Anime & Manga > Rossana/Kodocha
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Autore: after all    28/01/2010    24 recensioni
Il mondo di Kodocha che tanto amiamo non esiste. O meglio, esiste, ma senza Sana. Akito è un ragazzo solitario e problematico, senza una vera famiglia, l'unica persona che ha al mondo è il suo migliore amico Tsuyoshi. Così la sua vita scorre senza un vero motivo fino all'età di 20 anni, quando Tsuyoshi gli presenta la sua nuova ragazza: Sana Kurata! Infatti, in questa sorta di mondo parallelo Sana è solo arrivata in ritardo, sconvolgendo tutto. Perchè due caratteri come i loro, in qualsiasi situazione tu li metta, non possono passarsi accanto come se niente fosse.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Epilogo
breaking all the rules, figuring it out




Amore, amore illogico, amore disperato
lo vedi sto piangendo, ma io ti ho perdonato


Sana cammina per la via principale di Tokyo, fermandosi ogni tanto a guardare qualche vetrina per poi procedere dritta per la sua strada. L'aria fresca le accarezza le guance, e quel poco di sole che c'è basta per scaldarla fino alle ossa, dandole un piacevole assaggio dell'estate che sta per cominciare. Ha ventinove anni, adesso, porta i capelli lunghi sciolti sulle spalle e un briciolo di trucco in più, le dà un'aria più matura e adulta. E' cresciuta? Forse, sotto alcuni punti di vista potrebbe esserlo. La raggiunge un uomo sulla trentina e le dà un tenero bacio sulla guancia, sta per accompagnarla a prendere l’aperitivo, l’hanno fatto spesso negli ultimi due anni. Oggi è un giorno importante, lui ha appena scritto una nuova parte che sembra fatta apposta per lei. Già, non ve l'ho detto? E' un'attrice, adesso. E' iniziato tutto per gioco, con un incontro casuale in un bar, una lunga chiacchierata e un provino fatto quasi per scherzo. E poi è andata, la sua vita ha preso una piega completamente inaspettata. Ha lasciato l'università per il palcoscenico, si è trasferita nella capitale, ha chiuso a chiave in un baule tutti quei ricordi che erano diventati troppo ingombranti e li ha buttati in cantina, per fare spazio a una vita che voleva continuare a correre, anche se lei aveva le gambe spezzate. Così, come le aveva consigliato anni prima una vecchia signora in quella stessa città, si è fatta forza, ha preso un po' di colla e si è rimessa in piedi. All'inizio scricchiolava un po', adesso è come nuova. L'uomo accanto le sorride affabilmente mentre le racconta le grandi cose che ha in serbo per lei durante la sua prossima rappresentazione. E' un giovane regista occidentale, approdato sulle coste dell'arcipelago per esplorare nuove frontiere quando non era che un ragazzino, e innamoratosi del cinema giapponese così violentemente che non era più stato in grado di andarsene. Le vuole un gran bene, professionalmente parlando sono cresciuti insieme. La ama, forse? No, non in quel modo. Il suo cuore appartiene a un cabarettista squattrinato e orgoglioso, che non ne vuole sapere di farsi aiutare a sfondare, ma gli si dona senza riserve ed è pronto a condividere con lui la sua esistenza. Sana sorride sinceramente nell'osservare il suo interlocutore, e la felicità che traspare da ogni sua singola parola non può che essere contagiosa. La conversazione è interrotta dal suono della porta che viene aperta e lei si gira distrattamente, non sa che il sorriso sulle sue labbra verrà immediatamente cancellato. Il regista continua a parlare, ma lei non lo ascolta più. E' entrato nel locale un ragazzo biondo accompagnato da una donna più matura, che tiene per mano un bambino.
E lei, proprio come una quindicenne, sente il mondo girare di colpo più velocemente. E lui, proprio come un uomo, non sembra accorgersi di nulla.
