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Autore: SnowDra1609    27/01/2010    2 recensioni
In un mondo oramai sull'orlo del collasso, devastato dagli uomini e dalla mera sfortuna, la speranza si riaccende quando nel Polmone del mondo viene trovata Lagun. Che sia l'ultima speranza? O forse che sia la nostra disfatta?
Genere: Thriller, Sovrannaturale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Ecco tutta per voi una long-fiction di tre capitoli, che ho messo come fantascienza, però non ne sono molto sicuro. In effetti questa storia è stata generata da un sogno molto agitato, e ho dovuto riempire molte lacune.
Come potrete notare in seguito alcune sezioni saranno in corsivo. Poiché la storia è tutta come un racconto al passato, i tratti in scrittura normale saranno quelli raccontati, mentre in corsivo ci saranno le scene dialogate.
Nel caso la storia plagiasse una qualsiasi altra fanfiction, o un film o qualsiasi altra cosa mi fareste un piacere avvertendomi, in modo che io possa modificare il punto in cui vi sia il plagio o cancellare la storia nel caso il danno non sia reversibile.
Vi auguro una piacevole lettura, Drago della Neve ^^

Anno: 2047
Luogo: Foresta Amazzonica

Mi chiamo Robert Kilton, e sono un tenente della Confederazione Europea. Servo il mio paese da oltre cinque anni, poco prima della Devastazione e sono uno dei pochi “eletti” scelti per guidare i mech corazzati nelle missioni militari estere. Perché io sia qui? Qualcuno si è perso, e quel qualcuno è l’ultima speranza per un mondo degradato, le cui specie, dominanti o meno, sono in via d’estinzione, e tra queste l’uomo è al primo posto. Nessuno sa il perché. Ma qualcosa ha colpito il nostro bel pianeta circa quattro anni e mezzo fa. Qualcosa, di origine sconosciuta, che ha cominciato a contaminare tutto il nostro globo. Pochi luoghi si sono salvati, troppo pochi. Per lo più le città aere, quali Nuova Parigi e Nuova Roma, le nostre due capitali. In molti luoghi non si può più camminare, e si predice che in massimo venti anni il nostro intero pianeta diverrà un’enorme nebbia, come lo è l’America o l’Africa, anche se per il momento solo a tratti.
E’ questo l’effetto della Devastazione. Un mare bianco, nebbia, in cui non è possibile vivere. Un mare vero e proprio, poiché giuro che una volta vidi qualcosa muoversi, non so se fosse stato un’animale o un’onda di nebbia, ma tutti mi dicono che me lo sono immaginato, la chiamano suggestione. Io la chiamo realtà. Per molti, noi soldati che passiamo il nostro tempo quaggiù non siamo che pazzi, idioti che cercano di curare un mondo malato, sul punto di morte. E forse è vero. Ma non ci possiamo arrendere, almeno finche c’è la flebile speranza di poter fare qualcosa. Un gruppo di scienziati, cervelloni, hanno scoperto un luogo, o almeno ne ipotizzano l’esistenza. Un luogo che si chiama….

Lagun

Nome buffo vero? io ci risi sopra la prima volta che lo sentì, ma il mio comandante non lo fece. Era molto serio, quando ci disse di andare nella Foresta Amazzonica, il punto nevralgico della Devastazione, ove la nebbia è alta, e i misteri insoluti troppi. I nostri mech sono equipaggiati anche per questo, ma i soldati spesso No. Non credo sia giusto andare a chiedere a dei soldati, giovani per lo più, di andare in un posto del genere. Sarebbero andati solo i volontari. E non so quale maledetto pensiero mi abbia fatto alzare quella dannata mano.
Si, io andai volontario, e con me altri tre soldati. Pochi, ma buoni, speravo. Ci diedero le informazioni che avevano. Mappe, posizioni, collegamenti satellitari, armi; tutto il necessario per sopravvivere almeno due mesi in quell’inferno.

