E' una fic strana, in parte ripresa da una delle tante trame che le frullano in testa e adattata a me, e alle mie Au.
Non è come l' avrebbe scritta lei, e lo so.
Ma Brave è Brave e Angela è Angela.
Quindi pace XD
To Fra, Because you always help me.
Blindness
***
Gai’s
Li guardi, con ansia.
Più che guardarli, dovresti dire guardarle.
In fondo, per quanto si possa definire il sesso di un oggetto, sono propriamente degli oggetti con nome femminile.
Le rotaie, femminile.
Anche, se volendo, li potresti chiamare binari, e allora sì, il termine guardarli sarebbe appropriato.
Sei davvero disperato, se ti fissi sul come chiamare degli stupidissimi pezzi di ferro.
Puoi percepire l’ elettricità, un flusso di elettroni probabilmente, che scorre attraverso quei pezzi metallici atoni e senza vita, che annuncia l’ imminente arrivo della metropolitana.
Subito la zaffata di nicotina emessa dal tuo compagno di viaggio ti fa storcere il naso. Sai che lo sta facendo apposta per indurre in te qualsivoglia reazione- tu odi il fumo delle sigarette.
Ma, stavolta, non emetti un fiato, mentre gli occhi neri si perdono per quelle rotaie, hai deciso di dare loro un sesso femminile, pensando a quanto sarebbe eternamente più facile fare dei semplici passi e scivolare giù, fino a toccarle, fino ad essere investito dalla metropolitana.
Sai anche che probabilmente il ragazzo che ti sta accompagnando lo sta facendo per evitare che tu faccia qualche cazzata, come il buttarti sotto un treno.
Sorridi amaro, ha ragione a seguirti.
A te non è rimasto assolutamente nulla.
Non ti importa degli amici, ormai. Non ti importa di quelle cose futili come la rivalità o la tenacia. Ora, ora dopo che la tua vita è semplicemente andata a puttane quelle cose paiono solo inutili belletti e ricami alla sete del tuo ego. Lui, ti dici tra una considerazione- l’ ennesima inutile- sul sesso delle rotaie, Lui se n’è andato, con un sorriso, una serenità una tenacia tale da farti male. Se n’è andato fissandoti dritto, più o meno.
Più o meno, perché lui è morto sotto i ferri, dopo averti detto tra un sibilo doloroso ed un altro, che ce l’ avrebbe fatta e che sarebbe tornato tutto come prima.
Tutto come prima?
Non credi proprio.
Lui è morto, ora.
Tu sei rimasto da solo.
Che ti importa di tutto quello che era, invece, importante prima? Che ti importa delle parole, che ti importa delle emozioni? Nulla.
Non c’è più nulla dentro di te, non c’è più il sogno, la speranza per il futuro, perché… lui era la tua speranza per il futuro.
Lui era quello che ogni mattina ti faceva svegliare col sorriso sulle labbra, ti faceva venire voglia di lottare, tentare di cambiare il mondo, di cambiare la tua vita, di essere il migliore.
E ora, ora c’è solo desolazione.
Ora c’è solo voglia di chiudere gli occhi e raggiungere, per anche un altro singolo labile momento, quella speranza.
Per essere di nuovo completo e colmare l’ intangibile vuoto che ti afferra dentro.
Non ce la fai a guardare ancora il mondo.
Ogni cosa, ogni singolo respiro altrui, ti ricorda lui.
Persino lo stantio e conosciuto rumore della metro che si avvicina, i binari che fremono sotto quel peso e delle gente che sgomita per entrare.
Persino quel puzzo di sudore e di folla, persino questo ti ricorda lui e le sue risate bonarie.
Ti volti verso il tuo amico, che spegne la sigaretta sui jeans nuovi con grazia ed eleganza ed uno sguardo ti attraversa.
La metro arriva, le porte si aprono la massa si riversa, senza dire una parola vi entrare, solo per diventare altre minuscole particelle nel marasma, solo per annegare in quella sciatta quotidianità e monotonia.
Il tuo amico arranca faticosamente su delle stampelle, la gente si sposta, lo fa sedere e lui ringrazia con un sorriso quasi di circostanza, procacciandoti un posto a sedere nell’ asfissiante folla.
Si siede con un gemito, sollevando la gamba destra.
