardare il cielo azzurro
tipico
dell’avvicinarsi dell’estate, con quelle piccole
nuvole bianche e vaporose.
Ritmico
quel tocco sulla sedia, diventava sempre più insistente e
stava iniziando a non
sopportarlo fino a quando, un calcio più forte quasi non lo
fece cadere dalla
sedia.
La
classe scoppiò in una risata e si rese conto, ritornando
violentemente alla
realtà, di essere al centro dell’attenzione.
Il
professore proprio davanti al suo banco aveva un’aria
più irritata del solito e
uno strano tic all’occhio sinistro. Girava e rigirava la
stessa ciocca unta
attorno a un dito nodoso.
Spostava
lo sguardo da lui a dietro la sua sedia velocemente e contraeva le
labbra in un
evidente sforzo di non urlare.
-
Punizione. – sussurrò alla fine, in una specie di
spasmo. – Lei e Nara. Dopo la
scuola.
-
Nara? Che c’entra Nara?
-
Il suo tentativo di riportarti alla realtà è
stato fin troppo evidente e
scocciante. Rimarrete a pulire la classe e vi assegnerò dei
compiti extra che
mi consegnerete prima di andare via.
La
campanella suonò nel momento esatto in cui il professore
finì il suo discorso.
Prese le sue cose e andò via senza lasciargli il tempo di
replicare.
Non
tardò ad arrivare la scontatissima reazione di Shikamaru,
alle sue spalle.
-
Che seccatura.
***
Durante
tutte e sei le ore, compreso l’intervallo e i cambi
dell’ora, momenti
solitamente dedicati al fare casino con Naruto e gli altri, era rimasto
seduto
al suo banco con la testa tra le nuvole.
Si
sentiva così poco se stesso.
Avrebbe
voluto fregarsene e affrontare quegli ultimi trentaquattro giorni con
tranquillità. Sarebbero dovuti essere gli ultimi verso
l’estate, verso la
libertà e avrebbe voluto godersi l’aria frizzante
che aleggiava in quei
corridoi troppo colorati come chiunque altro nella scuola.
Invece
era costretto in quella specie di limbo.
Era
insopportabile ma non riusciva a liberarsene.
Si
sentiva come se gli mancasse un pezzo, come se i suoi giorni di
ragionamenti
fossero stati inutili e che stesse dimenticando qualcosa
d’importante. Ma cosa?
Ogni
volta arrivava in quel vicolo cieco.
Odiava
profondamente sentirsi bloccato, anche solo mentalmente. Non riusciva a
sopportare la tensione e il sentirsi messo alle strette.
Sarebbe
scoppiato, e presto. Lo sapeva.
Pensando
era arrivato alla classe del professor Orochimaru che, come al solito,
aveva la
porta chiusa.
Respirò
profondamente e con decisione abbassò la maniglia
spalancando la porta, ma
all’interno non c’era nessuno. Solo una lavagna con
su scritti i compiti che
avrebbero dovuto fare e i raggi di un sole più basso di
quanto l’avesse mai
visto in quell’ala delle scuola. Arrivava dritto nella classe
come se volesse
sedersi ad un banco e prendere ripetizioni di biologia anche lui.
Camminando
scosse la testa per cercare di cacciare i pensieri sciocchi che
continuava a
fare e si sedette al suo banco vicino la finestra. Sospirò
pesantemente e uscì
il quaderno a quadretti verde che utilizzava per tutte le materie. Ne
strappò
un foglio e iniziò a scrivere.
Prima
iniziava, prima avrebbe finito e magari Shikamaru aveva deciso di non
venire e
di saltare la punizione. Infondo era stato punito ingiustamente.
O
forse era venuto, aveva fatto gli esercizi in cinque minuti ed era
andato via.
Ne era capace quell’intelligentone del cavolo.
Se
però i suoi ragionamenti si fossero rivelati veritieri
avrebbe perso la
possibilità di chiarire con lui. Perché sotto
sotto, era stato contento
dell’occasione che si era creata pensando di avere
l’opportunità di parlare con
lui, magari tranquillamente e senza arrabbiarsi più di tanto.
