Occhei, stavolta la dedica
"vera" non è qui riportata. E' custodita gelosamente da chi di
dovere, perchè è giusto così.♥
Qui mi limiterò a spiegare che fa parte del "ciclo" di
"Collide", "So This Is Christmast" e
quant'altro con quei personaggi. Diciamo
che va posta proprio all'inizio di tutto, come si capirà poi, leggendo.=D
Stavolta mi sono cimentata con la prima persona del nostro Nicholas.
E mi sono divertita.*w* (leggasi giocherò ancora con il punto di vista suo e
degli altri due ometti!^O^)
Spero vi piaccia, come sempre: un commento costa poco, ma vale moltissimo. Specie per me, che a questa shot tengo da morire.♥
Hope you'll like it!=3 Baciatutte.
~ Chiara { E La
Primavera Le Giocava Intorno... }
Ventuno
di marzo.
Primo
giorno di primavera. Primo giorno di molte altre
cose, in realtà.
Aprii
l'ampia finestra scorrevole, aspettando di sentire la brezza leggera - contro
la schiena - sussurrarmi all'orecchio, complice e maliziosa come una vera
primadonna. New York, avvolta in quei primi, tiepidi tepori suscitava su di me
un'attrazione irrefrenabile: sentivo - forte e chiaro dentro di me - l'impulso
a mollare tutto e perdermi, anche solo per una manciata di minuti, nel febbrile
circo della vita che si stava risvegliando.
Guardai
distrattamente l'ampia stanza stipata di vestiti, studiando con una smorfia
divertita i miei fratelli maggiori gravitare attorno alla ragazza nuova, con tutta la curiosità e quello specifico tipo di
interesse. Marta era carina. Giovane,
timida e molto, molto bionda. Aveva quel buon gusto tipicamente italiano -
prerogativa irrinunciabile per una futura stylist -, soprattutto era
gentile, discreta e capace di trattarci, a tutti gli effetti, come persone
normali.
Sorrisi,
nel vederla arrossire candidamente all'ennesima moina di Joe. Sì, era
decisamente perfetta.
Poi
sbuffai silenziosamente, immaginando quanto tempo mio fratello avrebbe casualmente impiegato, per provare tutti
i cambi che gli sarebbero serviti al concerto. Quale scusa migliore per starle
vicino l'intero pomeriggio? Decisi impulsivamente come avrei risolto la
questione, sentivo che - in qualche
modo - era una buona cosa: mi schiodai di slancio dalla finestra e schivai Big Rob con la brillantissima scusa di una diet-coke fresca, al distributore
in corridoio.
Un
momento dopo, le porte scorrevoli si chiudevano con un sottile ronzio. Dritto
alla casa base. Punto per me.
La notai, stava là, tra
le foglie e i fiori.
Camminai verso lei che leggeva piano.
Mi notò, ma restò ferma sul suo libro...
"Scusi, se siedo qua."
"Prego, si figuri."
Un
pugno nello stomaco.
Fu
più o meno quella la sensazione che avvertii, quando i miei occhi si posarono
su di lei per la prima volta. Per l'intensità
improvvisa e quasi violenta con cui mi colpì. Sotto un albero di pesche appena
in fiore, sfogliava un libro dalla copertina tanto consunta che - immaginai -
le si sarebbe sbriciolata in mano, da un momento all'altro... Si inumidì le
labbra, strisciando lentamente i piedi sulle stecche scrostate della panchina
sopra cui si era "arrampicata":
teneva le gambe allungate sulla seduta, sicura del suo equilibrio in cima allo
schienale e continuava a leggere, assorta, nonostante il vento leggero
spettinasse le pagine scritte.
Era...
bella. In un modo complicato che mi
impediva di ignorarla e procedere per la mia via, lungo i giardini dello
studio. Al contrario, presi a camminare febbrilmente, fin quando non mi trovai
a meno di un metro da lei. Sbirciò le mie intenzioni, prima di portare
nuovamente gli occhi indagatori e leggermente scocciati al primo capoverso. Ignorandomi.
-
Posso sedermi? - Il suo sguardo scuro saettò su di me, facendomi trasalire
leggermente.
