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Autore: _KyRa_    12/01/2010    16 recensioni
«Zio Tom?! Zio, Tooom?!».
A volte mi domandavo se mio fratello avesse deciso di castigarmi in qualche modo.
«Zio?!».
I bambini... che creature meravigliose, quanto irritanti.
«Zio Tom!».
Ma io dico... tra tutte le persone che conosceva mio fratello Bill, proprio ME doveva scegliere come baby sitter per i suoi due splendidi pargoletti? «Zio Tooom!». E io ancora che andavo ad accettare!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zio Tom

«Zio Tom!»



«Zio Tom?! Zio, Tooom?!».


A volte mi domandavo se mio fratello avesse deciso di castigarmi in qualche modo.


«Zio?!».


I bambini... che creature meravigliose, quanto irritanti.


«Zio Tom!».


Ma io dico... tra tutte le persone che conosceva mio fratello Bill, proprio ME doveva scegliere come baby sitter per i suoi due splendidi pargoletti?


«Zio Tooom!».


E io ancora che andavo ad accettare!


«Zio Tom, accidenti, svegliati!».


Sentii due manine scuotermi insistentemente un braccio.

Potevo dire definitivamente addio al mio pisolino pomeridiano.

Aprii prima un occhio e potei scorgere davanti a me una piccola sagoma ancora non definita.

Aprii anche l'altro e la figura del piccolo Loris si focalizzò di fronte ai miei occhi.


«Finalmente! Hai il sonno pesante!» borbottò la piccola peste di quattro anni, dagli occhi nocciola come il suo papà ed i capelli corvini come quelli della sua mamma.


«Dimmi, piccoletto, hai bisogno?» sbadigliai lievemente, portandomi una mano alla bocca.


«Se papà e mamma sono andati a lavorare e mi hanno affidato a te, un motivo ci sarà!» incrociò le braccia al petto il bambino.


Io alzai un sopracciglio con espressione scettica.


«Mi stai dando del disattento?» domandai retoricamente. Lui gonfiò le guance ed annuì energicamente. Non potei fare a meno di sorridere divertito. «D'accordo, prometto di non dormire, contento? Ora, di che hai bisogno?» chiesi con tanta, troppa, pazienza per essere la mia.


«Mi scappa la pipì» rispose Loris convinto.


«Tutto qui?» scherzai alzandomi dal divano e prendendolo per la manina. «Ti insegno a fare la pipì come i veri uomini, ovvero come Tom Kaulitz» esclamai soddisfatto e gonfiando leggermente il petto, facendo intravedere i pettorali da dietro la mia maglia oversize.


«Tu saresti un vero uomo?».


«Io sono IL vero uomo».


Arrivammo in bagno ed alzai la tavoletta del water.


«Ma non la posso fare nel mio vasino?» domandò Loris indicando la vaschetta a forma di papera, affianco.


Io storsi il naso, aggrottando le sopracciglia.


«Suvvia, sei un ometto, no? Sei perfettamente in grado di farla come i veri uomini» risposi sbottonandogli i piccoli jeans.


«Come lo zio Tom!» battè le manine con entusiasmo.


«Vedo che hai capito» sorrisi e lo presi in braccio, facendogli appoggiare i piedi sulla tavoletta, rivolto verso il muro. «Su, fai quello che devi fare» lo incoraggiai pazientemente. Vidi che mi fissava senza muovere un muscolo e con espressione intimidita. «Beh, che c'è?» domandai perplesso.


«Non mi guardare» borbottò arrossendo.


«Guarda che ho già visto tutto» ridacchiai. «Non ti preoccupare, non rimarrà così a vita. Se avrai fortuna ti diventerà come quello dello zio Tom» sorrisi ancora senza farmi troppi problemi.


«Non mi guardare lo stesso!» sbattè un piedino sulla tavoletta.


«Ok, ok, come vuoi» sospirai voltandomi dall'altra parte. «Ecco, adesso muoviti, non possiamo stare così fino a domani» continuai. Finalmente ascoltò le mie parole. «Finito?» domandai dopo un po'.


«Sì» rispose semplicemente.


Io lo poggiai di nuovo a terra e, dopo avergli tirato su mutandine e jeans, tirai l'acqua.


«Su, torniamo di là» dissi prendendolo per mano e riportandolo in salotto.


«Zio?».


