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Autore: Red S i n n e r    22/01/2010    4 recensioni
Rideva Mello e con boria affermava “Io diventerò il successore di Elle.”
E non c’era dubbio o perplessità nelle sue risposte - lui sapeva, lui voleva - e sogni risplendevano nei suoi occhi azzurri.
Matt lo guardava e ne moriva lentamente, con la stessa pacata lentezza con cui il fumo sale in lente spirali, con la stessa pacata indifferenza con cui lui soleva attraversare la vita guardando dalla finestra, moriva dei sogni di Mello perché sapeva che, presto o tardi, il loro splendore avrebbe intaccato e corroso il ricordo che Mello possedeva di lui, sarebbe stato dimenticato, lo sapeva, ma continuava a sorridere guardando fuori dalla finestra.
Matt/Mello, angst.
{Storia partecipante al contest "La solitudine dei numeri primi" indetto da okelio sul forum di efp. Contest annullato per penuria di concorrenti.}
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Matt, Mello
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Red S i n n e r
Titolo: Sogni risplendono; solo rabbia da estinguere.
Genere: Malinconico, Introspettivo.
Rating: Arancione.
Avvertimenti: Missing Moment, One shot, Yaoi/Shonen-ai.
Introduzione: 
Rideva Mello e con boria affermava “Io diventerò il successore di Elle.”

E non c’era dubbio o perplessità nelle sue risposte  - lui sapeva, lui voleva - e sogni risplendevano nei suoi occhi azzurri.

Matt lo guardava e ne moriva lentamente, con la stessa pacata lentezza con cui il fumo sale in lente spirali, con la stessa pacata indifferenza con cui lui soleva attraversare la vita guardando dalla finestra, moriva dei sogni di Mello perché sapeva che, presto o tardi, il loro splendore avrebbe intaccato e corroso il ricordo che Mello possedeva di lui, sarebbe stato dimenticato, lo sapeva, ma continuava a sorridere guardando fuori dalla finestra.

N.d.a(facoltative) Salve! ** Ho cercato di riprodurre dei momenti, piccoli stralci di momenti in verità, della vita di Matt ed ovviamente di quella di Mello.Ci sono i momenti alla wammy’s house, visti da Matt seduto alla finestra, c’è l’abbandono alla sua casa, c’è la ricerca e poi la fine, come filo conduttore una sigaretta e il suo fumo perché per descrivere la vita di Matt non trovo nulla di più perfetto.

P.s: Questa fanfiction avrebbe dovuto partecipare al contest "La solitudine dei numeri primi" indetto da okelio sul forum di Efp. Purtroppo il contest è stato annulato per penuria di concorrenti ma la storia è rimasta. La frase in grassetto è tratta dal libro omonimo a cui il contest era dedicato.

Spero vi piaccia. **

Red.

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Ti uccideranno.

Ti uccideranno e sai che non te ne importerà  nulla, o almeno non quanto dovrebbe importati di te stesso,  ma non ti spaventi.
Osservi il mondo da una finestra senza aver il coraggio di guardarlo veramente, ammiri la spirale di fumo che si alza dalla sigaretta e sale, sale, sale. Poi svanisce.
E di nuovo nasce, di nuovo muore - ma il mondo è fuori dalla finestra! - e sale, sale, sale, sale.
Un sospiro stanco, che sa di noia e routine, potrebbe anche non essere mai nato ma tu lo sai: anche lui è nato per morire.
“Che palle.”

Sale, sale, sale; almeno il fumo sale.

 
Sogni risplendono;
solo
rabbia
da estinguere.

 

Nella sua vita non aveva mai preso le parti di nessuno, era sempre stato imparziale o forse quietamente disinteressato nei confronti di tutto ciò che lo riguardava.

 Alla Wammy’s house  non si era mai impegnato come tutti gli altri, non gli era mai importato nulla delle classifiche né tantomeno di succedere ad elle e, francamente, non aveva mai capito perché tutti gli altri si affannassero così tanto nel tentativo di perfezionarsi e di superare il proprio record personale.

Non aveva mai veramente pensato ad un suo possibile futuro, non aveva mai voluto vedere Elle, non era mai entrato in competizione con chicchessia per questo o quell’altro posto; lui era il numero tre ma se fosse stato il numero cento non sarebbe poi cambiato molto.

Spesso si sedeva sul davanzale della finestra, abbastanza comodo e largo da poter essere usato come inusuale poltrona, e guardava fuori dalla finestra. In linea di massima era contento così, tranquillo e magari a fumare una sigaretta, guardava gli altri orfani correre oppure osservava il cielo.

