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Autore: MartinaN    17/01/2010    1 recensioni
Era uno di quei momenti in cui tutto perdeva consistenza, fino a sfaldarsi in un caleidoscopio di luci e ombre. E non importava se in quel momento stava suonando come un forsennato una chitarra elettrica collegata ad un amplificatore da venti watt: per Gregory House tutta la stanza era immersa in un silenzio assoluto. [FanFiction partecipante all'iniziativa Criticombola indetta da Criticoni.net]
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, James Wilson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Doverosa premessa: Questa FanFiction partecipa all’iniziativa Criticombola indetta da Criticoni.net. Il prompt utilizzato è il numero 86 – solo un’ombra di quel che è.

Varie ed eventuali: Mi sento piuttosto soddisfatta di me stessa, sono riuscita a fare ambo *__* ! Ok, mettiamo da parte i miei festeggiamenti. All'inizio non sapevo cosa associare al prompt - ovvero l'immagine con l'ombra di un uomo che suona la chitarra. Poi ho pensato ad uno dei miei fandom preferiti, Dr. House, e lì è scattata la scintilla. Ovviamente con il mitico duo, House e Wilson (alias Holmes e Watson xD. Ok, devo smetterla di fare pensieri assurdi, lo so. Però dovete ammettere che c'è una certa somiglianza!). Dedicata a Kia. Perchè siamo innamorate pazze del telefilm e di Chase *ç* . Perchè io sono Wilson e tu House xD. Perchè non mi annoio mai con te, sia in chat sia durante i nostri vari incontri. Perchè ti voglio bene, e tu lo sai <3 Beh, direi che è tutto. Enjoy!

 

 

Quale verità?

 

Era uno di quei momenti in cui tutto perdeva consistenza, fino a sfaldarsi in un caleidoscopio di luci e ombre. E non importava se in quel momento stava suonando come un forsennato una chitarra elettrica collegata ad un amplificatore da venti watt: per Gregory House tutta la stanza era immersa in un silenzio assoluto.

Le dita della mano sinistra scorrevano distrattamente sulle corde, mentre la mano destra impugnava saldamente il piccolo plettro nero. Le labbra fremevano appena, mormorando frammenti di una canzone ormai conosciuta a memoria. Ma, soprattutto, il cuore correva come un pazzo, cercando di stare al tempo con la melodia rock. Era una routine che rispettava religiosamente da molti, forse troppi anni. Ma quel giorno c’era qualcosa di diverso nei suoi movimenti, nella sua aria assorta.

La causa di quelle stranezze era da ricercare in un evento che non sembrava voler smettere di tormentarlo. L’uomo sospirò, interrompendo per un attimo il suo passatempo preferito, e chiuse gli occhi. Decisamente meglio: senza la vista il suo corpo poteva concentrarsi meglio sugli altri sensi. Questo implicava una maggiore percezione di ciò che stava suonando. E questo, a sua volta, implicava una minore possibilità di distrarsi ripensando a ciò che era successo.

Perfetto. O quasi.

Gli parve di sentire un rumore estraneo che spezzava quell’utopistico silenzio. Un vicino venuto a lamentarsi per il fracasso? House scosse le spalle, imperturbabile, e si immerse di nuovo in quella temporanea estasi. Per motivi a lui sconosciuti, quel giorno nulla sembrava andare come previsto. Non riusciva a rilassarsi, non riusciva a isolarsi da quel mondo esterno così mediocre.

«HOUSE!» Conosceva quella voce. Aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare un James Wilson piuttosto irritato.

«Credevo di averti fregato la copia della chiave di casa mia.» Constatò sarcastico.

«E io credevo che tu mi conoscessi meglio. Ovviamente avevo una copia di riserva.» Ribattè l’uomo. Nessuno dei due sapeva cosa dire.

«Guns N’ Roses, eh?» Domandò infine Wilson, alludendo alla melodia che stava suonando l’amico.

«November rain.» Confermò lui. Ancora silenzio.

«Che cosa ci fai qui?» Domandò infine il diagnosta.

«Lo sai benissimo.»

«Sei qui perchè vuoi vedermi piangere? Sei qui perchè speri di sentirmi ammettere che sono triste?» Chiese con un tono quasi beffeggiatorio.

«Sei qui perchè vuoi sentirti dire che tengo l’orologio che mi ha regalato Kutner perchè mi ricorda lui?» Stavolta la domanda fu poco più di un sussurro.

«No, non sono qui per questo.»

«Allora perchè?»

«Non sono qui perchè voglio sentirti dire quelle cose, ma perchè so che ti senti frustrato e turbato. Persino in Gregory House esistono delle emozioni.»

«Ora non ricomincerai con la tua predica da persona traboccante di empatia...»

«Puoi raccontare cazzate a chi vuoi, ma non a me. Ti conosco.» Wilson aveva detto una parolaccia: brutto segno. Lo faceva solo quando era particolarmente arrabbiato o triste. O entrambe le cose.

«Ma non abbastanza.» In un modo o nell’altro, Greg doveva sempre avere l’ultima parola.

L’oncologo fece per replicare, ma poi si limitò a sospirare e si passò una mano fra i capelli. Un altro tipico gesto che indicava ansia e rassegnazione.

«Allora, la tua visita ha uno scopo concreto?»

«Perchè non sei venuto al funerale?»

«Avevo da fare.» Fu la laconica risposta. Wilson sospirò.

«Dovrò tirare a indovinare.»

«Sei troppo ingenuo per indovinare.» Una replica troppo secca e immediata. C’era qualcosa sotto.

«Sai che c’è? Non mi importa. Qualsiasi cosa io dica, tu negherai imperterrito. Persino se si tratta di qualcosa che si avvicina alla verità.» Sbottò l’uomo scuotendo la testa.

«Quale verità, James?»

Quelle parole lo colsero di sorpresa. Si trattava di una domanda alquanto astrusa, ma non il tipo di domande retoriche poste dal suo migliore amico. E l’aveva chiamato James. C’era davvero qualcosa che turbava House. Mancava solo il passo essenziale per la risoluzione del problema.

«Ci sono molti tipi di verità, e non sai quale vuoi sentirti dire.» Continuò il diagnosta «...E neppure io.» Aggiunse dopo un attimo di esitazione.

«Dimmi ciò che pensi.» Lo esortò Wilson sedendosi sul divano. I suoi occhi castani non lasciarono per un istante quelli azzurri di House: quello sguardo significava “non ti permetterò di cambiare discorso, non questa volta”.

E House iniziò a suonare la chitarra. Lentamente, come se temessero di profanare qualcosa di sacro, le dita corsero sulle corde. Si trattava di una melodia che James non conosceva, ma che emanava da ogni singola nota una struggente malinconia. E i suoi occhi. Fissavano l’amico, ma in realtà erano concentrate su qualcosa di diversissimo.

Trascorsero pochi minuti, ma furono minuti intrisi di salda eternità. Greg mise definitivamente da parte lo strumento musicale e si sedette accanto a Wilson.

«La verità è che non c’è nulla da dire. Non penso nulla. È come se mi trovassi in una situazione sconosciuta. Eppure mi è già capitato...» Tacque, realizzando con chi stava parlando. Gli occhi di James si adombrarono per qualche istante, ma l’uomo era troppo incuriosito per prestare veramente attenzione al dolore. House... House si stava confidando con lui. Non era una cosa che succedeva tutti i giorni.

«Forse hai ragione tu. Non c’è nulla da dire.» Mormorò Wilson. Sapeva benissimo che non avrebbe ottenuto parole più esplicite da House. Ma in fondo non ce n’era bisogno: aveva già capito tutto.

  
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