Spazio autrice
Ho
iniziato questo racconto verso le quattro di notte e l'ho finalmente
completato.
Io
sono una fan della coppia ShinichixRan, da sempre, eppure ho sentito
il bisogno di scrivere qualcosa su Ai e su ciò che prova per Shin.
Ovviamente la coppia non è formata, sarà una specie di racconto
post-organizzazione in nero. Mi è piaciuto calarmi nel suoi panni, è
stato divertente “vedere” il rapporto AixShinichi da un punto di
vista diverso e non solo come fan della coppia RxS. Detto questo,
ringrazio chi ha commentato il mio precedente racconto su Ryou e
Retasu non avevo
intenzione di sconvolgerti, spero tutto bene XD e
anche chi legge ciò che scrivo.
Desclaimer: questa fic non è scritta assolutamente a scopro di lucro, tant'è vero che non ci guadagno niente dalla sua pubblicazione. I diritti di copyright non sono violati poiché i personaggi qui citati, meno che Juliette, non sono miei ma di Gōshō Aoyama e di chi ne detiene il copyright.
Detto
questo, vi auguro una buona lettura e se volete lasciate una piccola
recensione.
*S'inchina*
Thanks.
La prima volta
Ai
non aveva mai avuto paura di morire, aveva sfidato la morte troppe
volte per potercela avere ancora: era scappata dagli “uomini in
nero” ed era ancora viva, dopo varie avventure rocambolesche
e sanguinolente— era
riuscita a sopravvivere, s'era infiltrata nei laboratori, dove un
tempo era stata tenuta prigioniera e aveva rubato tutti i dati
sull'Apotoxin4869 in modo da creare un antidoto definitivo, dopo mesi
di prova e tornare finalmente al suo aspetto originario... ed era
ancora viva.
Aveva
incontrato tante volte la morte ma era sempre riuscita a
sconfiggerla, tornando ad avere una vita relativamente normale,
proprio come aveva promesso a sua sorella prima che morisse.
«Haibara? Ti vuoi muovere o no? Siamo in ritardo per il congresso!»
La
dottoranda ventunenne sbuffò, togliendosi gli occhiali e poggiandoli
—o per meglio dire lanciandoli— sopra la scrivania davanti a lei.
Si massaggiò gli occhi, cercando di riprendere uso delle sue facoltà
intellettive, ormai perse fra le mille pagine del libro di medicina
generale. L'ultimo esame la stava mandano letteralmente al manicomio,
in più i professori dell'Università che frequentava in America,
avevano avuto l'idea —geniale secondo il loro punto di vista— di
mandarli in Giappone in cui si sarebbe tenuto un congresso sulle
nuove bio-tecnologie industriali, utilizzate a scopo medico in alcuni
ospedali militari ma mai industrializzate per diversi motivi che
sarebbero stati durante lo stesso congresso. La prima reazione della
dottoranda fu d'imprecare in cinese, giapponese ed aramaico —cosa
che in effetti avrebbe fatto ma solo dopo e specialmente quando
sarebbe stata da sola— invece si limitò ad alzare gli occhi al
cielo e a mugugnare un sarcastico “splendido”.
«Haibara!
Sbrigati, sono stanca di chiamarti!»
La
ragazza guardò n cagnesco la sua compagna d'Università. Pregò ogni
Dio esistente che le conferisse la pazienza di cui aveva bisogno per
non tramortirla con un bastone, caricarla sul primo volo —sezione
animali, s'intende— per le Hawaii e tornarsene tranquilla in
America a farsi gli affari suoi, come per esempio prepararsi per
l'ultimo esame di medicina. Sospirò. Non aveva voglia di correre il
rischio di rivederlo.
Erano passati ormai
due anni e mezzo dall'ultima volta che l'avevo visto, e d'allora
aveva fatto di tutto pur di non tornare in Giappone eppure era stata
costretta dai suoi professori perché lei “avrebbe portato onore e
gloria all'Università”.
