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Autore: pralinedetective    14/02/2010    7 recensioni
La porta si apre e il padrone di casa si trova un improvviso peso fra le braccia – quando abbassa lo sguardo, colto alla sprovvista, un lampo verde si spegne dietro palpebre stanche.
GilbertxOz, OzxAlice, [Alice!Jack]
Oneshot (2918 parole) da dedicare a un bel po' di persone: keli, Shadow Eyes, Mitsuki, yaoilove, Lady_Nene, Rag Doll, Sayuki95, meg89, Can_Smile, (?), Red S i n n e r.
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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[Fandom] Pandora Hearts
[Titolo] My fist, your mouth, her scars.
[Genere] Generale; Introspettivo, romantico.
[Rating] Giallo.
[Avvertimenti] AU; What if?, shonen-ai.
[Personaggi] Gilbert Nightray, Oz Vessalius, Alice, Altri.


[Note]
Oneshot piuttosto lunghina e complicata – rinnoviamo completamente la storia, ribaltiamola come un calzino mantenendola intatta. Oz e il suo rapporto complicato, esclusivo con Alice, Oz e l’affetto che lo lega a Gilbert, Alice e Gilbert, Gilbert. E Sharon, e Break, ed Emily, e il passato di tutti, e ciò che li unisce, e ciò che li tiene lontani gli uni dagli altri, irraggiungibili se non per brevi attimi di dolore.
Altro da dire, altro da dire... Odio i mirtilli XD, cameriere!Gilbert è un sogno erotico? del tutto personale *___*, ho cercato di far aderire quanti più elementi però ritengo impossibile, almeno con le mie capacità, far combaciare perfettamente le due storie. E poi non so, magari aggiornerò queste note XD.
Dio, giunta alla terza pagina di Word mi sono chiesta perché stessi scrivendo così tanto, quando probabilmente nessuno avrà mai il coraggio di leggerla per intero XD. Poi mi sono risposta che lo faccio perché amo Gilbert e mi piace che si faccia seghe mentali, perché Oz e Alice sono splendidamente canon ma nonostante questo io sosterrò il GilbertxOz, perché la colonna sonora di Reborn mi provoca le lacrime tanto è intensa: non so se lo avete notato, però pace e rimpianto conservano lo stesso spartito, eseguito con differente cadenza e strumenti. Poesia.
Quando ho finito di scrivere ho guardato: quattro pagine e mezza. Di rileggerla non avevo mezza voglia XD, poi ho pensato a cos’avrei potuto combinare a causa del trasporto e, scossa dai brividi, ho cominciato a betare. Sì, quegli stacchi *meno il primo* avrebbero dovuto essere la divisione in capitoli, però di postare diviso proprio non mi andava. Pensavo di postare, più in avanti, qualche flash o qualcosa per riempire i “buchi” – l’incontro di Oz e Alice, una rielaborazione più profonda del compleanno di Oz, altre cose a cui avevo pensato e che non ricordo più XD, ... Ma poi sapete che razza di lavativa sono à___à, non sperateci neppure XD.

[EDIT: Porcaputtanallorca, non mi ero accorta di un'immensa incongruenza. Perdonate, ora ho corretto - comunque non pesava per nulla sulla storia. Perdonate, perdonate T___T]

Vorrei dedicare questa fan fiction alle mie Valentine, semplicemente perché ho voglia di farlo. Per ringraziarvi di ogni cosa, ogni più piccola parola o gesto, per ogni tag su faccialibro, solo per questo. *e siete in ordine alfabetico XD*
Alessia, Aliki, Elisa, Federica, Francesca (entrambe), Giada, Margherita, Milena, Nicolle, Noemi.

Buona lettura a chiunque sia giunto fin qui ^___^, anche se so benissimo che nessuno legge le note prima XD.























«E anche quest’anno non è scappato di casa,» Oscar chiuse il suo discorso con la solita battuta, la stessa che faceva dal nono compleanno del nipote. Nel dirlo attirò il neo-quindicenne a sé e gli scompigliò i capelli con fare affettuoso.
Con quel gesto e quelle parole, apparentemente lontane dall’aria austera che dominava il ricevimento – Oz si era visto circondato da tutto meno che volti amici – fu come se lo zio dichiarasse ufficialmente “Ora sei di un anno più vecchio, solo ora”.

L’uomo alzò poi il proprio calice, permettendo ai festeggiamenti di riprendere; il ragazzino approfittò di quell’attimo di confusione per sgattaiolare sul balcone, trascinandosi dietro Gilbert e la piccola Ada.
E fu un altro tipo di caos, furono altre le parole, i toni, fu un altro silenzio di voci umane, mentre il fuoco urlava nella sala, conquistava e faceva propri marmo e sangue.


My fist, your mouth, her scars.



Oggi Gilbert è nervoso; sente una strana elettricità circondarlo, come se avesse qualcosa da aspettarsi da quella noiosa giornata. Sembra quasi di essere all’interno di un déjà-vu ed è questo ciò che più di tutto gli fa fastidio.
Detesta questa sensazione come detesta ogni cosa che sia estranea al quotidiano: tutto quello che desidera è attenersi a quella routine tranquilla, silenziosa, pronto a ogni novità, pronto a detestare ogni novità.