Probabilmente
avevo commesso un errore irreparabile, non era il mio forte parlare a ruota libera... Era Joe quello bravo ad
improvvisare, io - forse - l'avevo solamente offesa. Troppo precipitoso, Nicholas. Aspettai la sua
risposta col cuore in gola, già pronto a chinare il capo e tornare da dove ero
venuto, con tanto di coda fra le gambe, per quanto mi suonasse "sbagliato" separare tanto
bruscamente la mia strada dalla sua.
-
Prego. - Mormorò, sorprendendomi.
Inarcò
il sopracciglio sottile, squadrandomi con aria inquieta mentre mi accomodavo
sul legno tiepido. Provai a sorriderle - magari per darmi un'aria più innocua
-, ma lei già non mi guardava più.
"Mi dica, lei che fa?
E quanti anni ha?"
E la primavera le giocava intorno.
Le
sue mani non stavano mai ferme. Sul momento mi saltò all'occhio, per come
torturava quel vecchio volume ingiallito. Cercai di intuirne il titolo, curioso
di sapere cosa poteva rapirla in quel modo, disegnandole sulle labbra tanta
concentrazione. Raccolsi le gambe contro il petto, prima di issarmici
sopra, in equilibrio sulle ginocchia piegate.
Le
lettere rosse spiccarono immediatamente sulla trama scura del dorso rigido.
"Il Miglio Verde - Stephen King".
Arricciai il naso, leggermente sorpreso. Poco più in alto mi aspettavano i suoi
occhi nervosi.
-
Che fai? - Borbottai, in un impacciato tentativo di dissimulare l'imbarazzo per
essere stato colto troppo in flagrante.
-
Mi sembra ovvio. - Dichiarò,
sollevando appena il libro. Ok, domanda stupida.
-
Sì, beh. Lettura insolita, per una ragazza. - Cercai di correggere il tiro, ma
a quanto pare la sorte non voleva saperne di mettersi dalla mia. Si incupì. -
Io l'ho letto tre volte, però. - Ed
era vero, oltre che un buon compromesso per non indisporla ulteriormente.
Almeno dal mio punto di vista.
-
Ah. Lettura insolita, per una celebrità
senza cervello...! - C'era una punta di derisione, nella precisa riproposizione
delle mie parole. Eppure non provai alcun fastidio.
-
Quanti anni hai? - Alzò lo sguardo e prese a fissarmi come se stessi mettendo
in scena la fiera delle banalità.
Irrequieto,
mi arrampicai sullo schienale, cercando di ignorare il rossore, il caldo e
qualunque altra forma palpabile di imbarazzo. Fu in quel momento, che imparai
quanto potesse essere sempre e comunque imprevedibile.
Osservai il rossore tingerle le guancie e i suoi movimenti farsi più incerti,
mentre sedevo accanto a lei: strinse la prima stecca di legno fino a far
impallidire le piccole nocche nervose, inaspettatamente insicura, mentre il
libro rischiava di scivolarle di mano e cozzare con la ghiaia polverosa. Le
sorrisi, invitandola a parlare senza riserve, semmai avesse iniziato ad averne.
-
Diciassette. - Rispose, piano. Joe avrebbe precisato immediatamente che era
poco più di una bambina. O, forse,
solo se non si fosse preso la briga di guardarla negli occhi.
-
Io diciannove. - Come se avesse potuto non saperlo. A quello pensai solo dopo. - E senz'ombra di dubbio, stai
leggendo quel libro con molta più freddezza
di me. -
Un
soffio di brezza scrollò il tappeto di petali ai nostri piedi - prima di incastrarne
un paio tra i suoi lunghi capelli scuri - e le scompigliò dispettosamente
l'acconciatura. Si sfilò una forcina, permettendo alla primavera di giocare con
lei.
-
Freddezza...? No. - Borbottò. - Non sceglierei mai di leggere qualcosa che non
mi emoziona. -
Stemmo là come chi sta di là dal tempo.
Mi parlò, le parlai e si fece sera.
Mi mostrò le sue idee
circa la bellezza,
l’ascoltai, mi ascoltò e si fece buio.
- No...! - Ridacchiai, passandomi una mano
sul collo. - Non intendevo questo. Pensavo: qualunque ragazza rabbrividirebbe
solo all'idea di una sedia elettrica. O di un grande e grosso condannato a
morte. -
- Per me è molto bello, invece. - La sua voce aveva un suono morbido, mi ipnotizzava:
sembrava un raffinato strumento musicale. Accordata apposta perchè
mi risultasse impossibile stancarmi di ascoltarla.