Non si siede da nessuna parte ma va dritto al bancone, ordina un Negroni sbagliato per sé, un Campari per la donna e un succo di frutta per il bimbo. I suoi occhi, un tempo nascosti da un ciuffo forse troppo lungo, si guardano ora intorno con aria curiosa, e l'espressione sul suo viso è.. rilassata. Così diversa da come la ricordava.. Nei ricordi di Sana quello sguardo è costantemente attraversato da ombre, anche mentre sognava, anche mentre lei lo amava.  Le sue labbra non si piegano più in una smorfia imbronciata di fronte alle attenzioni della sua interlocutrice, non ha più l'atteggiamento scocciato di chi vorrebbe essere da un'altra parte. Ha un'aria rispettabile, adesso, e Sana continua a guardarlo, affascinata dalla sicurezza con cui si muove all'interno della conversazione. E' cambiato, non c'è dubbio. Non si può certo dire che sia diventato un chiacchierone, ma qua e là gli spunta un sorriso. Pensa, forse con un po' di amaro in bocca, che certamente quella donna accanto a lui deve avere qualcosa di speciale.
Torna velocemente a prestare attenzione al regista seduto di fronte a lei, accorgendosi che ha smesso di parlare e la sta osservando.
- C'è qualcosa che non va? Ti vedo un po' distratta. -
Gli direbbe una bugia, se non sapesse che ogni bravo regista conosce le sue stelle meglio degli angoli di casa propria.
- In effetti sono un po' stanca... Forse mi conviene andare a casa. -
- Vuoi che ti accompagni? -
- No, non ti preoccupare, mi farà bene stare un po' da sola. -
Ed è sincera, ha solo bisogno di stare da sola. Posa un bacio sulla guancia dell'uomo che le siede di fronte ed esce dal bar. Stavolta è lei a non accorgersi di uno sguardo nascosto anche senza l'aiuto del ciuffo, e di un cuore che non ci ha messo poi tanto a riconoscerla. E a scoprire che, dopo tutto questo tempo, perde ancora dei battiti alla sola vista di una capigliatura rossiccia.
Non gli importa della donna che sorseggia placida il suo Campari, perché Tokyo è una città enorme, e se una persona - quella persona - ti passa davanti, hai il novantanove per cento di probabilità di non incontrarla più. Quindi al diavolo qualsiasi cosa stia facendo in quel momento - già, cosa stava facendo? - si alza e rincorre un sogno che una volta faceva spesso, ma che non lo tormenta più da tanto. La vede tra la folla indaffarata del sabato pomeriggio, vorrebbe chiamarla, ma dalla sua gola non esce che un gemito strozzato. Così la rincorre e la afferra per un braccio, sperando in cuor suo di aver sbagliato persona. Lei si gira, forse intimorita, e lo guarda. All'inizio ha gli occhi spalancati, poi il respiro torna regolare. E lui si sente mancare la terra sotto i piedi, e allora si accorge che no, non ha affatto sbagliato persona. E sono passati nove anni ed ha ancora impressa a fuoco nella mente l'espressione che aveva quella notte piovosa. Se lo ricorda come se fosse ieri, si ricorda persino il rumore della porta che sbatteva, ma non era abbastanza forte da coprire il suono di qualcosa che nemmeno sapeva di avere ma già si stava frantumando sul pavimento. Di quello che è successo dopo, invece, di come si sia trovato al punto in cui è ora, non si ricorda più niente. C'è lei, e il cuore impazzisce, e non riesce a riconoscere da quale orizzonte provenga la luce, e gli tremano gambe, e vorrebbe parlare senza saper bene in realtà cosa dire.
Così, come spesso era stato, è lei a iniziare.
- Ciao, Akito. - sorride, come sempre.
- Che cosa ci fai qui? - lui no, come sempre.
- Ci vivo, adesso. Anche vedere te è sempre un piacere. E' un po' che non capita, eh? -
Lui soffoca in gola una risata amara. Sta cercando di conversare, non ha perso quella brutta abitudine.
- Già... -
Silenzio. Avete presente quei meravigliosi silenzi, che uno non sente il bisogno di riempire con stronzate buttate lì a caso, perché sono perfetti così come sono? Ecco, non è questo il caso.
- Ti va di bere qualcosa? – domanda lui.
- Di nuovo? Siamo appena usciti da un bar. – afferma lei convinta.
- Allora mi avevi visto! Sospettavo mi avessi ignorato di proposito. -
Lei avvampa, nel notare che lui possiede ancora la capacità di metterla a disagio come nessun'altra persona.
