My
Dad
“Papà!”
urlò una
bambina dai capelli castani rossicci. Correva in giardino per andare
incontro
al suo papà che tornava da lavoro, vestito elegantemente con
giacca e cravatta
e una valigetta in mano.
Quando fu a poca distanza dal suo papà gli saltò
in braccio “Ciao papà!” disse
felice di poter riabbracciarlo.
“Ciao Jenny” le baciò la fronte
“Come te la sei cavata senza di me?”. La
bambina assunse un’espressione divertita “Bene, la
mamma ha preparato la torta.
Vieni?” chiese tirandolo per la manica della giacca.
L’uomo rise, contagiato
dall’allegria della figlia “D’accordo.
Chi arriva prima in casa, si mangia la
prima fetta di torta?”.
A Jenny si illuminarono gli occhi “Sì!”
saltellò sul posto divertita.
“Via!” disse suo padre che corse verso la porta di
casa, poi alla fine rallentò
per lasciar vincere sua figlia.
“Papà, hai perso”.
“Non importa” le disse scompigliandole i capelli.
“Su andiamo in casa”.
“Papà, che cos’è?”
chiese la bimba indicando un piccolo insetto rosso con dei
puntini neri, che si era posato sulla mano del padre.
“È una coccinella” rispose dolcemente
“Non mandarla mai via. Ti porterà
fortuna” le spiegò, poi la coccinella
volò via, e i due la persero di vista.
“Davvero?”
“Certo.” Poi prese la bambina per mano
“Allora andiamo?”.
Lei corse in casa e si sedette a tavola, impaziente di ricevere la sua
fetta di
torta. “Lo sai, papà e io abbiamo visto una
coccinella!” riferì alla madre.
“E come sai che è una coccinella?”
chiese la donna mentre le diede il piattino
con la torta al cioccolato.
“Me l’ha detto lui! Papà sa sempre
tutto!” ridacchiò la bimba mentre
addentò la
fetta di torta, sporcandosi il viso di cioccolato.
A 4 anni papà sa tutto.
Una ragazzina
sbuffò, mentre sbatteva violentemente la porta di camera
sua. Arrabbiata e
nervosa allo stesso tempo si buttò sul letto per calmarsi.
Suo padre le aveva
sequestrato il cellulare per punizione: la sera prima era tornata
troppo tardi
a casa.
Ma Jenny le aveva spiegato e fatto capire che non era colpa sua. La
festa di
compleanno si era prolungata più del previsto e lei non
poteva andarsene così,
senza motivo né una spiegazione. Non poteva lasciare la sua
migliore amica
mentre apriva i regali, tra cui il suo, ma questo suo padre non lo
capiva o
meglio non voleva capirlo.
“Jenny apri la porta” disse il padre.
“Vattene!” bofonchiò la ragazza con la
testa sotto il cuscino. Evidentemente
suo padre non l’aveva ascoltata, poiché
abbassò la maniglia della porta ed
entrò in camera di sua figlia che era piena di poster e di
foto.
“Jenny …” la chiamò, cercando
di attirare la sua attenzione.
La ragazza si alzò e si mise a sedere sul letto, guardando
gli occhi verdi del
padre, come i suoi.
Sbuffò “Che c’è?”
chiese cercando di apparire il più arrabbiata possibile.
Il padre le sorrise “Jenny non ti ho punito perché
mi andava, ma per una giusta
causa” poi si fermò ad osservare il volto di sua
figlia pensando a quanto era
cambiata. Stava crescendo a vista d’occhio.
“Ti ho punita” continuò
“perché ti voglio bene e perché non
vedendoti arrivare
ieri sera, io e tua madre ci siamo preoccupati” le
spiegò in tono conciliante.
“E adesso smettila di fare l’arrabbiata e vieni
sotto che è ora di cena,
okay?”.
Lei alzò gli occhi “D’accordo
papà” disse.
