Fanfic su artisti musicali > Muse
Ricorda la storia  |      
Autore: Stregatta    22/01/2010    6 recensioni
Oddio, temo che se non la piantiamo qui gli verrà un colpo per l’agitazione.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Una catena di falsità gratuite ispirata alla prima domanda di quest’intervista… (Qualcuno sedi il cantante, per carità di Dio!)
(E mentre il narcotico fa effetto… Enjoy X3!)
 
 
We Need To Talk
(Ask a Friend)
 
 
1/2
 
The Kind, Blond and Leathery One.
 
 
 
Oddio, temo che se non la piantiamo qui gli verrà un colpo per l’agitazione.
Di fronte ad un divertito ed in minima misura preoccupato Dominic Howard, un esagitato ed imbarazzatissimo fascio di nervi rispondente al nome di Matthew Bellamy ed alla carica di frontman dei Muse cincischiava alla ricerca di tre aggettivi in grado di descrivere appieno l’amico lì presente, come richiesto dalla prima domanda dell’intervistatore.
Una faccenda piuttosto seria per Matthew, dato che era noto a chiunque avesse avuto a che fare con lui quanto detestasse scendere in dettagli personali riguardo le proprie relazioni affettive.
Fin quando si trattava di George Orwell, Camille Saint-Saëns e Nassim Taleb nessuno riusciva ad arginare la sua logorrea; per metterlo in difficoltà bastava chiedergli cosa pensasse dei suoi amici.
 
Per il primo aggettivo, Matt riuscì a pronunciare un trionfante e tutto sommato neutro “gentile”, a cui seguì una risatina educatamente nascosta dietro al palmo di una mano da parte di Dominic.
Gentile... Un tantino generico. E falso. Insomma, prendi una mattina qualunque all’interno del tourbus. Ci sei tu in boxer e maglietta extra-large che sorseggi caffè lungo fissando con sguardo ebete fuori dal finestrino, accorgendoti a malapena del fatto che ti sto arrivando di soppiatto alle spalle con l’intento di approfittarmi della tua sonnolenza e farti infartare con un “boooh!” nell’orecchio.
Questo non è gentile. Come non lo è il mio prenderti in giro per i tuoi vestiti – ti sei arrabbiato da morire quando ho osato suggerirti un utilizzo migliore della giacca che stai indossando proprio ora. Regalarla a tuo nonno. Imbottire la cuccia del mio piccolo Hendrix. Spazzare il camino di casa tua.
Poi, ok, mi piace darti sui nervi in studio. Picchiare sulla batteria mentre stai spiegando a Chris la tua idea di “riff degno di questo nome”, ad esempio. Mi piace come mi fulmini con lo sguardo, senza parlare.
Mi piace provocarti.
Questo è ben lungi dall’essere gentile.
 
Dopo una breve pausa di riflessione, Matt si cavò di bocca un “vanitoso” che rinnegò un secondo più tardi dubitando della validità di esso come aggettivo – in grammatica non era mai stato una cima – e rimpiazzandolo con un lapalissiano “biondo”.
Stavolta Dom rise di cuore, seguito a ruota dall’amico.
Ma sì, dai. In fondo vai matto per i miei capelli. Mi hai raccontato anni fa di come la  caratteristica fisica che ti aveva più colpito di me la prima volta in cui ci siamo parlati fosse stata proprio quella chioma lunga che sfoggiavo tanto orgogliosamente a sedici anni – e che mi faceva sembrare gaio come un pic-nic in una domenica di sole.
C’era vento, quel giorno, e grosse nuvole color cenere che scaricavano pioggia sul mare, lontano dalla costa. Il Den era deserto e io ero seduto nel mezzo, sull’erba.
Mi piace ancora tanto quel posto. Non quando i mocciosi giocano a calcio o le coppiette amoreggiano sulle panchine – ma con il dovuto contegno, perché “qui ci conoscono tutti e non è il caso”. Mi piace quando le mamme si riprendono i piccoli e i ragazzini vanno a pomiciare nelle loro camerette o si rifugiano al Pier, perché il temporale sta risalendo verso la baia e presto infurierà sulla città. Amo la calma prima della tempesta.
Insomma, era una di quelle giornate e tu mi hai rivolto la parola perché…
- Sai, i tuoi capelli svolazzavano nel vento assumendo forme fantastiche… Da dietro, poi, credevo fossi una ragazza e quindi, be’, non avevo problemi a fantasticare su… Su quanto saresti stata bella. Come ragazza ti immaginavo bella. Poi, vabbe’, quando ti sei girato per rispondere al mio saluto ho visto che eri un maschio e... Insomma, niente. -
Ammetto che una domanda mi è rimasta sulla punta della lingua, quel giorno – è che ti ho visto così rilassato e propenso a dispensare confidenze, sdraiato sul letto della tua camera incasinata di quell’albergo a Budapest… Forse dipendeva anche dall’alcool, non so. Ma io non avevo bevuto e quindi ricordavo perfettamente come ti innervosissi se messo sotto torchio, perciò ho taciuto.
Ero curioso di sapere se mi trovavi bello lo stesso. In fondo, non hai avuto torto a definirmi vanitoso.
 