- Io.. -
- Da un'altra parte. Andiamo a bere qualcosa da un'altra parte. Vuoi? -
Vorrebbe dileguarsi, ma equivarrebbe a una dichiarazione di sconfitta. Sarebbe come ammettere che non importa quanta strada abbia fatto, quanti palcoscenici abbia calcato e quanti letti ancora caldi abbia abbandonato, perché di fatto il suo cuore non si è aggiustato. Così si atteggia a indifferente. E si ritrova di nuovo seduta al tavolino di un bar, faccia a faccia con uno dei suoi ricordi più dolorosi. Ma adesso è una donna, sa perfettamente come gestire la situazione. Parlano del più e del meno per quasi due ore, non le sembra neanche vero. C'è solo un nome che non viene mai fuori, nessuno ne ha voglia. Scopre che è diventato un allenatore di karate, e che grazie allo sport ha imparato a indirizzare altrove tutta quella rabbia che sembrava tenerlo in vita.  Con l'Hayama dei suoi ricordi non sarebbe mai riuscita a tenere una conversazione tanto lunga, senza dubbio sarebbero finiti troppo presto per fare altro. Chissà se dopo aver fatto l'amore con quella che ormai ipotizza essere sua moglie la stringe forte come stringeva lei, chissà se la bacia con la stessa urgenza e la lascia andare con la stessa difficoltà... E chissà se fa ancora quelle cose con le dita...
- Kurata, la smetti di fare pensieri sconci su di me e provi a starmi a sentire? -
Argh, sgamata. Questo non è cambiato. Si scuote repentinamente dalla trance in cui è caduta e arrossisce con violenza.
- Ma che dici, Hayama! E' un po' che mi è passata. -
- Ah, quindi lo ammetti. -
- Che cosa? -
- Che hai passato un sacco di tempo a fare pensieri sconci su di me. -
Sempre il solito presuntuoso! Non potendo diventare più rossa di quanto già non sia, cerca di rispondergli per le rime.
- Certo, nei tuoi sogni! -
- Oh sì, questo è sicuro. -
Pensava di non poter avvampare ulteriormente? Errato. Come ogni pronostico quando lui è nei paraggi, miseramente errato.
- Io sono cresciuta, ma tu sei sempre il solito impertinente! - Sembra seria, ma in realtà non ci crede nemmeno lei.
- E tu la solita finta ingenua! -
- Cosa vuoi insinuare, maledetto-
Ed è un attimo prima che entrambi scoppino a ridere. E' sorprendente facile parlarsi di nuovo come se nulla fosse successo, e battibeccare ancora per le stesse stronzate per cui avrebbero battibeccato nove anni prima.
Poi lei si ferma, è tornata pensierosa.
- C'è qualcosa che non va? - domanda lui.
- No, è la tua risata.. Una volta non la sentivo spesso. E' bello. Strano, ma bello. -
Adesso è il suo turno di essere in imbarazzo. Ebbene sì, anche il grande Akito Hayama è capace di umane sensazioni, o almeno così sembra.
- Una volta non avevo molti motivi per cui ridere. –
Pausa, silenzio, aria pesante.
Poi riprende.
- Sono felice che qualcuno te li abbia dati. - Sorride nel pronunciare la frase, ma è il sorriso più amaro che abbia mai fatto. Non è vero che è felice, non è vero per niente. Come la brava ragazzina egoista che è non può fare a meno di pensare al male che fa vederlo sereno grazie a qualcuno che non è lei, che non era riuscita a essere lei.
- Non è quello che pensi... - lui cerca di spiegarsi, ma lei non gli permette di continuare.
- Tranquillo, non mi devi nessuna spiegazione. Non devi giustificarti adesso, come non dovevi giustificarti allora. -
E’ confuso, non capisce dove lei voglia andare a parare. A questo punto sembra chiaro a entrambi che l'atmosfera rilassata di poco prima è andata completamente a farsi benedire, perché l'aria adesso ha l'insopportabile odore della memoria.
- Che cosa stai dicendo? –
- Senti, Akito, ormai è inutile raccontarsi bugie. Sono sopravvissuta allora, credi che abbia intenzione di farla finita adesso solo perché stai rivangando l’argomento? – sorride nervosamente ironica.
- Continuo a non capire di cosa stai parlando. –
- Certo che sei strano forte! Allora mi sembravi essere stato, come dire... piuttosto chiaro, nell’illustrarmi cosa volevi. O meglio, cosa non volevi. –
E improvvisamente capisce, flash di quella notte gli ingombrano la mente. Qualcosa nella sua testa gli urla di parlare e dirle la verità, e, proprio come allora, sente lo stomaco contorcersi. E, di nuovo come allora, dalla sua bocca non esce un solo suono.
