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Autore: Rota    04/01/2010    3 recensioni
-“Hai davvero una bella voce, Shino! Perché non canti nella mia band, al posto di Ino? Sicuramente farebbe più effetto! Non fare l’asociale come al solito!”-
Il ricordo nitido delle parole di Kiba era un’ingombrante presenza nella sua memoria, come un macigno che gravava e schiacciava ogni altra cosa, diventando una presenza costante e fin troppo oppressiva. Nulla di più importante sembrava poterne prendere il posto, ora più che mai.

****Terza classificata al "Scolastic Yaoi contest" Indetto sul forum di EFP da iaia86 e (shi)Rei Murai e vincitrice del premio Attinenza****
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hinata Hyuuga, Ino Yamanaka, Kiba Inuzuka, Shino Aburame | Coppie: Shino/Kiba
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Show must go on'
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show 1 Ecco a voi un'altra delle mie piccole ShinoKiba. Una ff dove NON prenderò in esame l'aspetto puramente sessuale che lega i due miei amati piccioncini.
No, davvero no.
E' una ff abbastanza dura, dal mio punto di vista. Sicuramente seria.
Buona lettura, a tutti voi.



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Show must go on





Prologo



Le tende spesse del sipario di aprirono con uno stridere isterico di corde e carrucole non oliate bene, mentre la sala calava nel silenzio più totale, tutti gli sguardi rivolti al palco di legno chiaro.
Uno scricchiolio testimoniò in quel momento il muoversi nervoso di una delle star lì esposte, le travi scoperte di materiale marcio dolevano come i cuori eccitati dei ragazzi.
L’ultima possibilità di farsi vedere, l’ultima possibilità di fronte alla massa di genitori e insegnanti in adorazione; questa gli era stata offerta , così gratuitamente e genuinamente, che pareva quasi sospetta tanta disponibilità. Ma l’animo umano non è regolato da regole ferree e sterili, sa muoversi da solo con impeti di pura bontà. E tutti loro lo sapevano più che bene.
Un sospiro, una mano che si mosse nel buio, e la tastiera prese a suonare rauca nell’anfiteatro. Ad accompagnarla semplicemente qualche battito sul charleston che però non fermò la sua marcia.
E la voce, quella voce che profonda iniziò a cantare, a districare lettere e parole l’una dopo l’altra, soffiando sul microfono, destando meraviglia più o meno positiva.
Lo Show ebbe inizio così.






Capitolo uno: Rimembranze



-“Hai davvero una bella voce, Shino! Perché non canti nella mia band, al posto di Ino? Sicuramente farebbe più effetto! Non fare l’asociale come al solito!”-

Il ricordo nitido delle parole di Kiba era un’ingombrante presenza nella sua memoria, uguale a un macigno che gravava e schiacciava ogni altra cosa, diventando una costante fin troppo oppressiva. Nulla di più importante sembrava poterne prendere il posto, ora più che mai.
Anche se il sospetto di averlo fatto cantare in un momento d’assoluta debolezza – ancora si chiedeva come avesse fatto a farlo ubriacare durante la cena di classe di Natale, quel maledetto – lo aveva accompagnato per davvero tanto tempo, non poteva certo dargli torto. Rispetto alla voce squillante, decisamente femminile e persino un poco acuta di Ino, la sua era grave e possente, appena nasale quando faceva le note lunghe. Ma il piccolo fatto che la Yamanaka avesse studiato canto per diversi anni mentre lui era l’inesperienza fatta persona lo aveva fatto desistere da qualsiasi vano e vanesio sogno di gloria. Adducendo una menzognera fobia del pubblico, aveva rifuggito il gentile invito del proprio amico con un’eleganza senza pari, scatenando una reazione di delusione non indifferente.
Per quanti sforzi facesse Kiba, gli era sempre stato difficile – tremendamente difficile – condurlo in qualche attività di gruppo. Era già tanto che accettasse la sua compagnia, figuriamoci quella di persone che a malapena conosceva. Irrimediabilmente solitario, così l’aveva definito Kiba stesso.  
Shino non riuscì a concedersi un sorriso, constatando quanto, effettivamente, avesse ragione ad arrabbiarsi ogni volta che usciva sconfitto dai suoi eroici tentativi di donargli una vita sociale. La cosa aveva un chessocché d’estrema malinconia, come se già in partenza Shino avesse deciso che il gioco non valeva la candela. Avrebbe comunque perso.
Sospirò, arrestandosi qualche istante mentre le porte scorrevoli si aprivano davanti a sé e la sala d’ingresso dell’ospedale, grande, estremamente bianca, si stagliava davanti ai suoi occhi. L’odore di medicinale, misto a quello pressante del disinfettante, lo investì in pieno, facendogli storcere non poco il naso. Quanto odiava gli Ospedali…
Strinse il piccolo pacchetto che teneva tra le mani, facendo scricchiolare la carta regalo e si diresse veloce e preciso al banco informazioni, non v’era proprio nessuno in quel giorno grigio di pieno Inverno, come se il tempo avesse sconsigliato con la minaccia incombente di pioggia qualsiasi avventura fuori dalle mura domestiche. Nessuno scocciatore in giro.
Una signora di mezza età stava guardando annoiata il vuoto, e trasalì stupita quando il giovane si sporse verso di lei, con fare severo.
-Mi scusi, saprebbe dirmi dov’è la stanza di Kiba Inuzuka?-