Non
sapeva se ci sarebbe riuscito, ma quelle erano le sue intenzioni.
Scrisse
la prima traccia e guardò distrattamente le parole messe una
di fianco
all’altra senza però leggere veramente.
La
finestra di fianco a lui era chiusa e quando iniziò a
sentire caldo,
completamente avvolto da quei raggi bollenti, si alzò per
aprirla e lasciare
entrare l’aria piena di profumi di quel periodo.
Nel
campo della scuola la sua squadra di calcio si allenava.
Avrebbe
dovuto essere lì anche lui, ad allenarsi per la partita di
domenica.
Riconosceva
i suoi compagni in pantaloncini rossi e maglietta bianca che correvano
da una
parte all’altra del campo. Naruto tirò uno dei
suoi calci ed effetto e fece gol
al povero Rock Lee che parava. Il biondo corse in braccio a Sasuke che
gli
aveva crossato la palla. Com’erano strani quei due, ora che
avevano dichiarato
apertamente il loro rapporto.
Sorrise
amaramente senza capirne realmente il motivo.
Sentì
arrivare un odore inconfondibile e si girò di scatto verso
la porta. Trovò
proprio ciò che si aspettava di vedere: Shikamaru, con quasi
un quarto d’ora di
ritardo, che arrivava con la sua solita cammina ciondolante.
Gli
occhi chiusi, le mani in tasca.
Sorrise
non appena scorse la sua figura che si avvicinava.
La
camicia bianca dell’uniforme fuori dai pantaloni e il codino
ormai molle sulla
testa lo facevano apparire trasandato ma completamente se stesso. Era
una scena
rassicurante, familiare.
Perché
doveva perdere tutto quello? Perché non potevano continuare
a vivere, a
crescere insieme?
Perché
non poteva più vederlo camminare dondolando verso di lui?
Perché?
Il
sorriso gli scomparve in una fazione si secondo, proprio
com’era arrivato.
Al
suo posto apparve una smorfia strana nella quale il dolore e la rabbia
si
mescolavano.
Quella
morsa nel petto era lancinante e sentiva di nuovo mancare il fiato.
Faceva
così male.
Perché
soffriva in quel modo? Non era giusto...
«Non
è giusto.»
La
voce del Nara arrivò sino alle sue orecchie intorpidite dai
pensieri e
attraversarono il suo cervello lentamente.
Lo
guardò cancellando ogni emozione dal suo viso, sforzandosi
al massimo delle sue
capacità.
Non
era bravo a chiudere la sua mente e sapeva che spesso il suo volto lo
ingannava
rivelando qualsiasi bugia o sensazione. Soprattutto a Shikamaru.
Si
sedette con rumore al suo banco superandolo.
Sospirò
allungandosi sulla sedia, distendendo una gamba e intrecciando le
braccia
dietro la testa.
«Essere
qui per colpa tua, non è giusto. Anche se forse, in una
piccola parte so che è
per colpa mia.»
«Se
io guardo fuori dalla finestra e non bado il professore non
è minimante colpa
tua. Non sei il centro del mondo.»
«A
cosa pensavi allora?»
«Cazzi
miei.»
Sbuffò
tirandosi a sedere in maniera più composta, probabilmente
incrociando le
braccia per reggere la faccia e chiudendo gli occhi.
«Lo
so a cosa pensi. Lo so perfettamente...»
«Non
sai niente. Non sai assolutamente niente.»
Invece
lui, il genio, era probabile che avesse capito. Quasi certamente aveva
capito
cose che a lui erano ancora sconosciute.
«Ah
no? Ma cosa credi, che io sia tutto contento di mandare a puttane la
nostra amicizia?»
«Evidentemente
sì, visto che lo stai facendo senza nessun
problema.»
Le
gambe in metallo della sedia strofinarono contro le mattonelle
orribilmente
pallide della classe.