I capelli argentati gli cadono sulla faccia, mentre il suo odore, un odore di menta, ti avvolge, ricordandoti lui. Gli occhi neri, uno attraversato da una cicatrice ti perforano, mentre ti guardano, solo in parte spenti dal fastidio fisico.
Guardi la gamba ferita del tuo compare, solo per non sentire oltre quegli occhi neri sondarti l’ anima e capire quanto sia difficile per te. Non potresti sopportare che lui capisse, perché a lui non potresti rispondere con uno stantio “ non puoi capire”, perché lo sai, il tuo amico è passato per lo stesso inferno.
- Fa male?- hai una voce piatta, vuota, diversa dal solito.
Lui sorride, quasi di circostanza, e risponde con un tono leggero e quasi falso. – No, tranquillo, è a posto.-
Come può essere a posto, Kakashi?
E’ una domanda che ti attraversa la mente. Come può essere a posto la gamba del tuo amico, se solo fino a ieri non riusciva nemmeno ad alzarsi dal letto? Come fa ad essere tutto ok, se l’ hanno dimesso solo oggi dall’ ospedale?
Nulla è a posto, proprio per un cazzo.
Non sei a posto tu, essere debole.
Non è a posto lui, in fondo ci ha quasi rischiato la pelle.
Nulla è a posto e sei stanco di fingere.
- Di la verità, fa male.-
Un silenzio, un sorriso tirato quasi a negare e poi uno scuotere la testa, mentre un sorriso sincero affiora.
- Solo un po’.-
- Potevi farti venire a prendere da Anko, vi sareste anche divertiti.- sorridi falso. Sorridi a quei due, a quella sottile allusione al rapporto che intercorre tra i tuoi due amici e colleghi. Sorridi perché, infondo, senti quella felicità che li riempie, senti il distacco tra loro e te, loro che hanno passato un inferno non troppo dissimile da quello che tu sta provando ora, ma che sono nuovamente colmi di vita e oltre quell’ infinito abisso di dolore e paura che hai dentro.
- Aveva da fare in centrale.- Ti risponde, e sai che sta mentendo. Si saranno messi d’accordo, rifletti. Lo devi accompagnare a casa, sanno benissimo che non lo lasceresti in quelle condizioni tornare da solo.
Sorridi, fai finta di accettare quella patetica scusa. Lei non si sarebbe mai lasciata fermare da una patetica inezia come il lavoro, avrebbe trovato una scusa, e di certo il loro capo le avrebbe accordato quel permesso.
La conversazione si spegne, mentre il tuo amico sorride, cortese, a tutti quelli che fissano la sua gamba, fasciata strettamente ed ingabbiata in un tutore che si intravede sotto i jeans.
Si è rotto tibia e perone nello stesso incidente che è costato la vita a lui, e che poteva costare la vita anche al tuo collega.
Non ti teme, Kakashi, ti fissa negli occhi, cerca di capire cosa ci sia dentro di te, perché tu ti senti in colpa, ed è anche lampante.
Sei stato tu a mandare Lee, lui, ad aiutare l’ Hatake, che sapevi nelle grane con un particolare inseguimento.
E, sempre tu, hai assistito impotente alle due macchine, quella dell’ inseguito e quella degli inseguitori- tra l’ altro la macchina personale di Kakashi- che si schiantavano e fracassavano a causa dell’ impatto.
Hai assistito impotente, mentre dalle lamiere accartocciate sentivi provenire dei lamenti convulsi, delle urla disumane, distorte.
E, con il cuore in gola, hai guardato medici e paramedici estrarre quei corpi martoriati dalle scatolette informi che una volta erano macchine costose. Hai guardato il tuo allievo, la tua speranza, il tuo futuro, venirne fuori svenuto, la colonna vertebrale frantumata. Hai sentito le urla disperate di Kakashi squarciare la calma, ergersi più forti dei rumori di fondo, il volto coperto di sangue ed una gamba a stento definibile come tale. Hai visto, sentito senza potere fare nulla, solo spettatore atono di una tragedia di proporzioni gigantesche. E, poi, dopo la corsa in ospedale delle due ambulanze- il criminale era morto sul colpo- hai dovuto aspettare fuori da quel pronto soccorso per ore, prima di sapere qualcosa. Ancora, immobile, hai dovuto aspettare l’esito dell’ intervento di Kakashi e poi, dopo aver dato un ultimo doloro saluto a lui, hai dovuto aspettare anche l’ esito del suo.