Delle risa sguaiate raggiunsero le orecchie sensibili del piccolo Entomologo mentre si avvicinava con passo deciso alla stanza numero 243, secondo piano, corridoio a destra. La cosa gli risultò abbastanza sospetta, dal momento che, lo ricordava perfettamente, non v’era alcun’altro paziente nella stessa stanza di Kiba, per cui il ragazzo o stava parlando col muro o s’era creato un amico immaginario, ed entrambe le cose denominavano un netto cambiamento – in negativo – del suo stato mentale.
O, ipotesi forse più verosimile, aveva già qualcuno intento a fargli visita.
Shino sospirò rassegnato, comparendo finalmente davanti alla porta della piccola stanza.
-Oh, Shino! Sei venuto anche tu, oggi!-
La mano non fasciata di Kiba si era alzata prontamente alla sua comparsa, mentre un bel sorriso – entusiasta quasi – era comparso subito sul suo viso. Stava meglio, questo era più che evidente; almeno a livello emotivo.
Ma la pacata felicità di Shino si affievolì notevolmente quando i suoi occhi si posarono sull’effettivo secondo ospite, seduto su di una sedia accanto al letto bianco. Sasuke Uchiha, compagno di classe sia suo che di Kiba, nonché migliore amico di quest’ultimo, lo stava squadrando con aria diffidente, come se lo disconoscesse o semplicemente non l’avesse mai realmente visto. I due capitavano davvero poco spesso assieme, nonostante ci fosse Kiba in mezzo a poter addurre ad una qualche relazione tra i due ragazzi, seppur minima.
Niente, i due erano fatti della medesima pasta: non erano portati per la socializzazione che ritenevano inutile a priori.
Shino sospirò appena, avanzando verso il letto e tendendo il piccolo omaggio per l’amico. Senza dire una sola parola di troppo.
Kiba spalancò gli occhi di sorpresa alla vista della piccola confezione, impacchettata con una carta dall’improbabile color arancione fosforescente. Sogghignò appena, prendendola tra le proprie dita con entusiasmo non appena questa fu alla sua portata.
-Cosa mi hai portato? Qualche dolce? Qualcosa da mangiare?-
Come un cagnolino festante, Kiba ruppe senza preamboli la carta del suo pacchetto, scoprendo una confezione elegante di dolcetti al cioccolato fondente ripieni con crema alla nocciola. Shino almeno in una cosa era bravo: saper scegliere i regali da fare con estrema cura.
L’Inuzuka si rivolse all’altro con un sorriso ancora più luminoso del precedente, guardandolo mentre, un poco imbarazzato da quello sguardo senza pudore, metteva le mani nella sua enorme felpa verde sporco e affondava il viso nel colletto alto di questa, rimanendo stoicamente in piedi.
Borbottò poco amichevole, nascondendosi dietro un tono leggermente alterato.
-Posso solo immaginare quanto schifo faccia il cibo degli Ospedali…-
Ma subito fu zittito dalla felicità e dalla sua riconoscenza.
-Mai hai fatto scelta migliore!-
E lo vide aprire con foga la scatoletta – per quanto la sua sola mano ancora sana lo potesse permettere -, guardarne il contenuto per qualche istante come incantato e poi prelevare con impazienza i piccoli cioccolatini, trafugandoli come se non mangiasse da secoli.
Sì, Kiba era proprio un cane.
Shino sorrise appena, ben nascosto dai suoi pesanti vestiti. Sentì uno schiocco di labbra provenire dal suo lato e girandosi constatò, con rammarico, di aver dimenticato una componente fondamentale della giornata.
Sasuke lo stava ancora fissando, i suoi occhiacci neri erano fissi sulla sua persona. Poi, come se nulla fosse mutato da prima del suo arrivo, si rivolse all’amico indisposto e tornò a parlare dei fatti loro.