- Comunque non importa, tu sei cambiato, io sono cambiata, e siamo tutti e due finalmente felici. Non so nemmeno perché ne stiamo parlando. – aggiunge, per evitare di scavare ancora più a fondo nell’argomento.
- Le persone non cambiano, Sana, cambiano solo le circostanze nelle quali esse si trovano ad agire. –
- Non è vero, la tua espressione è diversa, tu sei diverso. Non hai più l’aria spaesata di una volta di fronte a una conversazione civile. –
- Non siamo mai stati bravi a fare conversazioni civili, noi due. – commenta lui, non capendo esattamente i ragionamenti della sua interlocutrice.
- Forse hai ragione. –
- Tu invece non sei cambiata per niente, hai ancora la maledetta abitudine di parlare di argomenti scomodi. –
- Qualsiasi argomento che riguardi noi due è scomodo, Akito! – lei non riesce a trattenersi, e lui ammutolisce. Gli capita spesso, di fronte alla verità.
- Hai ragione. Forse allora dovremmo semplicemente smettere di parlare. –
- Giusta osservazione. –
Dopo qualche minuto, è di nuovo lei a rompere il silenzio.
- Si è fatto tardi, credo sia meglio che vada. –
- Aspetta, Kurata lascia almeno che ti paghi il conto. –

***


-Tsu, che cos'hai visto? - domanda una ragazza minuta e castana con la frangia tirata indietro perché non le cada sugli occhi. Si è fermata di colpo notando l'assenza del suo fidanzato, e si volta per trovarlo immobile a fissare la vetrina di un bar.
- Un fantasma. - è la sua lapidaria risposta, prima che la raggiunga e riprenda a camminare al suo fianco.

***


E se amor ch'a nullo amato, amore, amore mio perdona
in questa notte fredda mi basta una parola


Quando escono, è già buio. Sana è ansiosa di abbandonare un incontro che non poteva essere altro che un campo di battaglia e fa per dirigersi verso casa, quando la sua voce, da dietro, la raggiunge.
- Credi che per me sia stato facile? –
Resta immobile, non si vuole girare, non vuole nemmeno sapere di cosa sta parlando. Vuole solo andarsene, ma i piedi, maledetti traditori, restano incollati al suolo.
- Credi che per me sia stato facile, eh, Sana? Rispondimi! –
- Akito, davvero non è il caso di riprende-
- Non è stato facile per niente! – urla lui, non curandosi del fatto che lei gli dia le spalle. – Anzi, se proprio vuoi saperlo, è stato uno stramaledettissimo incubo! Ogni volta che te ne andavi, ogni volta che mi svegliavo e sapevo che tu non c’eri perché eri tornata da lui... e non importa quanto forte cercassi di stringerti, trovavi sempre il modo per sgusciare via! –
Lei sente gli occhi pizzicare e le lacrime che lottano per uscire, ma si ripromette di ricacciarle indietro e si volta.
- Perché? –
- Perché cosa, perché te ne andavi? Perché ogni volta sbagliavo e non riuscivo a smettere di farlo? –
- Perché me lo stai dicendo ora? – Sana trema, adesso. Non è mai stata brava a reggere tante emozioni e, sì, in questo momento sono davvero troppe. Rabbia, rancore, dolore.
- Cos’avrei dovuto fare, secondo te? Chiederti di lasciare il mio migliore amico? –
- Sì... no... Akito, non lo so! Se tu mi avessi detto che... se tu me l’avessi detto, avremmo potuto trovare un modo! – e quando è troppo è troppo, le lacrime prendono a scenderle incontrollatamente dagli occhi e a bagnarle le guance.
- Trovare un modo? Sana, non pensarlo neanche. –
- Ma non posso farne a meno! Tu ripiombi qui, dopo nove anni, riesci ancora a sconvolgermi l’esistenza, e poi pretendi che faccia finta di niente. – Fa una pausa, il respiro affannato per le urla di poco prima. – Ma d’altra parte, cosa mi aspettavo? E’ la tua specialità. Costringi le persone a mettersi in gioco, per poi lasciarle lì, da sole, con i loro sentimenti in mano e nessuno straccio di posto dove buttarli. Spero tu ti sia divertito, almeno per uno dei due ne sarà valsa la pena. –
Così facendo si volta di nuovo, e parte con passo spedito verso casa. In realtà la direzione è quella sbagliata, ma va bene, purché la porti lontano da lì.
