When the stars go blue
I
giorni scorrono in fretta, per me, avvolti nell'ovatta –
scivolano, impertinenti, come bambini su una lastra di ghiaccio. Un
semplice corollario della notte, mia compagna e confidente.
Li
guardo da lontano, appollaiata sulla vecchia sedia a dondolo,
sorseggiando una tazza di tisana. Mi nascondo fra le coperte,
dormendo fino a tardi, e li sfioro appena, quando mi avventuro per i
corridoi del castello in punta di piedi. Esco poco, e preferisco
l'intimità sonnacchiosa delle mie stanze al chiasso del resto
della scuola. Il mio regno si trova qui, all'interno della torre più
alta: un piccolo ufficio dalla pianta circolare, e una stanza da
letto più ampia, con un letto a baldacchino dalle tende
celesti.
La vecchia cornacchia,
mi chiamano, anche se penso di assomigliare di più ad una
civetta. I miei occhi hanno il colore dell'ambra, e i miei capelli
sono bianchi e soffici, come piume arruffate.
Non sono molto
socievole, lo ammetto, ma chi ha bisogno della compagnia umana? Ho le
stelle, le comete, i pianeti: sono lontani, ma non mi fanno mancare
il loro appoggio. Non ho mai ricevuto una scatola di cioccolatini da
Venere, è vero, e Mercurio non mi spedisce bigliettini
apprensivi quando mi ammalo, ma se ho bisogno di parlare so dove
trovarli. Basta salire una rampa di scale, senza fretta. Del resto,
come si divertono a dire i miei alunni, la notte è
giovane.
Non mi sono mai interrogata sulla mia presunta follia.
Sono solo una squinternata che non sa rapportarsi con il mondo reale?
Non direi. Sono loro,
il mio mondo, e il nostro rapporto è idilliaco.
Certo, a
volte litighiamo. Perché, dico
io, devo mostrarsi solo quand'è buio? Mi è capitato
sempre più spesso di sentirmi simile ad un vampiro, in questi
anni. E mi risparmierei diverse influenze e malanni se Orione, i
Gemelli e l'Auriga (*) si facessero vivi nelle nottate
estive!
Eppure, dopo aver arrancato faticosamente fino alla
terrazza della torre, dimentico tutte le mie sciocche lamentele: ci
sono solo io, una nonnina dalla schiena ormai curva, e un'immensa
trapunta fitta di punti luminosi. Si torna bambini, lassù,
mentre ci si avvolge in un mantello spesso e si spalanca la bocca per
la sorpresa, con il fiato che si condensa a formare nuvolette opache.
E la luce che scaturisce dalla punta della bacchetta, così
calda e spavalda solo pochi attimi prima, all'improvviso diventa
insignificante, vuota, minuscola.
Non esiste incantesimo in grado
di eguagliare la magia del cielo.
Avete ancora il coraggio di
compatirmi perché sono sola?
Lo facevo anch'io, tanto tempo
fa: la giovinezza era ormai – già? – lontana, le
amicizie sbiadite, e un vecchio amore si era allontanato, lasciando
solo una lieve impronta. Ero una donna come tante, con le carte delle
costellazioni sotto il braccio e qualche piccolo sogno, e ho scelto
la fuga. Non ero abbastanza forte per rimanere in un mondo che, dopo
gli anni felici dell'adolescenza, mi aveva riservato solo sfide e
salite. Ero troppo ingenua per capire che il mio destino, che mi
sembrava ingiusto e crudele, era lo stesso di chi mi circondava.
Accettai di sostituire il vecchio professor Harvey, deceduto
all'improvviso, e Hogwarts si trasformò nel mio rifugio. Fu
Albus Dumbledore ad accogliermi davanti all'ingresso: la neve cadeva
senza sosta, e i fiocchi gli imbiancavano i capelli e la barba. Mi
rivolse un sorriso, prima di occuparsi dei miei bauli, e fece
aggiungere un posto al tavolo degli insegnanti.
Da quando ho
varcato quella soglia, il giorno di Natale di ormai quarantacinque
anni fa, non sono più tornata indietro. Mi rifiuto di muovermi
persino durante le vacanze estive, con gran disappunto del signor
Filch!
Quando il calendario arriva a mostrarmi l'ultima pagina,
quella di dicembre, i miei pensieri corrono alla scelta che più
di tutte ha segnato la mia vita. La scelta di dedicarmi interamente a
questa scuola e a chi l'ha abitata, rendendola viva con la propria
presenza.