Ecco, la seconda pargoletta undicenne di cui parlavo prima.

Mi voltai e la vidi scendere dalle scale.

Aveva preso tutto da mio fratello: la raffinatezza, la pignoleria, la parlantina e una certa abilità nel rompere le palle.

Al contrario di Loris che aveva preso tutto dalla mamma: la tranquillità, la dolcezza e la timidezza.

Eppure le volevo un bene dell'anima, lo stesso.


«Dimmi, raggio di sole» risposi ironico, mentre Loris si andava a buttare sul divano al posto mio.


«Mi fai una camomilla?» mi chiese Denise.


«Alle quattro del pomeriggio?» domandai perplesso.


«Mi fa male la pancia» si lamentò lei.


«Ok, te la preparo» conclusi mentre lei spariva in bagno. Presi l'acqua e cominciai a scaldarla nel pentolino, quando sentii un urlo. Feci saltare in aria la bustina di camomilla che tenevo in mano e mi catapultai dietro alla porta del bagno. «Che succede, Denise? Tutto apposto, piccola?» mi accertai piuttosto allarmato.


«No!» rispose lei dall'altra parte, con voce tremante.


«Come no?!».


«No!».


«Si può sapere che succede?!».


«Voglio la mamma!».


«Ma la mamma adesso è al lavoro, non può venire. Mi spieghi che hai?». Sentii silenzio. «Tesoro, posso entrare?» domandai una seconda volta.

Non parlò nuovamente così lo presi per un sì.

Abbassai lentamente la maniglia della porta e mi affacciai.


«Non guardare!» urlò ed io subito, spaventato, chiusi gli occhi.


«Scusa!» esclamai irritato. «Spiegami che è successo, almeno!» continuai senza guardarla.


«Mi sono venute» la sentii sussurrare in imbarazzo e già cominciai a sudare.


«Beh... è una cosa normale, no?» provai impacciato.


«E' la prima volta» aggiunse.


Provai un senso di tenerezza infinita, in quel momento.

Non mi era mai capitato di trovarmi in una situazione simile.

E mai mi era capitato di trovarmi a pensare a questi fatti estremamente naturali per una donna.

Ero abituato solamente a portarmele a letto, senza riflettere su tutte queste cose contorte e senza farmi troppe domande.

Certo era che non ero sicuro di come comportarmi in quel momento e sapevo alla perfezione che Denise avrebbe voluto vicino la sua mamma.


«Posso aprire gli occhi? Giuro che ti guardo in faccia» dissi con tutta la calma e la dolcezza possibili.


«Ok» rispose dopo un po' e le mie palpebre si alzarono lentamente, facendo ben attenzione a guardarla negli occhi per evitare qualche schiaffone imminente.


«Dunque... in questi casi, che si fa?» domandai più a me stesso che a lei, che mi fissava alzando le spalle. «Beh, intanto un cambio di intimo» mi risposi da solo come se fosse ovvio. Mi affrettai ad uscire dal bagno ed entrare nella stanza di Denise. Aprii il suo comò e vi frugai dentro. Recuperai un paio di mutandine e corsi di nuovo in bagno, richiudendo la porta. «Tieni» le dissi, porgendole l'intimo.


«Girati» mi ammonì ed io obbedii. Dopo qualche secondo le domandai se fosse tutto apposto e, ottenuta una sua risposta positiva, mi voltai di nuovo verso di lei. «Mamma usa gli assorbenti» mi disse poi.


La mia pelle diventò bordeaux.

No, decisamente non ero abituato a quei tipi di discorsi.


«Giusto, ehm... sai dove li tiene?» mi informai. Lei scosse la testa in segno di negazione. Io sospirai e mi voltai verso lo scaffale posto sotto il lavandino. Aprii le ante e cominciai a cercarvi dentro qualcosa che assomigliasse vagamente ad un assorbente. Ottenni un risultato di quattro pacchi diversi. «Ma qui ce ne sono di minuscoli, medi, grandi ed enormi! Quale ti devo dare?!» esclamai disperato.


«Non lo so!» rispose Denise più disperata di me.


Io mi grattai i cornrows nervosamente e ne presi uno a caso tra quelli da me definiti “grandi”.

Cominciai a strappare la busta a modo mio e mi ritrovai quell'orribile oggetto bianco ed appiccicoso da un lato tra le mani.