Fermo sulla strada è rimasto un ragazzo, troppo terrorizzato per esprimere i suoi sentimenti e troppo caparbio per lasciarla andare. Così, dopo i primi attimi di paralisi, scatta in avanti e le afferra il braccio.
- Sana, aspetta – anche lui respira a fatica, ma non è per nulla sicuro che la colpa sia imputabile alla breve corsa.
- Cosa vuoi di nuo- non riesce a finire la frase perché le labbra di lui sulle sue le mozzano il respiro. Inizialmente cerca di scostarsi, ma lui le tiene forte il viso con le mani e non le permette di muoversi. Così non può fare altro che schiudere la bocca e concedergli l’accesso. La sensazione familiare della sua lingua che la accarezza la colpisce così forte che è costretta a tenersi a lui per non crollare a terra, le ginocchia hanno smesso da un po’ di adempiere la loro funzione. Da quando l’ha visto entrare nel bar qualche ora prima, probabilmente. Dopo un tempo indefinito lo spirito di sopravvivenza prende il sopravvento e si staccano entrambi, in cerca di ossigeno.
- Perché l’hai fatto? – Stavolta non è difficile intuire il motivo del fiato corto.
- Stai zitta – le soffia sulle labbra prima di riprenderne il possesso. Se potesse la prenderebbe qui, ora, in mezzo a una strada, persino troppo presto perché tutti i bambini se ne siano andati a dormire. E, se proprio volete saperlo, lei non sembra avere alcuna intenzione di lamentarsi. O meglio, è piena di buone intenzioni, giura che è l’ultima carezza, l’ultimo respiro che si fa rubare. Poi proprio quando sta raccogliendo le forze necessarie per staccarsi, lui la stringe più forte e allora lei proprio non ce la fa a lasciarlo andare. Poi le si para davanti agli occhi un viso di donna, e la rabbia può ciò che il cervello non aveva potuto. Si scuote violentemente dall’abbraccio e recupera la distanza di sicurezza, quella minima perché non abbia di nuovo voglia di saltargli addosso.
- Akito, basta! –
- Che ti è preso? – chiede sbigottito e anche un po’ scocciato. Non sembra essere per niente felice del suo repentino cambio di umore.
- Che accidenti è preso a te! Non possiamo, non possiamo, non possiamo. –
- Non mi sembra che questo ti abbia mai fermata, prima d’ora. –
- Beh, mi ferma adesso. – lo secca subito, desiderosa di chiudere la conversazione. – Ora, se non ti dispiace, me ne vado a casa. Sul serio, questa volta. –
Ma, come al solito lui è di un parere diverso.
- Dove abiti? –
- Non credi che sia abbastanza grande da tornare a casa da sola? –
- Dove abiti? – domanda nuovamente lui. Testardo come al solito, ha totalmente ignorato la sua obiezione.
Lei vorrebbe dirgli che non è davvero il caso e che questi convenevoli sulle sue labbra suonano come un insulto, ma infine opta per cogliere l’occasione e bearsi ancora un po’ della sua presenza. Così, in silenzio, si arrende e si avvia al suo appartamento permettendogli di camminarle accanto. In fondo, che male può fare? Solo qualche attimo in più.

***


Ora si trovano entrambi davanti a un portone blu notte, l’unico di tutta la strada. Lei giocherella un po’ con le chiavi, in un ultimo vano tentativo di rimandare l’inevitabile addio, anche se di pochi secondi. Poi, prende l’iniziativa e apre la porta.
- Sono arrivata, grazie mille della scorta. Sei libero di tornare a casa, ora. –
Di nuovo, come se lei non avesse mai neanche aperto bocca.
- Ti sei sistemata bene, vedo. Mi fa piacere. –
Stavolta, però, lei non è disposta a lasciar correre.
- Akito, che cosa ci fai qui? –
- Ti ho accompagnata, mi sembra. Sarebbe stato rude da parte mia permettere che una ragazza tornasse a casa da sola. –
- Da quando ti preoccupi della buona educazione? –
- Non sei l’unica ad avere vissuto in questi anni, sai? – dice amaramente, ma ancora più amaro è il suono alle orecchie della ragazza. No, certo che no.
- Credo che dovresti andare. –
Non lo guarda, fa già troppo male.