Poi lo vide uscire da camera sua e sospirò. Non le piaceva
litigare con i suoi
genitori ma a volte capitava e lei ci stava male. Sorrise, felice di
aver
chiarito.
A 15 anni, comunque, papà non sa
diverse
cose …
Una ragazza tornava a casa di pomeriggio, fischiettante, senza pensieri
e
felice. Portava una borsa a tracolla. Infilò le chiavi di
casa nella serratura
e aprì la porta. Il suo fidanzato le aveva chiesto di
sposarla. Era da un po’ i
tempo che stavano insieme e finalmente si era deciso a chiederglielo.
Si
sentiva la persona più realizzata del pianeta.
“Mamma, papà, sono arrivata!”
urlò appoggiò la borsa colma di libri sul tavolo
e posò le chiavi.
Qualche minuto dopo i suoi genitori scesero le scale e vanno incontro
alla
propria figlia. Suo padre era invecchiato, non molto ma era cambiato,
però
rimaneva sempre il suo papà, il migliore.
La sua mamma invece non era cambiata di molto, aveva solo qualche ruga
in più,
ma la vitalità continuava a caratterizzarla sempre.
Sorrise “Damian mi ha chiesto di sposarmi”
annunciò felicemente, con il sorriso
sulle labbra.
Alla madre brillarono gli occhi e andò incontro a sua
figlia, stritolandola in
un abbraccio ricco di significati. “Sono così
contenta per te, tesoro”.
“Grazie mamma” disse ricambiando
l’abbraccio, poi il suo sguardo ritornò verso
quello di suo padre, che la guardava stupito. “Anthony,
di’ qualcosa!” lo
riprese sua madre.
Lui sbuffò “Non sono felice della notizia,
Jenny” disse rivolgendosi a sua
figlia che ormai era diventata grande, una donna.
“Come?” chiese lei incredula. Suo padre era solito
assecondarla sempre, in
qualsiasi cosa, ovviamente tranne quando lei era in torto.
“Mi hai capito bene” ribadì.
“Non mi piace, non mi convince. Bambina mia, non è
la persona giusta per te” disse chiaramente, incrociando le
braccia al petto.
“Non che debba piacere a te” sbottò
Jenny per tutta risposta “E sentiamo,
perché non ti piace?” chiese cominciando ad
arrabbiarsi. Il suo Damian era una
persona stupenda.
“Perché no. Lo sento, qualcosa in quel ragazzo non
va. Innanzitutto non parla
mai quando viene qui a cena”.
“È timido
papà” aggiunse lei in difesa
del suo futuro marito.
“Secondo, ogni volta che gli chiedi un favore, lui non
c’è mai” continuò
l’uomo, sostenendo la propria tesi.
“Non è affatto vero”.
“E ultimo, non ha un lavoro. È svogliato e non sa
quello che vuole dalla vita!”
“Ma tu che cosa ne sai? Cosa sai di Damian?” chiese
la figlia alterata “Tu non
sai nulla di lui, di noi. Lo amo e lui mi ama”.
Il padre non disse nulla, non volendo discutere con sua figlia, rimase
in
silenzio guardando fuori dalla finestra.
“Tu non capisci niente!” sbraitò
“E non mi interessa cosa pensi. Io lo amo e lo
sposerò, che tu voglia o meno!”. Poi
uscì di casa, sbattendo la porta e
correndo in auto. Pianse dal nervoso, non capendo perché suo
padre non
accettava la sua scelta. L’aveva sempre fatto, le aveva
sempre consigliato il
meglio e anche quando non lo faceva, la incoraggiava in tutte le
scelte, anche
in quelle più difficili. Sbuffò, si
asciugò le lacrime e partì in direzione
della chiesa, per fissare la data del matrimonio, scordandosi per
qualche
secondo della lite avuta con il padre.
A 25 anni, papà non capisce niente!