Mello gli era sempre addosso quando lo vedeva con quello sguardo assorto, a guardare tutto senza mai dire nulla.

“Ma ti diverte così tanto?” sbottava scettico, di tanto in tanto, osservando di sbieco il suo compagno di stanza. “Guardare dalla finestra, intendo.”

Matt socchiudeva gli occhi come un gatto, sorridendo appena,  non lo guardava e non gli rispondeva mai e Mello, troppo preso dal battere Near, interpretava quel silenzio come un assenso.

Ma no, la verità era che non lo divertiva.  Provava una sorta di malinconica calma, un’insofferenza controllata che saliva e scendeva, saliva e scendeva, scemava appena e si infrangeva nei sorrisi altrui; poi ritornava indietro, increspandogli il viso, in una smorfia che forse era il pallido riferimento ad un sorriso.

Era strano come alla volte rimanesse ore intere ad osservare i giochi altrui, strano e stupido, a tratti patetico ma non sembrava provare interesse nemmeno per la sua stessa vita e per trovare il modo giusto, o solo un modo a caso, per poterla vivere.

Guardava gli altri, pacato e distaccato, così diverso da Mello che era tutto fuorché calmo, gli viveva accanto senza vivere, lo osservava e basta, ne era affascinato o forse solo stupidamente innamorato.

 

Ed era tranquillo mentre guardava il cielo fuori dalla finestra, ed aveva imparato ad accogliere come familiare quella sensazione disarmante che lo coglieva nella solitudine, quella dolceamara sensazione che gli riempiva gli occhi di triste consapevolezza e di un filo di rimpianto ingiustificato, ma poi arrivava, quella sensazione scomoda e maligna, quella di star sprecando tempo.

E se lo sentiva proprio sulle mani che gli scivolava via, come stupida sabbia che si infilava negli occhi, che bruciava la pelle e si sentiva stupido, stupido e mortalmente solo, perché si era accorto di essere fermo e di essere stato superato.

Da quanto tutto il mondo aveva iniziato a correre?

Sentiva che anche Mello era andato via -  maratoneta tra i tanti che rincorrevano il sogno della successione di Elle - ed era rimasto indietro, troppo indietro, era rimasto a sprecare quel tempo che non sarebbe più tornato.

Ed era allora che i suoi occhi si riempivano di solitudine e li chiudeva, per non farli vedere a nessuno, e continuava ad ascoltare Mello e i suoi infiniti discorsi, e si chiedeva, come sempre, per quale ragione non desiderasse nulla, e perché  non sapesse cosa farne della sua vita.

 

Amava i videogiochi e fumare… e poi?

Alle domande non sapeva rispondere, da silenzioso osservatore qual’era, aveva solo imparato a porle per questo lui e Mello - che amava smodatamente rispondere -, in qualche modo, insieme avevano un senso.

“Cosa farai una volta uscito da qui?”, gli chiedeva Mello più per noia che per interesse.

E lui si trovava a sorridere con gli occhi bassi, sorrideva sempre ma mai veramente, e Mello lo sapeva, “Non lo so.” Affermava poi distaccato, “E tu?”

Ed era questo il punto! La domanda posta era sempre più importante della risposta da lui data, e Mello lo sapeva, per questo domandava.

Rideva Mello e con boria affermava “Io diventerò il successore di Elle.”

E non c’era dubbio o perplessità nelle sue risposte  - lui sapeva, lui voleva - e sogni risplendevano nei suoi occhi azzurri.

Matt lo guardava e ne moriva lentamente, con la stessa pacata lentezza con cui il fumo sale in lente spirali, con la stessa pacata indifferenza con cui lui soleva attraversare la vita guardando dalla finestra, moriva dei sogni di Mello perché sapeva che, presto o tardi, il loro splendore avrebbe intaccato e corroso il ricordo che Mello possedeva di lui, sarebbe stato dimenticato, lo sapeva, ma continuava a sorridere guardando fuori dalla finestra.

 

“Perché non ti arrabbi mai?”, gli chiese un giorno Mello, dopo aver sbraitato per circa un’ora riguardo l’ennesima vittoria di Near.

Matt stavolta lo guardò, dalla sua solita postazione, senza sorridere. “Perché non serve a niente.” Decretò infine, con studiata noncuranza.

Mello lo guadò un attimo sovrappensiero, poi si buttò sul letto a peso morto; decisamente l’introspezione non era il suo forte.

“Lo sai in cosa mi ha battuto, Matt?” ovviamente la domanda era retorica, di certo Mail non sarebbe andato a confrontare il compito di Mello con quello di Near per puro divertimento.