Lui sembra intenzionato a darle ascolto e starsene in silenzio, una buona volta, quando improvvisamente parla.
- Chiedimi di restare. –
E’ una domanda, una richiesta, una supplica. E Sana si chiede perché per lei sia così facile smettere di respirare.
- Akito... –
- Ti prego, Sana. Ne ho bisogno. –
Ma non sono le paroline magiche da lui pronunciate a far crollare le sue difese, sono quelle che non ha detto ma che le sono comunque arrivate forti e chiare. Sana, ti prego, per l’ultima volta. Così cede. Lo trascina dentro per il collo della camicia e lo bacia. Perché anche lei ne ha bisogno, per andare avanti, per ricucire quel graffio nella memoria. Solo un’ultima notte.
Akito richiude violentemente la porta dietro di sé prima di assalirla. Non gli interessa di non avere la minima idea di dove si trovi la stanza da letto, ha aspettato troppo per badare a questi particolari. Avvista un divano appena svoltato l’angolo del salotto, e senza smettere un solo secondo di baciarla la spinge sopra per poi sdraiarsi completamente su di lei.
- Cazzo, Sana, mi sei mancata così tanto... –
Non riesce a credere di aver vissuto tutto quel tempo senza di lei, senza le sue piccole mani che lo accarezzano ovunque, senza i suoi sospiri che gli pulsano nelle vene. Ora è quasi completamente nuda sotto di lui, e si chiede come il tempo possa averla mantenuta così dannatamente bella, e come lui possa volerla ancora in quel modo. Ma esisteva davvero, prima di rincontrarla in quel bar?
- Anche tu mi sei mancato... – riesce a mugolare tra un bacio e l’altro.
Ed è così bello riaverla tra le sue dita che non può aspettare un minuto di più prima di entrare in lei, e perdersi in lei, tra quei gemiti che pensava appartenessero ormai solo ai suoi sogni più segreti ma non per questo meno ricorrenti. Nota con piacere che i loro corpi s’incastrano ancora così bene che, anche da vicino, non riesce proprio di distinguere tra l’uno e l’altro. Come se non fossero due anime ma una sola, che è tornata a bruciare prepotente e devastante come mai.
- Ho paura... di non essere più in grado di lasciarti andare. – Lo dice, ma è solo un sussurro che lei, spiazzata dal raggiungimento del piacere estremo, non distingue dagli altri gemiti. Vengono così, insieme, e insieme si abbandonano a Morfeo.

***


Purtroppo, come ogni cosa, anche la notte ha una fine. Non importa che le persone siano pronte o meno, il mattino arriva comunque e la sua luce è sempre così forte che le tenebre non hanno altra scelta che lasciargli posto. Akito sente il calore dell’alba colpirgli la fronte, cerca di fare mente locale, e la soddisfazione della notte prima lascia posto a un malsano terrore. Così si gira violentemente facendo svegliare di colpo la persona accoccolata al suo fianco.
- Ehi... che è successo? – la voce è impastata dal sonno, ma non per questo suona meno deliziosa alle orecchie del ragazzo biondo. Finalmente il suo cuore torna al battito regolare.
- Che buffo, per un attimo ho pensato che... ho pensato che te ne saresti andata.
 Ho avuto un orrendo déjà vu. – aggiunge con un pizzico di vergogna.
La donna con i capelli rossi ride divertita.
- Akito, siamo a casa mia. E’ chiaro che aspetto che tu te ne vada da solo. –
Lui non capisce se stia o meno scherzando, in fondo con lei non si sa mai. Inoltre, non è che abbia mai avuto tutto ‘sto senso dell’umorismo.
- Vuoi che me ne vada? –
Adesso anche lei smette di sorridere.
- Tu te ne vuoi andare? -
Ed ecco che l’atmosfera si fa così tesa che si potrebbe tagliare con un coltello. Di fronte al silenzio del suo interlocutore, la ragazza si alza dal letto e comincia a raccattare vestiti sparsi qua e là. Anche questo ha l’orribile sapore di una scena già vista.
- Che fai, raccogli i vestiti in casa tua? –
- Raccolgo i tuoi vestiti in casa mia. Che domanda stupida che ti ho fatto, in fondo tu hai un posto dove tornare. –
Lui la guarda perplesso, non capisce come possano essere passati pochi minuti dalla fine di una delle notti più belle che riesce a ricordare e stia già andando tutto a rotoli. Ancora una volta, non capisce dove, di preciso, abbia sbagliato.