Sasuke uscì finalmente dalla stanza, la sua mezz’ora di libertà era infine conclusa e il ragazzo doveva per forza di cose tornarsene a casa, pur non gradendo – per nulla – l’idea di lasciare Kiba da solo con quello. Ma dopotutto a Kiba piaceva la compagnia di Shino, e certo Sasuke non si sarebbe impicciato più del dovuto nelle sue questioni personali.
E con uno sbuffo contrariato li aveva lasciati da soli.
Kiba stese in avanti le gambe fasciate dalle lenzuola bianche, stirando i propri muscoli e prendendo un profondo respiro. La scatoletta di dolci, ormai vuota, giaceva desolata ai piedi del letto.
-Uhm…-
Un sospiro soddisfatto uscì dalle sue labbra, mentre ancora teneva gli occhi chiusi. A vederlo così, sembrava che nulla fosse diverso dal normale, la quotidianità che imperava sulla vita delle persone mediocri giostrava anche con le loro vite. Ma questa sensazione di pace e tranquillità, degna compagna d’ogni equilibrio faticosamente costruito a forza d’abitudini imperanti, svaniva subito quando l’occhio cadeva – scivolava, agonizzava e tornava infinite volte, con un masochismo degno di nota – sulle bende bianche che bardavano prima il collo, poi il petto, le braccia, e infine un poco di gambe nascoste dalle lenzuola del letto. Testimoni candidi di una colpa tanto turpe da non poter essere neppure nominata.
Shino si sedette silenzioso sulla sedia, ancora tiepida, abbandonata dal suo precedente occupante, prendendo così posto in parte al ragazzo.
Normalmente avrebbe aspettato che fosse l’altro a iniziare a parlare, con la sua voce energica e assolutamente vitale, con quell’entusiasmo degno degli esseri istintivi e passionali, ma questa volta decise che valeva lo sforzo di piegare le proprie corde vocali ed emettere qualche suono.
Ben si sa, il senso di colpa può spingere la gente a compiere le più folli follie.
-Come stai, Kiba?-
Non spiccava in fantasia né in nessun altra qualità, era solo un misero e alquanto modesto tentativo di far vedere all’altro quanto desiderasse scacciare il senso opprimente di malinconia che gli attanagliava il cuore. Nel silenzio, si è capaci di pensare anche alle cose più drammatiche, e in una situazione simile – davvero – Shino non voleva che ciò accadesse.
Kiba gli sorrise, cominciando a parlare in maniera concitata.
-Stanno cercando di avvelenarmi, Shino! Non è cibo commestibile quello che mi danno! Fa talmente schifo che giurerei che tentano di accopparli, i pazienti! Altro che curarli!-
Shino ascoltò in silenzio quanto Kiba aveva da dirgli, facendo cenni convinti d’assenso di tanto in tanto, giusto per testimoniare d’essere presente in maniera razionale e non solo fisica, anche se il suo sguardo fisso nel vuoto poteva sembrare un indizio d’evasione mentale, ma l’Inuzuka non pareva proprio accorgersene. Shino, nonostante gli sforzi, sobbalzò lo stesso, spaventandosi non poco, quando Kiba gli appoggiò improvvisamente la mano sopra il braccio, tacendo e guardandolo in maniera insistente.
-Tu come stai, Shino?-
Oh, l’abilità di quel cane d’essere così irruente e delicato allo stesso tempo sorprendeva sempre il giovane Aburame, meravigliato del modo in cui un tale innocente e sincero affetto potesse muovere dentro di lui.
Nascosto dalle sue lenti, lo guardò in viso.
-Dovresti piuttosto preoccuparti per te stesso, Kiba…-
Affermare che Shino si sorprese da quello che accadde dopo è davvero poco realistico, così è realistico affermare che in fondo in fondo non gli dispiacque proprio per nulla.
Con uno sforzo fisico e di volontà immane, Kiba si era lievemente sporto in avanti, andando a far collidere le proprie labbra con quelle dell’Aburame. Tre giorni di lontananza si fecero sentire nel lieve tremore che prese entrambi, anche se il contatto non fu che una semplice carezza.
-Cerca di non pensarci più, Shino… non voglio vivere continuamente nel mio passato…-
Il ragazzo non rispose, cercando di schiacciare ancora una volta il sentimento straziante che lo ribolliva all’interno.
-Devo andare ora…-

