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Autore: My Pride    03/02/2010    7 recensioni
Arrivati a questo punto anche voi mi considererete un mostro, non è così? Un lurido assassino che non si sporcava nemmeno le mani.
Sappiate, però, che tutto ciò mi toglieva il fiato, impedendomi di respirare. Soffocavo nelle stesse nubi di fumo e cenere che creavo, non potendo tirarmi indietro da quella realtà che io stesso avevo forgiato con le mie mani. Schioccavo le dita, creavo fiamme; ciò che poi restava era solo un corpo carbonizzato, soltanto il ricordo di quello che una volta era stato un uomo.
State ancora pensando che io sia un mostro, non è vero? Ebbene, avete perfettamente ragione.

[ Tribute to Ishvar ~ Roy Side ]
[ Indirettamente collegata alla Long Fiction «Please, take me out of here» ]
[ Seconda classificata al contest «Da una Canzone» indetto da Marghepepe e valutato da meli_mao ]
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Tra i bagliori del fuoco'
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Zankyou, Kieru Made [Until Reverberation Died Away]
[ Seconda classificata al contest «Da una Canzone» indetto da Marghepepe e valutato da meli_mao ]

Titolo:
Zankyou, Kieru Made [Until Reverberation Died Away]
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist
Tipologia: One-shot [ 1959 parole ]
Canzone: “21 Guns” Green Day
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo, Parzialmente Shounen Ai
Rating: Giallo/Arancione
Avvertimenti: Non per stomaci delicati (?), Spoiler!
Introduzione: Cinico e bastardo, dicono in molti. Un uomo che per ottenere ciò che vuole è pronto a calpestare i piedi a Dio stesso, se mai esista un Dio in questo frivolo mondo. Coloro che mi conoscevano e mi conoscono, però, sanno quanto quella guerra che tutti noi abbiamo combattuto sia andata a gravare non solo nel mio cuore, ma anche nei loro, lasciandoci un qualcosa paragonabile solo alla disperazione. 


FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.



Do you know what’s worth fighting for? When it’s not worth dying for?
Does it take your breath away? And you feel yourself suffocating?
Does the pain weigh out the pride? And you look for a place to hide?
Did someone break your heart inside? You’re in ruins

[ “21 Guns” Green Day ]

