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Autore: Trick    02/02/2010    11 recensioni
"«Porca vacca, spegni quella cosa» lo pregò in tono serio. «Quando fumi la pipa diventi intrattabile».
Fumi la pipa solo quando stai per creare un altro problema ad entrambi
".
Scritta senza pretesa alcuna per il prompt 040. Vista della BDT.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Scritta per la Big Damn Table indetta da Fan Fic 100 Italia e pubblicata giusto per evitare che i miei aggiornamenti diventino troppo scostanti. Il sessantaquattresimo capitolo del Diario è – tecnicamente – in arrivo. Sono incappata in un colossale blocco della fan-writer. Sì, è piuttosto triste. Sì, potete piangere.

(Gli occhi dei licantropi non brillano più dei vostri occhi. O, perlomeno, J.K. non ha mai detto che lo facciano. Non posso farci niente. Mi servivano stroboscopici).




Non guardarmi per mentire



Tonks fece scattare la serratura del proprio appartamento in Gerrart Street, si infilò nell'ingresso buio, si richiuse la porta alle spalle e si lasciò scivolare verso il pavimento. Morsicchiandosi divertita le labbra, tentò di trattenere una risatina divertita, mentre cercava nella borsa la propria bacchetta.
«Lumos» disse, e una flebile e ballerina luce azzurrina illuminò le mura spoglie e le scatole chiuse ammassate un po' ovunque.
Tonks sorrise. Ancora un paio di mesi e sarebbe stata inquilina di quel buco per il quinto anno consecutivo. Ricordava ancora il giorno in cui aveva avuto la fortuna di trovare l'annuncio sgangheratamente attaccato ad una macchinette delle bibite vicino all'Ikkusan, un'umile ristorante cinese al quale era solita fermarsi quando le lezioni di Addestramento per Auror terminavano più tardi del solito.
Aveva trascorso parecchi mesi del primo anno di Addestramento agognando l'indipendenza: amava i suoi genitori, ma sentiva di avere bisogno di uno spazio realmente tutto suo. In realtà, fra un impegno e l'altro era ben poco il tempo che riusciva a dedicare all'appartamento, ma il semplice fatto che fosse suo era più che sufficiente a placare la sua sete di libertà.
L'affitto era oscenamente basso, e a giusta ragione. L'appartamento era in pieno quartiere cinese, (il che comportava ben poca tranquillità, sebbene facessero ottimi involtini primavera), era piccolo, scomodo e troppo sensibile all'umidità e alla muffa. Nonostante tutto, quando il signor Harson le aveva mostrato per la prima volta le condizioni della casa, i suoi occhi si erano illuminati di gioia. Quella casa, checché potesse pensare la gente, era perfetta.

Da domani, lo sarà ancora di più.

Da quella mattina, in effetti, poiché erano già le due passate.
La consapevolezza di quale giorno fosse le fece attorcigliare le budella, mentre un incredibile sensazione di caldo le invadeva piacevolmente il corpo. Sospettava che anche la quantità di Whisky Incendiario che aveva tracannato nelle ultime ore avesse un certo peso in quegli strani sbalzi termici ma, al momento, era pura e frenetica felicità, e tanto bastava.

Orco porco, oggi mi sposo!

