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Autore: cartacciabianca    13/01/2010    5 recensioni
"Quando fui certo di essere di nuovo solo con me stesso, mi alzai dal pavimento e andai verso la scrivania. Lanciai un’occhiata al grande volume sul tavolo, aperto su una pagina bianca e l’altra da completare. Quello era il Codice dove in quegli ultimi dieci anni avevo annotato i miei e i respiri del Frutto, sperando che in futuro sarebbe potuto servire a chi avesse voluto studiarne la consistenza e la malvagità senza rischiare di venirne posseduto. -Basta domande. È ora di avere delle risposte- mormorai carezzando la sfera con due dita. Poi la strinsi nel palmo, e in fine la sollevai all’altezza dei miei occhi. "
Il Frutto dell'Eden è la tentazione dei curiosi. Per riparare al danno basterà nascondersi nell'ombra del passato?
Genere: Sovrannaturale, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad , Claudia Auditore , Ezio Auditore, Malik Al-Sayf
Note: AU, OOC, What if?, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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*||* Santuario *||*

La notte, col suo lento trascorrere e la sua luna alta in cielo nascosta dietro un circo di nuvole, era avvolta dal silenzio. Per le strade buie del villaggio vagava qualche guardia incappucciata di grigio, i loro passi sul selciato erano quieti e silenziosi, gli occhi attenti, i muscoli tesi e caldi sotto le vesti. Si udiva solo il frusciare del vento sulle bandiere sparse qua e là tra i merli della fortezza: un’imponente costruzione avvolta dall’oscurità, preda delle ombre delle anime bianche che vagavano per i corridoi scaldati da bracieri accesi.
Ascoltavo lo scoppiettare dei carboni ardenti nella mia stanza, mentre la candela sul tavolo consumava gli ultimi centimetri di cera. Le imposte alle finestre erano chiuse per metà, ed uno dei due vetri si era leggermente appannato col trascorrere delle ore. Il panorama che riusciva a vedersi non era altro che un’immensa distesa di acqua nera come la cenere: il lago stava congelandosi poco a poco, nell’immobilità delle correnti e con l’aiuto della neve che si depositava sulla spiaggia e tutt’attorno sulla roccia.
Si prospettava un lungo e rigido inverno. La gente di Masyaf si coricava in casa prima del tramonto e non usciva prima del mezzodì. Nelle giornate più cupe si barricava con le imposte alle finestre e accendeva il fuoco del camino tutto il giorno. I fumi grigi uscivano dai comignoli e si levavano nel cielo plumbeo di tempesta, e la neve cadeva, cadeva senza sosta. Per le strade era diventato impossibile spostarsi coi carri. I cavalli affondavano nel bianco e le botteghe del mercato, talmente coperte di neve, restavano chiuse. I soldati dal cappuccio grigio che ora pattugliavano quelle vie, faticavano a spostarsi da una parte all’altra della cittadella, perciò molto spesso si era costretti a dimezzare se non revocare i turni di guardia.
Ancora nevicava, un’altra intera giornata trascorsa a guardare le lacrime congelate del cielo avvolgere tutto e tutti sotto uno strato sempre più alto.
Il raccolto racimolato quell’estate sarebbe bastato a mala pena per un mese, ma la fame non era l’unico tormento che si agitava nei nostri cuori.
Ora che avevamo il Frutto, i Templari sparsi nel mondo intero non si sarebbero dati pace fin quando non l’avessero riavuto nelle loro mani. E ciò voleva dire l’inizio di una Guerra destinata a non concludersi mai.
Un flebile chiarore dorato proveniva dall’apice di una pila di libri sul tavolo, ed era lì che, adagiato su un cuscino di velluto rosso, riposava la tentazione. La sua luce si competeva l’oscurità con quella della candela quasi finita, unica nella stanza.
Seduto per terra in un angolo buio della stanza, osservavo pensieroso quel misterioso oggetto, causa di tanti mali quanti beni nel mondo.
Dieci anni…
Erano trascorsi dieci anni da quando strappai il Frutto dalle mani di Al Mualim. Quel vecchio pazzo aveva cercato di controllarlo, di sfruttarne il potere e la conoscenza, ma io mi ero giurato solennemente che non avrei commesso lo stesso errore.