Di sera, in un
letto vuoto, una donna piangeva, scossa da tremiti e spasmi. Era
distrutta. Suo
marito le aveva appena dato l’ultima delusione.
L’aveva appena tradita con una
ragazza molto più giovane di lei. Si alzò dal
letto e fece la valigia
mettendovi dentro le prime cose che trovava.
Ormai si era stancata di lui. Le aveva dato più delusioni
che altro.
Prese un post-it e scrisse sopra due righe a suo marito Damian, e lo
attaccò al
frigorifero.
Uscì di casa che era notte fonda e pioveva, ma non le
importava, voleva solo
andarsene. Salì velocemente in auto, buttando la valigia nei
sedili posteriori
e guidò verso casa dei suoi genitori.
Pochi minuti dopo era davanti alla casa in cui aveva trascorso la sua
infanzia
e sorrise ai bei ricordi.
Suonò il campanello: sua madre venne ad aprirle in camicia
da notte, ma non le
chiese spiegazioni. Ormai erano abituati ad ospitare la loro figlia per
brevi o
lunghi periodi. Le liti con il suo Damian erano talmente frequenti che
si era
portati a pensare che Jenny risiedesse lì, a casa dei suoi
genitori.
La ragazza aprì la porta della stanza che era stata da
sempre la sua cameretta
e si sedette sul letto soffice e accogliente. Appoggiò la
valigia contro la
parete e si sdraiò sul letto, chiudendo gli occhi,
ricordando tutta la sua vita
fino a quel momento, sia i momenti belli che quelli brutti.
Sperò di poter dormire, ma non ci riuscì,
così scese al piano di sotto, in
cucina e aprì il frigo. Si versò un bicchiere
d’acqua e sospirò. Almeno aveva
capito una volta per tutte che razza di persona era suo marito.
“Ciao Jenny” la salutò suo padre.
“Ciao papi”. Osservò il suo
abbigliamento e sorrise. Portava un pigiama grigio
con il numero 32 stampato di rosso, a caratteri cubitali. Era il numero
del suo
giocatore preferito di baseball, il suo idolo.
“Come stai?” chiese lui sedendosi sul divano. La
figlia si mise accanto a lui.
“Non bene” poi gli raccontò tutto
l’accaduto, dalle loro liti che avevano
sempre avuto, della sua testardaggine in qualsiasi cosa, della sua poca
voglia
di fare, e infine del suo tradimento con una ragazza di 25 anni al
massimo.
“Mi dispiace” rispose solamente il padre.
“Ma sono sicuro che anche questa
volta, ne uscirai ancora più forte”.
Jenny non aveva più parola da usare, ne aveva sprecate
troppe con suo marito,
così si mise a piangere, appoggiata sulla spalla del padre,
che cercava di
confortarla, ma con scarsi risultati.
“Papà …” mormorò.
“Jenny … La vita in generale, ma la vita che hai
passato con Damian è stato un
combattimento tra leoni, capisci? In cui vince il più forte.
Un
combattimento tra leoni, hai capito?! Quindi solleva il mento, tira
indietro le
spalle, cammina con orgoglio, pavoneggiati, non leccarti le ferite,
festeggiale. Le cicatrici che porti sono il segno di chi combatte.
Hai partecipato ad un combattimento tra leoni, e se non hai vinto non
significa
che tu non sappia ruggire.”.
La figlia si tirò su, guardando negli occhi il padre e
tirò su dal naso, come
faceva quando era piccola. E come quando era piccola, suo padre era
ancora lì
che le asciugava le lacrime e la consolava, dandole sempre saggi
consigli.
“Grazie papà” gli disse abbracciandolo
“Grazie di tutto. E mi dispiace per non
averti creduto. Avevi ragione tu, come sempre, ma ero troppo innamorata
per
capirlo, innamorata della persona sbagliata. Damian non era la persona
giusta,
purtroppo l’ho capito troppo tardi”.
