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Autore: Vala    14/01/2010    1 recensioni
Freddo, ho tanto freddo. E continuo a dondolare. Il cappello davanti a me resta desolatamente vuoto, i pochi spicci che c’erano dentro sono stati rubati da chissà chi mentre dormivo, sicuramente il ladro avrà beneficiato di pochi euro racimolati con l’umiltà di un povero senzatetto.
Questa è cronaca.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Freddo. Non ho nient’altro nella testa ora come ora, solo la sensazione di gelo profondo che mi impedisce di pensare a qualcosa che non sia bianco e ghiacciato. Vorrei muovere le mani, ma anch’esse sembrano essere paralizzate dalla morsa del freddo. Vorrei agitare le dita dei piedi per scaldarmi un po’, ma non sono più in grado di sentire i miei arti inferiori da qualche minuto. Le braccia tremano, la schiena trema, le cosce tremano. Trema il ventre teso per la fame, tremano le orecchie scoperte al vento ed il naso rosso dal quale cola una goccia di condensa. O mi sono preso il raffreddore. Questa sì che sarebbe un problema, ma al momento non sono in grado di curarmene. Penserò ad una soluzione dopo aver passato la notte. Se passerò la notte.
Rannicchiato nel mio cartone ascolto passare i treni, uno dopo l’altro, portano altro vento ed altro freddo assieme ai viaggiatori del buio, uomini e donne in giacca e cravatta con le loro valigette ed i cappotti pesanti, diretti ad una qualche riunione d’emergenza che non poteva aspettare un’ora decente alla luce calda del sole. Quanto tempo mancherà ancora prima che sorga la mia stufa ecologica? Tentare di sfregare le mani non serve, i guanti sono bagnati. Dovrei togliermeli, ma temo di perdere l’uso delle dita senza un minimo di protezione, anche se umida. Mi verrà un accidente se cala ancora la temperatura. E l’orologio della stazione segna le undici di sera. Non è nemmeno passata mezzanotte.
Mi giro di schiena ai treni, pessima idea, ora ho le folate di vento dirette sulla schiena. Allora mi giro di nuovo, ma nel farlo sposto i cartoni e devo alzarmi a sistemare il disastro che ho combinato. Il cartone dei mandarini va sopra quello della pasta, quello degli assorbenti sopra i mandarini e quello del cibo per gatti a chiudere il materasso accogliente. Poi c’è il cartone che mi ha regalato Mara che sta due fermate della metro più a nord, l’ha fregato direttamente dal camion dei traslochi, roba buona e resistente, fa da barriera al vento mentre poggio la schiena contro l’ultimo cartone della mia tana che mi isola dal muro umido del sottosuolo. Le tre coperte non bastano, continuo a tremare. Raccolgo le ginocchia al petto e dondolo, avanti e indietro, avanti e indietro, guardando le lancette dell’orologio scorrere lente, fin troppo lente. Sembrano rallentare apposta per prendermi in giro.
Passano accanto a me delle studentesse. Non si curano nemmeno di guardarmi. D’altra parte i loro genitori si saranno tanto raccomandati di non guardare nemmeno per sbaglio i barboni che vivono per strada perché potrebbero essere pericolosi. Ma sì, facciamo di tutta l’erba un fascio, io mezzo congelato sono pericoloso come Guido che sta alla stazione successiva a rapinare chi osa entrare nel bagno senza accompagnatore. O come Mara stessa che per passare il tempo allunga i piedi per far inciampare apposta i pendolari, solo per poi ridere di loro. Io anche se volessi non potrei allungare un dito, figurarsi un’intera gamba.