Ecco,
si era arrabbiato di nuovo. Era ovvio.
Quelle
parole lo avrebbero fatto incavolare, erano fatte apposta.
«Sei
tu che non sai niente.»
Adesso,
forse avrebbe parlato e avrebbe detto tutta la verità. Una
verità urlata,
violenta ma sincera. Proprio quella di cui aveva bisogno in quel
momento il
ragazzo intrappolato nel suo banco, incatenato dalla tensione e dalla
voce dura
che aveva usato l’amico.
Il
respiro pesante dei ragazzi riempiva il silenzio. Quella era la quiete
che
preannunciava la tempesta.
«Sai
quando mi hanno fatto la proposta? All’inizio della scuola.
Ho passato un
intero anno a convivere con il dubbio, con il terrore. Era
l’occasione di una
vita ma se avessi accettato sapevo che avrei perso tutto. La vita che
ho sempre
avuto, i miei ritmi, te...
»
La
stessa voce che aveva iniziato quel discorso con tono arrabbiato si era
calmata, abbassata, diventando quasi un sussurro.
«Shikamaru,
io...»
«Già
Kiba sei tu quello che non ha capito, che non ha voluto capire. E ora
ti
ritrovi con il vuoto dentro a cercare disperatamente in questa
situazione una
risposta che esiste solo dentro di te...»
Parlava
piano ma convinto. Ogni parola aveva il suo peso e doveva essere
pronunciata
con la dovuta lentezza per essere ben immagazzinata in quel cervello in
fermento.
Era
raro vedere quel ragazzo, lo stesso che dormiva durante le lezioni e
dichiarava
una seccatura ogni minimo sforzo, con quello sguardo intenso negli
occhi.
Gli
si era parato davanti incatenandolo. Rivolti verso di lui quegli occhi
di un
bel castano caldo sembravano volergli confessare qualcosa o forse si
aspettavano che Kiba arrivasse a una conclusione.
Eppure
l’Inuzuka non ci riusciva più.
Non
reggeva lo sguardo, la tensione.
Non
poteva più continuare a cercare quella determinazione che lo
aveva sempre
caratterizzato. Era necessaria per andare avanti ma sembrava del tutto
scomparsa.
Le
idee nella testa giravano, le immagini si sovrapponevano. Odori,
musiche e
sensazioni mixati in un frappé confusionario che piano
diventava uniforme.
Se
Lui lo sapeva, perché non parlava? Perché fargli
sorbire tutta quell’ansia, con
il cuore che batteva nelle orecchie talmente forte da potergli
scoppiare da un
momento all’altro.
Tremava
quasi e nonostante si sentisse poco stabile sulle sue stesse gambe
cercò di
alzarsi in piedi reggendosi al vecchio banco traballante.
Aveva
bisogno di chiarezza e si sentiva vicino a una soluzione. Il frullato
era quasi
del tutto omogeneo.
«Come
abbiamo fatto ad arrivare a questo punto? Perché alla fine
un discorso deve
concludersi così? Io volevo litigare e fare pace con te
prima che andassi via, solo
questo. Invece...»
«Invece?»
«Ho
ancora bisogno di te Shika. Arrivo sempre alla solita conclusione:
senza di te
non ci so stare.»
Aveva
bisogno di lui. Era talmente facile ammetterlo che si chiedeva
perché non
l’avesse fatto prima.
Era
stata tutta colpa di quel piccolo mostro insidioso che si annida nel
nostro
cervello e che tutti chiamiamo orgoglio.
Chi
non lo prova sulla propria pelle, chi non conosce quella bestia forzuta
che ti
incatena ad una idea e non ti lascia scappare, non lo può
capire.
Kiba
lo conosceva bene, era sempre stato un amico di famiglia e lui e i suoi
pargoli
erano cresciuti insieme.
Eppure
era bastato quel ragazzo per cancellare, finalmente, anni di dipendenza
da quel
mostriciattolo spostandolo un po’ più in
là.