“Non preoccuparti. Tu funzioni sempre a scoppio
ritardato” ironizzò il padre,
ridacchiando.
Anche Jenny rise.
“Buonanotte papà. Ci vediamo
domattina.”. Gli baciò una guancia.
“Buonanotte. E non pensare troppo”. Lei gli sorrise
e gli lanciò un ultimo
sguardo mentre saliva le scale.
A 29 anni, se avessi dato ascolto a mio
papà …
Non poteva pensare che, la persona a cui voleva più bene, l’avesse lasciata così. Senza preavviso. I medici l’hanno chiamato infarto. Non si puo’ prevedere, le avevano detto.
Ma Jenny avrebbe voluto fare qualcosa, avrebbe voluto essere con lui mentre succedeva. Singhiozzò e si sedette sul letto, cercando di ricordare l’ultima volta in cui aveva avuto occasione di vederlo. Erano passati anni da quando lui se n’era andato. Anni è vero, ma era ancora difficile da accettare, era una ferita ancora aperta che non accennava di guarire.
“Jenny? Jenny siamo a casa” urlò una voce che riconobbe subito. Si alzò, asciugandosi le lacrime con un fazzoletto di carta e corse al piano di sotto.
Vide suo marito, Jared, sorridente, che teneva suo figlio per mano.
Jared era il suo nuovo marito da qualche anno ormai e il bimbo che teneva per mano era suo figlio.
Suo marito era la persona più solare del pianeta, sempre sorridente e contento, in pace con il mondo. Era un avvocato di successo, il più ricercato a New York. Aveva trovato la felicità grazie a lui e pochi mesi dopo era arrivato il loro figlio, che ora aveva 6 anni.
Suo figlio le sorrise e le corse incontro, abbracciando sua madre. “Mamma!”
“Ciao piccolo!”
“Mi sei mancata!” esordì facendosi prendere in braccio.
“Ma se sei stato via un’ora?” chiese scherzando. Lui alzò gli occhi al cielo “Non importa, mi sei mancato lo stesso”. Le fece una linguaccia, poi lo mise giù e il bambino corse in camera sua.
“Ciao amore” la salutò suo marito abbracciandola. “Lo sai? Sei mancata anche a me”.
“Sono speciale!” scherzò lei “Manco a tutti”.
“Ti amo” gli disse con sincerità, guardandola negli occhi.
“Ti amo anche io Jared”. Fece una lunga pausa e sospirò “Tesoro, devo mandarti a fare la spesa” disse sventolandogli davanti al naso un foglio di carta.
Lui alzò gli occhi al cielo, poi sorrise “D’accordo. Farò in un attimo”.
Le baciò la fronte e la moglie lo guardò uscire di casa.
“Mamma!” urlò il figlio di Jenny “Vieni un attimo?”. La donna sospirò, poi corse in camera di suo figlio, che era seduto sul suo letto con un album di foto in mano, un album che riconobbe subito. Era quello che stava guardando lei poco prima. Il bambino, non appena la vide, mise da parte l’album e invitò la madre a sedersi accanto a lui.
“Oggi Samuel mi ha detto che ho un nome vecchio” confessò il bimbo, imbarazzato mentre osservava la sua coperta, sulla quale erano disegnati i vari pianeti del sistema solare.
“Oh, ma il tuo è un nome speciale.” Disse la mamma, scostandogli un ciuffo di capelli dagli occhi. “Abbiamo scelto il tuo nome perché mi ricorda una persona davvero speciale” spiegò Jenny, guardando negli occhi suo figlio, che attendeva un proseguimento.
“Vedi questa persona era molto importante per me e lo è tutt’ora. È tuo nonno, piccolo. Si chiamava come te e tu mi ricordi lui”.
“Mio nonno?”. Chiese il bambino cercando di immaginarsi il proprio nonno.
