*Ridi pagliaccio appartiene a Ruggero Leoncavallo.
*Twilight e i suoi personaggi appartengono a Stephenie Meyer.
*Jerome è mio.
Ridi Pagliaccio
Ultima Parte
Bella
E’
chiaro come il sole: qualcuno ai piani alti ce l’ha con me. Non ho mai
imprecato, né commesso omicidi, né rubato, ma qualcuno
ha deciso ugualmente di punirmi.
O
forse ho deciso io stessa di punirmi, venendo a vivere con mio padre.
Charlie
non è un problema, né lo è la vita con lui.
Il
problema è il mio sentirmi inadeguata.
Ultimo
anno al liceo di Forks, unica figlia del capo della polizia locale, timida e
scoordinata.
E’
come se camminassi con un cartello appeso alla schiena con su
scritto “Ehi, sono qui.”
E’
vero, questa punizione me la sono cercata da sola quando ho deciso di tornare
nel posto che avevo lasciato con mia madre diversi anni fa.
Tanti
anni fa.
Ho
passato qui le estati, ma non ho mai stretto amicizia con nessuno, per cui al
mio ritorno ho dovuto iniziare tutto da capo.
Non
l’ho scelto io: se fosse per me, rimarrei chiusa in casa tutto il giorno, ma
non voglio dare l’impressione di essere una snob asociale, e quindi ogni tanto
accetto di frequentare alcune ragazze della scuola anche al di fuori degli
orari di lezione.
Come
stasera.
Angela
e Jessica mi hanno trascinata al circo, più eccitate che mai.
A
Forks è raro assistere ad eventi lontanamente divertenti, e il circo è uno di
quelli.
A
Phoenix, dove ho vissuto fino a qualche mese fa, oltre ai circhi itineranti
c’erano due installazioni fisse, a cui mi recavo spesso con mia madre.
Adoro
il circo. Il grande tendone, che sembra nascondere mille meraviglie; gli
animali, i prestigiatori, gli acrobati.
Gli
acrobati sono i miei preferiti, in assoluto.
Le
due ragazze non comprendono quindi la mia calma, mentre siamo in fila per fare
i biglietti.
Loro
sono state al circo sì e no due volte nella loro vita, e si sentono come
bambine.
A
pensarci bene, la mia prima volta al circo è stata
proprio qui, a Forks. Avevo otto anni, e Charlie mi aveva accompagnata per
festeggiare il mio compleanno.
Ora
di anni ne sono passati dieci, e assieme a me in questo paesino è tornato anche
il circo.
Il
tendone giallo del Cullen Circus è decorato con luci intermittenti. All’entrata
ci sono due ragazzi vestiti da domatori, e si occupano di accogliere il
pubblico e di staccare i biglietti.
Poco
lontano dal tendone, un grande chiosco per bevande e snack. Un equilibrista, in
sella ad un monociclo, regala palloncini ai bambini che l’osservano incantati.
Riconosco
nella folla uno dei colleghi di mio padre, e la proprietaria del supermercato
presso cui vado a fare la spesa con suo marito.
“Andiamo,
Bella!” chiama Jessica. “O perderemo i posti migliori!”
Delle
due, Jessica è quella che sopporto meno. Non è cattiva, né antipatica, ma con i
suoi modi riesce ad indispormi… sempre. E’ come se avesse sempre bisogno di
ritrovarsi al centro dell’attenzione, soprattutto da quando sono arrivata io.
Forse
mi vede come una rivale, ma sbaglia, perché non intendo sfidarla in nulla.
Seguo
lei ed Angela (meno esibizionista e più gentile) nel tendone, e lascio che
siano loro a scegliere i posti.
Abbiamo
la fortuna di beccarne tre in seconda fila, e Jessica decide di mettersi in
mezzo, in modo di poter parlare allo stesso tempo con entrambe. Urrà.