Inclinai appena il capo - in un silenzioso
invito a proseguire - mentre le mie labbra si tendevano in un piccolo sorriso
involontario. Da quando in qua sorridi così tanto, Nicholas? Dovevo aver accidentalmente dimenticato la mia
espressione posata in studio. Insieme alla giacca e al mio blackberry.
- Oh, non fraintendere...! - Esclamò,
precipitosamente. - Non trovo "bella" una sedia elettrica, non in quel senso. - Le sue mani si agitarono
frenetiche nell'aria davanti al suo viso preoccupato.
- Ti ascolto. - Mormorai. L'avrei ascoltata,
per tutto il tempo in cui sarebbe stato necessario.
-
Prendi Delacroix, uno dei miei personaggi preferiti:
secondo me è proprio bello. Ma non bello fisicamente:
è basso, calvo e pelato. E nemmeno come persona, perchè
è un piromane. E' bello quando sta col suo Mr. Jingles.
-
- Ho
capito. - Risposi, concentrato.
- E
secondo me la bellezza è un punto fondamentale, anche se io ho un modo tutto mio di intenderla. - Per un momento
accarezzai l'idea di chiederle se si vedesse bella almeno un decimo di quanto
la vedevo io.
Poi mi
convinsi che sarebbe stato piuttosto sfacciato, nonostante leggessi nei suoi
movimenti misurati l'inconfondibile aura di una ragazza troppo insicura e
severa, nei confronti di sè stessa. Avrei voluto
dirle che sbagliava, sapevo che glielo avrei detto. Prima o poi.
- E'
una questione molto soggettiva, penso. - Il mio sguardo si perse fra le nuvole
bianche in tacito tumulto, sopra di noi.
- Per
me è molto importante che le persone che mi circondano siano belle, perchè adoro osservare.
Specie ciò che lo è. - Un'osservatrice,
proprio come me. Sperai impulsivamente di rientrare nei suoi canoni, che le
piacesse guardarmi.
- La
gente mi accusa spesso di avere brutti gusti, o comunque gusti strani...! - Si
fermò, come a riprendere fiato.
- Io
penso che tu abbia i tuoi gusti. E
tanto basta. - Poggiai i gomiti sulle ginocchia, rilassando un poco le spalle.
- Nessuno ha il diritto di cambiarteli o criticarli, solo perchè
sono diversi dai suoi. -
Sorrise
e - da quel preciso momento - persi letteralmente la cognizione del tempo. Non aveva
più importanza se facesse più o meno freddo di prima, o come il sole stesse
repentinamente calando sull'orizzonte... Al di là di qualsiasi ragionevolezza,
volevo soltanto rimanere in bilico su quella vecchia panchina consumata. E
parlare con lei.
Le ombre si allungarono vistosamente sul
sentiero spazzato dal vento, rapide, fino a sparire quasi completamente.
Inghiottite dalla luce gialla di un lampioncino puntellato al prato poco
distante: lo vidi accendersi con un leggerissimo ronzio e scoppiettare
ritmicamente, prima di stendere il suo alone caldo.
Realizzai solo in quel momento che era quasi
buio.
"Mi dica il nome suo..."
"Mi chiamo Chiara. E lei?"
E la primavera le giocava intorno.
-
Sono le sette. - Mormorai, sovrappensiero. Le lancette del mio cronografo
sorridevano beffarde sul lunotto graffiato.
-
E' tardi...! - Sgranò appena gli
occhi, saltando in piedi. Scese veloce dalla panchina e si strinse febbrilmente
il libro al petto. La copertina si stropicciò, quasi come il suo sguardo confuso.
-
Aspetta. - Allungai una mano - per riflesso incondizionato -, anche se era
ovvio che non avrei potuto arrivare a raggiungerla, nemmeno volendo. Lei si
fermò sui due piedi, come legata da un filo invisibile. - Come ti chiami? -
Impensabile.
Eppure vero... Dopo ore, conoscevo i suoi pensieri su un'infinità di cose, ma
non il suo nome. Mi guardò, stirando appena le labbra arrossate dalla notte di
una primavera ancora acerba. Sembrava decisa, ma - in qualche modo - titubante.
