L’idea per questa mini ff è partita più o
meno una settimana fa, dopo aver visto questo
video. Ho iniziato a pensare, pensare, pensare, fino a sfociare nel delirio.
Sul serio, il mio neurone è difettato.
Ad ogni modo, beccatevi questo obbrobrio XD
Come sono gentile XD
*Ridi pagliaccio appartiene a Ruggero Leoncavallo.
*Twilight e i suoi personaggi appartengono a
Stephenie Meyer.
*Jerome è mio.
Ridi Pagliaccio
Prima parte
Edward
Attorno
a me c’è confusione, come ogni sera.
Il
camerino, in questo posto, è un enorme stanzone provvisto di pochi tavoli
dotati di specchio, ammassati su uno dei due lati della tenda, quello che
confina col parcheggio. Il mio tavolo (mio per modo di dire… lo spartisco con
altre venti persone) è l’ultimo della fila. Si trova accanto all’apertura che
porta all’esterno. Non la chiamo porta poiché non è una porta. E’ un semplice
squarcio nel tendone giallo che ci sovrasta.
Sul
tavolo c’è tutto l’occorrente per il mio numero.
Come
ogni sera, più per ingannare il tempo che per altro, controllo minuziosamente
che non manchi nulla.
Cerone
bianco, c’è.
Parrucca
nera, c’è anche quella.
Bombetta
simile a quella di Charlot, c’è. E’ ancora un po’
ammaccata, dopo l’episodio di ieri sera con quel bimbo fin troppo vivace.
Infilo le dita all’interno e premo verso l’alto, riportandola alla normalità.
Ok, bombetta simile a quella di Charlot, c’è.
Matita
nera con cui disegnare una lacrima sotto l’occhio, c’è.
Sembra
esserci tutto. Getto gli occhi sotto al tavolo traballante, alla ricerca delle
scarpe.
In
teoria dovrei possederne un paio mio ma, come per il tavolo, qui ci troviamo a
spartire tutto con tutti.
E’
la filosofia del circo, se vogliamo. Si vive insieme, si mangia assieme, si
lavora assieme, si viaggia assieme. Come un’unica famiglia.
Peccato
che io in questa famiglia ci sia capitato per caso. Peccato che io desideri
avere uno spazio mio, a volte. Privato, esclusivo, silenzioso.
Il
rullo dei tamburi della piccola orchestra mi ricorda che mancano meno di dieci
minuti al mio numero. In questo momento un elefante sta per scavalcare il corpo
giunonico di Rose. Muoverà una zampa, poi l’altra, le altre due, e i piatti
della batteria dichiareranno finito il numero, assieme alle trombe.
Il
pubblico applaudirà, Rose si alzerà da terra, s’inchinerà tre volte: al centro,
a destra e a sinistra. Accarezzerà l’elefante, e sparirà.
Le
luci si abbasseranno, ed entrerò io.
Jerome, il pagliaccio
innamorato.
Non
ho scelto io questo nome, né questo trucco, né questa parrucca, né questo paio
di scarpe, troppo grandi perfino per un clown.
L’unica mia colpa, se proprio vogliamo trovarne una, è stata
quella di indossare per gioco un naso rosso, più di dieci anni fa, per far
ridere una bambina che si trovava in fila al banco dei popcorn e piangeva
perché non voleva tornare a casa. Rise del mio viso, dei miei buffi capelli
rossi (non una parrucca… ho davvero i capelli rossi), mossi a causa del vento,
e Alice passò di lì per caso.
Decise
che quella era la mia natura, e che avrei fatto grandi cose per la nostra
famiglia.
A
nulla valse il mio rifiuto, a nulla valsero i miei ‘voglio continuare a pulire
le gabbie, lasciatemi in pace’.
Alice
è fatta così. E’ piccola, ma possiede tanta energia. E’ lei che ci mette in
riga quando siamo in ritardo, è lei che fissa le nuove date, è lei che fa
tutto, fondamentalmente.
Il
grido di spavento del pubblico mi fa da timer. Mancano cinque minuti.
L’elefante ha finto di abbassare una zampa sullo stomaco di Rose, per poi
procedere in avanti. A volte la bionda ama rischiare. Le piace ottenere più
applausi.
Inizio
a stendere il cerone con due mani, dopo aver raccolto i capelli sotto una
cuffia recuperata da una vecchia calza di nylon. Uno strato leggero, in modo da
coprire solo le lentiggini ed il colorito roseo.
Uso
la matita attorno agli occhi e sotto uno di essi, ricreando una lacrima
perfetta.
Chi
l’ha detto che il pagliaccio innamorato deve per forza essere triste, eh? Perché
non può trovare l’anima gemella, una volta ogni tanto? Perché il mio numero
deve sempre finire con una batosta fisica e amorosa?
Il
pubblico ride, e paga. Questo è ciò che conta, per cui stai zitto, Edward, e
componi il tuo personaggio.
Infilo
la parrucca nera, posiziono la bombetta e indosso le scarpe.
Mi
alzo in piedi quando il rumore dei piatti copre finalmente il baccano del
camerino, e mi guardo allo specchio.
Pantalone
nero, largo ai piedi. Maglietta a maniche lunghe, con righe bianche e nere
orizzontali. Due vistose bretelle rosse, che richiamano il colore del naso che
devo ancora dipingere. Lo faccio in fretta, ma con accuratezza, come sempre.
Ho
detto addio al naso di plastica diversi anni fa, in fondo non sono un clown
qualunque io.
Sono
un tramp, un pagliaccio romantico.
Gli
applausi del pubblico mi dicono che Rose è ancora in scena, e la voce del
presentatore non fa che confermare la mia idea.
Stendo
il rossetto scuro (è simile al nero… scelta di Alice) con le dita, e le passo
poi su un vecchio asciugamano per ripulirle.
“Sono
pronto,” mi dico, come faccio ogni sera.
Fletto
le ginocchia, come ogni sera.
Appoggio
una mano sul cuore e ringrazio Dio, come ogni sera, proprio mentre il
presentatore annuncia me.
Jerome, il pagliaccio romantico.