«Ninfadora?».
Sorrise nel sentire il tono caldo e vagamente roco della voce di Remus raggiungerla dal salotto – o quello che sembrava un salotto, ad ogni modo. Stava per rispondergli, quando scoppiò improvvisamente a ridere al pensiero che, quella mattina, lo avrebbe realmente sposato.
«Ninfadora, sei tu?».
«No» ridacchiò lei, rialzandosi traballante sulle gambe. «Io sono Tonks».
Lo sentì sbuffare divertito, mentre i suoi passi misurati si avvicinavano all'ingresso. D'un tratto, una delle lampade vicino al sofà si accese e lei dovette sbattere un paio di volte gli occhi per abituarsi alla luce. Dischiuse le palpebre e lo guardò dal basso verso l'alto. Indossava solo un paio di pantaloni logori e dall'orlo sdrucito e un vecchio maglione porpora con il collo alto. Tonks gli guardò i piedi nudi: adorava quando camminava senza ciabatte, ma non avrebbe saputo spiegarne il motivo. Sollevò lo sguardo verso il suo viso e lo vide sogghignare vagamente divertito.
«Tremo all'idea di cosa risponderai» le disse, «ma mi piacerebbe ugualmente sapere perché sei coricata sul pavimento».
«Vuoi fare l'amore con me?» domandò d'istinto lei, appoggiando la testa alla porta e socchiudendo gli occhi.
«Ne deduco che il tuo addio al nubilato è stato soddisfacente» commentò Remus, chinandosi per aiutarla ad alzarsi.
«No, affatto» ribatté crucciata lei, stringendo le braccia alle sue spalle. «E adesso voglio fare l'amore per compensarne l'assenza».
Dal momento che Tonks non pareva intenzionata a collaborare oltre, Remus la sollevò di peso e la portò fino alla poltrona, dove la coprì con una coperta di tweed scozzese. Le appoggiò la mano alla fronte e le rivolse un sorriso rassicurante.
«Ti va qualcosa di caldo?» le chiese con premura.
Tonks gli rivolse un sorriso malizioso e annuì con decisione. Prima di varcare la soglia della cucina, Remus si voltò per fissarla divertito.
«Io mi riferivo al tè».
«Anch'io mi riferivo a te».
Remus scosse la testa e svanì nella cucina. Tonks lo sentì muovere pentole e pentolini e provò un improvviso desiderio di raggiungerlo. Peccato disponesse di troppo poco equilibrio per sperare di raggiungere indenne la stanza.
«Remus» lo chiamò. «Mi sa che ho bevuto un po' troppo».
Lui comparve di nuovo dalla cucina e appoggiò la spalla allo stipite della porta, mentre soffiava con aria vaga sulla tazza fumante che stringeva in mano.
«Tu credi?» le domandò ironico.
Lei ruotò la testa sulla poltrona e annuì con una smorfia.
«Credo» rispose. «Bevi in fretta» aggiunse imperiosa.
Remus inarcò perplesso un sopracciglio.
«Per quale motivo?».
Tonks lo fissò come se fosse un bambino particolarmente tardo.
«Non puoi fare l'amore con me, se tieni la tazza in mano» protestò con naturalezza.
Remus sospirò stancamente.
«Ninfadora, tesoro, non ho la minima intenzione di fare l'amore con te, stasera» le disse con tono rassegnato. «Hai bevuto troppo e hai bisogno di riposo».
«Perché tu non hai bevuto?» domandò lei. «Hagrid beve sempre tanto quando festeggia».
«Ho bevuto» la corresse con tono risaputo. «Solo, non quanto te».
«Perché?».
«Perché qualcuno avrebbe dovuto riportare a letto Hagrid ed evitare che Alastor lo spedisse al San Mungo per non aver bevuto con vigilanza costante».
«È ingiusto» protestò veemente lei. «Se tu lo avessi fatto, io e te staremmo facendo
bum-bum a letto».
Remus la scrutò a lungo, sorseggiando distrattamente dalla propria tazza.
«Bum-bum?» ripeté, cercando di trattenere le risate.
Lei annuì seriamente e lui non fu più in grado di trattenere la propria ilarità. Scoppiò a ridere e Tonks parve indignarsi di fronte al suo divertimento.
«Non dovrei nemmeno vederti» disse lui, cercando di riprendere contegno. «E tu mi proponi di fare... come l'hai chiamato?».
«Bum-bum» rispose meccanica Tonks. «Perché non mi dovresti vedere? Sono così indecente quando esagero con il whisky?».
Remus scosse il capo.
«Ti assicuro che sei adorabile quando esageri con il whisky» le disse. «Ma dicono porti sfortuna vedere la sposa prima delle nozze».
«Stronzate» mugugnò Tonks. «Stronzatissime stronzate. La sposa vuole fare bum-bum. Fine della storia».
Si alzò a fatica dalla poltrona e, tenendo bene aperte le braccia, si diresse con poca grazia verso di lui. Remus appoggiò la tazza sul treppiedi accanto al sofà e fece qualche passo per aiutarla a reggersi in piedi, passandole le braccia attorno alla vita. Tonks appoggiò la fronte al suo petto e inspirò profondamente.
«Mi piace il tuo odore» mormorò. «Sai di biblioteca».
«Prego?».
«Uhm» annuì lei. «E di cioccolata. E muschio».
«Muschio?» ripeté stupito. «Ninfadora, credo sia arrivato il momento di andare a letto».
Lei sollevò gli occhi e gli fece un grande sorriso.
«Oh, sì...».
«A dormire».
«Ma che palle».