*****

-Shino Aburame! Sto parlando con te, maledizione! Ascoltami almeno!-
La scuola del quartiere Konoha, città di Tadaoka, prefettura di Osaka(**), si presentava all’occhio umano nell’aspetto di un enorme edificio dalle mura perfettamente intonacate, dal modesto giardino a circondarlo, ordinato e ben pulito e dal grande orologio a numeri romani sulla facciata principale. Quello stesso orologio che in quel momento segnava le 12.38, ora di punta della pausa pranzo.
Ogni ragazzo, sano o meno di mente, ora era impegnato in piacevoli attività ristoratrici, dopo aver passato l’intera mattinata seduto al proprio banco, intento ad ascoltare la voce monotona di un povero uomo che - non per vocazione, non per amore  - era finito per insegnare a un branco di pecore belanti e dalla crapa dura, atti solamente a desiderare lo squillo della campana di liberazione, come se il sapere che con tanta dedizione s’era procurato valesse meno di una caramella sputata per terra. La vita del professore era davvero un’autentica scommessa con la propria maturità.
Nel momento in cui le membra volevano dedicarsi al riposo meritato, Shino Aburame aveva però dovuto fare i conti con un intralcio alla riuscita perfetta del proprio piano strategico. Davanti ai suoi occhiali scuri, in tutta la sua arrogante sicurezza, con la propria carne e la propria vitalità racchiuse in una divisa scialba e assolutamente qualunquista, vi stava Ino Yamanaka, tastierista della band di cui Kiba andava così orgoglioso. E benché il ragazzo ricordasse con precisione allarmante il netto rifiuto che aveva addotto alle loro insistenti richieste, la ragazza, imperterrita nella sua volontà ferrea, stava ancora rubando tempo prezioso alla sua pausa rigenerativa.
Fermando il boccone a mezz’aria, ben stretto tra le due bacchette di legno, la guardò con fare serio, reprimendo la propria irritazione.
-Ti sto ascoltando, Yamanaka…-
La ragazza sbatté nuovamente le mani sul tavolo dov’erano entrambi seduti, l’uno di fronte all’altra, con un cipiglio davvero irritato.
-Non prendermi in giro, Shino! Stavi guardando fisso davanti a te! Non hai ascoltato una sola parola di quello che ti ho detto! Ammettilo!-
Il ragazzo restò assolutamente immobile nella sua posizione, prima di soffiare piano.
-Lo ammetto. Mi faresti la cortesia di ripeterti?-
Realmente, Shino non aveva assolutamente nulla contro Ino, quella povera ragazza aveva avuto solamente la sfortuna di finire nella cerchia di amici intimi di Kiba, e nessun’altra colpa apparente. Ma il fatto che fosse così sfacciatamente insistente, che lo stesse distraendo dal suo pranzo, che volesse ancora la sua attenzione dopo quanto aveva fatto per scacciarla via, e nemmeno in maniera tanto educata, la dipingeva ai suoi occhi come la più irritante delle creature. Persino più di Kiba stesso.
Vide i tendini delle sue mani tendersi dolorosamente, prima che un sospiro profondo le facesse recuperare quanta pazienza aveva in tutto il corpo.
-Ti vogliamo nella nostra band, Shino… per la Festa di Primavera organizzata dalla scuola!-
L’Aburame fu implacabile, con la sua voce monotona, con le sue domande apparentemente stupide. Tutto in lui era coinvolto nello scacciare il più in fretta possibile il nemico.
-Noi chi, scusa?-
 Ma se Shino era deciso, Ino lo era ancora più di lui.
-Come noi chi? Io, Hinata, Lee e Choji! Ecco chi!-
Il sopracciglio destro del ragazzo salì pericolosamente in alto.
-Choji?-
-Sì, Choji Akimichi! Prenderà il posto di Kiba alla batteria! L’ha scelto Kiba stesso, dicendo che è assai bravo! E se lo dice Kiba, è anche possibile che sia vero…-
-Kiba è all’Ospedale, come ha fatto comunicarti queste cose?-
-Mio caro, non sei l’unico che muove le proprie chiappe per andare a trovare i propri compagni di classe quando sono malati!-
Shino si zittì, portandosi finalmente il boccone di cibo alle labbra e cominciando a ragionare velocemente in silenzio. Ino lo incalzò subito, scorgendo qualche segno di resa nel suo agire titubante.
-Allora? Ti unisci alla squadra?-
L’Aburame non ebbe neppure il tempo di replicare che già la Yamanaka, conoscendo fin troppo bene il suo pollo, aggiunse con una nota di noncuranza calcolata una cosa che mai avrebbe dovuto dire.
-Kiba dovrebbe esserne contento… in fondo è sempre stato lui a dire che tu eri perfetto per quella canzone…-
Tacque definitivamente Shino, soppesando quelle parole come non avrebbe dovuto davvero fare. E Ino prese la palla al balzo.
-Andiamo! E’ solo una canzone! Nemmeno cinque minuti di fatica! Non ti costa nulla!-
Il ragazzo inghiottì il boccone, abbassando sul proprio bento(***) lo sguardo ancora pensieroso.
-Vedrò di darti una risposta a breve…-
E dallo squittio eccitato che sentì uscire dalle labbra della ragazza capì subito che la discussione, almeno per il momento, si interrompeva in quel preciso istante.