Tornai a guardare Denise.

Ora arrivava la parte più complicata.

Mi avvicinai per attaccarglielo sulle mutandine ma subito serrò le gambe.


«Non guardare!!» urlò di nuovo.


Possibile che quel giorno non potevo guardare nessuno?


«Mi spieghi come faccio a mettertelo senza guardare?! Ci vado ad intuito?» le chiesi scocciato.


«Me lo metto io!» continuò imperterrita.


«E fai come vuoi!».


Le mollai l'assorbente in mano e, a braccia conserte cominciai a picchiettare il piede per terra, osservandola.

Stava per fare il tutto, quando mi fulminò nuovamente.


«NON-GUARDARE».


Alzai gli occhi al soffitto sbuffando sonoramente e le diedi per l'ennesima volta le spalle.

Come se ormai non l'avessi vista.

E, soprattutto, come se fosse stata la prima che vedevo.


«Hai fatto?» domandai impaziente dopo un po'.


«Un attimo!» esclamò risentita. «E' la prima volta che me ne devo mettere uno!».


«Non sarà così complicato!» obiettai.


«Senti, zio, non rompere o so perfettamente come zittirti». Io scossi la testa. Decisamente la copia sputata di mio fratello. «Apposto» disse dopo un po'.


Mi voltai e la vidi buttare la carta dell'assorbente nel cestino.

Io le avvolsi le spalle con un braccio ed aprii la porta del bagno.


«Va che questa giornatina me la ricorderò» commentai sorridendo.


«Zio!» la voce del piccolo Loris mi arrivò di nuovo acuta nelle orecchie.


«Dimmi» risposi pazientemente entrando in salotto.


«Fai il cavallo?» mi domandò.


«No, piccolo, oggi no, ti prego» gli dissi scuotendo la testa.


«Dai, per favore» mi implorò facendomi gli occhi dolci.


«E va bene» sospirai inginocchiandomi a terra, mentre quella piccola peste mi saliva a cavalcioni sulla schiena. «Ma tu guarda cosa mi tocca fare a trent'anni» borbottai mentre i suoi colpi con le scarpine sui miei fianchi andavano a colpire i lividi già presenti sulla mia pelle, simboli di quel giochino così simpatico che ogni giorno mi chiedeva di fare per lui. Mentre camminavo a quattro zampe, facendo ogni tanto il verso del cavallo – suscitando quindi in Loris tante risate – mi chiedevo quando mai avrei pensato di ritrovarmi a fare cose del genere. Io, il SexGott indiscusso, il bad boy, il farfallone simpatico e furbo... a nitrire per un bambino di quattro anni. Decisamente stava accadendo qualcosa in me di molto strano.


«Zio! Zio!» mi chiamò Denise.


«Che c'è?!» domandai esasperato.


Quella notte avrei sentito le voci chiamarmi “Zio! Zio! Zio Tom!”.


«Hai dimenticato l'acqua sul fuoco!» esclamò Denise.


«Ma porca zozza!» mi alzai improvvisamente senza pensare di avere sulla schiena Loris che andò a finire col sedere per terra e cominciò a piangere. Io guardai il soffitto. «Ma perchè ce l'hai con me?» domandai. Mi affrettai a tirare su Loris, calmandolo. «Scusami, piccolino» gli dissi prendendolo in braccio, mentre lui si strofinava un occhio con la manina. Io intanto entrai in cucina e spensi il fuoco del fornello. Sospirai rimettendo giù Loris. «Tutto apposto?» domandai premuroso. Lui annuì leggermente, sorridendo appena.


«Zio?».


«Oh mio Dio, che c'è ancora?» chiesi a Denise uscendo dalla cucina.


«Perchè ti arrivano i messaggi con scritto “Stanotte sei stato fantastico, SexGott”?» mi domandò lei sbirciando sul mio cellulare.


Io spalancai gli occhi e glielo presi velocemente dalle mani.


«Chi ti ha dato il permesso di leggere i miei messaggi?» esclamai.


«Ti è arrivato ora, e comunque non hai risposto alla mia domanda» rispose con un sorrisetto malizioso.


«Ma tu e Satana vi siete messi d'accordo?» borbottai stringendo le palpebre.


«Allora?».


«Sono cose che non ti interessano».


«Ne avrai almeno una cinquantina di messaggi del genere e tutti da mittenti diversi, devo iniziare a preoccuparmi?».