I
posti si riempiono velocemente. I bambini osservano i cavi e i riflettori,
l’orchestra e gli addetti ai lavori che preparano le ultime cose.
Hanno
negli occhi la stessa sorpresa che avevo io alla loro età.
“Allora,
Bella, hai deciso con chi andrai al ballo di fine anno? Tyler o James?”
“No, Jessica… non ho ancora deciso. Non so neppure se verrò. Io e il ballo… um… non credo.”
“Ma
dai, non puoi mancare!” esclama lei.
“Lasciala
stare!” dice Angela, dandole una gomitata. “Se non vuole venire, non verrà.”
Sorride e mi fa l’occhiolino, come a chiedermi scusa per l’invadenza della sua
amica.
Invadenza
perché è da una settimana che mi chiede la stessa cosa, ed è da una settimana
che le do la stessa risposta.
Temendo
che potesse farmi il terzo grado anche stasera, ho addirittura deciso di usare
il mio pick up per raggiungere l’area destinata al circo. Peccato che lei abbia
avuto il bisogno di chiedermelo ancora.
Lo
spettacolo inizia dieci minuti dopo il nostro arrivo. Dieci minuti passati ad
osservare il vuoto e ad annuire alla parole di
Jessica.
Le
luci si spengono e il sipario si alza, lasciando entrare decine di giocolieri
ed equilibristi. I bambini applaudono, ed applaudo anch’io.
Adoro
questi numeri.
“Sono
molto bravi!” grida Angela.
“Lo
sono!” rispondo io, cercando di coprire la voce del presentatore e la musica
dell’orchestra.
Birilli,
palline, fili colorati e monocicli: il primo numero è bellissimo.
Si
passa poi ai leoni, e l’arena viene chiusa con grandi gabbie metalliche per
proteggere il pubblico. I bambini sono eccitati alla vista dei re della
foresta, che appaiono sì spietati, ma anche molto sazi.
E’
il trucco per tenerli quieti… riempirli di cibo prima dell’esibizione.
Me
l’ha spiegato Renée.
Dopo
i leoni, è la volta di Gastone il
Pasticcione, un pagliaccio colorato e buffo che diverte i bambini e strappa
parecchi applausi.
E
poi le amazzoni a cavallo, gli illusionisti, i prestigiatori, fino ad arrivare
al numero con gli elefanti.
Tre
elefanti, guidati da una ragazza bionda – Janette annuncia il presentatore –
entrano sulle note di una marcia regale, tenendosi la coda attraverso la
proboscide. Janette li fa accomodare sui piedistalli, ed inizia a giocare con
loro. Alzano le zampe, si piegano in avanti e indietro.
Sono
divertenti, ma non i miei preferiti.
Alla
fine del numero, due dei tre pachidermi escono di scena, e Janette si stende a
terra. L’elefante rimasto, più piccolo degli altri, ha il compito di passare su
di lei senza farle del male.
Ci
riesce dopo un piccolo momento di crisi, in cui per un istante pensiamo tutti
che Janette possa essere schiacciata.
Ce
la fanno, ed entrambi escono di scena sotto uno scorciante applauso.
“Vi
state divertendo?” chiedo alle mie compagne di classe.
Annuiscono
entrambe con vigore, continuando a battere le mani.
“E’
bellissimo!” dice Jessica.
L’arena
viene attrezzata per un nuovo numero, e il presentatore annuncia l’ingresso di Jerome, il pagliaccio innamorato.
“Uhhh, è lui!”
“Lui
chi?” chiedo ad Angela.
“E’ il clown che chiama sempre una ragazza
del pubblico per il suo numero.
E’ molto divertente; mia cugina Margaret ha partecipato alla sua esibizione di
Seattle,” spiega.
“Wow!”
intercede Jessica. “Speriamo che chiami una di noi!”
“No,
che dici!” esclamo io, temendo il peggio.