Lenti i passi si susseguivano, uno dopo l’altro, così che il corridoio che divideva la grande sala della mensa dall’ala dell’edificio adibita alle aule per le lezioni sembrava ancora più lungo di quanto già non fosse da solo.
Shino sospirò, non aveva nessuna fretta di arrivare alla sua meta, la campanella certo non sarebbe suonata con un quarto d’ora di anticipo, e lui sicuramente non sarebbe arrivato in ritardo neppure quella volta. Al solito, si dimostrava uno degli alunni più diligenti, uno di quelli che mettono tutti i puntini sulle i anche se non è palesemente richiesto.
Uno schifoso perfezionista.
Sguardo basso, mani nelle tasche, il giovane Aburame camminava tranquillo in mezzo a studenti chiassosi e ridenti, senza che l’animo o l’espressione sul suo viso, grigia come il pavimento che così ostinatamente fissava, mutassero di una sola virgola.
Scansò all’ultimo secondo un ragazzetto che gli stava per arrivare addosso, di lui intravide solo i capelli neri dall’improbabile taglio e quelle due sopracciglia spaventosamente folte. Lee, per qualche strano motivo, stava correndo, per l’ennesima volta, lungo il corridoio, preso da chissà quale fretta prorompente. Avendolo visto all’improvviso, le sue reazioni furono piuttosto affrettate, tanto che non riuscì a fermarsi dall’andare addosso ad un ragazzo che stava lì fermo a chiacchierare con i suoi amici.
Lee si fermò pochi passi dopo, iniziando una litania di scuse accorate, dimentico per qualche secondo della fretta che lo aveva mosso, riprendendo poi a correre velocemente e velocemente sparire alla vista; Shino si girò appena all’indietro per scusarsi a sua volta con la vittima innocente di quel pazzo esagitato, ma quel che vide lo zittì in un sol istante.
Era andato addosso a Zaku Abumi, quel Zaku Abumi.
Si scansò velocemente, mentre l’espressione sul viso dell’altro si faceva quantomeno schifata.
Sbraitò contro il ragazzo.
-Aburame! Guarda dove cazzo vai, cretino!-
Shino lo fissò per qualche interminabile secondo di silenzio, mentre i muscoli dell’intero suo corpo si irrigidirono impercettibilmente. Ma l’espressione, l’espressione sul suo viso divenne così apatica da sembrar quasi innaturale.
-Vedrò di stare attento in futuro, Abumi…-
L’altro, più grande di un solo anno, sputò a terra davanti ai suoi piedi continuando a guardarlo torvo.
-E vedi di non fissarmi così, stronzo! Un giorno o l’altro finirai in seri guai, come il tuo amico Inuzuka, quel frocio del cazzo!-
Le mani di Shino scattarono, prendendo per il colletto quel verme e sbattendolo contro il muro con violenza. Non un solo muscolo della faccia si era mosso, l’espressione era rimasta tale e quale a prima.
-Insulta ancora Kiba e ti pentirai d’essere nato uomo, Abumi!-
L’altro rise, sguainatamene, senza alcun pudore, mentre la sua mano afferrava con presa salda e dolorosa il polso dell’Aburame.
-Stronzetto, credi forse di farmi paura? Non ci metto niente a spaccare quella tua faccia di merda!-
Il viso di Shino si fece pericolosamente vicino a quello dell’altro, così che gli occhiali quasi toccarono il suo naso sporgente.
-Vorrei proprio vedertici, Abumi…-
Una voce imperiosa e piuttosto incazzata fermò i due ragazzi da ogni possibile continuazione. Il professor Iruka si fece avanti con energia, andando a separare i due contendenti.
-Voi due! Fermatevi subito!-