«Ma perchè devi fare la suocera come tuo padre?».


«Povere ragazze, almeno lo sanno di essere così tante?».


«Dovresti essere fiera della fitta attività sessuale di tuo zio».


«Cos'è l'attività sessuale?» entrò nella discussione Loris.


«Un videogioco dello zio Georg» risposi senza pensarci troppo su.


«Ci voglio giocare!» esclamò di nuovo.


«Magari tra qualche anno» tagliai corto. «E tu, brutta ricattatrice dei miei stivali, non dire a tuo padre che hai letto i miei messaggi» puntai il dito contro Denise.


Lei fece un gesto svogliato con la mano, andando a stravaccarsi sul divano.

Improvvisamente sentii tirarmi i jeans a scatti.


«Zio Tom?». Giuro che mi veniva da piangere. Abbassai lo sguardo su Loris, che mi guardava. «Mi prepari la merenda?» mi chiese ed io annuii sospirando. Mi seguì in cucina dove cominciai a preparargli del pane con la nutella. Mi guardava rapito da quei semplici gesti che stavo facendo. Una volta tutto pronto, gli misi il piatto sotto al naso, leccandomi le dita sporche. «Lo voglio anche io quell'anello» disse improvvisamente mio nipote.


Io lo guardai perplesso.


«Che anello?» domandai.


«Al labbro come il tuo» mi chiarì mentre si sporcava la bocca di nutella.


Io sorrisi e, passandogli il tovagliolo sulla parte sporca, risposi: «Si chiama piercing».


«Anche papà ne ha tanti» annuì Loris.


«E a te dove piacerebbe?» gli chiesi interessato.


«Dove ce l'hai tu» sorrise il piccolo ingoiando il boccone.


«Beh, quando sarai più grandi magari. Il difficile sarà convincere la mamma» ridacchiai pensando alla fidanzata di Bill – Marika – che odiava quegli “arnesi inutili”, come li definiva lei.


«Zio!».


Sbattei letteralmente la fronte sul tavolo e, sospirando, mi alzai tornando in salotto.


«Mi ha appena chiamato un mio amico, posso uscire?» domandò Denise, seduta sul divano, con il suo cellulare ancora in mano.


«Chi è questo amico? Quanti anni ha?» indagai con sguardo minaccioso.


«Lucas, ha diciotto anni» rispose lei con semplicità.


Io sgranai gli occhi e per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.


«Diciotto?! Stai scherzando spero?!» esclamai.


«No, perchè?» chiese lei con un'alzata di spalle.


«Hai undici anni!».


«E allora?».


«Non se ne parla! Sei troppo piccola! Io alla tua età...» mi fermai improvvisamente.


... scopavo come un riccio”?

In quale altro modo avrei potuto completare quella frase?

D'altronde era la verità.

Ma lei no!

Era una femmina, non se ne parlava!


«Alla mia età...?» mi incoraggiò lei scettica.


«Guardavo i cartoni animati. Adesso smettila e vai a vedere tuo fratello» tagliai corto, buttandomi sul divano.


«Quanto sei noioso» borbottò lei, alzandosi ed entrando in cucina.


Io sospirai chiudendo gli occhi e massaggiandomi le tempie pulsanti.

Proprio in quel momento sentii aprire la porta di casa.


«Tom?» sentii la voce di mio fratello che parve come un miracolo.


«Bill, ti prego, vieni ma non chiamarmi, per oggi ne ho abbastanza» esclamai con voce implorante.


Entrò in salotto e si sedette vicino a me.


«Hey, allora? Come va? I bambini?» mi domandò incuriosito.


«Sono tutti e due in cucina» risposi tenendo gli occhi chiusi.


«Hanno fatto i bravi?» si informò Bill.


«Due angioletti» risposi con sarcasmo.


«Oh, hai visto? Non è così brutto avere dei bambini, no?» sorrise mio fratello.


Io aprii gli occhi per la prima volta dall'inizio di quella “conversazione” e lo guardai come se avesse detto un'assurdità.


«Bill?».


«Dimmi».


«Lo zio Tom se ne va in ferie per un pò».


Detto questo mi alzai dal divano e mi andai a chiudere in camera mia, cercando di recuperare le ore del pisolino, perse per quelle due scimmiette.


  
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