Jerome
è un clown diverso da Gastone il pasticcione. La musica che lo accompagna è
malinconica, e lui stesso sembra troppo triste per essere un pagliaccio.
Tuttavia riesca a far ridere tutti facilmente, inciampando e sistemandosi le
bretelle colorate.
Dopo
qualche momento di pura comicità, Jerome inizia a scrutare il pubblico, e io
inizio a sudare freddo. Ciò che ha detto Angela è vero… sceglierà una ragazza.
Non scegliere me, non
scegliere me. Innamorati di tutte, tranne che di me.
Se
chiamasse me… i riflettori puntati… no, non può accadere.
Il
presentatore descrive Jerome come un clown alla ricerca della sua jeune fille, e il ragazzo (mi sembra un
ragazzo… ha il fisico asciutto e scattante di un giovane) manda baci fra il
pubblico alla ricerca della sua amata.
Quando
si gira verso di noi, accadono contemporaneamente due cose: Jessica inizia a
fremere come se avesse cinque anni, e il mio cuore inizia a battere come se
stessi correndo in una prateria.
Non scegliere me, non
scegliere me, non scegliere me.
Jerome
si avvicina, il pubblico applaude.
Non me, non me.
E’
giovane, avevo visto bene. Indossa una parrucca e un buffo cappello da Charlot.
E’ carino. Forse.
Allunga
una mano verso Jessica, e lei l’afferra subito. Solita esibizionista.
Scelta
la nuova jeune fille, Jerome
s’incammina verso l’arena. Prima di farlo, mi guarda e mi sorride. Saranno i
suoi buffi capelli finti, il colore scuro attorno agli occhi che lo rende
perfino misterioso, o la lacrima disegnata che mi tocca il cuore… ma sorrido
anch’io.
Abbasso
subito gli occhi però, vergognandomi del mio gesto.
Lo
scopo di Jerome è quello di conquistare Jessica (poveretto), ma a causa della
sua goffaggine non riesce a fare un passo senza cadere o ruzzolare. Osservo lui
ed in parte rivedo me stessa ed il mio essere imbranata.
Il
pubblico ride di Jerome, e lo faccio anch’io, ma ad un tratto, quando lui e
Jessica prendono a ballare, io mi fermo a riflettere.
Perché
ridere?
In
fondo Jerome cerca di trovare l’anima gemella, e non ci riesce. Perché una cosa
del genere dovrebbe far ridere? Perché gioire della sua sfortuna?
Volendo
essere corretti, dovremmo dispiacerci per lui, non sorridere ed applaudire
quando finisce in una bacinella di gomma piena d’acqua.
Il
pubblico dovrebbe aiutarlo, non affossarlo.
Basta, Bella. E’ di un clown
che stai parlando. Un clown con cui ti viene facile immedesimarti perché anche
tu non riesci a compiere più di tre passi senza inciampare. Un clown che ti ha
sorriso. Un clown con gli occhi chiari e una lacrima dipinta sul volto. Basta.
Ad
un tratto, ballando in cerchio, Jerome e Jessica si ritrovano poco distanti da
noi, e il suo numero si conclude con lui che stramazza al suolo dopo essere
sbattuto con la testa sul bordo dell’arena.
E’
bravo: non l’ha neppure sfiorato, il bordo, ma i suoi movimenti hanno suggerito
il contrario.
Il
presentatore esprime il suo dispiacere, ed il pubblico applaude per la sua
performance.
Entra
un altro ragazzo, più alto e più robusto, e lo raccoglie da terra, caricandolo
sulle spalle. Jessica torna a sedere fra me ed Angela, e io noto il cappello da
Charlot di Jerome poco distante dai miei piedi. Forse gli è caduto quando è
stato sollevato da terra.
Non
so cosa mi spinge ad alzarmi, ma lo faccio. Afferro il cappello e lo sventolo
verso il ragazzo robusto che sta uscendo di scena.
