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Autore: Sarn    06/02/2010    0 recensioni
"In quel momento, in quella mattina che, per destino o per caso, segnava una svolta nella mia vita, la morte l’avevo già vista. Mi aveva sfiorata.
Quando era accaduto ero solo una bambina, e il suo passaggio non aveva toccato l’innata purezza infantile che anch’io possedevo. Ma la mia vita era cambiata.
Ora, in questo momento, siamo di nuovo io e lei. La guardo in faccia e posso inventarmi tutte le scuse di questo mondo ma la verità è che ho paura.
Ho perso tutto ed ho paura."
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo Capitolo - Viaggio

Il treno era ormai in movimento da un bel po', e quel viaggio sembrava già interminabile. La testa appoggiata al vetro, una ragazza guardava il paesaggio che scorreva veloce. Pianure e campi coltivati scorrevano sotto i suoi occhi, le persone chine sul loro lavoro erano solo ombre fuggevoli nell'immensità della natura che li circondava. Perchè degli esseri umani dovevano decidere di abitare in un posto del genere? Un posto così vicino al confine... doveva essere pazzia, o disperazione, o magari entrambi. Syphil ebbe un moto di compassione per quella povera gente, lì sotto la pioggia a spaccarsi la schiena, come ogni giorno. Del resto, in quel luogo maledetto si diceva piovesse ogni dannato giorno. Represse la compassione scuotendo i corti capelli castani, che, a causa della condensa del vetro, cominciavano ad arricciarsi sulle punte. Non era utile al suo lavoro, non era utile a niente. Doveva reprimere la debolezza, dopotutto questa gente sarebbe presto stata libera, e lei avrebbe avuto quello che voleva. Il solo pensiero di quello che stava andando a fare servì a riscuoterla dal freddo che penetrava dal finestrino.

Sarebbe stato un massacro, e sarebbe stato ad opera sua. Non desiderava altro che vedere enormi pozze di sangue sul pavimento, con la consapevolezza che loro stavano morendo, morendo lentamente e dolorosamente, senza nessuno che potesse alleviare la loro pensa. Anzi, nessuno che lo volesse. Non avrebbe provato compassione e non avrebbe esitato, lei sarebbe stata la giustizia, lenta e implacabile, avrebbe portato la pace.

Pace, una parola a lungo dimenticata. Un parola che parla di felicità, di prati assolati e del caldo affetto di una famiglia. Avrebbe avuto quello che voleva, lui gliel'aveva promesso. Si appisolò al pensiero di un mondo libero e tranquillo, di una pace portata col sangue, con la morte, con la distruzione. Allora sì che sarebbe stata felice. Che strana parola, “felicità”. Una parola che dà il senso alla vita di ciascuno, una parola che fa sopportare qualsiasi cosa, che fa lottare, che fa morire. Ma in fin dei conti, solo una parola.

Fino ad oggi.

Si svegliò di soprassalto. Un bambino, alto come una pulce e sporco all'inverosimile, tanto da non riuscire a distinguere di che colore fossero i suoi capelli scarmigliati, le stava toccando il ginocchio con la mano lurida.

Syphil lo guardò, e in tutta risposta il moccioso esibì un larghissimo sorriso sdentato, indicando con un dito magrolino la spada sottile posata accanto alla ragazza, sul sedile.

Lei lo guardò, non riuscendo a reprimere una smorfia davvero simile ad un sorriso. “Eh, mi dispiace. Quella non puoi averla. Mi serve per fare una cosa.” gli spiegò con tranquillità, posando una mano sull'elsa.

Fu un attimo, e il bambino era già scomparso tra le braccia della madre che si era precipitata lì come un fulmine, accompagnata dal marito che aveva un fare estremamente minaccioso e degli occhi estremamente terrorizzati, spalancati e lucidi come quelli di un animale braccato, entrambi più sporchi e con vestiti più logori di quelli del figlio.

Syphil si accorse che la madre tremava mentre stringeva il bambino, che ancora non capiva cosa stesse succedendo. Sospirò, e lentamente tolse la mano dall'elsa, mostrando i palmi ai due genitori terrorizzati, che ebbero bisogno di qualche secondo prima di riuscire a muoversi, girare sui tacchi e andarsene il più velocemente possibile.

Il bambino, da sopra la spalla della madre, le fece ciao ciao con la manina, sempre sorridendo. La ragazza rispose al saluto, per poi voltarsi intorno e rendersi conto che la carrozza del treno, prima affollatissima, era deserta. Sprofondò nel sedile stringendo la spada al petto.

Era l'unica cosa che le fosse rimasta a parte sé stessa, sebbene in un certo senso avesse perso anche quest'ultima.

Capiranno, alla fine capiranno. Potrò tornare ad essere normale, dopo. Non sono un mostro come loro. Non sono un mostro. Sono umana, un essere umano.

Ma che cos'è che distingue davvero un essere umano? La capacità di amare e di soffrire, si diceva Syphil, ma non ne era così sicura.

Li avrebbe uccisi, questo era certo.

Non importava quanto fosse più simile ad un mostro che ad un essere umano. Quanto fosse più simile a loro.

Avrebbe fatto quello che doveva e voleva.

Ma sarebbe riuscita poi a tornare indietro?

Non lo sapeva, ma la questione era un'altra.

Le importava davvero di riuscirci?


  
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