Allora Jenny prese l’album delle foto e gli mostrò chi era suo nonno. Era una foto che raffigurava lui con Jenny da piccola. Indicò l’uomo sulla fotografia, suo padre “Questo è tuo nonno, il mio papà” spiegò lei con le lacrime agli occhi “Purtroppo non lo hai mai conosciuto ma era una persona fantastica. Era il papà migliore che si potesse avere. Era comprensivo, gentile, non si arrabbiava mai e giocava sempre con me. Era una persona solare, una persona unica. Era mio padre, la persona a cui volevo più bene al mondo, la persona con cui non avevo segreti, a cui rubavo sempre il gelato.” Si lasciò scappare un sorriso, ricordando quei bei ricordi “Lui era la mia persona, il mio migliore amico. Lui era mio papà, piccolo, e devi essere fiero di portare il suo nome. Portalo con onore. Sono sicura che diventerai intelligente come lui, avrai una vita fantastica e figli fantastici, sarai coraggioso, leale e con un animo buono e puro. Sarai una persona inimitabile, unica, proprio come lui.”.
Quando Jenny finì di spiegare, si sentì strana, come se in qualche modo suo padre in quel momento, fosse lì con loro. Allora sorrise e abbracciò suo figlio.
“Sai, gli piaceva il baseball, come a te”.
“Davvero?” chiese il bambino mentre tirava su dal naso. Si era commosso a sentire la storia grandiosa del suo nonno, che avrebbe tanto voluto conoscere.
Jenny rievocò l’immagine di suo padre, quando per la prima volta, la portò in Italia. Era tornata a casa da scuola, aveva circa 10 anni e suo padre le aveva detto “Fai le valigie, si parte!”.
“Per dove?” aveva chiesto lei.
“Andiamo in un posto fantastico” aveva detto lui. E quando arrivarono all’aeroporto e salirono sull’aereo diretto in Italia e la bimba capì dove voleva portarla suo padre, lei saltò dalla felicità e abbracciò suo padre.
Quanto gli mancava. Gli mancava chiacchierare con lui, vedere la televisione insieme a lui e condividere ogni istante della sua vita con lui. Era stato un padre fantastico.
Gli mancava, e non ad ondate ma era un dolore continuo. Gli mancava terribilmente e avrebbe voluto averlo lì, abbracciarlo e potergli chiedere, come sempre, quale era la cosa giusta da fare.
“Sì, gli piaceva il baseball. E ricorda, che anche se non l’hai mai conosciuto, tuo nonno ti avrebbe voluto bene e lui veglierà sempre su di te, in ogni istante della tua vita, lui ti aiuterà, come ha fatto con me”. Concluse lei, asciugandosi una lacrima che non era riuscita a trattenere.
“Le volevi bene” era un’affermazione, non una domanda.
Jenny abbracciò suo figlio e vide nei suoi occhi la stessa luce che caratterizzava gli occhi del padre: felicità, entusiasmo. Osservò i suoi occhi verdi, come i suoi e come quelli di suo padre e il colore dei suoi capelli castani sul biondo.
Gli sorrise e gli baciò la fronte “Farai grande cose, Anthony”.
E Jenny sorrise pensando che suo padre, sarebbe stato comunque con lei, per sempre. Le sarebbe stato vicino come sempre, e le avrebbe sempre voluto bene, proteggendola e salvandola quando ne avrebbe voluto bisogno.
Poi Anthony scese dal letto e corse in cucina. I raggi del sole colpirono il vetro della finestra e per un istante Jenny immaginò il padre mentre le sorrideva, il viso rivolto verso al sole: a lui piaceva il sole, l’aria aperta e la libertà.
Jenny si fece colpire dai raggi di sole “Ciao papà”, mormorò Jenny “Sapevo che ci stavi ascoltando” ridacchiò “Ti voglio bene”. Poi si alzò dal letto e andò in cucina per preparare la cena.
E il sole tramontò, lasciando spazio alla sera, illuminata dalla luna piena.
A 39 anni, ce l’avessi ancora un papà..