***Le
prime righe sono prese pari pari dal libro, per far
capire il punto in cui inizia la fic***
Quel
giorno Nihal volle far divertire Jona.
Si
sedettero sulla panca fuori dalla casa, la schiena appoggiata al muro, a
godersi il pallido sole invernale, e Nihal gli mostrò
qualche piccola magia che aveva imparato da piccola. Emise qualche innocuo
lampo colorato, accese un ramoscello secco con uno schiocco di dita e per
finire creò un piccolo globo luminoso. Lo tenne per un po’ sulla palma della
mano, poi lo passò al bambino.
“E’
bellissimo! E’ bellissimissimo!” continuava a
ripetere, fuori di sé dalla gioia.
Giocando
con Jona, Nihal sentì una
struggente nostalgia per Sennar: se l’avesse potuta
vedere in quel momento, vestita da ragazza, a giocare con un bambino, forse
l’avrebbe presa in giro. Ma sarebbe stato contento.
Pregò
con tutto il cuore che tornasse sano e salvo. Ora che non c’era, si rendeva
conto di quanto avesse bisogno di lui. Di quanto gli volesse bene.
Era
sempre così… ci si rendeva sempre conto troppo tardi
di quanto alcune persone siano importanti nella vita.
Livon era stato il primo
doloroso esempio nella sua giovane esistenza. Aveva sempre saputo di volergli
bene, ma era una consapevolezza latente, un tesoro nascosto tra le pieghe di
giornate tutte uguali, passate ad ammirarlo mentre forgiava le armi che lei
sognava di impugnare, impavida, in un futuro non troppo lontano. Era un
sentimento che veniva dato per scontato e si era resa conto solo troppo tardi
di quanto, invece, il suo amore verso quel padre che l’aveva accolta senza
chiedere nulla in cambio fosse forte e radicato nel suo cuore.
Voltò
lo sguardo verso il granaio, dove la sua spada, l’ultimo dono che la legasse ai
dolci ricordi degli anni felici passati con Livon,
stava prendendo polvere.
E
ora stava nuovamente soffrendo per Sennar. Perché non
aveva mai saputo dirgli quanto lui contasse per lei.
Fin
da quando aveva iniziato a considerarlo come il suo migliore amico, aveva anche
iniziato a dare per scontato che lui ci fosse, che sarebbe sempre stato al suo
fianco e che l’avrebbe sempre sostenuta. E aveva anche sottovalutato
l’intensità del sentimento che la legava a lui.
Una
mano di Jona le passò velocemente davanti agli occhi,
distogliendola dalla struggente nostalgia che le stava stringendo lo stomaco in
una morsa spiacevole.
Abbassò
lo sguardo sul suo volto di bambino, non riuscendo, però, a scoccargli un
sorriso.
L’immagine
degli occhi di Sennar, velati di un dolore sordo che
lei stessa gli aveva procurato, continuava a danzarle davanti agli occhi,
impedendole di comprendere le parole che Jona le
stava rivolgendo.
“Va
tutto bene?”. La voce del bambino era preoccupata e leggermente infastidita dal
fatto che lei aveva smesso di farlo divertire con la magia.
Nihal continuò a fissarlo
senza rispondere.
Un
sentimento di urgenza iniziò a spandersi velocemente nelle sue membra.
Con
un movimento rapido si alzò in piedi e accarezzò i capelli di Jona, rivolgendogli un sorriso tirato.
“Sto
bene…” gli disse per rassicurarlo, ma il bambino
continuò a guardarla con uno sguardo indeciso.
“Potresti
farmi un favore?” la voce le uscì tenue e addolorata.
Jona annuì con
convinzione. Quella ragazza gli piaceva, avrebbe fatto di tutto per
accontentarla.
Nihal gli sorrise
dolcemente. “Mi servono cinque pietre, il più possibile simili tra loro. Me le
andresti a cercare?”.
Jona sorrise eccitato e
balzò in piedi in un attimo. Si lanciò
verso gli alberi attorno alla casetta, scoccandole un’occhiata felice.
Nihal scosse la testa,
sorridendo tra sé e sé.
Quel bambino ha il potere di
lenire ogni sofferenza… ma non questa.
Si
diresse in casa, prese un paio di pergamene dal cassetto in cui aveva visto Eleusi riporle, un pennino e dell’inchiostro, poi si chiuse
nel granaio.
Quando
Jona le portò le pietre, saltellando eccitato e
orgoglioso della sua impresa, lei era già immersa nelle parole che le stavano
sgorgando dal cuore come un fiume in piena.
Sennar… non so nemmeno con quale coraggio io ti stia scrivendo… Non so nemmeno se, alla fine, avrò la faccia
tosta necessaria per spedirti questa lettera.
L’unica cosa che so è che dovevo farlo. Il bisogno di mettere per iscritto i sentimenti che
mi si stavano agitando nel petto si è fatto più forte di minuto in minuto,
lasciandomi inerme di fronte alla sua portata. Un bisogno vitale, che non
ammetteva rifiuti.
So che non merito che tu perda del tempo a leggere
questa missiva, e so che non merito il tuo perdono, perché il modo in cui mi
sono comportata non ha scusanti valide.
Ti ho fatto del male, deliberatamente. Ti ho
aggredito fisicamente e verbalmente sputandoti addosso la mia rabbia, il mio
dolore, l’immenso vuoto che mi portavo dentro in quel periodo. E l’ho fatto con
cattiveria, con il preciso intento di allontanarti da me…
ancora oggi mi chiedo perché.