    Star qui ad ascoltar le mie parole potrebbe sembrar stupido, insensato, ma voi che vi ci soffermate, cosa vi aspettate di trovar scritto fra queste righe di memorie? Lo dirò fin dal principio: non sto cercando espiazione rendendo voi partecipi di questi ricordi, e non sono nemmeno sicuro che voi siate interessati a ciò che ho espresso. Se volete seguirmi in questo lungo viaggio, però, dovrò cominciare dall’inizio di ciò.
    Accadde tutto durante i miei vent’anni, quando da ragazzino ancora ingenuo e sognatore credevo che il mondo riservasse sempre una via di fuga dalla sua cruda realtà. Dio, quanto mi sbagliavo. Ma mi duole ammettere che se non mi fossi mai ritrovato lì, in quel massacro di sangue e ceneri, non sarei mai diventato l’uomo che sono adesso. Cinico e bastardo, dicono in molti. Un uomo che per ottenere ciò che vuole è pronto a calpestare i piedi a Dio stesso, se mai esista un Dio in questo frivolo mondo. Coloro che mi conoscevano e mi conoscono, però, sanno quanto quella guerra che tutti noi abbiamo combattuto sia andata a gravare non solo nel mio cuore, ma anche nei loro, lasciandoci un qualcosa paragonabile solo alla disperazione. Lasciate però, come già detto, che io parta dal principio, così che anche voi che non avete vissuto in prima persona quei drammatici momenti possiate, almeno in parte, comprendere l’angoscia che ci attanagliava ogni secondo, lo sconforto che serpeggiava negli animi come un serpente infido.
    Come dicevo pocanzi, avevo poco più di vent’anni quando venni mandato al confine. Giovane alchimista di talento, ero ancora convinto che la mia alchimia potesse essere usata per far del bene, proprio come il mio Maestro mi aveva insegnato, e avevo quindi deciso d’arruolarmi nell’esercito, così da poter essere utile al mio Paese. Ma, quando gliene parlai, mi disse solo che mi sarei disonorato. Avevo provato a convincerlo che con le sue conoscenze sarebbe stato semplice diventare un Alchimista di Stato e che, in fondo, così facendo avrei potuto aiutare sia la gente che l’esercito.
    Quella nostra discussione non aveva avuto un esito positivo, purtroppo. Malato ormai da molti anni, il mio Maestro morì quello stesso giorno e i suoi segreti sarebbero scomparsi con lui se non li avesse affidati a sua figlia, Riza. Quando venni a conoscenza di tali segreti, riuscii ad affermarmi come alchimista proprio come avevo pensato al principio. Quelli, però, erano gli anni della rivolta. Dopo un periodo lungo sette anni, il Comandante Supremo dell’esercito aveva ordinato di porre fine a quella Guerra Civile, facendo scendere in campo noi Alchimisti di Stato.
    Non fu una guerra, però, quella che mi ritrovai ad affrontare. Fu un massacro, un vero e proprio sterminio. Donne, bambini, anziani... venivano tutti uccidi senza dar loro scampo. L’inizio di quella guerra era stato segnato dalla scelleratezza d’un soldato che aveva sparato - per sbaglio, si vociferava... ma chi ci avrebbe mai creduto? - ad un bambino innocente, e quindi, dopo tutti quegli anni, s’era deciso di porre fine a tutto con tale massacro.
    Oh, se solo sapeste cosa vi fu, dietro a tutto questo! Ma immergiamoci piuttosto in quei giorni, in quei momenti che mozzavano il fiato di ogni singola anima che si trovava lì ad Ishvar, ad atttendere il momento della resa o l'approssimarsi della propria morte. 
    Ricordo che non udivo alcun suono, nelle prime ore che precedevano l’alba. Nell’aria si librava in ogni momento, denso come i miasmi dell’Inferno in cui ci eravamo ritrovati, l’aspro e terrificante odore dei corpi carbonizzati e della polvere da sparo. Quasi mi sembra di riuscire ancora a sentirlo, se solo chiudo gli occhi e respiro a pieni polmoni. Ma non voglio soffermarmi su tale punto. Era solo un aspetto marginale di quel confine fra vita e morte. Ciò che posso raccontarvi è solo il modo in cui io l’ho vissuta, il modo in cui questa guerra mi ha segnato, e a tal proposito mi torna alle mente ciò che un mio caro amico mi disse. Si era trovato lì anche lui, Capitano d’uno dei molteplici plotoni lì presenti.
    «C’è qualcosa di diverso, nei tuoi occhi», mi aveva detto in tono serio, guardandomi con quei suoi occhi verdi e profondi attraverso gli occhiali che indossava. E, mentre mi stavo asciugando il viso, avevo ricambiato quel suo sguardo, specchiandomi in una grande tinozza d’acqua presente lì all’accampamento.
    «Questo vale anche per te», gli avevo risposto, osservando il mio riflesso. «Hai gli occhi d’un assassino».
    Eh, gli occhi di un assassino... tutti noi avevamo quegl’occhi, ormai. Non c’era soldato che non avesse assaggiato un boccone di quella guerra. Persino Riza, di cui vi parlavo pocanzi, non si salvò da quel destino. Sulla sua schiena portava il segreto delle mie fiamme, segreto che è andato poi perduto proprio per mano mia. A differenza di noi alchimisti, però, lei era un cecchino, per quanto ciò non implicasse comunque il suo essere estranea a quel massacro. Non seppi mai rispondere con vera convinzione alle sue domande, quando tempo dopo me le porse. Mi ero sorpreso di trovarla lì, devo ammetterlo, e ancor di più mi spiazzarono i suoi quesiti.
    «Perché i soldati, che dovrebbero proteggere i cittadini, invece li uccidono?»
    Perché quello è l’ordine che devono eseguire.
    «Perché l’alchimia, che dovrebbe portare felicità alla gente, viene invece usata per ucciderla?»
    Perché questo è il lavoro di un Alchimista di Stato.