Negativo.
E, sempre impotente, non hai potuto fare altro che guardare quel corpo senza vita trasportato via, gli occhi, una volta così allegri, chiusi per sempre da palpebre pesanti e gelide come la stessa morte, il cuore una volta pulsante fermo.
E non hai potuto nemmeno gridare, piangere.
Il cuore si è fermato per un singolo momento, anche se irrazionalmente hai sperato che questo si fermasse per sempre.
Ti sei reso conto, con estrema lucidità, che senza Lee la tu avita non aveva –e non ha- un senso compiuto.
Ti sei reso conto che tutto quello che avevi era quel ragazzo.
Ti sei reso conto di non considerarlo come un figlio, tutt’altro.
Ti sei reso conto di aver desiderato e soffocato più volte il desiderio di poggiare le tue labbra sul quelle del tuo allievo e suggellare quel sorriso perenne.
Ti sei reso conto di non aver cercato altro per tutta la vita.
Di aver gettato tutto al vento.
Ti sei reso conto, in un singolo istante di pura freddezza, di aver mandato semplicemente a puttane tutto.
Di non aver colto tutti i segnali che il ragazzo ti mandava, di non aver avuto mai il coraggio di provare quella relazione così difficoltosa e malvista.
Ti sei reso conto di… amarlo.
E quella considerazione ti ha fatto desiderare la morte.
E te la fa desiderare tutt’ora.
Così, gli occhi neri si fanno lucidi, solo a guardare la gamba del tuo collega, solo a pensare a quanto tu poco abbia potuto fare, a quanto le tue scelte siano state fallaci.
Non ce la fai a stamparti un sorriso caustico in faccia, non sei abituato a provare un senso di colpa tanto forte e lacerante.
Lo sai, sai che Kakashi capirà cosa ti rode l’ anima, ma in questo momento non importa più nulla.
Il cuore, il sangue, lo senti per il tuo corpo, e questa è la cosa peggiore.
Tu sai, sai di agognare la fredda morte, sai di non poter andare avanti così- a vederlo in ogni angolo del mondo, per ogni semplice parola.
- Gai… mi dispiace, suppongo che sarei dovuto morire io al suo posto. Era solo un ragazzino- sussurra Kakashi, abbassando gli occhi.
Sussulti, stupito. Possibile che anche lui si senta minimamente in colpa?
Certo, ti rispondi. Lo conosci, riesce a sentirsi in colpa anche quando non c’entra nulla. Certo, ti dai del deficiente per non averci pensato prima, c’era lui nella macchina con Lee. C’era Kakashi al volante.
Si doveva sentire in colpa per non essere morto. Dio, Gai ebbe un moto di stizza, quale coglione si rivelava essere puntualmente quell’ uomo.
- Sta zitto. Non osare mai più dire simili cazzate.- La voce di Gai si tinse di una nota rabbiosa. Come osava sentirsi in colpa, Kakashi? Come osava solo pensare che fosse colpa propria in qualche modo?Non bastava la gamba maciullata, avrebbe desiderato persino perdere la vita?- Sei quasi morto, non ti basta?-
Kakashi sorride, quasi sincero. – Dì la verità, non avresti preferito lui a me?-
Gai, lo sai. Ti ha colto di sorpresa e non poco. Non ti aspettavi una domanda del genere. Come rispondere, ti chiedi. Come puoi rispondere?
Come negare che, indubbiamente, hai desiderato per un solo secondo che fosse accaduto il contrario? Eppure come negare la gioia che hai provato nel sapere il tuo amico vivo?
- Hai preso gli antidolorifici in farmacia?-
Il cambio di argomento repentino ti spaventa. Lo ringrazi per la via di fuga, che imboccherai quanto più celermente possibile. Eppure, non puoi fare a meno di chiedere quanto lui possa aver letto da questo tuo silenzio.
Troppo, sicuramente.
Sai che Hatake ha la spiacevole capacità di leggere fin troppo tra le righe.
- Sì- Gli mostri le due boccette di plastica arancione che hai preso.
Indugi un secondo con l’ altra mano nella tasca, scoprendo un terzo barattolo pieno.
Un barattolo che non ti ricordi di avere preso.
I polpastrelli indugiano al tocco confortante di quel tappo.
Potresti dare a Kakashi anche quel flacone.