La preside Senju, forte della sua carica e del suo dovere morale, non fu per niente comprensiva con i due ragazzi.
Venti minuti a parlare del rispetto della persona che ogni individuo doveva avere, di quanto la violenza fosse inutile e oltremodo dannosa, di quanta stupidità avevano dimostrato nell’azzuffarsi lì, in mezzo al corridoio. Il tentativo di Abumi di negare l’evidenza – che no, non si stavano ancora azzuffando, signora preside – fu sedato con un’occhiata piuttosto eloquente della donna.
-Mai mi sono vergognata così tanto di due miei studenti!-
E se una frase simile semplicemente aveva come risposta uno sbuffo indispettito da parte dell’irriducibile ribelle casinista, da parte di quello che doveva essere uno studente modello ebbe uno sguardo vacuo e decisamente perso. Si poteva tranquillamente dire che Shino non riconosceva più nemmeno se stesso.
Alla fine Tsunade li lasciò liberi, non prima però di aver segnalato la cosa sui loro diari con una nota decisamente evidente e aver chiamato a casa i loro genitori. Che sapessero, senza ombra di dubbio, ciò che era successo.
E che il fatto non si fosse mai più ripetuto, perché sarebbe stata l’ultima cosa che i due ragazzi avrebbero fatto nella sua scuola.
Mentre Zaku Abumi si incamminò velocemente verso la propria aula, cercando di mettere maggior distanza tra lui e la preside nel minor tempo possibile, Shino Aburame camminò lento, un po’ per abitudine vera e propria un po’ perché doveva pensare a quanto era accaduto. Non voleva che una lezione lo distraesse, non dopo quello che era successo.
Stare tanto in pensiero per quella che nemmeno era stata una zuffa sembrava ridicolo, visto da un punto di vista esterno. Ma era una concausa di conseguenze piuttosto ravvicinate che lo lasciava spiazzato.
Kiba, alla fine, era andato in Ospedale per colpa di una cosa del genere. Perché qualcuno aveva dato del frocio a lui, a Shino Aburame, e lui l’aveva presa come una questione personale, come un’offesa alla propria persona. In quattro l’avevano preso, e grazie a Dio qualcuno aveva avuto anche la buona idea di non ammazzarlo di botte ma di fermarsi prima.
Se solo Kiba gli avesse detto i nomi di quegli infami…
“-No!-”
No, non era questo ciò che desiderava Kiba, non era questo ciò che lui stesso desiderava. Era stata la violenza spropositata a ridurre l’Inuzuka a quel modo, e la sola idea di quel corpo martoriato…
-Aburame!-
Lo scorrere veloce dei suoi pensieri fu interrotto da un movimento, dalla comparsa di un uomo dalla porta della sala insegnanti, e da quel richiamo piuttosto amichevole e accattivante. Kakashi Hatake, professor di Lingua e Letteratura Straniera, quell’ometto piuttosto banale dai capelli chiari e dallo sguardo perennemente perso nel vuoto, gli si fece incontro, chiamandolo nuovamente.
-Aburame…-
Shino si fermò, e Kakashi a lui in parte.
-Ho sentito dire che sei stato ripreso con le mani al collo di Abumi… è vero?-
Shino alzò lo sguardo al viso del professore, posandolo ivi. Non si sarebbe pentito di quello che aveva fatto, stupidamente coltivando il suo orgoglio, anche se ben sapeva quanto fosse stato stupido e assolutamente sbagliato un atto del genere.
Kakashi rispose al suo sguardo, lasciandosi andare ad un sospiro.
-Vuoi bere del caffé, Aburame?-