Sapeva
di non poterlo cacciare del tutto ma era contento di aver vinto la sua
prima
battaglia.
Aveva bisogno di Shikamaru molto
di
più di quanto fosse orgoglioso.
Si
sentiva più sicuro e molto più se stesso, come se
finalmente quello stato
d’intorpidimento fosse passato e fosse tornato a sentire il
suo corpo. Ne
riprendeva poco alla volta il controllo.
Fece
un passo sicuro e con un mezzo sorriso guardò il ragazzo
davanti a lui
sentendosi meglio e molto meno solo.
Sarebbe
andato via lo stesso, ormai aveva deciso, ma con l’animo
risollevato e il cuore
più leggero sarebbe stato più facile affrontarlo.
Alzò
una mano resa ruvida da allenamenti e giochi spericolati e la
appoggiò sulla
guancia liscia del Nara che immobile lo fissava di uno sguardo diverso.
Non si
aspettava più una risposta ed era come se avesse capito che
era tornato tutto
al suo posto.
La
mano sfiorava la pelle lattea che andava arrossandosi scendendo verso
il collo.
Le falangi sfiorarono il metallo freddo degli orecchini dorati che non
toglieva
mai.
«Kiba io credo di
essermi
innamorato di te.»
«Già, anche
io.»
Con
la più pura semplicità, guardandosi nel profondo
dell’anima, confessarsi i
propri sentimenti fu talmente facile da sembrare irreale. Le fronti
appoggiate
l’una all’altra, una mano ancora giocava con il
collo del piccolo genio e
l’altra si reggeva al banco.
Entrambi
sapevano che non esisteva nessun dubbio e con leggerezza, senza mai
staccare
gli occhi ancora ammanettati tra di loro, scoppiarono a ridere soltanto
per il
gusto di purificare l’aria tersa di cattivo umore che aveva
aleggiato in quella
stanza fino a poco tempo prima.
Non
era bastato che guardarsi negli occhi dopo tutto quel tempo passato
forzatamente lontani per cancellare tutto.
Per
tornare quelli di prima. Con un rapporto ancora più forte,
insuperabile.
Kiba
si lasciò cadere sulla sua sedia guardando fuori dalla
finestra.
I
ragazzi stavano ancora giocando, con meno lena rispetto
l’ultima volta che li
aveva osservati, ma ancora ridevano e si divertivano.
Una
mano di infilò tra i suoi capelli e socchiuse un
po’ gli occhi godendo di quella
sensazione di benessere che gli donava. Si muoveva lenta e di sicuro
disordinava i suoi capelli ordinatamente scompigliati.
«Partirai
però, vero?»
La
domanda venne sputata fuori dopo alcuni secondi di silenzio e la
risposta che
la seguì fu quella che voleva sentirsi dire.
«Si,
non mi tiro indietro. Avevo paura di affrontare la situazione ma ora va
tutto
per il verso giusto.»
«Non
ti preoccupare, non mi farò aspettare molto. Dammi un anno e
ti raggiungo.»
«Certamente...
Anche se forse sarà meglio fare i compiti di biologia se no
non ti basterà un
anno.»
«Non
preoccuparti Darling. Facciamo questi e poi passiamo da casa mia che
devi darmi
una mano in matematica.»
Era
convinto di potercela fare.
Lui
era Kiba Inuzuka, era tornato se stesso, ed era contento di esserlo.
Aveva
Shikamaru e i cartelloni colorati non facevano più
così paura.
L’aria
frizzante dell’estate entrò vibrando dalla
finestra facendolo quasi
rabbrividire.
Magari
il giorno seguente avrebbe ascoltato Karin con più interesse
e sarebbe stato
contento che i giorni iniziavano a diminuire.
Sarebbero
mancati trentatre giorni e un anno per finire la scuola, partire e non
tornare
più. Per andare da Shikamaru.
Per
vivere quella vita che avevano sempre sognato e che era sicuro sarebbe
divenuta
realtà.
Fine.
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