“Il
tuo cappello!” grido, e la mia voce esce fuori all’improvviso. Sembra che
nessuno se ne sia reso conto, poiché tutti continuano a battere le mani.
Il
ragazzo che trasporta Jerome si gira, e viene verso di me. Il cuore mi batte, e
non so cosa fare.
Arriva
a pochi passi da dove mi trovo, e si libera del peso sulla spalla. Jerome finge
di non reggersi in piedi, ma riesco a vedere i suoi occhi semi aperti.
“Tieni…”
biascico, appoggiando il cappello sulla parrucca. Ho le guance in fiamme. “Sei
stato bravo,” aggiungo in un soffio.
“Grazie,” dice il ragazzo più alto con un ghigno simpatico, ed
entrambi spariscono in fretta lasciando che lo spettacolo continui.
Non ho sentito la sua voce, penso. Torno a sedere accanto a Jessica, e
fino alla fine dello spettacolo mi ripeto la stessa cosa.
***
Un’ora
dopo, io Angela e Jessica ci alziamo dai nostri posti e ci dirigiamo verso
l’uscita. La serata è stata piacevole, anche se dentro sento come se qualcosa
fosse andata per il verso storto. Ripenso al cappello da Charlot, e agli occhi
chiari di Jerome, e non riesco a spiegarmi il motivo di tanta ossessione.
Già…
ossessione.
Saluto
le mie compagne di classe e mi avvio al pick up, immerso nel parcheggio assieme
ad altre decine di auto. Mi toccherà aspettare prima di mettere in moto.
Mi
guardo attorno, e noto che il chiosco di bevande e snack è ancora aperto.
Perché
no, penso, e lo raggiungo a piedi.
“Te
l’ho detto, la zona è perfetta per scalare. Dovremmo provarci,”
dice il tizio del chiosco ad un ragazzo che gli sta accanto. Consegna un pacco
di patatine ad un bambino e si rivolge a me. “Cosa posso darti?”
“Popcorn,
grazie,” dico, aprendo la borsa per pagare.
“Allora,
Edward? Che ne dici? Andiamo a scalare?”
Alzo
la testa per passargli il denaro, e lui mi porge il sacchetto bianco. Accanto a
lui, l’altro ragazzo osserva me.
In
maniera quasi imbarazzante.
Ha
i capelli arruffati, rossi, e le lentiggini. Mi
ricorda qualcuno, ma non so chi.
Riporto
gli occhi sui popcorn, che prendo e pago.
Sto
per girarmi e tornare al pick up, quando mi sento chiamare. “Scusa…” Oltre alla
voce, sento una mano posarsi sul braccio. “Tu sei la ragazza che mi ha
restituito la bombetta.”
“Sì…
oh… tu sei…” Non riesco a continuare, perché mi si chiude lo stomaco.
E’
lui. Jerome. O Edward, come l’ha chiamato il tizio dei popcorn.
“Volevo
ringraziarti di persona… sai, in scena non possiamo parlare,”
dice, con le mani nei jeans.
E’
così… diverso. Nei panni di Edward sembra… normale, umano.
“Oh,
uh… figurati, non c’è di che.” Decido che è meglio sparire, prima di fare una
brutta figura, e gli volto le spalle senza aggiungere nulla.
“Ehi,
aspetta!” Mi raggiunge e mi si para davanti. “Non so… io… ti è piaciuto lo
spettacolo?”
“Sì,” cedo. “Il vostro circo è uno dei migliori,” dico, abbassando gli occhi per non mostrargli le guance
rosse.
“Grazie.”
Non dice altro, ma so che è ancora davanti a me. Resta in silenzio per qualche
istante. Non so cosa fare.
Mi
sento in imbarazzo, ma allo stesso tempo sento una strana scintilla dentro; una
scintilla che mi costringe ad alzare di nuovo gli occhi.