Freddo, ho tanto freddo. E continuo a dondolare. Il cappello davanti a me resta desolatamente vuoto, i pochi spicci che c’erano dentro sono stati rubati da chissà chi mentre dormivo, sicuramente il ladro avrà beneficiato di pochi euro racimolati con l’umiltà di un povero senzatetto. Un povero senzatetto che per casa ha cartoni e per vestiti delle vecchie coperte sporche. Se avessi ancora il naso potrei tentare di capire la portata della mia puzza, ma temo di non essere più in grado di annusare nulla. Non questa notte. Dondolo, e l’orologio opaco per il ghiaccio segnala mezzanotte. Auguri al nuovo giorno che spunta, con questo sono 1428, anzi 1429 giorni che dondolo in questo angolo di stazione della metro. Almeno 1200 giorni che non ho un lavoro nel vero senso della parola. Oltre un anno che ho perso ogni speranza di risollevarmi da qui, con o senza l’aiuto di associazioni umanitarie fatte di volontari che portano i pasti guardandoci come fenomeni da baraccone da tenere a distanza di sicurezza e da trattare con la giusta pietà riservata a chi è meno fortunato. Ma io sono fortunato. Io sono vivo. O almeno ora lo sono. Per esserlo davvero molto dovrei arrivare in fondo alla notte e vedere la nuova alba del mio 1429 giorno da barbone.
Nuovo fischio, nuovo treno. E io dondolo. Nuovi passeggeri che entrano ed escono. E io dondolo. Ora l’affluenza è minore, ma ci sarà nuova vita a breve quando usciranno i giovani dai locali. Non ho tenuto il conto di quanti anni sono che non ordino qualcosa da bere seduto in uno di quei posti chic in centro. Alla meglio prendo il caffè nelle macchinette in cima alle scale, o mi infilo nel bar della stazione centrale sperando nell’amicizia di vecchia data con la cameriera per rimediare qualcosa.
Le amicizie, che bella cosa. Ho tanti nuovi amici da quando sono qui. Tanti amici che mi vogliono bene e non aspettano altro che io crepi per prendere possesso dei miei cartoni e delle mie coperte. Ma tutto sommato sono dei buoni amici. Sempre meglio di quelli che avevo prima. Ti staremo sempre vicino, dicevano. Ti ospiteremo noi finché non ti sarai ripreso. Solo che l’ospite è come il pesce, puzza. Soprattutto se l’ospite non può dare nulla in cambio. E alla fine anche gli amici se ne vanno, troppo occupati, troppo presi da altro, troppo amici per aiutare davvero chi sta annegando.
Le due. Ma non posso dormire. Se chiudo gli occhi non li riapro più. Molto meglio attendere i caldi raggi del sole e spostarsi in una panchina al parco piuttosto che stare nella ghiacciaia. Le previsioni non hanno messo pioggia o neve, se sono fortunato rimedio anche un po’ di tintarella e una veloce lavata nella fontana. Voci. Sento delle voci che si avvicinano. Risate. Risate e gridolini di ragazze. Una comitiva di giovani. Ecco, stanno tornando a casa dopo le feste, o stancati di una si stanno spostando verso un’altra. Nulla che mi riguardi. Ma mi ha veramente riguardato un tempo? Non ho tenuto il conto nemmeno dei giorni trascorsi dall’ultima festa. Sabato, oggi è sabato. Lo so perché domani Mara va a chiedere l’elemosina fuori dalle chiese e mi ha chiesto di andare con lei. In due si prende meglio perché si copre più area. Allora il freddo non mi ha mandato a puttane il cervello, riesco ancora a pensare coerentemente a come sopravvivere. Una notte, qualche ora, il sole sorgerà tra poco, ci siamo quasi.
Qualcuno calpesta il mio cartone. Sento disgusto nella voce del ragazzo. Poi un calcio. Io dondolo, non reagisco. Non ha senso reagire. A che servirebbe poi? Sono solo ragazzi, stanno scherzando. Il secondo calcio mi prende sulla coscia, il dolore è utile, mi scalda. Da questo punto di vista mi stanno facendo un favore. Una ragazza grida, si lamenta e chiede di andare. Non vuole stare qui con me, lei vuole andare a ballare. Un’altra fa sfoggio di umanità e dice di lasciare stare il poveretto. Poveretto sono io. Visto, riesco anche a capire che parlano di me mentre mi prendono a calci. Il terzo viene da destra, sono in due o ha quattro gambe?
“…freddo…così…freddo…” canticchio sommessamente dondolando abbracciato alle mie ginocchia, non sento più nemmeno i colpi dato che le gambe si sono addormentate.
