My
eyes are on you
Osservai
la mia
figura snella riflessa nello specchio. La vita stretta, i capelli neri
che
morbidi mi sfioravano le spalle nude. La maglia che mi fasciava
l’addome.
Mi passai una mano sul collo e sorrisi.
Sullo stipite della porta, con le braccia conserte, mia madre mi
fissava.
Avevo diciannove anni e la vita non poteva essere più dolce.
Quella sera avevamo una cena di beneficienza, mia madre ne era
l’organizzatrice.
E se non fosse stata per una ragione ben precisa, sarei rimasta
volentieri a
casa. Ma lei sapeva giocare sporco e soprattutto, come convincermi ad
andare
con lei.
Verrà Josh, mi disse. E
cedetti, mio
malgrado.
«Oggi metto questa.» dissi voltandomi verso mia
madre, una mano poggiata sul
comodino.
«Quale?»
«Un secondo, permettimi di mostrartela.» ridacchiai
prima di voltarmi verso il
portagioie.
L’aprii e presi la catenina d’oro giallo al quale
vi era attaccato un ciondolo
che probabilmente aveva settant’anni. Osservai il piccolo
Cammeo arancione, la
piccola Venere sopra disegnata. Sfiorai al sua superficie con il
polpastrello
sorrisi fra me.
Sì, era fuori moda, ma non importava. Non importava
perché me lo aveva donato lui.
Sospirai al ricordo, il cuore
palpitante e trepidante d’amore.
«E’ bellissimo.» disse mia madre dalla
porta.
«Lo so.» risposi osservando i bordi dorati e
passandoci sopra il polpastrello,
quasi a voler aver conferma che fosse vero, reale.
Mi voltai verso la mamma, e fui frastornata dal suo sguardo. Era un
misto di
dolcezza e comprensione, come se comprendesse a fondo ciò
che indissolubilmente
mi legava a lui. Il
desiderio di vivere
per lui, di essere sua e di nessun altro; il desiderio di vivere ogni
istante
della mia vita accanto a lui; bearmi della sua immagine, del suo
respiro sulla
mia pelle, del suo tocco sul mio viso; il mio animo agonizzante per la
sua
assenza.
«Deve volerti bene.» disse.
E’ riduttivo, mamma,
pensai. «Sì.» mi
limitai però a rispondere, senza smettere di osservare il
ciondolo.
«E anche tu.» aggiunse, e la sua voce
risultò una leggere e dolce carezza.
«Credo sia molto di più, mamma.» ammisi
dopo un sospiro, alzando lo sguardo.
Mia madre mi guardava comprensiva e quasi… orgogliosa.
«Sono fiera di te, bambina mia.»
Strabuzzai gli occhi, colta di sorpresa. «Cosa?»
chiesi.
«Sono fiera di te. E questo è l’ennesima
dimostrazione che ho fatto un buon
lavoro.»
«Non capisco…»
Mamma sospirò. «Dopo che tuo padre ci
abbandonò… ecco… avevo paura che non
conoscessi mai l’amore, ciò che una donna, o un
uomo, possono provare. E invece…
guarda lì, bella ed innamorata. Adulta. Ci credi. Non vi
è cinismo. Questo, mia
dolce Selena, è il regalo più grande che tu possa
farmi.»
Scioccata, la fissai avvicinarmi e circondami le gracili spalle con le
braccia.
Mi strinse forte a sé in un dolce abbraccio, il momento
perfetto fra madre e
figlia, quello che una volta nella vita arriva, devastante ed
inaspettato.
Sorrisi, con le guance che avvampavano di rossore.
Il campanello suonò. La mamma sospirò e si
allontanò. «Arrivo.» sospirò.
Quando mia madre fu uscita dalla camera tornai ad osservare la mia
figura
riflessa nello specchio e sorrisi, inconsciamente. Allungai le mani
dietro il
collo per agganciare la catenina.
«Posso aiutarti?»
Ciò che provai in quel momento è difficile da
descrivere. Un tempesta di
emozioni e sensazioni si abbatterono sul mio animo ed il cuore
accelerò i suoi
battiti. Martellavano contro il mio petto tanto forte che credetti
dovesse
librarsi da un momento all’altro nella calda aria della
stanza. Lo stomaco
sembrò attorcigliarsi su se stesso e un grosso buco nero, al
centro del mio
ventre, risucchiare tutta la mia linfa vitale.