Non sono mancati, durante questi anni, i momenti di
sconforto: scoppiavo in lacrime, mentre aspettavo un sonno che
sembrava non arrivare più, e mi chiedevo se Hogwarts non fosse
solo un paravento dietro cui ripararsi. Ero stata una codarda? Mi ero
costruita un bozzolo per proteggermi da avversità e delusioni?
Mi stavo negando la possibilità di espormi – vulnerabile
ed indifesa – ed essere felice? Mi addormentavo, infine,
cullata dall'inquietudine, girandomi e rigirandomi fino a sprofondare
nel materasso.
Quando, però, giungeva la notte successiva
ed aprivo la porta della terrazza, l'ombra di un sorriso antico mi
stirava le rughe sottili attorno alle labbra: loro erano lì, e
parlavano e ridevano e sbadigliavano, aspettando la loro
professoressa. Aspettando me.
E non importava se un alunno del quarto anno mi guardava con aria
annoiata, o se una ragazzina altezzosa ridacchiava con le amiche
invece di prestarmi attenzione.
Guardavo i miei studenti, prima di
abbassarmi per regolare il telescopio, e capivo che non era stata
solo paura.
Col
bianco tuo candor neve
sai dar la gioia ad ogni cuor.
E'
Natale ancora, la grande festa
che sa tutti conquistar.
Un
canto vien dal ciel lento,
e con la neve dona a noi,
un
Natale pieno d'amor,
un Natale di felicità...
Una
voce acuta mi distrae dai miei pensieri. Mi alzo di malavoglia,
posando la tazza piena per metà sul comodino, e mi dirigo nel
mio ufficio. Sento qualcuno che canta un motivo natalizio, e se devo
dire la verità è alquanto stonato. Rimango
in ascolto per qualche istante, perplessa: possibile che sia proprio
la voce del signor Filch?
“Professoressa!”
E'
proprio il custode, che con la consueta delicatezza ha appena bussato
così forte da far tremare tutta la stanza.
“Sono
Filch, apra!”
Apro la porta, trattenendo un sospiro –
in fondo è un brav'uomo, ma così nervoso! Forse gli
dovrei consigliare di trascorrere una nottata a contemplare le
stelle, una volta o l'altra. E' stupefacente quanto possa essere
benefica qualche ora trascorsa al buio, in completo silenzio.
“Buongiorno, Argus” Lo saluto, educatamente.
Lui
ricambia con un cenno frettoloso, prima di trascinarmi davanti una
ragazzina bassa e magra, con le guance paonazze e la cravatta di
Ravenclaw allacciata alla perfezione. “L'ho trovata che
gironzolava per la torre, professoressa” Esclama, con voce
gioiosa. “Scommetto che voleva rubare qualcosa, magari un
telescopio... Questi giovani peggiorano di anno in anno! Quale
punizione vogliamo darle, professoressa?” Mi domanda, mentre
gli si illuminano gli occhi.
“Io non stavo rubando niente!”
Protesta la ragazzina, debolmente, diventando ancora più
rossa. “Volevo solo...”
“Zitta, insolente, non
dire bugie!” Le intima l'uomo, prima di tornare a rivolgersi a
me. “Mancano tre giorni a Natale... Potremmo mandarla nella
Foresta Proibita ad abbattere gli abeti per la Sala Grande”
Propone, con entusiasmo.
“Ma cosa sta dicendo? Mandare una
bambina ad abbattere degli abeti?” Lo interrompo,
scandalizzata. “E' per questo che era così felice,
prima?” Indago. “Stava cantando perché pensava
alla punizione per questa studentessa?”
“Io non...
Io...” Inizia a balbettare, abbassando lo sguardo. “Stava
rubando!”
“Ne
è sicuro, Filch?”
“Cos'altro avrebbe potuto
fare nella torre di Astronomia a quest'ora?” Ribatte lui,
risentito, arrossendo quasi quanto la sua povera
vittima.
“Chiediamoglielo” Dico, rivolgendomi alla
studentessa. “Cosa stavi facendo qui nella Torre, cara? E ti
dispiace presentarti? Sai, non ho più la memoria di una volta
per i nomi. Sono sicura che tu sia del primo anno, ma proprio non
riesco a ricordare come ti chiami”
“Jocelyn Morgan,
professoressa, di Ravenclaw” Spiega, torcendosi la cravatta con
le dita sottili e spiando la mia reazione. “Non volevo toccare
nulla, la stavo solo cercando. So che avrei dovuto aspettare gennaio,
ma stavo completando la carta dei pianeti e volevo sapere... Sì,
insomma, volevo sapere se era possibile osservarli con lei, durante
le vacanze” Questa volta sono i suoi occhi a brillare.