Avevano mandato a
quel paese i suoi sforzi lunghi tre anni.
«Haibara!»
La ragazza si alzò
dalla sedia, con un brontolio di disapprovazione. Recuperò gli
occhiali dalla scrivania, il cappotto dalla sedia e la cartellina in
pelle nera con fogli, fogliettini e post-it attaccati nella
superficie interna. Le sarebbe servita durante il congresso, per
prendere appunti et similia.
Dieci
minuti più tardi, Ai e Juliette correvano per le vie affollate del
centro di Tokyo, per poter arrivare il più velocemente possibile al
palazzo dei convegni poco lontano dall'hotel in cui alloggiavano —per
la precisione Juliette correva e Ai veniva trascinata, ma questi sono
dettagli—. Juliette
cinguettava tre parole in un secondo, aggiungendo qualche
imprecazione ogni tanto che Ai riusciva a cogliere perfettamente
rispetto al resto del discorso. Rallentato il passo,
finalmente, la dottoranda riprese fiato per qualche secondo e fu in
grado di riconoscere quella ridente cittadina che l'aveva ospitata
per diversi anni prima che partisse nuovamente per l'America. Ecco,
quello era il baretto dove lei e i ragazzi si riunivano per fare
merenda. Appena usciti da scuola litigavano per quale dolcetto
prendere mentre lei alzava gli occhi al cielo e borbottava parole che
solo lui
riusciva a sentire. Lì
in fondo c'era la fumetteria-libreria in cui facevano capatina tutte
le volte che potevano. I ragazzi si rintanavano nell'area manga
mentre lui
andava sempre nella sezione thriller e lei lo accompagnava. Si fermò
in mezzo alla strada, scuotendo la testa. Ecco perché non voleva
tornare in Giappone, ogni cosa le faceva ricordare quel maledetto
ragazzino dagli occhi azzurri. Doveva smettere di pensarci, sarebbe
stato meglio per tutti. Alzò
gli occhi, giusto in tempo per vedere il palazzo dei convegni davanti
a lei. Sbuffò, meno male ch'erano arrivate, da quel momento si
sarebbe rintanata lì dentro e non ne sarebbe uscita se non dopo tre
o quattro ore giusto in tempo per prendere l'aereo delle 19 per
l'America e non mettere più piede in Giappone. Per non pensare più
a lui...
«Shiho...»
Per un secondo, la
dottoranda ebbe la malsana idea di lasciar correre ed entrare nel
palazzo facendo finta di niente... in fondo quella voce poteva essere
di chiunque, no? E per di più, di “Shiho” in Giappone c'è
n'erano un'infinità, poteva benissimo star rivolgendosi a
qualcun'altro, così imperterrita avanzò di qualche altro passo,
sperando vivamente di non sentire più quella voce...
«Shiho?»
Ma no, la sua non
poteva essere quella di qualcun'altro. L'avrebbe riconosciuta fra
mille e forse era per quello che non voleva voltarsi. Rivederlo dopo
tre anni sarebbe stato mandare al vento tutto il tempo passato per
dimenticare.
«Shiho!»
La ragazza sospirò.
Era ora di affrontare la realtà. Si voltò indietro, non potendolo
più ignorare e per mezzo secondo le mancò il fiato. Eccolo lì...
bello come l'aveva lasciato tre anni prima, i capelli arruffati, gli
occhi da cerbiatto e il fisico asciutto e longilineo.
«Haibara? Andiamo?»
La voce di Juliette
le arrivò improvvisamente molto lontana. Alzò una mano verso di
lei, facendole un rapido cenno in modo da farle capire di andare
avanti senza di lei. Juliette lanciò un'occhiata al ragazzo
storcendo le labbra in una smorfia per poi proseguire verso l'interno
del palazzo. Shinichi sorrise, avvicinandosi ad Ai che, invee, non
mosse un solo muscolo. Fra tutti gli abitanti di Tokyo, proprio lui
doveva incontrare?
«Hai mantenuto il
nome che usavi qui...»