“Sulla definizione di ‘numero primo’, ma ci pensi Matt? Una vera stronzata!” sbuffò ancora più forte gonfiando le guance come palloncini ed, osservandolo, Matt quasi si convinse che a breve si sarebbe messo a pestare i piedi per terra.

Ridacchiò e con tono conciliante lo consolò “Sarà per la prossima volta, dai. Un giorno lo batterai quel nano.”

Che fosse stata la sua risata chioccia o l’insulto fatto a Near nessuno poteva saperlo, fatto sta che Mello smise di sbuffare e Matt gliene fu intimamente grato.

Mettendosi seduto con un colpo di reni il biondo lo fissò a lungo per poi chiedere “Tu sai cos’è un numero primo?”

Matt, a onor del vero, lo sapeva, ma in casi come quelli era meglio fingere ignoranza. “E come potrei?” esordì infine con voce da consumato artista melodrammatico, “Io sono solo il numero tre.”

Fu il turno di Mello di ridacchiare e recitò compunto “Un numero primo è un numero naturale maggiore di uno che sia divisibile solamente per uno e per sé stesso.”

“Ora mi sento più intelligente.”, dichiarò Matt, solennemente.

 “Sai che i numeri due e tre sono numeri primi gemelli?” chiese, ignorandolo deliberatamente, “Sono gli unici numeri primi che si susseguono, per questo sono definiti ‘gemelli’.” Lo osservò assorto per poi ridacchiare di nuovo, “Un po’ come noi due, no? Io sono il numero due e tu il tre.”

Matt sorrise spontaneo, preso alla sprovvista, e annuì sicuro ma si fece pensieroso, ed intristito, chiese “I numeri primi, secondo te, si sentono soli? In fin dei conti anche se così simili sono comunque divisi da linee invisibili.”

“I numeri non provano solitudine, Matt, non sono persone.” Recitò meccanicamente Mello che aveva agguantato un libro di testo; era già immerso nella lettura e non si accorse della smorfia che era apparsa sul volto del compagno di stanza.

E Matt continuò a guardare fuori dalla finestra, senza guardare veramente il cielo tinto di rosso e arancio, pensava ai numeri primi ed a Mello e si perse nella solitudine dell’essere così simile a lui, ma così mortalmente distante.

Lo osservò prepararsi per chissà quale esame e si chiese se, abbracciandolo, avrebbe potuto sentirlo più vicino, più presente, e si rispose che no, non avrebbe potuto e Mello comunque non avrebbe voluto.

Capì che i suoi sogni gliel’avrebbero portato via, l’avrebbero trascinato lontano, troppo distante da sé; Mello sarebbe corso via più veloce degli altri e lui sarebbe rimasto fermo, seduto sul davanzale di quella stessa finestra, ad osservare il mondo senza avere il coraggio di viverlo.

Si disse che doveva arrabbiarsi, che doveva urlare e tentare di reagire ma come questi pensieri si formarono nella sua mente furono quietamente cancellati e accantonati, dimenticati, come d’altronde aveva imparato a dimenticare sé  stesso e non importava quanto sarebbe stato il dolore o la solitudine: li avrebbe accettati e l’avrebbe visto coronare il suo sogno, nella speranza che i tentacoli dei suoi desideri lasciassero almeno un minuscolo frammento del ricordo di loro in quella stanza.

 Un numero primo è un numero naturale maggiore di uno che sia divisibile solamente per uno e per sé stesso.

Si definiscono numeri primi gemelli due numeri primi che differiscono tra loro di due. Fatta eccezione per la coppia (2, 3), questa è la più piccola differenza possibile fra due primi.

 Così c’era scritto sul libro di matematica, e Matt pensava che lui e Mello erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza da sfiorarsi.

A lui non l’aveva mai detto, e non l’avrebbe mai fatto.

Era esigua la differenza, erano dannatamente vicini, così tanto che bastava davvero un nonnulla per potersi sfiorare ma, no, non ci sarebbero mai riusciti; i sogni di Mello l’avrebbero portato via e incatenato con tentacoli invisibili e nei suoi occhi, nei suoi occhi azzurri, sarebbe risplesa per sempre la luce abbagliante del primo posto e nemmeno Matt stesso, che tanto l’aveva osservato e capito, avrebbe potuto portarselo via, ed era giusto così.

Era giusto anche se non era vero, anche se era una stupida menzogna, una stupida ombra in cui si era nascosto per troppo tempo, nell’incapacità di poter essere qualcosa di abbastanza importante per lui da poterlo convincere a rimanergli accanto.