Amaro, Shino non era abituato al caffé, gli piacevano decisamente più le cose dolci, come la frutta o le torte. Specialmente la frutta.
Nonostante lo disgustasse col suo sapore fin troppo pungente, il giovane trangugiò in un sol sorso l’intruglio scuro, ustionandosi la lingua e bruciandosi tutta la gola, facendo una smorfia piuttosto eloquente.
Non capita tutti i giorni di saltare una lezione, almeno non se eri il secondo studente della Scuola, benché mai se la causa della mancanza era proprio un insegnante dello stesso tuo corso, che - chissà per qualche oscura ragione -  ti aveva prelevato e ti aveva invitato a bighellonare in sua compagnia.
Per di più, ignorando i cartelli grandi quanto una testa umana - se non di più appesi su tutte le pareti che davano al cortile, dai caratteri cubitali enormi e ben espliciti di divieto assoluto - Kakashi Hatake si era anche messo a fumare, pizzicando col suo fumo denso e grigio le sensibili narici del giovane alunno.
Shino era fortemente intollerante a quelle cose, non le sopportava minimamente.
Cercando di inalare meno fumo possibile, tenendosi a debita distanza, Shino cercò di interrompere quel teso e alquanto ansioso silenzio che si era creato in mezzo a loro. Non aveva mai sopportato i momenti di stasi prolungati.
Con tutta la calma e la serietà possibile, incrociò le braccia al petto.
-Mi dica, professore…-
Kakashi emise un altro sbuffo di fumo, fissando il vuoto davanti a sé.
-Come sta il signor Inuzuka? Ho saputo che vai a trovarlo tutti i giorni…-
L’uomo non vide l’espressione apatica tanto tipica del giovane dipingersi su quella faccia tesa, quell’espressione che Shino amava mostrare nei momenti di maggior difficoltà emotiva, come una maschera perfetta e impermeabile a tutto. Non la vide, ma sentì lo stesso una leggera tensione nella sua voce.
-Ora sta bene…-
La sigaretta tornò alle labbra dell’uomo.
-Gli avrai passato tutti i compiti, immagino…-
-Tutti i compiti, tutte le lezioni, tutto il materiale che ha perso non venendo a lezione…-
Altro sbuffo di fumo, sempre lo sguardo fisso. Mai due persone si erano trovate così lontano pur rimanendo così vicine.
-Tu come stai, Shino?-
L’Aburame non rispose subito, vagò con lo sguardo su di un punto imprecisato davanti a sé.
-Ci si dovrebbe preoccupare della salute di Kiba, non tanto della mia…-
Kakashi inclinò la testa di lato, aveva capito. Shino non avrebbe parlato, non quel giorno almeno. Evidentemente la ferita era ancora troppo dolorante perché potesse essere ignorata.
-Si, hai ragione…-
Buttò la cicca della sigaretta a terra, pestandola col piede.
-E’ bene che tu ora ritorni in classe… le lezioni non sono ancora concluse, Aburame…-





Note finali:
(*)”Show must go on”, testo e canzone de Queen.
(**) luoghi esistenti sul suolo giapponese, onde dare verosimiglianza alla ff.
(***)Il bento, o o-bento, si riferisce a un pasto completo per una persona impacchettato in una scatola così da poterlo portare fuori casa, preparato in genere per l’ufficio ma si usa anche da portare a party, pic nic e cene speciali tipo ultimo dell'anno, confezionato in una scatola preziosa e più grande.


   
 
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