 
L’ultimo aggettivo fu accompagnato da un misterioso ondeggiare delle dita di Matt, che di seguito si guardò attorno come se avesse pronunciato chissà quale scandalosa ingiuria; certo, forse nella sua testolina contorta qualsiasi allusione ad indumenti di pelle doveva per forza ricondurre a pensieri di dubbia moralità.
E poi, in caso, che problema c’era?
 
 
Io amo la pelle. Amo il fatto che pur essendo “pelle” sia fredda e scivolosa e per nulla sensuale – anzi, puzza persino un po’. Quella vera, intendo, che esce dritta dritta dalle pelletterie più “in” dopo essere stata scambiata con un pacco di soldi.
Quella che indosso ora è eco-pelle, invece – non che sia meno onerosa per le mie tasche, forse lo è appena per la mia coscienza.
L’hai scelta tu, questa giacca. Io neanche l’avevo vista, mimetizzata in una delle rastrelliere dell’atelier di Galliano a New York – e all’improvviso l’hai tirata fuori, mettendomela in mano a forza.
- Provatela. –
La commessa della boutique ti ha guardato in cagnesco, poiché era compito suo prendere gli abiti indicati dal cliente. Più il negozio è di lusso, più i salamelecchi ed il rituale da rispettare aumentano in rigidità – mica come al Wal-Mart.
Credo di aver goduto da matti nell’ignorarla bellamente e nell’infilarmi la giacca sotto i suoi ed i tuoi occhi.
Mi cadeva bene addosso, come se stesse aspettando solo me per essere riempita.
- Wow. Hai scelto bene. –
Hai sorriso, incrociando le braccia sul petto con aria soddisfatta. – Ogni tanto ci azzecco anch’io, visto? –
Ti sei avvicinato per chiudermi la zip, sistemandomi prima la giacca sulle spalle: la commessa ormai si era voltata dall’altra parte, forse sopraffatta da tanta scempiaggine europea.
- Sembra piuttosto morbida. –
- Mhm, sì. Senti. –
È stato divertente, il modo in cui la tua mano ha perso improvvisamente ogni parvenza di nerbo quando te l’ho afferrata ed appoggiata sul mio braccio.
Era come morta, molle ed accodiscendente nel tastare la consistenza flessibile del tessuto lungo il mio bicipite, il mio gomito, il mio avambraccio.
Respiravi dalla bocca. Il rumore di ogni espirazione era udibile distintamente, da quanto eravamo vicini.
- Credo che la comprerò… Anche perchè altrimenti Crudelia De Mon potrebbe prenderla sul personale, povera. –
Ti sei fatto una risata ai danni della commessa e la tua mano è risuscitata in un baleno.
 
E poi la gente mi dice che sono cattivo… Quella volta ti ho salvato in corner, Bells.
 
Borbottando qualcosa di inintellegibile, Matt affidò il microfono al batterista – la tortura per lui era finita: adesso era compito di Dom omettere dettagli, rimuovere ricordi ambigui e mantenere tutto il più superficiale possibile.
No problem. Era la stessa storia da almeno un quindicennio, con Matt.
 
 
2/2
 
The Frantic, (sometimes) Confusing and Brown One.
 