    Risposte semplici, concise. Risposte alle quali, in realtà, non avevo mai creduto nemmeno io. Ogni cosa si accavallava e pesava enormemente nel mio animo, senza lasciarmi alcuna tregua o un posto dove poter star solo con i miei pensieri. Non c’era mai un momento per riposare, in quel luogo. Se mi guardavo intorno, vedevo solo case in rovina: le assi annerite delle case, le fiamme che man mano si spegnevano al debole vento che soffiava, deteriorando ogni possibile forma di combustibile; il fumo che si innalzava nero intorno a me, avvolgendo quella che un tempo era stata una ridente cittadina; corpi martoriati ammassati gli uni sugli altri come se fossero semplice spazzatura, dove sembravano esserci anche i resti di piccole recinzioni e trincee, quelle stesse trincee con cui avevano provato a difendersi dagli attacchi nemici. Dai nostri attacchi. Perché eravamo noi il nemico, eravamo noi gli invasori.
    Più volte mi sentivo stringere il cuore in una morsa, quando mi si paravano dinanzi quelle scene: i corpi che non ero stato io a bruciare - e di cui riuscivo a scorgere i profili - avevano molto spesso la pelle livida ed esangue, il volto tumefatto, e tutto ciò restava nel mio animo, accumulandosi a poco a poco. Anche adesso è ben difficile che me ne dimentichi, a ben vedere.
    Fu difficile tornare alla vita di tutti i giorni, dopo quel massacro. Ovunque guardassi, mi sembrava di scorgere solo corpi in fiamme, membra a cui il fuoco attecchiva deteriorando pelle e muscoli, lasciando nell’aria quell’acre odore di grasso che tanto detestavo. Mi ci voleva tutto il mio sangue freddo per cancellare quelle raccapriccianti immagini. La notte non dormivo, se non molto raramente, e, anche quando lo facevo, gli incubi tornavano a farmi visita. Seppur mi mostrassi deciso, incurante di ciò che avevo fatto durante quei giorni, non avevo mai dimenticato i volti di coloro che avevo ucciso, esattamente come mi era stato detto da uno dei soldati lì presenti, Zolf J. Kimblee.
    Arrivati a questo punto anche voi mi considererete un mostro, non è così? Un lurido assassino che non si sporcava nemmeno le mani. Sappiate, però, che tutto ciò mi toglieva il fiato, impedendomi di respirare. Soffocavo nelle stesse nubi di fumo e cenere che creavo, non potendo tirarmi indietro da quella realtà che io stesso avevo forgiato con le mie mani. Schioccavo le dita, creavo fiamme; ciò che poi restava era solo un corpo carbonizzato, soltanto il ricordo di quello che una volta era stato un uomo.
    State ancora pensando che io sia un mostro, non è vero? Ebbene, avete perfettamente ragione. Tutti noi alchimisti siamo soltanto semplici mostri. Siamo armi umane, armi sfruttate dall’esercito per attuare massacri che i comuni mortali non potrebbero compiere. Anche noi, però, abbiamo i nostri sentimenti, e questo misero essere quale io sono ha un piccolo sogno, quel sogno nato anni addietro su un campo di battaglia.
    Sorrido ancora un po’ amaramente a quel pensiero, a quelle parole scambiate con Maes, mio caro e fidato amico, durante quella cerimonia che aveva chiuso la guerra. Ricordo anche che, poco prima che tale cerimonia cominciasse, me ne stavo seduto su una di quelle macerie, in disparte da tutti e tutto. La guerra era conclusa e, intorno a me, s’udiva il rumore dei camion in partenza e il chiacchiericcio rumoroso ma allegro dei soldati. Era finita, saremmo tornati a casa. Ma a che prezzo? Per quale motivo avevamo affrontato tutto ciò? Non avrei saputo darmi una risposta, così come non avrebbero saputo darmela i commilitoni che mi avevano offerto da bere.
    «Con quelle fiamme portentose ha sempre fatto in modo che noi non morissimo invano», mi aveva detto uno di loro dopo esserci scambiati un paio di convenevoli. Facevano quasi tutti parte della mia truppa e io non ne sapevo nulla. Mi dissero i loro nomi e poi quelle parole. Charlie, Richard, Dino, Fabio, Alberto, Roger, Damiano. Non li scordai più, in seguito.
    «Per noi lei è un Eroe. È merito suo se molti di noi sono sopravvissuti. Le siamo grati, Maggiore».
    Un Eroe... ironico. Ancora oggi vengo ricordato così. Vengo ricordato come un Eroe per aver salvato le loro vite e averne distrutte altre. Non sembra anche a voi che ci sia un ché di sadico sarcasmo, in tutto ciò? Avete la mia stressa espressione dipinta in viso, adesso, ho indovinato? Avete arricciato un po’ il naso e aggrottato la fronte, come se tutto ciò che ho fin’ora raccontato sia stato solo il delirio d’un folle o quello d’un assassino che cerca espiazione. Ma ormai sono in rovina, miei cari. Non è rimasto quasi più nulla in quel frammento d’anima che possiedo. Anche adesso che osservo il corpo del mio compagno addormentato qui, accanto a me, non posso fare altro che sentirmi un mostro. Queste mie mani che lo accarezzano ogni notte sono le stesse che hanno portato morte e scompiglio. 
È una perversa ironia, questa.
    Sorrido amaro mentre gli sfioro i capelli biondi, attorcigliandomi delicatamente le ciocche intorno ad un dito. Forse lui è l’unico a capire realmente come io mi senta. Siamo entrambi peccatori, entrambi abbiamo ambito diversamente al Sole e non ne siamo usciti illesi, strisciando con le nostre misere forze fuori dal quel nostro personale Inferno.
    Ancora una volta allontano le mani per osservarle, fissando intensamente pollice e indice. Uno schiocco di dita ed è tutto finito. Un semplice gesto e tutto il mio mondo potrebbe ridursi in cenere. Forse è per tale motivo che, dentro di me, il ricordo della colpa continua ad ardere, consumandomi. Sapevo e so tutt’ora quali erano i miei ideali, qual era l’obiettivo che mi era prefissato e che sto ancora oggi cercando di raggiungere con tutte le mie forze, ma per quanto mi sforzi c’è sempre quel martellante interrogativo che anni addietro mi ponevo. Quel pressante bisogno di sapere se ciò che reputavo giusto, in realtà, non era sbagliato.