Disse, sorridendo
divertito. Che aveva da ridere, pensava Ai. Per rispondere alla sua
domanda annuì lievemente, cercando di essere più tranquilla
possibile. Come al solito, insomma...
«Sarebbe
stato più facile ricominciare da capo con un nome non collegato alla
mafia giapponese, non pensi anche tu?»
Chiese, sarcastica,
incrociando le braccia al petto e socchiudendo gli occhi. Era felice
di risultare ancora la stessa ragazza cinica di sempre. Almeno
evitava di fare la figura della fessa. Non poteva certo dirgli che
aveva deciso di tenere quel nome per lui... quante volte l'aveva
chiamata “Haibara”, sfottendola per quel suo atteggiamento
scostante e perennemente ironico. Lui rise, allentando la tensione.
«Te ne sei andata
senza salutare nessuno, l'ultima volta.»
Disse, buttandola lì
come se fosse normale. Ai s'irrigidì, assottigliando gli occhi e
fulminandolo con lo sguardo.
«In mezzo alle
coppiette mi sentivo anche abbastanza fuori posto.»
Disse, schietta. Ai
ricordava bene il momento in cui se n'era andata dal Giappone. Era
riuscita a mettere le mani sui dati dell'APTX e a creare un antidoto
definitivo dopo mesi di prove e, una volta riuscitasi e averlo
somministrato e aver fatto tornare se stessa e Shinichi allo stato
“normale” del suo corpo, aveva assistito alla dichiarazione di
Shinichi e Ran, senza contare l'ormai affermata coppia del detective
di Osaka e dell'amica d'infanzia... come si chiamavano? Hattori e
Toyama o qualcosa del genere. Subito dopo era sparita dalla
circolazione, dando un ultimo salito solo al professor Agasa. Sbuffò,
spostando lo sguardo alla sua sinistra. Sentiva il rumore delle
campane non molto lontane da dov'era lei... le quattro del
pomeriggio, il congresso era iniziato da circa un'ora.
«Shiho... perché
non hai salutato nessuno?»
Spostò
lo sguardo su di lui. Si aspettava quella domanda ma, nonostante ciò,
batté le palpebre più volte prima di articolare una frase. Si
chiese cosa sarebbe successo se avesse detto quello che pensava
davvero... No,
sai non sopportavo di vederti insieme ad un'altra ragazza così ho
preso il primo aereo per New York e sono sparita. Sì, bella figura ci
avrebbe fatto. Guardò Shinichi negli occhi, poi accennò ad un
sorriso sarcastico.
«Sono tornata a
casa, Kudo. Tutto qui.»
Bugiarda,
si disse. New York non era mai stata la sua casa, anzi, aveva sempre
detestato quella città. Ma se si vuole scappare, quale miglior posto
se non una vecchia abitazione a centinaia chilometri lontana dal
posto da cui vuoi allontanarti? Stupidate,
pensò storcendo le labbra.
«La settimana
prossima io e Ran ci sposiamo.»
Per
un secondo, Ai seriamente di aver sentito male ma, quando voltandosi
vide il suo sorriso sghembo e il rossore che gli imporporava le
guance, beh, Ai non poté più far finta di aver capito male.
Shinichi si sarebbe sposato con Ran... magari in una bella chiesa,
lei vestita di bianco con un lungo strascico di almeno tre metri... e
lui, stupendo nel suo abito nero con una rosa bianca al posto del
fazzoletto nella tasca sinistra dell'abito, proprio come quelle del
bouquet di Ran. Le salì un forte groppo all'altezza della gola
pensando che da quel momento in poi, anche volendo non sarebbe più
potuta tornare indietro a riprenderselo. Scuoté la testa,
insultandosi mentalmente. Stupida,
stupida, stupida non devi pensare a certe cose. Alzò
gli occhi sul ragazzo, inarcando le sopracciglia... sembrava
pensieroso su chissà quale questione, come se stessi pensando se
agire o meno. Improvvisamente si avvicinò alla ragazza, posandole
lievemente una mano sulla spalla. Bastò quel contatto per farle
salire i brividi lungo la schiena. Proprio
come tre anni fa...
non era possibile. Non era possibile che dopo tre anni le suscitasse
ancora quelle emozioni semplicemente sfiorandole la spalla con una
mano.