Proprio tu… l’unica
persona che mi abbia mai capita fino in fondo, l’unico amico che mi abbia mai
accettato per la ragazza imperfetta che sono, l’unico confidente che sia mai
riuscito a strapparmi sorrisi in mezzo alle lacrime, in mezzo alla paura e al
dolore.
Avrei dovuto appoggiarmi a te, avrei dovuto
chiederti aiuto, molto tempo fa, come facevo quando ancora vivevamo da Soana e mi rifugiavo tra le tue braccia ogni volta che gli
incubi turbavano il mio sonno.
Accanto a te ogni timore, ogni orrore svaniva come
una nuvola di vapore…
Invece ti ho trattato come un nemico, come se per
me tu non contassi nulla, come se mi fossi dimenticata di quanto io fossi
legata a te.
E forse era così, forse in quel momento ero davvero
così folle da credere che nemmeno tu avresti potuto fare qualcosa per l’abisso
che mi era sceso nel cuore.
Ma mi sbagliavo… e comunque
non avevo il diritto di comportarmi così, non ho nessuna scusante.
Dopo che te ne sei andato, ho commesso una delle
più grandi sciocchezze della mia vita. Ero completamente impazzita…
se ci ripenso, la vergogna mi attanaglia lo stomaco e mi fa desiderare di
sprofondare sotto terra, per non dover più affrontare quei ricordi.
Ho deliberatamente disobbedito ad un preciso ordine
di Ido, sono scesa in battaglia senza il suo permesso, e, mentre ero tra le
fila dei nemici, ho rifiutato di ascoltare l’ordine di ritirata del comandante,
mettendo a repentaglio la mia vita e quella degli altri guerrieri. Ma non mi
importava, volevo solo combattere… e morire.
Me ne sono resa conto quel giorno. Non avevo paura.
Ho accolto quasi con sollievo l’immagine di un gruppo di fammin
che mi guardavano eccitati, le zanne in bella mostra davanti al mio volto… e alle mie orecchie da mezzelfo.
Avevo anche perso l’elmo, la loro gioia nel vedermi così inerme era palpabile. Sto per morire… ho
pensato, e non me ne importava nulla.
Sono stata ferita, ma Ido è riuscito a portarmi via
in tempo dal campo, sul dorso del suo drago. Le parole che mi ha detto dopo non
le dimenticherò mai. Sono state un’ancora di salvezza labile, ma mi ci sono
aggrappata con tutte le mie forze, e me ne sono andata dall’accampamento, con
la sua benedizione.
Non potevo più rimanere lì, non in quel momento.
Avevo bisogno di allontanarmi, di capire…
Ho vagato senza meta, fino a quando, sulla mia
strada, non ho incrociato un bambino in pericolo, che mi ha condotto a casa sua
e, assieme alla madre, mi ha accolto con calore nella sua vita.
Sto da loro da qualche settimana ormai e la mia
vita da guerriera mi appare lontana, irreale, come se la ragazza che combatte
fosse un’estranea, ma allo stesso tempo un’amica…
Ho ripreso contatto con la mia vita. Non so ancora
quale sia il mio scopo, per cosa combatto realmente, ma ora so che voglio
vivere. So che non cercherò mai più di gettare la mia vita in modo stupido e incosciente…
Mi viene da ridere se penso alla tua faccia se mi potessi
vedere ora!
La mia spada giace inutilizzata nel granaio della
casa, prende polvere giorno dopo giorno, ma non me ne curo più di tanto, non
per il momento almeno. Ma la cosa più scioccante è un’altra…
indosso abiti da donna!!!
Smettila di ridere! So che lo stai facendo!
Ho scoperto un mondo che finora mi era totalmente
sconosciuto. Se devo essere sincera fino in fondo (e con te posso esserlo),
indossare questi abiti non mi piace poi molto… sono
ingombranti, molto meno agevoli rispetto ai miei vecchi vestiti da uomo, ma li
metto per curiosità e per far piacere alla mia ospite, che è sempre fin troppo
gentile con me.
Suo marito è in guerra e lei si sente sola. Sembra
quasi che la mia presenza abbia riportato un po’ di gioia in questa casa. Jona, il bambino, è un terremoto in miniatura! Non la
smette mai di correre, ridere, mi parla a ruota libera per ore e ore!
L’altro giorno mi ha chiesto di insegnargli a “spadaccinare”!!! Ogni volta che penso a questo termine mi
viene da ridere!
Oggi pomeriggio mi ha chiesto di fargli vedere
qualche magia… lo stavo stupendo con qualche lampo
colorato, qualche ramoscello ridotto in fiamme…
quando il tuo ricordo mi ha preso alla gola impedendomi di continuare.
Mi accorgo che ti ho scritto come se fossimo ancora
vicini, come se non fosse passato nemmeno un giorno senza che ci vedessimo… ma non è così, e tu avresti tutte le ragioni di
stracciare questa lettera senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
Non ti biasimerei… ma
spero con tutto il mio cuore che tu la legga.
Non pretendo il tuo perdono, non ti chiederei mai
tanto dopo quello che ti ho fatto. Ti chiedo solo di stare attento, di non
morire e di ritornare sano e salvo… stavo per
scrivere “da me”, ma non oso spingermi tanto in là con la speranza…
Mi manchi Sennar, mi
manchi più di quanto avrei mai potuto immaginare. La tua assenza, a volte,
diventa un peso sul mio petto, talmente gravoso da lasciarmi senza respiro…
Ti voglio bene…
Nihal