Tutto questo solo udendo la sua voce e scorgendo la sua immagine
riflessa nello
specchio.
«Ne sarei felice.» sussurrai con la bocca secca.
Lui sorrise in tutta la sua
immensa bellezza e si avvicinò a me. Mi beai della sua
immagine snella, le
spalle larghe e i muscoli del braccio scoperti dalle maniche della
camicia
bianca, arrotolata appena. Il suo viso era illuminato dalla fioca luce
della
piantana all’angolo della camera e i suoi occhi azzurri era
tanto chiari da
sembrare ghiaccio, nettamente incontrasto con i capelli neri, corti e
ribelli.
Era bello… ed era solo riflesso nello specchio.
Sentii le gambe molli e dovetti reggermi al comodino per non cadere.
Mi sorrideva, come solo lui sapeva fare, facendomi scordare ogni
preoccupazione, ogni proposito per il futuro, ogni progetto, il passato
travagliato e devastante. Riflessa nei suoi occhi azzurri ero felice, e
questo
bastava.
Sorrisi, quando mi baciò i capelli e prese la catenina dalle
mie mani. Spostai
i capelli e me l’allaccio, sfiorandomi la pelle con le dita,
lasciando su essa
una scia bollente. Il mio torace si muoveva troppo velocemente per
essere
controllato.
«Hai deciso di indossarla.» mormorò al
mio orecchio, guardandomi negli occhi
attraverso lo specchio.
«Sì.» risposi sfiorandola.
«Grazie.»
«Te l’ho donata… come il mio
cuore.» soffiò affondando il viso fra i miei
capelli e chiudendo gli occhi. Mi baciò l’incavo
del collo e poi la spalla e
faticai per mantenere la concentrazione.
«Lo porto nel mio, Josh.» aggiunsi cercando la sua mano
poggiata sul mio ventre.
Lui alzò lo sguardo e mi sorrise, poi prese la mia mano e mi
trascinò attraverso
la porta della veranda aperta. Con la coda dell’occhio vidi
mia madre osservaci
dalla porta del bagno.
Al riparo da sguardi indiscreti, sulla veranda gli gettai le braccia al
collo e
lo strinsi forte a me, facendo combaciare alle perfezione i nostri
corpi.
Sentivo le sua mani premere sulla mia schiena, stringendomi a
lui, quasi
a volerli forgiarli insieme.
Mi allontanai appena per poterlo guardare negli occhi e presi il viso
fra le
sue mani. Avvicinai il suo viso al mio posando le mie labbra sulle sue.
Erano
morbide e calde, ed ogni volta era quasi una sorpresa per me. Lui
avanzò ed io
mi ritrovai ad indietreggiare fino a sedermi sul divano, mentre le
nostre
labbra ancora si muovano insieme con dolcezza. Sembravano essere create
per incastrarsi
fra loro, e sorrisi.
Allontanai il mio viso dal suo, circondando il suo collo con le braccia
strofinai la mia guancia sulla sua.
Seduta sul divano, il suo corpo fra le mie gambe, lo tenni stretto a me
per
attimi che mi parvero infinito, lasciandomi cullare dal suo respiro.
Sì, in quel momento nulla contava. Mi sentivo appagata, mi
sentivo solo Selene.
Ogni fibra del mio essere era proiettata verso di lui,
dall’amore che egli nutriva,
per oscuri motivi, nei miei confronti. Quasi
fossi un satellite e
lui il mio pianeta.
«Stai tremando.» dissi sorridendo, gli occhi ancora
chiusi. Lo sentivo tremare
contro il mio petto, fremere, stretto a me.
«Anche tu.» soffiò.
«Sì, lo so.» risposi. Poi, lentamente,
allontanai il mio viso dal suo, facendo
allontanare anche i nostri petti e lo guardai in volto. Gli presi il
viso fra
le mani e puntai i miei occhi color della notte del ghiaccio del suoi.
«Citando Shakespeare: è
tutta colpa della
luna, quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti.»
mormorai
abbozzando un sorriso.
«Amami, Selene.» mormorò con voce gonfia
d’emozione.
«Oh, Josh… io ti amo già, da
sempre.» mormorai.
E poi le sue labbra furono sulle mie, ed il mondo era perfetto.