- Sana, potresti per piacere smetterla di usare stupidi giri di parole e dirmi qual è il cazzo di problema? –
E’ alterato, odia non riuscire a controllare le sue reazioni.
- Il cazzo di problema è che tu non dovresti essere qui! Hai una donna a casa, persino un bambino! E’ mai possibile che non abbiamo imparato niente dal massacro in cui siamo finiti nove anni fa? –
- Una donna? Un bambino? Che cosa stai dicendo? –
- In caso tu te lo fossi dimenticato, ho mentito al mio ragazzo per mesi. Non è che io non sappia riconoscere una stronzata quando me la trovo davanti. Mi ricordo benissimo che ieri sera non eri solo al bar. –
- Parli di Sachi? Per tua informazione, è sposata! –
- Come se questo abbia mai fatto la minima differenza, per te! – ride amara.
Silenzio. Troppi riferimenti a qualcosa che si preferirebbe aver dimenticato in troppo poco tempo.
- E’ la mia allenatrice di karate. -
La frase cade nel vuoto. Entrambi si guardano senza fiatare, poi lei riprende.
- E’.. è.. la tua allenatrice di karate? –
Lui annuisce.
 - Comunque, non ha nessuna importanza. –
Lei sta per ribattere qualcosa, ma lui non le permette di continuare.
- Non ha importanza perché, anche se portassi un anello al dito, non sarei mai stato capace di non baciarti. Esattamente come non sono capace di non farlo ora. –
Detto fatto, si tuffa prepotentemente sulle sue labbra ancora secche per gli urli di poco prima. Stavolta, però, lei si allontana con violenza.
- La vuoi smettere? –
- Smettila tu di essere così acida! L’ultima volta che mi sono aggiornato, ossia, fammi pensare... qualche ora fa, non ti dispiaceva affatto essere baciata. –
- Non sono acida, sei tu che sei impossibile! Io cerco di parlarti seriamente e tu non fai il minimo sforzo per capirmi! –
- Mi sforzo di capirti, Sana. Mi sono sforzato per nove anni di capire che cazzo ti fosse passato in quella testolina rossa che ti ritrovi, e non sono venuto a capo di niente. Perciò te lo chiedo ora, e sarò diretto. Che cosa vuoi, Sana? Che cosa vuoi da me? –
- Da te? Che cosa voglio io da te? L’ultima volta che mi sono aggiornata, ossia, fammi pensare... qualche ora fa, eri tu a implorarmi di farti entrare. – dice lei scimmiottando il suo commento di poco prima.  – Cosa vuoi da me, Akito? –
Lo guarda fisso in quegli occhi castani che pensava di non essere più capace di leggere, e invece adesso ci vede solo paura. Paura e conflitto, come se si mordesse a sangue la lingua per non dire qualcosa che da troppo tempo minaccia di venir fuori.
- Tutto. –
La voce del biondo è calma, non tormentata come si aspettava di sentirla. E la sua risposta è lapidaria, ma almeno questo se lo aspettava. Beh, forse non proprio così lapidaria.
- Come, prego? –
- Ho detto che voglio tutto. Non te ne accorgi, Sana, non lo capisci? Voglio ogni singola parte di te. Del tuo corpo, del tuo cuore, della tua testa... della tua fottuta anima! –
Sana si prende un attimo di pausa. Non tanto, giusto il tempo di ricordarsi come si fa a prendere ossigeno.
- A-akito, io... non so cosa dire. –
Lui stringe i pugni, tanto da sentire le unghie conficcarsi nel palmo della mano. Poi prende fiato e parla, sperando di riuscire a non gridare.
- Non sai cosa dire? –
- Io... -
- Non sai cosa dire, ho capito. Va bene. –
Fa per andarsene, poi si ferma e si volta a guardarla.
- Dimmi solo una cosa. Stanotte, è stato tutto un gioco? Farmi credere che tu... che noi... è stato il tuo modo di prenderti la tua cazzo di rivincita? –
Rancore, rancore, rancore che si mescola ai brandelli di un cuore che nonostante tutto riesce ancora a rompersi.