«Domani ci sposiamo».
«Me l'avevano accennato, sì».
Tonks ruotò la testa sul cuscino e fissò i suoi occhi nell'oscurità. Il modo in cui le sue iridi rilucevano nel buio, in effetti, era l'unico dettaglio della sua licantropia che l'aveva lasciata un po' sconcertata. Non che apparissero gialli come quelle di un gatto, no! Solo, di tanto in tanto, erano attraversati da riflessi di luce che, Tonks era certa, non avrebbero attraversato quelli di un essere umano. Dopo i primi attimi di esitazione, ad ogni modo, aveva iniziato a trovare anche quel dettaglio di lui dannatamente affascinante. In breve, si era ritrovata schiava di qualunque cosa si riferisse a lui, alla sua vita e al suo triste sorriso ammaliatore.
«Hai gli occhi che luccicano, stasera»
«Perdonami» disse in fretta.
Tonks suppose che avesse chiuse le palpebre, dal momento che, per quanto si sforzasse, non era più in grado di scorgere nient'altro che l'oscurità.
«Hai chiuso gli occhi?».
«Sì. Non preoccuparti».
«Perché li hai chiusi?».
«Non dovevo?».
«Ho spento la luce perché non puoi vedere la sposa prima di domani» spiegò Tonks. «Se volevo che tenessi gli occhi chiusi, accendevo direttamente la luce».
«Riesco a vederti un poco ugualmente» confessò mestamente lui. «È uno dei difetti della licantropia».
Tonks si sollevò sulle braccia e si sporse sopra di lui, tendendo una mano verso il comodino.
«Cosa stai cercando?» domandò perplesso Remus.
«Chiudi la bocca» lo zittì lei. «E se ti sento ancora commiserarti, finisci a dormire nella cucina di Hashimoto».
Tastò con una certa impazienza la superficie del comodino – facendo cadere un libro e strappando un sospiro sommesso a Remus – finché non riuscì ad afferrare la sua bacchetta.
«Accio cravatta!» scandì, sollevando la mano libera per afferrare al volo l'indumento.
«Di grazia, posso sapere cosa stai--?».
Tonks si portò cavalcioni su di lui e si sporse per avvicinarsi al suo volto, stringendo la cravatta fra le mani.
«Non puoi vedere la sposa prima del matrimonio, Remus» disse divertita, mentre gli copriva gli occhi e stringeva i due capi della cravatta dietro la sua nuca.
Remus emise un roco mormorio.
«Non avrei dovuto dirtelo».
«Dovevi pensarci prima».
Tonks posò le labbra sulle sue e lo baciò con tenerezza, mentre gli sfiorava con i polpastrelli la mandibola sinistra. Sentì la sua mano scendere lungo il suo fianco e insinuarsi di pochi centimetri sotto l'orlo della sua maglietta. Trattenne il fiato quando le sue dita le iniziarono carezzarle la pelle, mentre un sorriso sfacciato le increspava le labbra.
«Credevo non avessi voglia di fare bum-bum» sussurrò divertita.
«Ho mentito» rispose lui, spostandole con premura il viso e baciandole il collo. «Lo faccio spesso, in realtà».
«Bastardo di un professore».
Lui sorrise a sua volta.
'Provò il desiderio di dirle 'ti amo'', eppure continuò a tacere, incapace di pronunciare quella drastica parola – e dire che domani l'avrebbe sposata! Mentre lei fremeva sotto al tocco delle sue dita, si domandò perché tutto dovesse essere così dannatamente complicato.

Perché non vuoi dirglielo?



Seduti sul primo gradino di pietra che si affacciava sui sobborghi cinesi, entrambi fissavano il vuoto da diversi minuti. Tonks, con la schiena malamente appoggiata allo stipite della porta d'ingresso, si era incantata a vedere un incarto unticcio che spuntava da un cestino e che il vento continuava a muovere. Remus, d'altro canto, pareva aver trovato nella punta delle sue scarpe qualcosa di incredibilmente interessante.
Dopo qualche istante di totale immobilità, infilò la mano nella tasca del mantello e ne estrasse una vecchia pipa di radica piuttosto malmessa. Mentre Remus iniziava con attenzione a preparare il tabacco con la dovuta pressione, Tonks strinse gli occhi e si mise ad osservarlo con estrema circospezione. Aspettò che Remus avesse spento il fiammifero con il quale aveva acceso la pipa per parlare.
«Porca vacca, spegni quella cosa» lo pregò in tono serio. «Quando fumi la pipa diventi intrattabile».

Fumi la pipa solo quando stai per creare un altro problema ad entrambi.

Lui aspirò lentamente un paio di volte, sollevando lo sguardo verso Gerrart Street e cercando di non incrociare lo sguardo brillante della moglie.