 
Finalmente, venne il turno per Dominic di prendere il microfono in mano e dire la sua riguardo la domanda sottoposta dal giornalista.
Matthew non era mai stato tanto felice di cedere la parola al batterista, né era mai stato tanto attratto da un barattolo di tè nero sfuso in vita sua: ne annusò il contenuto distrattamente, estraendone un pizzico per strofinarlo sui polpastrelli di pollice ed indice mentre Dom si atteneva al suo compito.
-… frenetico. –
La telecamera si preparò a cogliere un primo piano di Matthew Bellamy che, quasi rassegnato, annuiva concorde.
E di certo non sto facendo nulla per smentirmi… Cazzo, sto sudando. Ho fatto male a mettermi la giacca.
… ma chi voglio imbrogliare, ho semplicemente fatto male ad accettare di sottopormi a quest’intervista.
Sono un ansioso, e un timido. Non posso farci nulla se odio parlare della mia sfera privata – dipendesse da me, Gaia non avrebbe neanche un profilo su FaceBook e la redazione di Cosmopolitan se la sarebbe sognata, altro che intervista esclusiva. Cristo santissimo, sono paranoico a livello patologico – ha ragione lei e anche Dom… Solo che, ecco, lei con soggetti del genere ci lavora ogni giorno mentre lui… Be’, lui ha solo me ed in più il suo approccio non è dei più scientifici…
“Rilassati, amico.”
Certo, sembra facile! Anche a me piacerebbe essere tranquillo com’è sempre lui, cosa crede? È che non ci riesco. Voglio tutto sotto controllo e dire tutto quel che c’è da dire e per farlo devo pensare troppo e a velocità troppo elevata e l’interlocutore va in…
 
- … mandi gli altri in confusione, qualche volta. -
 
… esatto, Dom… Confusione.
Sono abituato ai giornalisti che annuiscono con aria incerta di fronte ai miei discorsi – hanno tutti la stessa espressione, è quasi divertente.
Non mi stanno dietro. Certe volte neanche tu o Chris ci riuscite ed è così frustrante, perché avviene sempre in sede di registrazione e non farmi capire in quel caso mi fa talmente incazzare!
Una volta mi hai detto che neanch’io so cosa voglio, in realtà.
Eravamo reduci dall’incisione di I Belong To You, e io mi stavo lamentando del fatto che avrei dovuto cantare in francese e io con le lingue straniere ci ho sempre fatto a pugni – non conosco neanche l’italiano, se non un paio di frasi da utilizzare al ristorante, “ti amo” e un paio di testi di quel cantante… Insomma, quello che piace a Gaia, quello con il nome di un pittore… Cimabue, mi pare.
- Matt, sembra che neanche tu sappia ciò che vuoi! Lo hai deciso tu… Possiamo semplicemente omettere quel pezzo e lasciare la canzone così com’è. – hai obiettato, tirando fuori una sigaretta e offrendomi un tiro dopo averla accesa.
- No, grazie… Comunque non se ne parla. Ci tengo troppo. –
- E ti rifiuti di spiegarci il perché. – hai sorriso, espirando il fumo dalle narici. Io non ne sono mai stato capace, ogni tentativo è finito con rantoli e colpi di tosse stizzosa.
C’era tanto sole, sul terrazzo. La casa ha una magnifica ubicazione.
Sotto sotto, ho invidiato il modo in cui la luce ti schiariva i capelli ed il modo in cui sembravi sopportare il caldo che già mi stava facendo grondare di sudore.
- Be’, perché è meravigliosa… Non ti basta? –
- Ci sono tante altre arie che ti esaltano, Bells, ed alcune sono in linguaggi un tantino più accessibili del francese… Ci sono troppi intoppi per quanto riguarda i suoni, troppe “r” che non riusciresti mai a riprodurre…Per via di difetti strutturali, sai com’è. –
Sei scoppiato a ridere, e io con te.
- Dio, ma è così evidente? –
- “Wock ‘n’ Woll”? Sì, è piuttosto lampante! – hai confermato, aggiungendo subito dopo: - … ma le fans lo trovano adorabile. –
- Dominic, vorrei ricordarti che sono le stesse fans che mi trovano sexy. Capirai che c’è un problema di fondo, in tutto questo. –
Hai affondato il mozzicone di sigaretta nella sabbia del posacenere esterno, mormorando: - Sì, nella tua testa. –
Si è alzata una brezza tiepida, che ci ha scompigliato appena i capelli: appoggiandoti alla balaustra hai esposto il collo a quella bava di vento, tirando indietro la testa e ti sei riaggiustato gli occhiali da sole sul viso, sospirando.
- Allora? Che intenzioni hai con ‘sto francese? –
Ho incrociato le braccia sul petto, proponendo: - Mhm… Non so… Cioè, visto che ti sei trasferito in pianta stabile a Nizza e che col francese hai fatto passi da gigante, perché evidentemente non sei un impedito come me…! –
- … vuoi che ti dia delle lezioni di pronuncia? –
Ho annuito, ancora a braccia conserte.
Mi hai guardato da sopra le lenti degli aviators, incredulo.
- Davvero? Cavolo… Ci tieni parecchio a questa cosa. –
Ho ridacchiato, sistemandomi i capelli sulla nuca.
- Parecchio, già. –
Mi sono sforzato di sostenere il tuo sguardo scettico – perché mai dovevi fissarmi a quel modo?
Era solo un favore.
- … se vuoi ti pago, eh! –
- Vaffanculo, Bells! – sei scoppiato a ridere, rintuzzando gli occhiali da sole – com’è che si dice in francese? “Lunettes du soleil”, mi pare? – nel taschino della maglietta.
Sono rientrato con il tuo braccio sulle spalle e una certa dose di sudore in più – il luglio di Como è micidiale, giuro!
 