Lui,
Edward, sorride. Sorrido anch’io, e stringo fra le mani il sacchetto di
popcorn. Stringo fino a che non cade a terra.
“Accidenti…”
dico, maledicendomi per avergli mostrato tutta la mia inadeguatezza.
“Non
preoccuparti,” ribatte pronto lui. “Possiamo andare a
prenderne altri.”
“No…
meglio di no,” rispondo, e i suoi occhi verdi si
spengono. “Sarà meglio che vada,” sussurro, con gli
occhi pieni di lacrime.
Abbasso
la testa e giro i tacchi, sentendomi non solo stupida ed inadeguata, ma anche
ridicola.
Chi
è il pagliaccio, adesso? Eh?
Ma
lui è più veloce di me (di nuovo) e mi raggiunge. “Aspetta… non so neppure il
tuo nome.”
“Bella,” rispondo subito, mostrandogli che in realtà mi interessa
parlare con lui.
“Sei
di Forks, Bella?”
“Sì…
tu?” chiedo, sentendomi un’idiota. Sono circensi, girano il paese. Non può
essere di qui.
“Io
sono di Chicago, ma devo ammettere che questo è un bel posto,”
dice, guardandosi attorno.
Poi
mi sorride, ed il suo sorriso ha il potere di rendermi tranquilla, meno
agitata. Forse è l’effetto di Jerome, o forse sto impazzendo sul serio.
“Resteremo fino a domani,” aggiunge.
“Oh…
capisco. Beh, io devo andare… è tardi e…”
“Uh… certo. Mi concedi di scortarti alla tua auto? Il
parcheggio è un po’ buio,” dichiara, mettendosi al mio
fianco per camminare fino al pick up.
Riesco
solo ad annuire, colpita ed affascinata dal suo fare cortese.
Jerome sarà sfortunato nelle
faccende amorose, ma Edward avrà di certo successo.
Non
riesco a sostenere il suo sguardo, per cui cammino guardando a terra.
“Non
inciamperò, Bella… puoi evitare di tenermi d’occhio i piedi. Jerome
è a riposo.”
Scoppio
a ridere come una bambina, e alzo gli occhi a trovare i suoi. Ride anche lui.
“Sei
simpatico…” dico, senza preoccuparmi di ritrovarmi con la faccia spiaccicata
sull’asfalto.
Edward
scrolla le spalle. “E’ il secondo complimento che mi fai… ora simpatico, qualche ora fa bravo… sono lusingato.” C’è una luce speciale
nei suoi occhi, una luce che mi rapisce, e mi fa barcollare.
“Ehi…
tutto ok?” chiede, appoggiando una mano sulla mia schiena per non farmi cadere
all’indietro. “Sei pallida…”
“Lo
sono?” chiedo con voce insicura, notando come la sua mano su di me non fa che
velocizzare il battito del mio cuore.
“Sì…
sei passata dal rosso fuoco al bianco latte,” scherza.
“Ero
rossa?”
“Beh… non proprio rossa. Le tue guance erano rosa,”
dice, lasciando la schiena una volta resosi conto che posso reggermi in piedi.
“Erano carine,” aggiunge a bassa voce, ed ora è lui a
guardare a terra.
Dovrei
dire qualcosa, giusto?
“Grazie…”
è tutto ciò che riesco a partorire.
Riprendiamo
a camminare, e dietro di noi le luci del circo iniziano lentamente a spegnersi.
“Rimarrete
ancora per molto?”
“Domani
è l’ultimo giorno,” risponde lui.
Sbaglio,
o nella sua voce c’è un po’ di tristezza?
Ci
avviciniamo al pick up, e inizio a pensare alla velocità della luce. Vorrei
dire qualcos’altro, chiedergli se pensa davvero che le mie guance rosa fossero
carine o se l’ha detto per gentilezza. Ma resto in silenzio, e lui fa
altrettanto.