-Tenente Kilton, lei comanderà il team –

Mi ricordo ancora quando questa frase mi fu detta dal mio superiore

– è uno dei nostri soldati più esperti nella nebbia, e la sua esperienza è quasi senza pari. Le affideremo il meglio che abbiamo. Ci servono quelle teste d’uovo vive e vegete qui. Ed il più presto possibile anche. Non perda tempo con inutili ricerche, vada sempre sul sicuro e cerchi di non morire -

Tutte cose già sentite, a cui annuì poco convinto. Dopo essermi congedato uscì dalla sala, convinto di una cosa: io non sarei tornato più indietro, ne ero sicuro.

Il giorno della partenza, il 10 Ottobre, andai all’hangar come al solito. Passai i controlli di routine e mi diressi verso l’hangar che mi era stato indicato. Il numero 8. Ovvero, l’hangar dei prototipi. Speravo vivamente che me ne assegnassero uno, quanto meno in grado di portarmi tutto d’un pezzo al ritorno. Rimasi deluso quando scoprì che ci davano i soliti ECBS Jupiter. Quello stramaledetto mezzo che tenevano da chissà quanti anni

- Un mezzo decente no vero? – mi sentì di dire ai tecnici
- Cosa c’è che non va in questo? –
- L’età, i pezzi…. –
- E’ stato modificato per lei tenente, non si lamenti. Ha tutto il necessario per la sopravvivenza in territorio ostile per oltre due mesi –
- I miei uomini? – chiesi sviando il discorso
- In pista. Ora tocca a lei e non si lamenti –. Salì sul mio mezzo e fece tutti i soliti controlli, era roba da niente. Come previsto era tutto a posto. Feci un cenno ai tecnici sotto e chiusi la cabina prima di attivare i controlli di movimento. I Jupiter hanno la forma di quanto più simile possa essere a quella umana. Montano molte armi: missili, mitragliatrici, mortai sulle spalle, sensori ed altre cose. Anche se devo ammettere che non ne ho mai usate. Andai anche io in pista, dove trovai i miei sottoposti già pronti.
- Bene, ragazzi – esordì io – i dati li avete, seguite me e restate compatti. Non fate stronzate, non allontanatevi e non scendete assolutamente dal mezzo chiaro? –
- Non serva che ce lo ripeti sempre Roberto…sappiamo cavarcela –
- Chiuditi il becco Micheal…il capo sono io e dico quello che voglio. Ora salite sulla navetta e attendente li -.

Dovete sapere che le poche navette dell’esercito europeo, quelle che non hanno già smantellato per costruirci chissà cosa, sono abbastanza vecchie. Per molti politici basta che volino, dato che quasi a nessuno frega se qualcuno muore o meno. Mandano dei fiori ai pochi morti, condoglianze e qualche sussidio statale, e basta. Non credo di aver visto morire qualche mio compagno da circa sei mesi. Perché? Perché noi esploriamo e basta. Lo scopo dell’esercito, almeno il nostro scopo, è quello di trovare una soluzione alla Devastazione. Esploriamo, raccogliamo campioni, osserviamo e qualche volte combattiamo con qualche idiota che non ha niente di meglio da fare. Ma per il resto non ci sono nemici, per cui i soldi statali sono stati mandati all’ultimazione delle città aeree, in cui si trasferiranno i restanti abitanti dell’Europa. Presumo che non siano più di 40 milioni, in cielo e terra.
Rimanemmo tutto il tempo nei nostri Mech, attendendo paziente che arrivassimo a destinazioni, cosa che successe senza intoppi dopo circa dodici ore, un tempo ragionevole. La prassi la conoscevamo tutti a memoria. Ci avvicinammo ai portelloni, attendendo che si aprissero. I piloti non dissero niente, avviarono la luce verde e ci sganciarono. I mech hanno due possibilità per l’atterraggio: paracadute e propulsori ausiliari. Usammo i secondi, per la loro precisione. Non volevo atterrare ed attendere che ci radunassimo. Ho visto missioni fallire per il tempo perso in queste operazioni futili. Quando atterrammo fummo capaci solo di osservare le cime degli alberi di più di due metri, il resto era bianco, come al solito. Le mappe ci dicevano che eravamo su un fiume, oramai quasi secco.