-
Chiara. - Sospirò. Ripescò la forcina da una tasca e la incastrò su un ciuffo
ribelle, dopo averlo scostato dal viso leggermente tinto di imbarazzo. - E tu-
-
-
Io sono Nicholas. Nick. - Esclamai,
frettoloso. Le parole si ammassarono goffamente. - Chiamami Nick. -
-
Sì, lo so chi sei. - Annuì, seria. - Lo so bene.
-
Si
spostò di un poco, spezzando il cono di luce artificiale. I riflessi guizzarono
veloci sul suo profilo morbido, disegnandone i lineamenti. Scrollò leggermente il
capo e i petali che erano stati fatti prigionieri al sole tiepido di quel
pomeriggio, caddero svolazzando oltre le sue converse stampate. Fiori coi
fiori. Ridacchiai.
"Scusa, se mi innamorai in un
Istante di te, per l’aria serena che hai.
Ma, dimmi, passi spesso di qua?"
Stemmo là. Mi parlò, le parlai.
-
Senti, Nick. - Rabbrividii, mentre l'espressione e il modo in cui pronunciava
il mio nome si imprimevano indelebilmente sotto la mia pelle. - E' davvero
tardi, ti staranno aspettando, là dentro. Io devo andare. -
- Chiara. - Mi chiesi se il tremito
profondo nella mia voce, fosse suonato cristallino a lei quanto per me. Scesi
traballando dalla panchina, assordato dallo scrocchiare della ghiaia sotto le
scarpe. La rincorsi, febbrile, sebbene stesse appena avviandosi.
-
Non andartene. -
Si
voltò, imbarazzata - sorprendentemente - perfino più di quanto lo fossi io, che
mi stavo mordendo la lingua da ancor prima di terminare la frase. Ero sempre
stato il tipo che parlava poco e solo dopo aver pensato e misurato ogni
singola, possibile conseguenza.
Pesando anche le virgole. E lei, Chiara, aveva il potere di abbattere quei muri
sapientemente costruiti - con anni di pratica - in un solo soffio.
Non
volevo che se ne andasse. Banale, da un certo punto di vista, ma maledettamente
prepotente, come sentimento. Seguii
il movimento leggero dei suoi capelli, mentre scuoteva il capo con delicatezza.
Sorrise e nel tempo che mi presi per darle una spiegazione, si era voltata di
nuovo.
-
Chiara...! - E - di nuovo - il filo
impalpabile che sembrava legarla, la bloccò a metà strada. - Sul serio,
aspetta. -
Presi
fiato frettolosamente, rischiando di bruciarmi la gola. Completamente perso, al momento non pensavo ai miei
fratelli, non pensavo al lavoro che mi aspettava nello studio o a qualsiasi
altra ragionevole motivazione per cui avrei dovuto salutarla con un sorriso ed
andarmene per la mia strada. Già detto: non
volevo.
-
Non voglio che tu te ne vada. - Mormorai, esitante nel tentativo di decifrare
il suo sguardo. Mi sentivo sotto esame.
- Non fraintendere...! - Aggiunsi, consapevole della brutta impressione che
avrei potuto darle. - E' solo che mi è piaciuto stare con te. Molto. -
-
Anche a me, Nicholas. - Amavo
incondizionatamente quei suoi incredibili occhi indagatori.
-
Credo di essermi innamorato del tuo modo di fare. - Mescolai la mia piccola
confessione clandestina ad una risata, per essere solo un po' più sicuro di me
stesso. - Di come sei. Anche nei miei confronti: tu non hai parlato con Nick Jonas, ma con me. - Sorrisi. - Mi
piace... Mi piaci. -
- Grazie. - Bisbigliò.
Strizzò
il dorso consunto del Miglio tra le
dita, pallide per lo sforzo, poi si incamminò verso la cancellata che cingeva i
prati punteggiati di luci. Procedemmo fianco a fianco per qualche minuto,
immersi nel nostro silenzio concentrato.
-
Mi piacerebbe rivederti. - Dichiarai, tuffando le mani in tasca. Girai su me
stesso, abbandonando la schiena contro le inferriate cigolanti. - Passi spesso
da queste parti? -
-
Non... Non so, probabilmente accompagnerò Mar qualche altra volta. Prima
dell'inizio dei corsi. - Inclinò appena il capo, senza smettere di osservarmi
mentre rifletteva. Il vento carezzava timido le sue guancie arrossate. - Può
essere che ci rincontreremo. - Annuì.