Sentii l’uscio della porta schiudersi poco a poco, mentre una spada di luce fendeva l’oscurità della stanza.
-Adesso no. Vattene- dissi senza indugi, e lo ripetei prima che la figura oltre la soglia potesse replicare:
-Vattene-.
Malik richiuse la porta e il suono dei suoi passi si perse nel corridoio.
Quando fui certo di essere di nuovo solo con me stesso, mi alzai dal pavimento e andai verso la scrivania. Lanciai un’occhiata al grande volume sul tavolo, aperto su una pagina bianca e l’altra da completare. Quello era il Codice dove in quegli ultimi dieci anni avevo annotato i miei e i respiri del Frutto, sperando che in futuro sarebbe potuto servire a chi avesse voluto studiarne la consistenza e la malvagità senza rischiare di venirne posseduto.
-Basta domande. È ora di avere delle risposte- mormorai carezzando la sfera con due dita. Poi la strinsi nel palmo, e in fine la sollevai all’altezza dei miei occhi.
Senza più timore, e con la determinazione in cuore di non fallire, assaporai il suo patere e la sua lucentezza avvolse per un istante l’intera stanza.
Il buio tornò a regnare, e un soffio di vento spense quel che restava della candela.

“Altaïr, è una pazzia…”
“Non capisci, Malik…”
“Quel che è successo ad Al Mualim, potrebbe accadere a te! Ed io non voglio perderti. Non te lo sto chiedendo come assassino, ma come tuo amico. Ti supplico, ascoltami…”
“Tu non capisci, nessuno capisce… nessun altro può farlo, io sì, e devo… devo vedere!”
“Hai perduto il senno, amico mio, dallo a me…”
“No… tu non me lo porterai via… non strapperai dalle mie mani l’unica cosa che può salvarci!”
“Quella non è la salvezza, ma la distruzione certa, il caos, la fine… dallo a me, separartene per qualche tempo non potrà farti che bene”.
“Non posso…”
“Allora è già troppo tardi, e dovrò togliertelo con la forza. Non costringermi a farlo”.
“Va bene…”
“Ecco, così, bravo… ben fatto, e adesso va’ a riposare…”
“Dove lo porterai?”
“Quando la tua mente sarà lucida e il tuo animo quieto, te lo dirò… prima di allora, i tuoi occhi dovranno abituarsi all’oscurità e la tua sete di sapere placarsi”.
“Non avrei mai voluto che accadesse… perdonami”.
“…l’ho già fatto”

Era un’altra stanza buia, ma più ampia, più arieggiata e più mite. Avvertivo la corrente di vento soffiarmi sul viso, ma la guancia e il corpo disteso un pavimento di duro e freddo marmo. Schiusi gli occhi, strizzai le palpebre e mi abituai alla flebile luce di un candelabro sospeso nell’oscurità e pendente dal soffitto. Non tutte le candele sulle sue braccia erano accese, così come quelle disposte lungo la parete colonnata di un secondo piano che affacciava sulla saletta.
Mi sollevai su un gomito avvertendo le ossa pesanti e i muscoli formicolanti. Mettendomi seduto mi guardai attorno scrutando con minuziosa attenzione l’ambiente circostante, del quale colse un’architettura del tutto inusuale e nuova della fortezza, all’interno della quale credevo ancora di essere.
Che luogo è mai questo? Mi chiesi notando due diverse aperture ad arco su vari punti della stanza. Una dava su di un ampio cortile avvolto dalle nebbie della notte, l’altra su uno stretto corridoio che conduceva chissà dove.
Nel centro della stanza, quando mi alzai, riconobbi una grandissima scrivania di legno lavorato. Libri a non finire sparsi sul ripiano. Alcuni aperti, altri coperti di polvere, altri ancora di pagine bianche e incompleti.
Perché il Frutto mi ha portato qui? Mi domandai, e nel frattempo mi accorsi di avere con me tutte le armi e i coltellini da lancio.