- Bene gente, se i satelliti funzionano ancora siamo nel luogo giusto. Da qui in poi si va sempre avanti spero. Seguite me e date un’occhiata alle mappe ogni tanto…ed attenti alle onde -

Partimmo in fila indiana, seguendo il corso del fiume. I superiori avevano detto che era lo stesso percorso del team scientifico. Man mano che camminavamo, usando i mech, mi domandavo perché mi fossi fatto volontario. Non mi ero arruolato per finire in una dannata nebbia bianca, troppo bianca per i miei gusti. Non sapevo neanche perché quelle teste d’uovo fossero arrivate fino a lì. Non me lo avevano spiegato nei dettagli, tranne che con la solita parola
- Sono andati a Lagun. Sono sicuri che li vi sia la soluzione – era questo che mi rispondevano. Lagun. Sempre la stessa parola. Ma che valeva più di mille uomini. Lagun era il nome in codice per l’oggetto non identificato, definito così perché…beh, non sapevo il perché. Nessuno presumo lo sapesse. Fatto sta che passammo i primi tre giorni di marcia come un inferno. Camminavamo lentamente, stando ben attenti a dove mettere i piedi meccanici, parlando poco o niente, per lo più per i rapporti di routine. Presumo fosse l’influenza negativa della nebbia, tanto presente in quella zona, a spaventare i miei uomini, ed in particolare me.
Non so se l’ho già detto prima, ma nella Nebbia non si può vivere. Nessuno sa il perché, ma chi è sceso, con o senza tuta non è sopravvissuto abbastanza a lungo per raccontarci cosa ci sia li sotto. Non abbiamo neanche i cadaveri, per svolgere qualche analisi. Stessa sorte per le sonde, una volta scese ed allontanatesi abbastanza dal comando, sparivano, come per mistero. L’unico mezzo con cui quindi possiamo viaggiare per il globo stando ben ancorati a terra è appunto il mech. E non credo che qualcuno voglia provare diversamente.

Passammo quindi tre giorni di pura calma, sempre seguendo il corso del fiume. Un fiume oramai secco, che un tempo si diceva fosse il più grande del mondo, per lunghezza. Ma durante la guerra molte cose sono cambiate, prima della Devastazione. Diciamo che questa ultima è stata capace solo di dare il colpo di grazia ad un’umanità lacerata da una guerra che si protraeva da troppo tempo e che stava degenerando in un conflitto nucleare.
Ma dopo questi tre giorni devo ammettere che la situazione cominciò a scaldarsi.

-Ehi ho visto qualcosa –
- Cosa Micheal? – chiesi
- Occhi, gialli credo –
- Impossibile, non c’è niente li sotto – rispose un altro del team, Cruz Leo.
- Leo, tappati quella fogna – gli dissi io.

Del mio vero team solo Micheal era con me, gli altri due erano soldati che lavoravano per lo più in aria, che ne sapevano loro della vera Terra?

- Sentite, siamo tutti stressati – cominciò Adrian, il nostro retroguardista – fermiamoci a pensare a cosa sia successo logicamente –
- Adrian, so io cosa succede qui…e vuoi sapere cosa? Che in questa fottuta nebbia c’è qualcosa…voi non ne sapete niente, ma io e Micheal passiamo molto del nostro tempo qui giù. Quindi tappatevi quei buchi che chiamate bocche e state all’erta, chiaro? -.

C’era poco da fare, quando parlavo con quei tizi ero sempre duro, per quanto mi sforzassi di essere gentile.

- Ho visto qualcosa Robert, e non era una stupida allucinazione…erano due occhi, gialli e grandi -
- Lo so Micheal…ma nessuno ci crede mai. Anche io l’ho visti, in Tibet, nella missione Amazon e non so quante altre volte. Ma chi vuoi che ci creda? Chi vuoi che creda a noi soldati di fanteria? Mi chiedo anche perché solo a noi… -
- Forse siamo maledetti? – risposi io ironico

Forse sarò anche stato ironico, ma probabilmente siamo veramente sfortunati. Perché poco dopo quello stesso giorno, la morte, rapida e letale come sempre, è scesa sul team, in un modo che non avrei mai ritenuto possibile

Capitolo finito, spero vi sia piaciuto. Commentate eh ^^

  
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