“In
questi giorni Hogwarts sarà bellissima, Jocelyn”
Obietto. “C'è il torneo, e stanno organizzando il ballo.
Ho sentito dire che tra gli studenti di Durmstrang c'è anche
un giocatore di Quidditch famoso, un certo Drum...”
“Si
chiama Krum” Precisa Filch, senza riuscire a
trattenersi.
“Krum, ecco. Se trascorrerai cinque ore per
notte a studiare i pianeti sarai stanca, e non potrai goderti le
vacanze” La scruto con attenzione, cercando di non sembrare
minacciosa. “Sei sicura di voler rinunciare agli appostamenti a
Drum insieme alle tue amiche?”
“Si
chiama Krum, signora!” Ripete il custode, prima che lo fulmini
con un'occhiataccia.
“Sì” Risponde subito
Jocelyn, senza esitazione. “Il Tremaghi non mi interessa, e...
Non ho molti amici, qui” Aggiunge, con uno sforzo notevole.
“Preferisco mille volte l'Astronomia”
Jocelyn mi
sorride, esitante. E' piccola e timida, ma nei suoi occhi chiari
intravedo la stessa luce che ancora abita i miei. Ricambio il
sorriso. “Ti piace il cielo, vero?”
Lei annuisce,
senza trovare altre parole. Io, in ogni caso, non ne ho bisogno.
“Allora siamo d'accordo, signorina Morgan. Ci vediamo domani a
mezzanotte sulla terrazza, puntuale.
Potrò anche non ricordare il suo nome, ma so bene che ha una
certa propensione ad arrivare in ritardo a lezione”
“Grazie!”
Esclama, riconoscente. “Sarò puntuale, glielo
giuro”
“Però ti devo chiedere di concedermi la
sera della vigilia per andare a divertirmi. Sai, mi è sempre
piaciuto ballare, e a Hogwarts le occasioni scarseggiano” Le
faccio l'occhiolino, e lei ridacchia.
“Ora smettila di
disturbare la professoressa, ragazzina” Gracchia Filch, astioso
come suo solito. “O ti punirò, oh sì che ti
punirò...”
“Signor Filch, la smetta subito!”
Gli ordino, senza farmi intimidire dalla sua espressione acida. “E
accompagni giù la signorina, piuttosto”
“Ma...
Vergogna... Questi studenti impertinenti... E gli insegnanti che li
assecondano anche! Ormai non è più come una volta...
Appenderli per i piedi, allora sì che c'era la disciplina,
quella vera...” Borbotta lui, cercando di non farsi
sentire.
“Ha detto qualcosa?”
“Assolutamente
no, signora Sinistra” Si affretta ad assicurare, con un sorriso
mellifluo che mette in mostra due file di denti marci. “La
accompagno subito. Andiamo, ragazzina”
“Allora a
domani” Jocelyn mi rivolge un saluto incerto, non molto
entusiasta alla prospettiva del breve viaggio insieme al custode.
“A
domani” Rimango sulla soglia, osservando quella coppia quanto
meno singolare mentre si allontana.
Quando le due sagome sono
ormai sparite, mi chiudo la porta alle spalle. Ripenso ancora una
volta alla voce di Jocelyn, alla passione – ancora un
germoglio, una timida impressione – che trapelava dal suo viso
rotondo, alla sua richiesta. Senza rendermene conto, inizio a
canticchiare sotto voce.
Tu
dici nel cader neve
il Cielo devi ringraziar!
Alza gli occhi
guarda lassù
é Natale non si soffre più.
Io, il cielo, lo ringrazio tutte le notti.
* * * * *
(*) Non sono un'esperta di costellazioni, ma da quanto ho capito queste sono visibili nel cielo invernale :)
NOTE
Secondo
il Lexicon, la Sinistra si chiama Aurora: non è strettamente
canon perché era solo segnato su una nota della Rowling, ma è
comunque meglio di qualunque altro nome che avrei potuto
inventarmi.
La fic è ambientata nel dicembre del 1994, anno
del Tremaghi. Il titolo non c'entra nulla, me ne rendo conto
T_T
Qualunque commento/critica è bene accetto, come sempre!
Questa storia ha partecipato – ed è arrivata prima ^^ – al contest “Teachers in red!”, del C.o.S – Collection of Starlight.
Alla prossima!
Flea.