Con indosso ancora l’uniforme bianca e il cappuccio abbassato, mi avvicinai al tavolo e sfogliai alcuni di quei libri. Riuscivo bene a leggerne la calligrafia ordinata e mi accorsi che non erano altro che appunti quotidiani. In alto su una prima pagina lessi qualche annotazione passeggera, ma tra queste vi era un numero a quattro cifre.
1503…
Aggrottai la fronte sotto l’ombra del cappuccio. –Impossibile…- mormorai esangue richiudendo il tomo e posandolo sul tavolo assieme agli altri.
-Dove sono?- pronunciai ancora indietreggiando.
D’un tratto qualcosa di solido intralciò i miei passi. Mi voltai e mi accorsi di aver battuto la schiena su un piedistallo di marmo che veniva dal pavimento. Alzando un poco lo sguardo, dovetti appoggiarmi a quello pur di reggermi sulle gambe.
Non è possibile…
In una grande cornice appesa alla parete c’erano trenta carte stirate e unite come tasselli di un unico puzzle. Trenta in totale, alcune disegnate, altre scritte… le riconobbi anche a quella distanza, senza indugiare inutilmente sulla calligrafia di cui erano padrone.
Il mio Codice…
Ero senza parole, col fiato sospeso e gli occhi sgranati fissi prima su una, poi su un’altra pagina.
Lo stupore lasciò presto spazio allo sconforto, alla paura, al timore…
Mi stanziai dal piedistallo nell’accorgermi che, con la vista d’aquila in mio potere, la forma compatta di tutte e trenta quelle pagine, mostrava una mappa di terre che avevo già veduto in passato, riprodotte dallo stesso Frutto che mi aveva portato in questo luogo.
Il piedistallo in marmo aveva un insenatura rotonda che non ebbi difficoltà ad immaginare quale scopo avesse. Io stesso avevo scritto quelle pagine, ma potevo io aver fatto una cosa simile? E perché? Cominciai a credere di trovarmi lì proprio per rispondere a queste domande…
Con il cuore che batteva forsennato nel petto, mi avventurai alla scoperta di quel luogo, imboccando l’arco in pietra che conduceva  verso l’esterno.
Era notte, e le stelle in cielo danzavano attorno alla luna piena poco offuscata dalle nebbie. Il giardino nel quale mi ritrovai era ampio e ornato di alberi e vialetti. Mi ritrovai a scrutare la facciata posteriore della costruzione, che si stagliava dinnanzi a me con un secondo livello composto di un terrazzamento colonnato. Le imposte alle finestre erano sbarrate, la fontana sulla parete centrale scrosciava fendendo il silenzio della notte. Tutt’attorno si diffondeva la litania di un gufo posato chissà dove sogli alberi. La temperatura era davvero mite e la brezza ventilata mi sollevava lembi della veste. Il panorama in fondo stanziava fin dove l’occhio umano poteva arrivare. Seguii il corso di un fiume d’argento e arrivai sino alle pendici delle montagne, nascoste nella foschia dell’altitudine e nell’oscurità della notte.
Traversai il cortile e mi addentrai di nuovo all’interno del palazzo, scoprendo una sala ben illuminata. Il pavimento era tappezzato di porpora, e così le tende e le pareti. Erano due stanze adiacenti ed entrambe provviste di candelabri e ampie vetrate. In una prima, venendo dall’esterno, erano conservate varie armature di consistenze differenti, che però sembravano avere una forma comune. Erano cinque in totale, due su ogni parete con una posta sul muro di mezzo. Mi avvicinai a quest’ultima, catturato dalla realizzazione più dettagliata. Posta su un manichino di marmo, incuteva terrore e rispetto come fosse indossata dal vivo proprietario: il cappuccio nero, gli spallacci e gli stivali, così come la protezione sul petto, rivestiti di una lega luccicante della quale avevo sentito parlare solo nelle mitiche leggende.
Del tutto ammaliato, ne carezzai le protezioni degli avambracci e solo allora mi resi conto di che genere di materiale fosse, mai umanamente realizzato. La cosa curiosa, fu notare il simbolo degli Assassini in cintura a tutte quelle armature…
Nella seconda stanza trovai ad attendermi un’armeria completa fino all’ultimo spazio consentito dalle vetrine. I miei occhi si persero tra sciabole e spadoni, mazze e piccole lame, fin quando non colsi la forma e il taglio di una spada molto simile a quella che…
Mi avvicinai di più allo scompartimento che ospitava una spada troppo simile a quella che avevo legata al fianco. Feci un confronto e le scoprii identiche in tutti i particolari, dall’impugnatura alla lucentezza della lama.
