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Autore: Mapi D Flourite    05/02/2010    3 recensioni
[Gojyo/Sanzo]
Gojyo spense la sua sotto il tacco delle scarpe e alcuni secondi dopo Sanzo fece altrettanto. «Fa con calma,» gli disse, contando quante sigarette gli fossero rimaste nel pacchetto. «In questa patetica parodia di una scampagnata il tempo è l’unica cosa che non ci manca.»
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Genjo Sanzo Hoshi, Sha Gojio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Abbiamo tempo
Pairing: Gojyo/Sanzo
Rating: PG
Conteggio  Parole: 2032
Warnings: Yaoi, Angst, Fluff nel finale
Spoiler: Nessuno

Note: Scritta per la challenge Meme di San Valentino indetta da Michiru-kaiou7 con il prompt "Buon San Valentino!", "... Sul serio, a volte mi domando cos'hai dentro la testa".
Questa l'ho partorita, letteralmente, ma ci tenevo veramente tanto tanto a scriverla. ♥ Inutile girarci attorno, non sarà perfetta, ma la amo. (E credo che sia una delle pochissime volte in cui ho il coraggio di dire una cosa così ad alta voce!).

Disclaimer: Saiyuki e i suoi personaggi appartengono alla Minekura, io non ci guadagno un centesimo a scrivere su di loro, lo faccio perché mi diverto.