Mi
accorsi immediatamente che in tutto quel groviglio di pensieri c'era un
dettaglio assolutamente familiare.
- Mar..? - Ripetei, sperando di aver
capito assolutamente bene. - Parli di
Marta? -
"Scusa, ma ti seguirei fino alla
porta,
se poi mi dici la strada che fai.
O, almeno, se domani verrai.
Se domani verrai..."
-
Lei. - Confermò. - Bionda, occhi azzurri... Arrossisce spesso. -
Soffocai
una risata leggera, con gli occhi bassi e le labbra che sfregavano sul collo
appena sollevato della camicia. Conosceva sul serio la nostra ragazza nuova. In qualche modo eravamo
sempre stati legati: quest'unica
consapevolezza era in grado di scatenare un senso di leggerezza e sollievo che
- per quanto mi riguardava - andava molto vicino alla felicità, quella vera.
-
Sì, credo sia la stessa Marta. - Annuii, contento. - Puoi tornare di sopra con
me, allora. -
-
No, vado a casa. - Replicò. Il suo tono deciso mi tagliò le gambe e mi lasciò
vacillare per qualche momento in uno stato di smarrimento totale. - La aspetto
là, credo ne abbia ancora per un po'. Specie se tu sei ancora qui. -
-
Vivete insieme? - Mormorai, smarrito.
Questo andava oltre ogni mia più rosea aspettativa. Pensai subito che sarebbe
stato molto carino, andare a trovare
Mar. Kevin e Joe sarebbero stati anche d'accordo, lo sospettavo.
-
Eh. Io, lei e una montagna di scatoloni, per il momento. - Scherzò. - Non molto
lontano da qui... -
- Posso
accompagnarti. - Il cancello tremò impercettibilmente, quando mi scostai. -
Solo fino alla porta, per sicurezza. -
-
Non ce n'è bisogno, sono dieci minuti. - Arrossì quasi più di me, muovendo un
piccolo passo all'indietro.
D'accordo,
sarebbero stati piccoli passi anche
per me, allora. Annuii. Abbozzò un sorriso e tentò la fuga, per l'ennesima
volta. Riuscì a superare il cancello, mettendo un solido ostacolo fra me e lei.
Scattai, leggermente in ritardo.
- Chià. -
Mi
lasciai sfuggire il diminutivo, senza quasi accorgermi. Nemmeno immaginavo quante volte, poi, l'avrei chiamata
così. Lei si inchiodò sul posto, tratteneva quasi il fiato. Si avvicinò
leggermente all'inferriata, per sentire meglio.
-
Dimmi almeno, se domani verrai. - Mi sporsi tra una sbarra e l'altra, le
strinsi fino a farmi sbiancare le nocche.
-
Nick...! - Bisbigliò, stupita. Non avrei mai finito di stupirmi per il suono
meraviglioso che il mio nome assumeva, sulle sue labbra. Piuttosto le avrei
chiesto di ripeterlo all'infinito. - Non so. -
- Verrai? - Ripetei, caparbio.
Cominciavo
a perdere sensibilità alle mani, ma la mia presa non cedeva di un millimetro.
Spinsi la guancia contro il puntello di ferro battuto e rabbrividii al contatto
con la superficie fredda. Per quanto stupido, quella risposta aveva per me
un'importanza assoluta. Ci guardammo, per minuti che parvero anni,
profondamente consapevoli e contemporaneamente nemmeno per un briciolo, di
quanto saremmo - eravamo già -
diventati fondamentali ed irrinunciabili l'uno per l'altra. Se il filo rosso del destino esiste davvero,
quella sera io e lei avvolgemmo l'ultimo centimetro sulle nostre dita e
arrivammo l'uno all'altra.
In quel preciso istante, nacquero Nicholas e Chiara.
-
Ti rivedrò. allora? - Accennai un sorriso, scivolando sull'incertezza che le
leggevo negli occhi. Aspettai. La sua mano strinse l'inferriata, appena sotto
la mia e l'aiutò a sporgersi un poco in avanti.
- Forse. - Mormorò, piegando leggermente
il capo di lato. Un sorriso, poi era sparita.
"Se domani verrai."
( Chiara - Andrea Bocelli )