Ma non vuoi.
Qualcosa, il subconscio forse, ti frena la mano, ti blocca sul nascere.
Tu desideri quel flacone.
Tu desideri quella pena di morte tra le tue mani.
Tu desideri quella via di fuga.
E così, tra il marasma, l’ alito fetido della folla, gli schiamazzi e la falsità generale, prendi quella decisione.
Sorridi falso, consegni al tuo amico, sempre più pallido, le pillole.
Lo vedi, lo vedi fare uno sforzo disperato per non aprire quei flaconi e non infilarsele tutte in bocca per placare il dolore atroce che deve star divorandolo.
Eppure resiste, nonostante gli occhi neri ormai siano lucidi dalla sofferenza.
Eppure, ti chiedi, dove possa trovare quella forza.
Una voce metallica interrompe il flusso di quei pensieri.
-Fermata Hopend, Femata Hopend-
La vostra fermata.
Si alza, tirato, vuole solo arrivare a casa e stendersi, lo puoi capire.
Lasci i pensieri, ma non il falcone di oppiacei, nella metro.
Ci sarà tempo poi.
Solo un battito di ciglia, il violoncello di qualche suonatore ambulante che ti strappa un vago sorriso.
The Unforgiven.
Il violoncello, soave, descrive i pensieri stipati nella tua mente.
Il cello suona, mentre tu ti perdi sempre più.
***
Kakashi’s.
Le
note del violoncello si propagano, lente.
New blood joins this earth
Il sangue
fluisce, rosso scarlatto, per il tuo incubo.
Ancora un
ennesimo dolce accordo flautato, ancora ennesime parole
nel vento, subdole.
Deprived of all
his thoughts
The young man struggles on
and on, he's known
E lo
senti, il sapore del rosso sangue sulle tue labbra.
E lo
senti, il tocco bagnato e spiacevole del sangue per le tue
membra.
Lo
senti, il dolore delle ferite.
La
senti, la gamba farti straziare.
Ma
non è questo il problema.
A tired man they
see no longer cares
The old man then prepares .
Il
violoncello diventa ossessivo, mentre tu.. tu hai paura.
Hai il
presentimento che qualcosa di tremendo stia per succedere.
Allora,
senza sapere né dove, né come, né
quando… corri.
Corri
senza requie.
Corri
nonostante la gamba faccia male.
L’odore
del sangue è tanto ossessivo da far schifo, lo senti
persino sulla lingua.
La gamba
urla da dolore.
Cadi,
ormai cieco, al suolo, percependo qualcosa di bagnato.
E lo vedi.
Cadi a
pochi centimetri dal volto, senza vita, il sangue che
corre.
Il volto del tuo amico.
O di tuo padre?
Un urlo ti nasce dal petto.
Il sangue imbratta tutto.
Tutto.
Il dolore si acutizza, senti il
cervello spingerti lontano dal sogno.
Corri!
To die regretfully .
Ti
svegli di scatto, la gamba che pulsa da impazzire.
Un
gemito soffocato ti scappa dalle labbra, fa davvero un
male indicibile.
Ti
accartocci su di essa, stringendo in una morsa il tutore.
Le bende paiono fuoco al contatto con la carne viva, Dio.
Cerchi
con una mano il flacone di antidolorifici, stai per
piangere come un bambino da quanto fa male.
Nel
farlo butti a terra metà delle cose sul mobiletto
accanto al letto, svegliando la tua ragazza.
E
ricordi.
Il
sangue.
Quel
volto.
Cerci
di alzarti, mentre lei ti blocca, ti ficca in bocca
una pasticca e ti stringe forte, preoccupata.
Non
avresti dovuto prendere la metro oggi, non farebbe tanto
male la gamba, altrimenti.
E,
razionalmente, cerchi di dirti che il sogno deve essere
stato provocato dal dolore, che ti ha spinto a svegliarti.
Ma
c’è qualcosa di sbagliato.
Il
sapore di sangue, che ad esempio senti ancora sulle
labbra.
Le
parole sussurrate, ad esempio, dal violoncello.
Come se gli strumenti musicali
potessero parlare.
Eppure
non ti senti al sicuro, nemmeno mentre i capelli
viola della tua fidanzata- sono due anni ormai che state insieme- ti
coprono il
torace muscoloso e solcato da qualche cicatrice provocata dai
proiettili.