I ragazzi si fermano, forse si sono stancati. Ridono un po’ meno adesso. Si tastano, si chiedono qualcosa l’uno con l’altro. Che abbiano deciso di darmi qualche spicciolo? Smetto di dondolare ed alzo gli occhi. Per caso incrocio quelli di una ragazza che mi guarda colpevole. Forse non hanno intenzione di donare, semplicemente mi stanno prendendo in giro. Spero se ne vadano presto, devo andare in bagno, sempre che ce la faccia ad alzarmi in piedi. Freddo, troppo freddo. E loro hanno dei così bei giacconi in piuma d’oca. Eppure alcuni tremano visibilmente, che abbiano freddo come me? In questo caso dovrebbero sbrigarsi a tornare a casa così posso svuotarmi contro il solito angolino nascosto. La ragazza è una vera smidollata, forse viene da qualche posto molto caldo perché per il freddo sta piangendo. Mi guarda e piange. Ah, io i miei cartoni non glieli lascio usare di sicuro. Piangi pure bella, non avrai la mia casa.
Il suo ragazzo l’ha vista e ora la rimprovera. Ha qualcosa in mano, luccica. Sporgo una mano verso il cappello davanti a me, gli do un colpetto come per far loro capire dove devono posare le cose luccicanti se vogliono. Offerta libera. Accenno un sorriso stentato ed i maschi si mettono a ridere con me. Mi guardano e sembrano felici. Che brave persone. Il capobranco si è chinato su di me, ha un buon odore di profumo di marca, tiro un po’ il collo per vedere la cosa che luccica se vale tanto  quando brilla. Una scintilla. Oh, il freddo deve confondermi la vista. Per un momento mi è sembrato che brillasse davvero di luce propria.
“Hai freddo, amico?” mi chiedono facendomi passare davanti agli occhi la cosa che brilla, talmente vicino che posso sentirla emanare un po’ di calore. Caldo, quando arriva il caldo? Ho freddo, tanto freddo, e riprendo a dondolare sperando di far passare il disagio dei geloni.
La cosa brillante si ferma, si abbassa sulle mie mani coperte dai guanti. Io le sporgo aperte per ricevere il dono e sento attraverso la stoffa il calore. Sorrido e faccio un cenno di ringraziamento con il capo. La ragazza singhiozza forte e scappa via. Che smidollata. Non è così che ci si comporta. Avrebbe dovuto sorridere anche lei come facciamo noi e mostrarsi riconoscente e fiera del suo amico. Dopotutto cosa sarà mai un po’ di freddo di fronte alla bontà di quel ragazzo?
“oh!” sono sorpreso. La cosa brillante tra le mie mani è più pesante di pochi spiccioli, e ha una forma rettangolare che mal si adatta a quella del denaro. E scotta. È calore quello che sento? È davvero calore? Era tanto che non sentivo un calore simile. Questi non sono soldi. Questa non è elemosina.
“Allora, hai ancora freddo, amico?” questo non è un amico. Non è il tono che userebbe un amico. Le mie mani, ho tanto caldo ora. I miei guanti brillano, tutto brilla. L’accendino cade a terra ed il ragazzo ridendo lo raccoglie. Le ragazze ora urlano, scappano via spaventate. E le mie mani, tanto caldo alle mani. Cerco di togliermi i guanti, ma non posso togliere quello che non c’è più. I miei guanti, costati tante contrattazioni, sono andati, svaniti nell’avvolgente calore che si sta diffondendo alle braccia. Caldo, troppo caldo. Mi dimeno, cerco di allontanarmi. Ma a che scopo? In fondo è stato gentile, avevo freddo e lui voleva scaldarmi. Passi veloci, corrono via. Il loro dovere l’hanno fatto. E io non ho più freddo.
Caldo. Tanto, troppo caldo. Ora lo sento meglio. Il sole si sta alzando ore prima del previsto quest’oggi. E scalda tantissimo. Ho visto un’altra alba. Sono stato fortunato. Spero di esserlo altrettanto anche la prossima notte.
  
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