-:-:-

«Buon San Valentino, Raggio di sole!»
La mano di Sanzo si bloccò a mezz’aria con l’accendino stretto in pugno e lui sollevò piano la testa fino ad incontrare una cascata di capelli rossi che incorniciavano il viso sorridente di uno stupido kappa dalla voce che, per qualche strana ragione che non voleva spiegarsi, suonava fin troppo squillante.
Aggrottò le sopracciglia e piegò le labbra sottili in una smorfia, schiacciando il filtro della sigaretta ancora spenta tra i denti. «Cosa?»
Gojyo si scostò i capelli dal viso e, senza chiedere il permesso, si sedette sul letto accanto a lui, stendendo le lunghe gambe sul copriletto senza togliersi le scarpe. «Lo so, sono in anticipo di quasi una settimana, ma Hakkai ha detto che dopo questo villaggio non ne incontreremo più per diverso tempo e non volevo rischiare di trovarmi a dover festeggiare sotto una tenda nel bel mezzo del nulla.»
Aveva un’espressione così compiaciuta e sembrava tanto convinto di quello che stava dicendo che Sanzo rimase a fissarlo a bocca aperta senza riuscire ad articolare un pensiero che fosse più coerente di Eh?
«Quindi, dato che non possiamo fare altrimenti, festeggeremo questa sera. Allora, preferisci uscire oppure restare qui
Sanzo ebbe un fremito decisamente poco piacevole quando il mezzo demone gli miagolò a pochi centimetri dall’orecchio – il che era strano ma, dopotutto, anche quello stupido di un kappa si stava comportando in maniera assurda – e si scansò velocemente, senza togliergli gli occhi di dosso come se fosse stato un animale pericoloso. «Gojyo, di cosa diavolo stai parlando?»
Gojyo sorrise sensuale e si chinò verso di lui per afferrargli i fianchi. «Parlo di me, di te, di una bottiglia di vino e di dare un senso a questa notte gelida.» Si porse in avanti fino a sfiorare il suo naso con il proprio e gli sfilò la sigaretta dalle labbra prima di baciarlo, lentamente, assaporando il semplice contatto, come se fosse la prima volta che baciava in tutta la sua vita.
Sanzo rimase immobile e attonito, non riuscendo a comprendere del tutto quello che stava succedendo: il concetto di ‘me, te, vino e letto’ gli era piuttosto chiaro – e ultimamente anche particolarmente familiare –, erano i vaneggiamenti inutili e l’improvviso sollevarsi di Gojyo da lui per frugarsi con aria assorta nelle tasche a non avere senso.
Lo osservò, più curioso di quanto avrebbe dovuto, e inarcò un sopracciglio quando vide che gli veniva porto un accendino lucido legato con un nastrino rosso. Guardò Gojyo interrogativo e lui si chinò nuovamente a baciargli le labbra. «Per te,» gli disse, facendoglielo cadere tra le mani. «Ho notato che il tuo si stava scaricando, quindi ho pensato che te ne servisse uno nuovo. Buon San Valentino.»
Sanzo studiò l’oggetto rigirandoselo tra le mani, mentre tasselli confusi ritornavano in ordine nella sua mente, dipingendo un quadro della situazione particolarmente allarmante. Insomma, lui non poteva davvero star…
«Gojyo?»
«Sì?» mugolò, sparendo dietro al suo zigomo per andare a baciargli la pelle tra la nuca e l’orecchio, facendolo fremere, questa volta in modo particolarmente piacevole. Una parte di lui – quella cedevole, che aveva scoperto soltanto di recente – avrebbe voluto lasciar perdere e che Gojyo continuasse con quello che stava facendo, mentre un’altra, quella testarda – e puntigliosa e nervosa per non essersi potuta fumare la sua sigaretta in santa pace – spinse via il mezzo demone per le spalle, allontanandolo da sé. «Dimmi che non è quello che penso,» disse, piantandogli il fiocchetto rosso sotto il naso.
Gojyo sbatté le palpebre. «È un accendino.»
«Lo vedo che è un accendino, solo,» non sapeva nemmeno bene lui come porre la questione, «che cosa dovrebbe rappresentarmi?»
«Un accendino.»
«Gojyo
«Ok, ok. È soltanto un regalo, non prendertela… Sanzo?»
Il monaco sospirò, sbattendo la fronte contro il palmo aperto della sua mano. Perché a lui? «Gojyo… Sul serio, a volte mi domando cosa tu abbia dentro la testa!» Gojyo aprì la bocca per parlare, ma venne interrotto immediatamente: «Non abbiamo tempo per questo,» gridò, piantandogli gli occhi viola dritti nel suo sguardo confuso. «Se non te ne sei accorto,» continuò, scrollandoselo di dosso, «non siamo esattamente nel bel mezzo di un’allegra scampagnata, anche se sembra che voi tre idioti ne siate convinti: non abbiamo tempo da sprecare con idiozie del genere.» Prese l’accendino e lo lanciò contro il suo petto continuando a seguirlo con lo sguardo mentre cadeva e rimbalzava sul copriletto.
Gojyo sbatté le palpebre un paio di volte, inebetito, osservando il fiocchetto gualcito che era scivolato quasi alla base dell’accendino e sentendo montare qualcosa, nel suo stomaco, che inconsciamente catalogò come un miscuglio di rabbia e frustrazione. Abbassò il viso e strinse i pugni sotto lo sguardo spietato del monaco e gli si formò quasi un nodo in gola mentre un fiume incessante di pensieri gli attraversava il corpo nel tentativo di trasformarsi in versi, suoni, parole acide che desideravano solo riversarsi addosso a lui e alla sua maledetta cocciutaggine. Prese l’accendino, stringendoselo in pugno e sollevò il viso.
D’un tratto gli era passata del tutto la voglia di ribattere. Incontrando i suoi occhi infuocati aveva sentito una rabbia incontrollabile scorrere dentro il suo corpo alla stessa velocità del sangue che sentiva sbattere contro le tempie e per un breve, infinitesimale secondo percepì nitido il desiderio di avventarsi su di lui con tutta la forza che aveva in corpo e, schiacciandolo tra il suo corpo e il materasso, fargli provare quanto più dolore possibile, fino a farlo urlare e piangere allo sfinimento.
Aprì le labbra e, lottando contro se stesso, si alzò in piedi, terrorizzato. Chiuse gli occhi, respirando a fondo e, prima di essere in grado di fare qualsiasi cosa si allontanò dal letto e si sbatté la porta alle spalle, come se fosse una barriera.
Sanzo rimase a guardare la porta con gli occhi spalancati, senza capire. Istintivamente si alzò in piedi e coprì la distanza che lo separava dalla porta in una manciata di passi e la aprì; guardò fuori, solo per trovare il corridoio completamente deserto. Digrignò i denti e sbatté nuovamente la porta, appoggiandosi con le spalle e la testa contro il legno.
Le sue labbra si piegarono in un ghigno e si coprì la faccia con una mano: si sentiva stranamente euforico, mentre l’adrenalina saliva fino al cervello e tutto il suo corpo iniziava a fremere incontrollato. Respirò a fondo e lasciò cadere il braccio al suo fianco, mentre il respiro si mozzava e lui scivolava con la schiena lungo la superficie liscia fino a trovarsi seduto in terra.
Allungò lo sguardo nella luce opaca che inondava la stanza e vide il pacchetto delle sue sigarette in bilico sull’orlo del comodino, accanto al rotolo del Sutra che, da quella distanza, gli pareva quasi non appartenergli.
Il ghigno si estese fino a diventare quasi un sorriso amaro mentre il suo sguardo scivolava pigro sul pavimento e, a poca distanza dal suo piede, vide un nastrino rosso sfatto. Osservò l’accendino, caduto a poca distanza e si chinò, allungando la mano per afferrarlo.
Lo strinse tra le dita e appoggiò di nuovo la nuca contro la porta, espirando.
Patetico. Incrociò le gambe sotto il corpo e raddrizzò la schiena, iniziando a controllare il proprio respiro.
Sapeva di aver fatto la cosa giusta, ne era quasi certo. Ghignò, chiedendosi quale parte di lui fosse rimasta almeno un po’ razionale: solo un anno prima non avrebbe avuto il minimo dubbio, la minima incertezza; adesso gli sembrava che il suo giudizio fosse perennemente offuscato da una figura che faceva fatica a separare da se stesso e che le sue scelte fossero dettate da un bisogno e un raziocinio diverso ma altrettanto totalizzante.
Si strinse le braccia sul petto e scivolò un po’, allungando nuovamente le gambe. Detestava sapere che il suo modo di ragionare era cambiato radicalmente ma che, tuttavia, continuava a tenerlo sulla strada giusta, senza farlo sbandare di un solo passo, e detestava ancora di più il fatto che tutti quanti se ne fossero resi conto e non avessero fatto un solo tentativo per fermarlo quando lui non era stato più in grado di fermarsi da solo. Sollevò la mano e fece roteare l’accendino tra le dita. Sapeva benissimo che, anche se avessero cercato di fermarlo, lui non avrebbe dato retta a nessuno.
Aggrottò le sopracciglia quando si rese conto che quel pensiero, quell’ammissione di colpa che aveva veleggiato nella sua mente come una spada di Damocle, non suscitava in lui nessuna rabbia: era una constatazione, pura e semplice. Sorrise, alzandosi in piedi e tornò a buttarsi sul letto con gli occhi aperti a fissare il soffitto.
Non sarebbe riuscito a dormire, non con quella morsa allo stomaco che gli toglieva il fiato. «Sensi di colpa, eh?»