Sono
pazza, è sicuro. C’è una forza che mi attira verso questo sconosciuto, e una
che mi attira verso casa.
“Eccomi,
sono arrivata,” dico poi, davanti alla portiera del
pick up rosso. “Grazie per avermi accompagnata.”
“E’
stato un piacere, Bella.”
Appoggiamo
la mano sulla maniglia nello stesso istante, e le nostre dita si sfiorano.
Ancora
una volta, mi sento barcollare, ma riesco a non dare spettacolo della mia idiozia.
Lascio la maniglia prima che lo faccia lui, permettendogli di aprirmi lo
sportello.
“Grazie,” dico, salendo a bordo.
Lui
mi sorride con candore, e mi sento avvampare.
Chiudo
la portiera ed abbasso il finestrino, lasciando che una folata di vento entri a
rinfrescarmi il viso, probabilmente di nuovo in fiamme.
Mi
giro verso Edward, e lui continua a sorridermi. Svolazzano anche i suoi di
capelli, e la luce di un lampione ne mette in evidenza il colore rosso.
In
lontananza, il chiosco dei popcorn.
Come
un flash, rivedo una scena già vissuta.
Ho otto anni, e sono al circo
con Charlie. Alla fine dello spettacolo, lo supplico di comprarmi i popcorn e
lui accetta, a patto di tornare velocemente a casa.
Io inizio a ribellarmi, e
scoppio a piangere, perché non voglio lasciare l’atmosfera allegra del circo.
Un ragazzo con i capelli rossi
si avvicina e indossa un naso di plastica, rosso anch’esso; mi fa sorridere.
Rido fin quasi a sentirmi male. E tutto passa.
Il
flash sparisce, e torno alla realtà.
“Bella…
Bella, stai bene? Sei nuovamente pallida…”
Osservo
le sue labbra muoversi, la forma appuntita del naso. Gli zigomi alti, i
capelli.
Quei
capelli.
Eri tu, dieci anni fa, Edward?
Eri tu quel clown improvvisato?
“Bella?”
“Uh… sì… sì, sto bene. Ora… ora devo andare,”
dico, col cuore in gola.
Vorrei
dirgli altro… vorrei.
Lui
mi guarda con una luce strana negli occhi, e non riesco a decidere se sono io
ad immaginarla o se è davvero lì.
“Oh…
sì, certo.” Si allontana dal pick up ma resta nelle vicinanze, e con le mani
che mi tremano cerco le chiavi nella borsa.
Cosa
è successo questa sera? Perché queste strane sensazioni?
Perché
io? Perché lui?
Metto
in moto fissando un punto rovinato dello sterzo per evitare di guardare lui; il
motore parte con il solito fracasso. Inserisco la retromarcia per uscire dal
parcheggio, e mi giro indietro.
Metto
la prima, e quando volto la testa salto sul sedile, terrorizzata. Edward è
accanto al finestrino, ancora aperto.
E’
piegato sulle ginocchia, e il viso è all’altezza del mio.
“Mandami
al diavolo, se credi, ma ho bisogno di chiedertelo. Da quando mi hai restituito
la bombetta, sotto al tendone… non so cos’è successo, non ne ho idea. Io… ho
sentito questa cosa dentro, e ho il tuo profumo… il tuo profumo, Bella… e poi
l’ho risentito poco fa, al chiosco… e non potevo… non volevo lasciarti andare…
è stato come… una calamita. So che non puoi capire, ma… so che ti sembrerò
pazzo, ma devo chiedertelo: verrai ancora domani sera? Qui, al circo? Verrai di nuovo?”
Vorrei
gridare, piangere, premere sull’acceleratore e tornare a casa, svenire per la
troppa emozione.
Invece.
“Sì,
Edward. Verrò.”
---
Fine.
Grazie a tutti per essere
arrivati fin qui.
Grazie a chi commenterà, e
grazie anche a chi non lo farà.