Abbandoni
la testa nel cuscino respirando a pieni polmoni.
-Sta
calmo, ora passa.-
La
ammiri.
Lei
ti sa stare accanto in questi momenti delicati come
nessuno, sebbene talvolta sembri una scaricatrice di porto.
Eppure,
ora c’è qualcosa che non ti quadra.
Chiudi
gli occhi.
Corri!
The old man then prepares .
Li riapri di scatto.
Il volto di Gai,
in metropolitana.
La spiacevole
sensazione che qualcosa di stupido si affollasse nella sua mente.
Il volto strano
che aveva fatto nel consegnargli gli antidolorifici…
- Merda! –
Anko si mette in
ginocchio mentre ti aiuta a puntellarti sui gomiti.
Ti guarda, non
capendo.
- Gai…-
Poi capisce.
Ti guarda, poi
sussurra qualcosa.
-Sta tranquillo…-
Annaspi, alla
ricerca delle parole. La gamba fa troppo male.
- Ho paura che
faccia una cazzata!- Quasi capissi che lei non ci crede troppo fai per
alzarti,
e lei capisce che tanto vale accontentarti, eviterai di farti troppo
male.
Poi coglie il tuo
sguardo disperato, con uno sbuffo ti aiuta a tirarti su, prende le
chiavi della
macchina.
Gemi, fa troppo
male stare in piedi, ma ce la devi fare.
Serri i pugni
sulle stampelle, mentre lei comincia a preoccuparsi.
Non sei mai stato
paranoico.
La
macchina si ferma, davanti ad un palazzetto
isolato, a qualche chilometro da casa vostra.
Ti sei calmato un
po’, ma l’ ansia persiste, sotto la pelle.
C’è qualcosa che
non va.
Lei si volta, fa
per scendere.
Tu la fermi con un
sorriso tirato.
- Vado io,
tranquilla.-
Sta per urlarti
qualcosa, lo sai.
Non riesci nemmeno
a stare in piedi senza urlare, figuriamoci ad uscire dalla macchina e a
controllare se tutto sia a posto.
Ma poi la guardi,
la guardi in quel modo triste ed ansioso che solo lei conosce. Lo
sguardo che
hai quando vuoi affrontare le cose a muso duro e da solo,
perché sono cose che
solo tu puoi risolvere, lo sai.
Ti apre la
portiera della macchina, tu scendi con un sussulto, ti allontani verso
il
portone di Gai, le chiavi che si dimentica sempre a casa tua tra le
mani.
Tu non la vedi, tu
non la senti sibilare qualcosa.
Tu non lo sai, ma
anche lei comincia a preoccuparsi.
Tira fuori la
pistola d’ordinanza.
Sulla tua ricetta,
lo sa, c’erano tre flaconi di vicodin, non due.
***
Gai’s
Guardi quelle pillole,
gli occhi lucidi.
Sai che non
dovresti farlo.
Sai che dovresti
lottare, Lee vorrebbe così.
Ma non ce la fai.
Non ce la fai a
guardare gli altri, a pensare che possano anche solo immaginare il
vuoto che
provi dentro.
Certo, lo sai, ce
n’è di gente che ha perso la persona che amava.
Certo, c’è chi
è
andato avanti.
Non tu.
Sai che è
egoistico, ma non hai nemmeno la voglia di lottare per i tuoi amici.
Anche se ti sono
stati vicini, anche se ce l’ hanno messa tutta.
Non ce la fai.
Il dolore è
troppo, perché tu lo vedi ovunque.
Non puoi mangiare,
perché ogni sapore è il suo.
Non puoi guardare,
perché ogni immagine è la sua.
Non puoi lavorare,
perché ogni agente che vedi è lui.
Non puoi parlare
nemmeno con Kakashi, il tuo migliore amico.
Perché, lo ha
detto lui stesso, tu avresti preferito la sua morte a quella di Lee.
E, questo, ti fa
sentire una vera merda.
Diavolo, ha rischiato
di morire anche lui…
Non puoi più
amare.
Non puoi più avere
una vita definibile come tale.
Il cuore si è
ormai fermato, atono.
Che senso ha?
Questa farsa è uno
schifo.
Anche il fatto di
potere parlare a Kakashi senza timore è uno schifo.
Tu sai di dargli
inconsapevolmente la colpa della morte di Lee. Al volante
c’era lui, sarebbe
dovuto essere più attento. Avrebbe dovuto impedire che tutto
accadesse.