 
Per l’ultimo aggettivo, anche la fantasia di Dom cedette al più ovvio dei suggerimenti.
-… castano, sì. –
Matt sorrise ironico, ancora intento a radunare granellini di tè sul piano del tavolo, neri e minuscoli come formiche neonate.
 
Castano? Adesso sì.
Credo per la prima volta in vita mia di trovarmi davvero a mio agio con la mia tonalità originale – anche se mia madre diceva sempre che mi addolciva il viso ed in fondo ne ho davvero bisogno… Sono tutto uno spigolo in faccia, nonché nel fisico.
Non credo che ci si soffermi abbastanza a considerare il valore di un cambio di pettinatura o di una colorazione diametralmente opposta alla precedente.
Io sono stato blu, rosso, biondo, moro... Certe volte guardo alle mie vecchie fotografie come se il soggetto raffigurato non fosse neanche un mio lontano parente, tanto la somiglianza fra le mie varie identità sembra totalmente non pervenuta.
Fatico a riconoscermi, fatico a ricordare perché cacchio avessi deciso che il rosso estintore fosse il colore giusto del quale rivestirmi… Fra l’altro ci ho messo poco a stancarmene e la faccenda mi faceva anche irritare perché avevo dovuto attraversare un iter pazzesco di preparazione, tra decolorazioni e quant’altro.
Ora sto bene così, e piaccio di più a tutti – soprattutto ai genitori di Gaia, che non erano esattamente al settimo cielo quando hanno scoperto che la loro bambina usciva con il frontman di una band inglese che neanche sapeva spiccicare un “Buongiorno” in italiano.
Mi sono stufato di essere schiavo della tinta – ritocchi mensili, shampoo apposito… Che palle.
E poi basta con le finzioni… Ho i capelli castani, e vanno benissimo così – che pensiero stupido… Come se smettere di tingersi fosse uno statement contro la menzogna! Tanto più che…
 
- Bene… Prossima domanda. –
Matt raccolse il tè, rimettendolo nel barattolino e sforzandosi di ignorare lo sguardo di Dominic mentre gli restituiva il microfono.
 
… tanto più che di menzogne ne racconto abbastanza anche adesso.
 
 
 
 
 
 
 
 
Una BellDom, mhm… Deve avermi dato di volta il cervello. *si schiaffeggia la fronte*
A parte gli scherzi, non è un pairing che mi faccia impazzire (sono carini, tutto qui xD) ma un paio di spunti da parte ce l’ho ed intendo svilupparli in maniera adeguata in altre one-shot, prossimamente u.u Anche perchè riguardano tutti un Dom un po’… Bagascia? Vi spiace se lo esprimo in questi termini xD? E io adoro descriverlo così <3 Fra l’altro… Dio, personalmente l’ho trovato incredilmente sexy. Immaginare la faccenda della giacca mi ha tipo fatto rabbrividire. Credo che dipenda dal fatto che in quell’intervista è davvero, davvero figo. Il modo in cui dice “brown”… *brivido*
 
Lo stile è un po’ “sperimentale”, per quanto mi riguarda – è così colloquiale che fatico a rivedermici xD!
Niente, ho provato ad adattarmi al carattere (cioè, come lo vedo io) dei due squinzi: per Dom ho cercato di instillare un senso di “quasi quasi mi pesa il culo pure di ricordare aneddoti” e per Matt un senso di “oddio devo dire un fottio di cose ma non ho tempo e poi perdo il filo così facilmente – ooooh, guarda, una farfallina! *O* – ehm… Dicevo?” xDDDD Spero di essermela cavata dignitosamente – altrimenti fatemelo sapere se vi va, ecco <3
 
Bye, guys :*************!
 
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Muse / Vai alla pagina dell'autore: Stregatta