  «Tu perché combatti?»


«È semplice, non voglio morire. Ecco perché.
La ragione è sempre semplice, Roy».







    Guardo intensamente quegli occhi dorati, ora non più celati alla vista, e mi vien da sorridere ancora.
    Se mi fossi lasciato vincere dal peso che si era accumulato sul mio orgoglio - senza sapere quale fosse la vera ragione per cui avevo così ardentemente lottato fino a quel momento -, probabilmente non avrei mai scoperto quella gioia che riesce a donarmi il semplice stare con lui, il condividere la mia vita in sua compagnia, il sapere che non avevo attraversato il dolore solo per riceverne altro.





La ragione era semplice, forse Maes non aveva tutti i torti
.







_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Questa storia/tributo è nata per il contest indetto da Marghepepe, “Da una Canzone”, valutato poi in seguito (Per motivi lunghi e complessi che non sto qui a spiegare) da meli_mao, e si è piazzata come seconda classificata nonostante io avessi i miei dubbi che potesse essere un'ottima storia.
E' molto introspettiva e parla della guerra d'Ishbar.
Ho cercato di attenermi al testo della canzone e a ciò che succede nel manga, mettendo a nudo le sensazioni del protagonista della shot: la guerra vista secondo i suoi occhi e quelli degli altri soldati; quello che prova durante quei momenti e ogni particolare che intorno a lui sembra cambiare durante quello sterminio. Ho anche provato a spiegare un po’ gli avvenimenti che conducono a quella guerra, visto che al giudice iniziale conosceva poco il manga. I dialoghi (Così come quelli in corsivo al di fuori di “«” e “»”) sono tratti proprio da esso e, anche per tale motivo, negli avvertimenti ho inserito spoiler. Il titolo, poi, è un omaggio alla doujinshi di un circolo che adoro: GD Mechano.
Qui di seguito il commento della giudice che ha così gentilmente sostituito la precedente:
  • Originalità: 10/10
  • Stile: 10/10
  • Grammatica e lessico: 9.5/10
  • Attinenza canzone: 8/8
  • Attinenza personaggi originali: 7/8
  • Giudizio personale: 4/5
  • Totale: 48.5/51
Il mio giudizio forse non era 5/5, ma di sicuro fra tutte la tua storia era quella che più meritava il podio. Organica, scritta bene, con uno sfondo non scontato come potrebbe apparire all’inizio. I pensieri di Mustang sono perfettamente espressi. È originale e non ripetitiva, piacevole da leggere.
Per spiegare il punteggio: ho tolto 0.5 alla grammatica per un piccolo errore di distrazione, ma non incideva sul punteggio quindi l’ho segnalato a solo scopo indicativo. Per i personaggi ho preferito togliere un punto perché io proprio il colonnello in una storia omo non ce lo vedo, ma ovviamente quello riguardava la mia visione del personaggio, tipico donnaiolo.
Per il resto davvero complimenti perché li meriti tutti!


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