Sto sognando… scossi la testa e mi allontanai dalla stanza.
Giunsi nel salone d’ingresso e mi avventurai su per le gradinate che portavano al secondo livello. Una volta sul pianerottolo, andai a sbirciare dall’alto la camera che ospitava le pagine del mio codice sulla parete, poi proseguii per un corridoi che conduceva verso un’altra stanza avvolta dal buio della notte.
Il chiarore di una candela che bruciava i suoi ultimi centimetri di cera rischiarava flebilmente l’interno, posata su una cassettiera di legno sulla parete di sinistra. Nella più completa oscurità, il suono dei miei passi era nullo e i miei movimenti abbastanza silenziosi perché non svegliassero le due figure addormentate sotto le coperte di un letto a baldacchino.
Feci per avvicinarmi, riuscendo a scorgere due volti appartenenti a due sembianze molto diverse l’una dall’altra: la prima era piccola e infagottata nelle coperte, l’altra distesa per lungo quasi sul bordo del letto.
D’un tratto la prima aprì gli occhi e scattò seduta sul materasso con un gemito.
Fortunatamente non si accorse di me, perché indietreggiai abbastanza da venir avvolto dalle tenebre, ma ella sembrava essersi appena svegliata da incubo. Il viso pallido, i capelli scuri scompigliati e il corpo tutto un tremore, erano chiari residui di un sonno tormentato venuto al suo epilogo.
Ma dove diavolo sono? mi chiesi ancora serrando i pugni lungo i fianchi.
La ragazza prese un gran respiro e immaginai che si sarebbe rimessa a dormire, ma invece non lo fece. Piuttosto lanciò un’occhiata alla figura con la quale condivideva le coperte e si alzò, scivolando leggiadra fino al bordo del letto. Prima una gamba, poi l’altra, la ragazza sguisciò fuori dal piumino posando i piedi scalzi in terra sul tappeto. Si alzò in piedi e, stringendosi le braccia attorno al ventre, s’incamminò fuori dalla stanza con indosso una veste da notte semitrasparente.
La seguii, abbandonando al sonno la seconda povera anima in quella stanza.
Mi tenni a debita distanza, calibrando ogni passo e ogni respiro.
La ragazza si avventurò sulle scale scendendo al piano terra dell’edificio. A tradire il silenzio dell’ingresso erano i suoi singhiozzi. Ogni tanto tirava su col naso e si asciugava il viso con una manica della veste.
Mi calai giù arrampicandomi sulla parete e poi sui pennacchi del colonnato che separava in tre navate l’ingresso. L’ombra di lei passò a tanto così da me, ma respirando piano l’oscurità fu sufficiente a nascondermi. Immobile come parte di quella pietra alla quale ero stretto col solo ausilio di braccia e gambe, la guardai proseguire spedita verso lo studio imboccando il corridoio.
Mi lasciai cadere sul pavimento e mi spostai di ombra in ombra fino alla stanza nella quale l’avevo vista entrare. Lanciai un’occhiata e mi accorsi della esile figura di lei dinnanzi la libreria sulla parete in fondo. Alzò un braccio, spostò un libro sullo scaffale e, come per magia, la libreria tutta si mosse lasciando intravedere delle scale che proseguivano sotto terra.
La ragazza iniziò la discese un gradino alla volta, ed io continuai a seguirla.
Dopo tre rampe di scale, dinnanzi a me si stagliò un’enorme sala circolare in pietra e marmo, illuminata da fiaccole e bracieri. In alto si apriva un lucernario difeso da alcune grate d’acciaio, e l’intero pavimento era traversato da una figurazione geometrica. Sette imponenti statue raffiguranti quattro uomini e tre donne in pose differenti, ma accomunate dal santuario che condividevano.