E, quasi ti
spaventa, sarebbe dovuto moire lui al posto di Lee.
E, invece, no.
Non hai nemmeno la
forza per negare, ormai.
Hai già deciso,
ormai.
Apri la boccetta
di pillole, e, una dopo l’ altra le inghiotti, di colpo.
Sai che non
morirai subito, ci vorrà un po’ prima che il
veleno entri in circolo.
Lasci cadere la
boccetta la suolo.
E’ solo un soffice
rumore, eppure ti pare quasi un fracasso in questa atroce nenia che
sarà quella
della tua morte.
Senti
la porta aprirsi.
Ormai
rintronato, ti
volti, vedendo la figura
pallida di Kakashi.
Lo vedi sgranare
gli occhi, lo vedi irrigidirsi.
Vedi il dolore,
non solo fisico, apparso su quel volto tanto familiare.
Lo vedi barcollare
su quelle inutili stampelle.
Lo vedi urlare
qualcosa, non lo senti. Sai solo di volerlo morto.
Sai solo che non
c’è più autocontrollo.
Sai di non voler
essere salvato, solo di sprofondare.
Sai di sentire che
il tuo amico è il responsabile della morte di Lee, sai che
è sua la colpa.
Non è stato
attento.
Lo ha condannato a
morte certa.
Era solo un
bambino, Lee, sarebbe dovuto morire Kakashi al suo posto.
Lo odi.
Lo odi.
Ti lanci come un
furia addosso a quello scheletro, facendolo cadere al suolo come un
birillo.
Quanto è fargile…
In questo momento
desideri solo fare male.
A te stesso, a
lui, che importa.
Lo senti urlare.
Fermati, ti dici.
Non serve a nulla,
oramai hai perso il controllo.
Muori,
bastardo.
Sai che è
profondamente sbagliato, sai che non è vero, lotti per
riprenderti.
Ma il vicodin ti
ha fottuto, amico.
E’ entrato in
circolo.
Senti le ossa
della tua vittima stridere.
Senti la porta
cedere sonoramente.
Vedi la ragazza
del tuo amico, attraverso una caligine bianca.
La vedi spalancare
la bocca, allucinata da quello che sta vedendo.
Come se il tempo
si fosse fermato, vedi i suoi occhi caramello farsi duri come il
ghiaccio,
inflessibili ed irosi.
La vedi, estrae la
pistola.
Vuole difendere la
persona che ama.
Pare una belva.
Fa tutto senza
nemmeno pensarci, eppure è solo una frazione di secondo che
a te pare
un’eternità.
La vedi premere il
grilletto, di impulso.
Percepisci che l’
impatto di quel corpo metallico- il proiettile-
arriverà a breve, e farà male.
Senti il
proiettile trapassarti le carni, squarciare.
Il sangue colare.
Lo sai.
Non morirai.
Ed è questo che fa
più paura.
The old man then
prepares .
To die regretfully .
Mentre
il cuore quasi cessa di battere, mentre il corpo si
arcua dalla sofferenza indotta dal proiettile e dal vicodin, senti i
gemiti
soffocati del tuo amico.
Senti
la donna che ha premuto il grilletto scostarti di
malagrazia, per liberare l’ amato.
Senti
il sentimento che li pervade.
Ed,
in un lampo, capisci che quel loro sentimento pervadeva
anche te.
Lo
capisci dai loro sguardi disperati, lo capisci dalle mani
che premono sulla ferita sanguinolenta che ti sforma il corpo, lo
capisci dal
tono in cui la ragazza chiama il 118.
Lo
capisci solo ora, mentre la vita se ne va, mentre il tuo
corpo, bistrattato e ferito, pare respingerti , offeso ed umiliato.
Lo
capisci ora, qualcuno ti voleva ancora bene.
Tuttavia,
vorresti solo poter chiudere gli occhi, sfiorare
per un singolo secondo il volto della persona che amavi, poter sfiorare
il
paradiso prima di piombare nel cupo inferno.
Perché
tu lo ami, dannazione.
Rantoli,
il cuore si ferma.
Chiudi
gli occhi, silenziosamente concedendoti all’oblio.
Non
durerà a lungo, la tua coscienza ti morde l’
anima, lo
sai.