Lì non sembrava affatto di essere in febbraio. Il clima era mite e la presenza delle montagne non si sentiva così distintamente, forse perché le catene montuose bloccavano i venti gelidi invernali.
Sanzo esalò una nuvoletta di fumo biancastro che si sollevò pigra verso il cielo e aspirò nuovamente dalla sua sigaretta fumata solo a metà, la prima di quella giornata. Incrociò le braccia al petto ed esalò di nuovo, chiedendosi quando i suoi rumorosi compagni sarebbero venuti a cercarlo: non aveva visto Goku a colazione, quindi presumibilmente adesso era a tavola a strafogarsi di cibo e, con un po’ di fortuna, non si sarebbe accorto della sua assenza ancora per una mezzora.
Gettò il filtro consumato accanto al suo piede e lo schiacciò con la punta dello stivale, prima di tirare fuori il pacchetto mezzo vuoto e mettersi tra le labbra la seconda sigaretta. Tempo un quarto d’ora e avrebbe smesso di tenere il conto. L’accese con un fiammifero che lasciò cadere insieme a quello che l’aveva preceduto e si riempì i polmoni di fumo che rilasciò dopo alcuni secondi socchiudendo le labbra.
«Oh, non sapevo che tu fossi qui»
Sanzo si voltò senza fretta e inarcò le sopracciglia in direzione di un Gojyo che aveva tutta l’aria di non aver chiuso occhio per tutta la notte, come lui del resto. Si strinse nelle spalle. «A quanto pare dentro non si può fumare,» disse e il mezzo demone gli si avvicinò, quasi con cautela e si fermò ad alcuni passi da lui per accendersi una sigaretta: «È la terza,» ammise. «Ma quella cameriera mi ha beccato a fumare di sotto e mi ha spedito qua sul retro,» ridacchiò, prima di adocchiare il mozzicone acceso che pendeva dalla mano del monaco. «Ti serve da accendere,» disse, stupidamente e Sanzo spostò lo sguardo altrove.
«No, ho i fiammiferi.»
Gojyo annuì e, più per tenere occupata la bocca che per altro, inspirò dalla sua sigaretta, fissando una macchiolina particolarmente interessante sulla punta delle sue scarpe.
«Ehi.»
Sollevò la testa di scatto, come un cane e, quando si voltò a guardarlo, vide che gli stava porgendo l’accendino che lui aveva avuto intenzione di regalargli la sera prima. Probabilmente, pensò, doveva essergli caduto quando era corso via dalla sua camera, non ci aveva fatto caso.
Solo quando allungò la mano per prenderlo si accorse che era stato legato di nuovo alla buona con il nastrino. Lo prese tra le dita e Sanzo lo trattenne tra le loro mani, senza permettergli di portarlo via.
Il monaco lo guardò dritto negli occhi, l’espressione seria. «Mancano otto giorni al quattordici,» disse e Gojyo fremette, sentendosi d’un tratto terribilmente stupido.
«Lo so.»
«Allora ridammelo il quattordici,» e lo lasciò cadere nella sua mano senza smettere di guardarlo con i suoi occhi profondi.
Gojyo strinse l’oggetto tra le dita e sorrise, infilandoselo in tasca. «Quindi ora abbiamo tempo?» tentò, senza riuscire a trattenersi.
«Ah, siete qui!»
I due si voltarono in contemporanea quando Hakkai sbucò dalla porticina sul retro. «La cameriera mi aveva detto che vi avrei potuti trovare qui a fumare,» Gojyo guardò al cielo e si trattenne dal commentare il tono da vecchia madre petulante che assumeva tutte le volte che si parlava del loro innocuo vizio.
Sanzo non sembrava altrettanto indulgente: «Che vuoi?»
«Sono le otto e Hakuryuu è già pronto. Mancate solo voi due,» e sparì dietro la porta lasciandoli a finire i rimasugli delle loro sigarette.
Gojyo spense la sua sotto il tacco delle scarpe e alcuni secondi dopo Sanzo fece altrettanto. «Fa con calma,» gli disse, contando quante sigarette gli fossero rimaste nel pacchetto. «In questa patetica parodia di una scampagnata il tempo è l’unica cosa che non ci manca.»
Gojyo sorrise e non riuscì a trattenere il bisogno di baciarlo.


  
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