Ma che razza di posto è mai questo?…
Ero senza parole nel guardare un luogo di tale santità e bellezza, senza essermi reso conto di un ottava statua, fatta erigere da poco e ancora affiancata da un’impalcatura di legno. Ai piedi del piedistallo di questa stava la ragazza che avevo seguito. Inginocchiata a terra, con un palmo e la fronte premute contro la pietra, aveva cominciato a piangere, e le sue lacrime ticchettavano come gocce di pioggia sul pavimento. Singhiozzava e gemeva, preda delle convulsioni per il pianto.
Un passo falso, e col tacco del piede colpii uno scalpello da sculture che doveva essere caduto all’artista. Questo produsse un suono metallico che avvertì della mia presenza, e la ragazza si volse. Aveva smesso di piangere all’improvviso, ed ora i suoi occhi arrossati erano sgranati dalla paura e dalla sorpresa di trovarsi davanti un totale sconosciuto. Scattò in piedi e premette le spalle contro la pietra della statua. Le sfuggì un grido di puro terrore quando, pur di evitare che si mettesse a strillare aiuto, le ero andato incontro con la lama nascosta già tra le dita del pugno chiuso.
La strinse tra il mio e il corpo della statua, senza lasciarle via di fuga. –Non urlare- le suggerii.
Gli occhi sgranati dal terrore di lei sembravano quelli di un cerbiatto in trappola. Si limitò a tacere senza sapere se scoppiare a piangere oppure cominciare a gridare fino allo svenimento.
-Dove sono?- le chiesi dopo essermi accertato della sua collaborazione.
Ma come temevo, la ragazza tacque ancora.
-Rispondimi!- eruppi.
-Monteriggioni! Siete nella villa della mia famiglia!- singhiozzò lei.
-Che…- lo scettico divenni io. –Chi siete voi?-.
-…Claudia… Claudia Auditore…- gemé lei terrorizzata.
Quel nome non mi diceva nulla di nuovo. Il Frutto mi stava giocando con me senza avermi prima dettato le regole.
-Ti prego… mettila via… quella, giuro che non scappo…- sussurrò la ragazza, e colsi i suoi occhi puntati sulla mia lama nascosta che tenevo bassa e sfoderata. La richiamai nel polso all’istante. –Giura-.
-Giuro!- singhiozzò.
Mi scostai da lei lentamente, un passo alla volta. Non appena fui abbastanza, Claudia mi squadrò dalla testa ai piedi.
-Altaïr…- mormorò lei.
-Come sai il mio nome?- chiesi cupamente.
La ragazza sollevò la testa e, a bocca aperta, sembrò guardare qualcosa sullo sfondo alle mie spalle.  
Voltandomi seguii il suo sguardo, e in breve riconobbi il motivo di tanto stupore e incredulità.
La statua centrale, tra le sei poste a semi cerchio infondo alla sala, era la raffigurazione di un assassino del mio stesso rango. Ai suoi piedi vi era un busto vuoto di marmo bianco.
Il silenzio si fece pesante, quasi opprimente.
-Sei Altaïr…- disse di nuovo. –…Com’è possibile?- domandò, più a se stessa che ad altri.
Incrociai gli occhi coi suoi che erano tornati a posarsi su di me, sul mio equipaggiamento completo e sulla mia veste, in fedele riproduzione su quella statua.
-Chi sono queste persone?- le chiesi invece io, accogliendo con un gesto del braccio tutte e sei le altre statue.
-Assassini- rispose lei con incertezza. –Gli antenati… i tuoi antenati… quelli che vennero prima- aggiunse. La vidi scostarsi dalla statua alle sue spalle venendomi incontro. –Sto sognando… tu non puoi essere qui! È…-.
-Impossibile?- le suggerii con sarcasmo.
Claudia si chinò in ginocchio stringendosi le braccia attorno al ventre. –Sto sognando… è solo un sogno, un altro…- singhiozzò rannicchiandosi a terra. –Tra poco sarà tutto finito!- sussurrò a fior di labbra. –Adesso apro gli occhi e sparisce… al tre… uno… due…tre!-.
Mi sfuggì un sorriso sarcastico, ma probabilmente grazie all’ombra del cappuccio la ragazza non se ne accorse.
-Oh…- gemé tra le lacrime. –Perché non sparisci?!- strillò.