E c’era rabbia, c’era tanta rabbia: era una menzogna quella che aveva rifilato a Mello e non era vero che pensieri del genere svanivano così in fretta dalla sua mente, vi rimanevano abbastanza a lungo per poterlo uccidere ogni giorno di più, infatti.

Avrebbe dovuto trovare un modo, un modo come un altro, per poterla cacciar via tutta quella rabbia ma non lo faceva perché, in fondo, di sé, non gli era mai importato molto e fumava una sigaretta.



A distanza di anni e parecchi avvenimenti, all’uscita dell’istituto, Roger lo fermò con lo sguardo indicando il borsone grigio che aveva di fianco.
“Cosa vuoi fare, ora?” il vecchio lo fissò a lungo negli occhi e Matt si lasciò guardare, non sorrise e non rispose ‘nulla’.

“Vado a cercare Mello.”

E per un attimo, Roger, volle davvero che Matt avesse detto di nuovo ‘nulla’ sorridendo con noncuranza, proprio lui che l’aveva spronato a desiderare qualcosa ora se ne pentiva.
Ma fu un attimo, che svanì come il fumo della sigaretta lasciata a bruciare sul davanzale di quella finestra.

“Buona fortuna, allora” Roger lo guardò sparire e seppe che sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe rivisto e che l’avrebbe sentito desiderare qualcosa.

 

 Guardandosi allo specchio, dopo averlo ritrovato, si disse che i suoi desideri l’avevano davvero bruciato e indurito, ma Mello c’era ancora, sotto strati di pelle morta e una scorza da duro Mello era lì, lo stesso Mello che sbuffava melodrammatico dopo l’ennesima sconfitta, lo stesso che quel giorno gli aveva detto che loro due erano due numeri primi gemelli, l’unica eccezione: il due e il tre.

Obbedendo agli ordini del suo unico amico, Matt lavorava al computer, piazzava telecamere e visionava filmati, e quando Mello sarebbe ritornato a casa la puzza di fumo e il sorriso di Matt l’avrebbero accolto ma lui, non la noncuranza che da bambino non aveva, l’avrebbe ignorato.

 

E in quell’ultimo giorno di vita programmata, mentre ripetevano i passi del piano, si guardavano fissi perché  sapevano che quel giorno sarebbe stato l’ultimo, ed era quantomeno giusto osservare il proprio gemello almeno un’ultima volta.
Ora che i sogni gli erano bruciati sulla pelle gli occhi di Mello non brillavano più, erano quasi spenti, e Matt se ne intristiva mentre Mello non se ne curava, sorridendo pensò che i loro ruoli si erano invertiti.

Uscendo dalla porta, ed infine dalla casa, Matt osservò la finestra che dava sulla strada, quella del terzo piano, quella che aveva ospitato lui ed i suoi occhi stanchi, la stessa finestra in cui ancora fumava un mozzicone mezzo spento di sigaretta.

Dopo quella folle corsa, dopo aver sollevato le mani e visto così tante pistole puntate contro di sé, Matt pensò a Mello e alla sua Beretta M9, la stessa che teneva sotto il cuscino anche mentre facevano l’amore e sorrise - di nuovo -  e col sorriso sulle labbra, e il sangue che colava come lacrime, cadde  a terra.

 Un po’ si sentì in colpa quando, l’unica cosa che desiderò in quel momento, con l’immagine di Mello ben scolpita nella mente, fu una sigaretta.

La stessa sigaretta che giaceva al suo fianco, la stessa da cui il fumo procedeva grigio e in lente spirali.

 

Ti uccideranno, si diceva un tempo, in quel tempo in cui guardare dalla finestra era l’unica cosa che voleva.
Mello e i suoi sogni ti avrebbero ucciso e non te ne importava, e non te ne importa molto neanche ora, ora che sai com’è finita, ora che stai morendo e non ti spaventa.

Solo che, a differenza di allora, quella finestra l’hai valicata, sei andato fuori e un po’ hai vissuto, e chissene frega se non è stato molto e nemmeno tanto bello, alla fine quella linea di stupido rimpianto l’hai spazzata via.
Ma c’è una cosa che, come allora, continui a fare: ammiri la spirale di fumo che si alza dalla sigaretta e sale, sale, sale. Poi svanisce.
“Che palle” borbotti, certe cose non cambiano proprio mai.
E sale, sale, sale; mentre cadi, senza rialzarti più, il fumo sale .

 
Ed è quasi un sollievo.

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