Moglie.
Merlino, ora è mia moglie.

Snervata, lei gli sferrò un pugno alla spalla destra.
«Ahi!» si ritrasse lui con un grido strozzato e una smorfia di dolore. «Mi hai fatto male».
«Che scenata» minimizzò franca Tonks, incrociando le braccia con aria stizzita. «Se non mi dici che ti sta passando per la testa, sarà il prossimo a farti davvero del male».
Lui fece un sospiro rassegnato, ma continuò a stare in silenzio, aspirando di tanto in tanto dalla pipa, con le sopracciglia vagamente aggrottate.
«Remus, giuro che ti prendo a sberle fino al giorno di Ognissanti» lo minacciò lei. «Hai appena giurato di dire la verità, solo la verità e nient'altro che la verità, mi pare».
«No» le rispose lui, evasivo. «Hai sbagliato giuramento».
«Hai giurato di amarmi» tagliò corto lei. «Hai giurato di essere sincero. Hai giurato che saresti rimasto per sempre al mio fianco. È la stessa, identica e fottuta cosa Remus».
Inquieto, si grattò la nuca e le rivolse un sorriso tirato.
«Mi chiedevo cosa avessi mai fatto per meritarti» disse.
Tonks lo fissò per un paio di secondi, prima di sorridergli stentatamente.

Stai mentendo.
Di nuovo.
Ti ho mai detto che i tuoi occhi non riescono a farlo?


«Tutto qui?» scandì con rabbia Tonks, alzando lo sguardo dal piatto che stava sbocconcellando e fissandolo con durezza. «Non hai nient'altro da aggiungere?».
Lui continuò a mangiare con apatica indifferenza, tenendo la testa china sulla propria cena e le spalle curve, sconfitte. Allungò una mano verso il bicchiere e sorseggiò vagamente un po' del vino elfico avanzato dalle cantine di Grimmauld Place. Tonks si sentiva ribollire di furia, mentre lo osservava bere con tanta snervante tranquillità.
«Cazzo, Remus, rispondimi!» strillò al colmo della sopportazione. Colpì con forza il tavolo e si sporse verso di lui. «Che diavolo sta succedendo!?».
Quando Remus alzò lo sguardo su di lei, tremò impercettibilmente e tornò a sedersi compostamente con gesti meccanici. Non aveva mia visto i suoi occhi brillare così animosi; la fissava con tanto furore che a Tonks parve di essere dinanzi ad un vero lupo. L'impeto che l'aveva smossa scivolò via dal suo corpo, lasciandola con una strana sensazione di intorpidimento e confusione.
«Non guardarmi così...» mormorò, con una nota fra la supplica e l'avvertimento. «Ti ho appena detto che aspetto un bambino. Un bambino da te. E l'unica cosa che riesci a dire è ''va bene''?».
«Sì, è l'unica cosa che posso dire. E vuoi sapere perché, Ninfadora?» ribatté lui, tagliente. Si alzò in piedi e sbatté le mani sul tavolo, facendola sobbalzare. «Perché questo bambino sarà maledetto, ecco perché! Sarà soltanto un altro sporco ibrido a cui la gente sputerà addosso! Perché sarai costretta a sopportare questa vita schifosa e tutto perché – cazzo! – io te l'ho permesso!» gridò, rabbioso.
Imprecò, afferrò il bicchiere e lo scagliò in un impeto di ira contro il muro bianco della cucina. Tonks si ritrasse al rumore del vetro infranto e voltò apatica il capo verso la grande macchia rubizza che andava sgocciolando sul pavimento.

Sangue.
È a questo che finiamo, dunque?

Guardò Remus, con le guance rigate da silenziose lacrime e le labbra strette. Tirò sul col naso e cercò di trovare la voce.
«Hai finito?».
Remus parve spiazzato dal suo tono distante. Così com'era accaduto a lei, poco prima, anche la sua rabbia parve dissolversi improvvisamente. Le rivolse uno sguardo colpevole, si passò una mano fra i capelli, stravolto, e si diresse a passo svelto verso la porta. Prese il mantello e svanì in strada, senza nemmeno darle il tempo di fermarlo.
Tonks, dal canto suo, rimase immobile a fissare quella macchia rossa sul muro della propria cucina, mentre i ceri delle candele che aveva acceso a festa si scioglievano malinconici attorno a lei.

Non vedeva altro che sangue.