«Io lo so.»
Gli occhi di Ai
scattarono immediatamente su quelli di lui. Era imbarazzato,
sorrideva ma era imbarazzato, come se tutto quel parlare fosse un
gioco per lui.
Ai si sentì
travolgere da una rabbia cieca. Sorrideva... ma che diavolo aveva da
sorridere? Si stava per sposare! Si stava per sposare e gliel'aveva
comunicato, pur sapendo che cosa? Tirò un colpo secco alla
sua mano, facendogli sgranare gli occhi dallo stupore. Era stanca di
mentire, l'aveva già fatto per troppo tempo. Voleva la verità?
Voleva che glielo dicesse chiaramente? Bene, gliel'avrebbe detto,
almeno forse si sarebbe tolto quel sorrisino idiota dalla faccia.
«Cosa pretendi di
sapere tu? Non sai un bel niente.»
Disse in tono astioso, prendendo
gli occhiali dalla borsa e infilandoseli. Erano sempre stati una
specie di protezione, anche in America. Lo scudo magnetico dei suoi
occhi, che impediva alle lacrime di cadere e alle emozioni di
allontanarsi troppo dal suo corpo. Shinichi sgranò gli occhi,
allontanando la mano come scottato, come se avesse oltrepassato una
barriera che non doveva oltrepassare.
Aprì la bocca per
dire qualcosa ma non ne uscì nemmeno un suono. Rimasero fermi a
guardarsi per dei secondi interminabili... secondi che parvero ore...
ore che parvero giorni. Shinichi abbassò lo sguardo e Ai pregò con
tutta se stessa che non dicesse più niente di quello che stava per
dire. Non sapeva se avrebbe retto ancora...
«Ti va di venire al
matrimonio? Ran sarebbe felice di vederti.»
Un altro colpo allo
stomaco. In quel momento avrebbe volentieri tirato un cacio in testa
a Shinichi, per farlo riprendere. Non sapeva se lo stava facendo
apposta oppure non riusciva davvero a capire quanto la stava facendo
soffrire in quel momento.
La storia del
matrimonio l'aveva sconvolta e in più ora le chiedeva anche di
parteciparvi. Nonostante tutto le veniva da ridere. Shinichi non era
cambiato per niente: era una vera frana con le donne.
Shinichi accennò ad
un sorriso, vedendola un po' più serena e lei non poté fare a meno
di ricambiare con un ghigno serafico. Guardò l'orologio da polso e
imprecò. Erano le quattro e
mezza, la conferenza stava entrando nel vivo. Lanciò un'occhiata a
Shinichi e poi al palazzo alle sue spalle.
«Vai, so che ti ho
trattenuta fin troppo. Di certo non sei tornata in Giappone per me.»
Ai annuì
lievemente. In realtà non aveva la minima voglia di andarsene.
Voleva parlare ancora un po' con lui, dopo tre anni di separazione ma
non poteva: altri stupidi impegni la trattenevano altrove. Lo
guardò per un altro secondo, poi gli voltò le spalle e si avviò
velocemente al palazzo.
«Ai!»
La dottoranda si
fermò, di spalle senza voltarsi. Se l'avesse fatto molto
probabilmente non sarebbe più entrata... e non poteva permetterselo.
«Ai, ti aspetto! Mi
piacerebbe davvero che tu venissi al nostro matrimonio...»
La ragazza, prima di
entrare alzò una mano, in segno di risposta poi oltrepassò il
portone in legno e lo richiuse alle sue spalle.
Forse sarebbe
andata, o forse no... sicuramente no.
Ai
non aveva mai avuto paura della morte... eppure quella fu la
prima volta che temé seriamente di non sopravviverle.