- Ma come ti viene in mente? Non ti farei mai una cosa simile! –
- E allora perché? Perché non vuoi darci una possibilità? –
- Perché tu non ce l’hai data? –
- E, allora, vedi che andiamo a parare sempre nello stesso punto? Cazzo, Sana! Io sono qui, che provo ad aprirmi come non ho mai fatto in vita mia, e ti sto dicendo che ti amo. Adesso, non nove anni fa, anche se probabilmente era così anche allora. Ti sto dicendo che ti amo, e tu non sai fare altro che pensare a quello che è successo o non è successo un secolo fa! –
L’ha detto. Sana si chiede se il suo cuore battesse davvero anche un secondo prima.
- Tu... tu mi ami? –
Adesso, quello stupido cuore, le è finito sulle labbra.
- Sì, che diamine! –
Respiro affannato.
- E vuoi stare con me? –
- No, mi diverto solo a dichiararmi alle persone e a umiliarmi per sport. Che accidenti ci sto a fare qui, secondo te? –
Anche l’orologio scientifico più preciso del mondo non sarebbe  in grado di calcolare il tempo impiegato da Sana per scoppiare in lacrime e gettare le braccia al collo del ragazzo che le si trova di fronte. Akito è sorpreso, poi si abitua al calore del corpo della ragazza che avvolge il suo e la stringe a sua volta. E la bacia, giusto perché è qualche minuto che non lo fa e ne sente già la mancanza. Rimangono abbracciati per un lunghissimo attimo, poi lei si scosta.
- Sei uno stupido! – dice, ma stavolta tra le lacrime spunta anche un sorriso. Anche lui sorride, anche se vorrebbe non farlo.
- Già, deve essere questo il motivo per cui mi sono innamorato di te – seconda ammissione nel giro di pochi minuti. Dannazione, si è già trasformato in una specie di rammollito sentimentale. Maledetta Sana.
Lei ridacchia, prima di aggiungere, serena come non lo era da tutta la vita – Ma ne sei proprio sicuro? No, perché i pronostici sono disastrosi. –
Anche lui ride. Accidenti, adesso sta diventando persino gioviale.
- Che intendi? –
- Beh, ci siamo rincontrati solo ieri pomeriggio e ho già desiderato di ucciderti almeno cinque volte. Per non parlare di stamattina! Ogni nostra scopata finisce con un litigio.–
- E ogni nostro litigio con una scopata, io dico che siamo fatti per stare insieme. – risponde, prima di riprendere a baciarla e domandarsi com’è riuscito a stare tutto quel tempo senza farlo.


Ehilà, eccomi!
Sì, sì, lo so che non ci credete. Non ci credo nemmeno io xD Questo epilogo è stato un parto. Nel senso che ho cominciato a scriverlo qualcosa come otto mesi fa per poi cestinare la bozza così tante volte che se dovessi raccoglierle tutte dovrei dividerle in volumi. Sono soddisfatta? Chiaramente no, e perdonatemi se non soddisfa neanche voi, ma con la totale assenza di ispirazione di cui vi ho parlato non sono riuscita a fare di meglio xD In realtà la mia pigrizia mi pregava di lasciare l'opera incompleta, poi però ho letto tutti i vostri meravigliosi commenti alle mie patetiche scuse e allora ho deciso che ve lo dovevo. Poi forse è venuto così tragicamente e si sposa così male con il resto della storia che avreste preferito non leggerlo mai, in tal caso liberissime di ignorarlo e far finta di nulla ^^ Come dice il sottotitolo, ho cambiato le regole, ho cambiato focalizzazione e punto di vista, ho cambiato tutto, ma era l'unico modo che avevo di scrivere ancora qualcosa su questi Akito e Sana.. cosa ne pensate? avrei potuto fare di meglio, però sono contenta di chiudere finalmente una ff che ho iniziato quando avevo 16 anni e un modo quasi completamente diverso di vedere le cose, spero la differenza tra l'inizio e la fine non si noti troppo. Mi spiace solo che questo sia l'ultimo ringraziamento, perchè siete le lettrici più meravigliose del mondo, conoscendomi senza il vostro supporto sarei ferma ancora al terzo capitolo xD GRAZIE di cuore, ragazze, a chi recensisce dal primo capitolo e a chi ha recensito una volta sola, siete l'orgoglio anche di un'autrice sconclusionata come me! Mi inchino, perchè questa storia è anche un po' vostra e vi meritavate un finale decente. A presto, magari  ^^
un abbraccio stretto stretto e pieno di riconoscenza,
chia
   
 
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