***
Kakashi’s
Never
free
Never me
So I dub thee unforgiven
Lo guardi.
Ricomincia così
l’ ennesimo circolo vizioso.
Tu li guardi, senza nulla poter fare,
e quelli devono
lottare da soli.
Ebbene, anche oggi, guardi.
Senza requie, senza
felicità, senza amore né affetto.
Lo guardi, la rabbia ti invade.
Lo guardi, sollevare a stento il
torace sotto quelle
coperte di carta d’ ospedale.
Gli guardi il volto, pallido.
Guardi le flebo attaccate alle sue
braccia, atroci.
La tua gamba ti fa sussultare, avvolta
nelle bende e dal
tutore.
Vorresti semplicemente poter andare a
casa, stenderti a
letto e farti coccolare dalla tua dolce metà.
Ma, la verità, è
che devi aspettare che quell’ idiota
apra gli occhi.
Non sei dispiaciuto per lui.
Assolutamente.
Tu sei incazzato con lui.
Tu lo prenderesti a pugni, se ne fossi
ancora capace.
Tu lo detesti.
Tu… lo disprezzi.
Ha tentato di ucciderti, ma non
è per questo che ai tuoi
occhi pare disgustoso.
Tu lo disprezzi perché ha
tentato di suicidarsi, con le
tue pillole.
Ha tentato il suicidio, come tuo padre
prima di lui.
Ha tentato di scappare all’
inferno della vita, senza
pensare che avrebbe potuto coinvolgere mille altre vite.
E questo, questo ti fa male.
Questo ti uccide, perché
quello era arrivato tanto vicino
a te da poterti ferire facilmente.
Lo odi, perché alla fine si
è dimostrato un cazzone
ipocrita.
Sorrideva, finché tutto
andava bene, ma ora che le cose
sono diventate un bordello ha preferito passare oltre.
E non solo. Ha usato le pillole che a
te servono per
domare il dolore alla tua gamba maciullata, per tentare il suicidio. Ha
tentato
di accopparti, spingendo la donna che ami a premere un grilletto e a
dover
quasi vivere col rimpianto di averlo ucciso.
E non lo puoi più perdonare.
Così, mentre quello apre
gli occhi, solleva le palpebre,
non puoi che guardalo intensamente.
I tuoi occhi non sono freddi, no.
Sono ghiaccio.
La tua voce non è gelida,
no è peggio.
Ormai lui è un estraneo,
per te.
- Non dovevi farlo.-
Sono solo tre parole, ma dicono tutto
del dolore che hai
nel corpo.
Lo fissi, ancora, crudele, atroce,
ghiacciato.
Che soffra, ora.
Che senta, ora, cosa significhi
restare da solo.
Tu non ci sarai per lui.
Ti appoggi alle stampelle, esci dalla
camera, senza
dargli il tempo di sussurrare
nulla.
Sbatti la porta, ti appoggi ad un muro
gemendo dal
dolore.
Senti delle mani amate stringerti,
aiutarti a stenderti.
E, mentre ti fai curare il dolore
fisico da quella donna
lo sai.
Per te lui è morto.
Per te lui non è che uno
nella folla ormai.
Allora, via, come la rabbia, lasci
fluire i sentimenti
che hai provato per lui.
Ti
volti, solo,
ora, nonostante la vicinanza di qualcuno.
Non lo potrai perdonare.
Gli occhi neri si corrucciano, si
velano di una patina
lucida, poi volti la testa, nascondendoti alla vista quella camera.
Non esiste più nessuna
camera.
Per te, lui, è morto
qualche notte fa.
Per sempre.
O, quasi.
Allora.
Ok, è delirante.
Ma tanto le mie sono sempre deliranti, quindi..
Un piccolo appunto.
Ho usato il Vicodin come omaggio al dott. House, in realtà non si usano gli oppiacei xk danno assuefazione ma piuttosto ibuprofene o cose del genere.
Punto due. Sfatiamo un mito. Se ingoi una scatoletta di Vicodin vai in Overdose, ma non nel giro di due secondi, piuttosto in un arco di tempo variabile da persona a parsona ma comunque oltre 5 min l' ingestione, almeno credo..
Per il resto... Ic & co... credo siano piuttosto soggettivi, quindi i mie personaggi potrebbero essree un pochino diversi dagli originali.
Ps: i versi della canzone sono dei Metallica " The unforgiven"