-Che modi di trattare il tuo predecessore sono questi? Alzati- cominciavo a spazientirmi. –Dimmi dove posso trovare qualcuno con un certo senno, in questo posto- sbottai.
La ragazza ubbidì e si rimise in piedi tremando come una foglia.
-Ecco, tuo padre per esempio- ipotizzai. –Sicuramente, chi paga l’artista che scolpisce questo genere di cose, saprà dirmi qualcosa d’interessante-.
-È morto- pronunciò Claudia con un’ombra in viso. E con un gesto del capo indicò l’ottava statua da poco comparsa nel Santuario e ancora in costruzione. –Accomodati pure-.
-Fa’ meno la spiritosa. Non ho tempo da perdere-.
-Mio fratello- disse allora lei. –Forse lui…-.
-E’ l’unico parente che hai?- chiesi stupito.
Claudia annuì. –Sta’ dormendo, ma…-.
-Potresti anche scomodarti di svegliarlo, che ne dici?- eruppi.
La ragazza sobbalzò. –Sì, perdonami…- si avviò.
Feci per seguirla, ma la ragazza si voltò di colpo. –Però tu aspetta qua-.
Assecondai il suo volere e la guardai allontanarsi su per le scale.

Ezio giunse nel Santuario che ancora si stava abbottonando la camicia. Svegliato di gran fretta dalla sorella, era smontato dal letto con un balzo, aveva afferrato i vestiti in corsa e ricominciato a vestirsi mentre scendeva i gradini. Claudia era dietro di lui, avvolta da una coperta di lana che si era gettata addosso prima di seguire il fratello maggiore.
Arrivato nel sotterraneo, lo trovò avvolto dall’oscurità e privo di qualsivoglia forma di vita o figura umana al di fuori delle statue. Lanciò un’occhiata qua e là, camminando verso il centro della sala, e chiamò anche “Altaïr!” ma nessuno gli rispose, e il silenzio di sua sorella era solo ulteriore fonte di sconforto.
-Claudia, qui non c’è nessuno- pronunciò serio.
-Te lo giuro…- mormorò lei. –Era qui… ha chiesto prima di papà… poi di te…-.
Ezio si voltò e le cinse le spalle in un abbraccio.
La ragazza cominciò a piangere contro il suo petto, soffocando i singhiozzi nel tessuto della camicia. –Era qui!- gemé. –Non stavo sognando… devi credermi!-.
Ezio le carezzò i capelli. –Sssh… non importa. Adesso torniamo a letto, forza…-.
I due risalirono i gradini del Santuario, e una volta nello studio di famiglia, il ragazzo richiuse il passaggio segreto e riaccompagnò la sorella sotto le coperte.

Mi affacciai da dietro la possente figura della mia statua, e li guardai sparire dietro l’angolo delle rampe di scale. Confusi la mia con l’ombra della statua, dopodiché mi permisi un sorriso dolce e soddisfatto.
È più che sufficiente…
Dopo quel pensiero, una luce accecante mi avvolse il campo visivo, e nel giro di pochi secondi mi ritrovai avvolto dall’oscurità e seduto a terra in un angolo della mia stanza, nella fortezza di Masyaf.
Sentii l’uscio della porta schiudersi poco a poco, mentre una spada di luce fendeva l’oscurità della stanza.
Questa volta non dissi nulla, e nella camera entrò il mio migliore amico. Malik si guardò attorno, accorgendosi di me con un sorriso. Mi venne incontro e mi porse l’unico braccio.
Accolsi la sua mano e mi aiutò ad alzarmi.











Angolo d'Autrice:
Questa fan fiction nasce da un sogno, diventata tale quando, dopo aver scaricato i contenuti Uplay, ho fatto un bel giretto per Villa Auditore vestito da Altaïr!
XD
Nel sogno originale era molto diversa: non comprendeva la parte iniziale e s’interrompeva quando Claudia andava a chiamare Ezio, ma mi sono impegnata nel trovare un finale più convincente aggiungendo queste due parti così distanti l’una dall’altra. ^^
Spero che abbia saputo emozionarvi come lo è stato per me scriverla e sognarla!
Un grazie in anticipo a lettori e recensori! A presto! :3
   
 
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