Quando gli aveva aperto la porta era notte fonda e diluviava. Gerrart Street era allagata e i lampioni stentavano a illuminare tanto la strada quanto i marciapiedi e le insegne cinesi. Il cielo era cupo e nessuno sarebbe stato capace di trovare, in quella pioggia fitta, null'altro che acqua, umido e bagnato.
Ma Remus era lì, in piedi di fronte alla porta del modesto appartamento, fradicio e stravolto. Si appoggiava allo stipite con la mano destra e teneva il capo chino, con i capelli gocciolanti a grondare sulle scarpe rovinate.
Tonks rimase immobile, in attesa.
«Sono un vigliacco, Ninfadora» scandì Remus, sollevando lo sguardo su di lei.
Vi era nei suoi occhi – così come nella sua voce roca – qualcosa di dannatamente colpevole. La guardava con espressione tormentata, le labbra dischiuse e il volto pallido. Tonks fece un respiro profondo e gli rivolse un mezzo sorriso tirato.
«No. Sei solo un idiota tutto zuppo».


«Sei tornato nei bassifondi?» domandò lapidaria Tonks, stringendo fra le mani la camicia sporca e malridotta di Remus. «Parola mia, questa cosa puzza così tanto di whisky che si ribalterebbero pure le budella di un Troll».
Remus si coprì le spalle con la coperta che lei gli aveva gettato addosso e allungò le mani verso la modesta stufa nell'angolo del salotto, sfregandole rapidamente.
«Non sapevo dove andare».
«Potevi tornare qui».
«Non credevo che l'avrei fatto ancora».
Tonks si voltò per guardarlo con sguardo profondamente scosso. Abbandonò la camicia davanti alla porta del piccolo bagno e lo raggiunse rapidamente. Si sedette accanto a lui e lo costrinse a fissarla negli occhi.
«Non osare ripeterlo».
«Mi dispiace».
Tonks scosse il capo.
«Non è quello che hai detto».
Remus si liberò della sua stretta con delicatezza e la scrutò con serietà.
«Non volevo farti del male. Non di nuovo» confessò sinceramente in un roco mormorio, abbassando il capo. «E non dovevo dire ciò che ho detto».
«Non ''dovevi'' o non ''volevi''?».
Lui le rivolse un'occhiata intensa e scosse la testa.
«Non volevo dirle in quel modo».
Lei annuì rigidamente.
«Questa fottuta guerra finirà e nostro figlio nascerà in un mondo migliore» decretò con decisione Tonks. «Io ne sono sicura, Remus. E tu? Tu di cosa sei sicuro?».
Remus sollevò gli occhi sul suo volto. Ne assaporò ogni dettaglio un'altra volta ancora, dai suoi lucenti occhi scuri alle sue dolci labbra piene.
«Ti amo» le sussurrò con urgenza, stringendole le mani.
Tonks rimase in silenzio un paio di secondi, fin quando la forza delle parole di Remus non ebbe finito di sfondare le pareti del suo cervello.
«Non me l'avevi ancora detto».
Lui annuì, mordendosi nervosamente le labbra.
«Ho bisogno di te» le mormorò in tono di supplica. «Merlino, ho dannatamente bisogno di te».
«Resta con me, allora» rispose lei, alzando una mano per scostargli una ciocca di capelli dal viso. Si sporse verso di lui e gli baciò lievemente lo zigomo sinistro.

Resta con me per sempre.
Fin che Morte non ci separi.


Fare l'amore con Remus era qualcosa di straordinario.
Dacché lo conosceva – e dacché si era innamorata di lui – quello era l'unico momento in cui lui riuscisse ad essere realmente se stesso. Il mondo svaniva totalmente attorno a lui, facendogli dimenticare ogni afflizione e ogni problema, fin quando non rimaneva che lei.
Nei suoi baci e nelle sue carezze vi era ben più di un messaggio d'amore. Lui non si limitava ad amarla: lui voleva viverla, voleva che fosse a conoscenza di come sarebbe crollato, in sua assenza.

Tu sei la mia vita.

Imprimeva l'estremo bisogno di lei fin dal più piccolo gesto, stringendola con profondo ardore – adorandola.
Quella volta, fu ancora più incredibile.
«Ti amo» le aveva sussurrato.
Tonks non riusciva a credere che, alla fine, l'avesse davvero pronunciato. Nell'oscurità che avvolgeva la stanza, si sforzò di cercare il riflesso brillante dei suoi occhi. Quando li vide, sorrise e lo baciò con passione, abbandonandosi completamente a tutto ciò che lui significava.

I tuoi occhi non riescono a mentire.

   
 
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