Nel momento in cui dichiara conclusi i preparativi e ritiene sia il momento di uscire per recarsi al lavoro suona il campanello; l’uomo, all’attimo di prendere la giacca, si lascia sfuggire un sorriso esausto per poi dirigersi all’ingresso con l’indumento appeso al braccio.
La porta si apre e il padrone di casa si trova un improvviso peso fra le braccia – quando abbassa lo sguardo, colto alla sprovvista, un lampo verde si spegne dietro palpebre stanche.

«Aiuta... Alice...»

__________


Ed è con fare sorpreso che osserva l’amico di una vita muoversi per la sua cucina, ancora non del tutto a proprio agio però conscio di quello che sta facendo, lo stesso Oz famoso per la sua incapacità di mangiare le uova sode e talento nella fuga dai compiti.
Tossisce un sorriso, attirando l’attenzione dell’ospite.

«Oh,» questi si volta d’improvviso, «Gill, hai fame?»
«A dire il vero ho appena fatto colazione, e anche tu».
«Preparavo qualcosa da lasciare in camera per Alice, poi avevo intenzione di mettermi alla ricerca di una libreria o qualcosa di simile – mi prendo la libertà di dirtelo: hai una casa piuttosto noiosa».
Gilbert ride senza allontanare gli occhi dall’altro.
Il giorno dell’incendio, distante ormai dieci anni e qualche paese, il giovane Vessalius è misteriosamente scomparso senza lasciare tracce di sé, senza lasciare indizi di vita o di morte.


«Oz!»
Il ragazzino si liberò dalla stretta del compagno, gettandosi nella sala. «Sento una voce!» gridò alle proprie spalle, «Tornerò subito!»


Un brivido scuote le spalle e il cuore di Nightray, mentre analizza il corpo, il volto del ritrovato Oz. Pare quasi che non sia cambiato per nulla: dieci anni hanno portato qualche centimetro in più d’altezza e lineamenti più affilati, però resta lo stesso al quale è stato tanto vicino durante l’infanzia – è davvero ancora lui? Cos’ha passato? Chi è quella ragazza priva d’identità che lo accompagna e cos’è quel marchio che ha visto sul petto, sul cuore?

«Oz,» il nome scivola fra le labbra con una facilità e un sollievo che sorprendono l’uomo.
«?» torna a guardarlo.
Recupera ciò che aveva da dire dall’inarrestabile filo di pensieri che quasi lo soffoca da una settimana, «Preferirei non uscissi da solo, sarebbe un problema se tu ti perdessi».
«Quindi...»
«Io tornerò verso le quattro, per le cinque potrei portare entrambi a fare un giro, anche a piedi».

L’altro sorride, annuendo.


Un’immagine che Gilbert porta con sé per l’intero viaggio in macchina e buona parte della mattinata – non ha neppure da sforzarsi quando deve ignorare le richieste esorbitanti dei bambini e gli improvvisi cambi di idea da parte di stormi di ragazzine o vecchie sghignazzanti.
«Oh,» commenta Xarxes, «oggi il signor corvo è di buonumore,» parla in direzione di Emily, la piccola bambola seduta sulla cassa.

“Pandora” è il nome della piccola diner, un vaso che racchiude al proprio interno i mali e i vizi.
Gola, civetteria, associazione a delinquere... Quello di Raven, Break ed Eques non è un compito poi molto complicato: devono tenere d’occhio che le diversi componenti entrino a contatto le une con le altre, come gli ingranaggi di un orologio; pronti a intervenire nel caso gli ingranaggi non si incastrino alla perfezione fra di loro, o se un granello di polvere di troppo si posa sul quadrante.

__________


«Muoviti, servitore! Non ho intenzione di restare qui ad aspettarti ancora a lungo».
La voce decisa di Alice s’impone sul discreto chiasso: Gill la osserva correre avanti e indietro guidata da una curiosità infantile, seguita da Oz paziente e divertito. Studia come entrambi siano apparentemente stupiti da tutto – ogni dettaglio fuori dal comune, ogni individuo eccentrico, ogni articolo insolito, a frugare nell’aria come cani da caccia o roditori.

“Già,” elabora, “Alice sembra proprio un coniglio,” sempre pronta a percepire novità con i sensi e fiondarcisi addosso. “Un pericoloso coniglio mutante assassino,” aggiunge con sarcasmo mentre la nota in estasi di fronte a una rosticceria.
«Volete prendere qualcosa per la cena?» domanda, attirando la loro attenzione.
«Carne!» esclama la ragazza, improvvisamente gentile, «Carne di ogni tipo, carne al sangue, carne ben cotta!»
«Non chiedevo a te,» ribatte di fronte al silenzio di Oz. «Tu desideri qualcosa?»
«A me va bene quel che vuole lei,» la risposta tranquilla.


Vessalius preferisce trascorrere la serata come uno spettatore: pensieroso, soddisfatto, assiste agli occasionali battibecchi fra i compagni, intervenendo quando richiestogli, restando in silenzio per la maggior parte del tempo.
Un leggero sorriso e la felicità gli colorano il viso, cancellano gli ultimi residui di fuliggine rimasta sui vestiti il Giorno da Dimenticare.

Concluso il pasto, spediti gli ospiti in salotto e rassettata la cucina, Gilbert ricorda di aver quasi finito le sigarette.
«Esco per un quarto d’ora,» li avverte mentre recupera il cappello di lana dal tavolo della sala. I due sono a proprio agio sul divano, le gambe avvinghiate sotto la coperta, Oz appoggiato al bracciolo con cuffie nelle orecchie e libro in grembo e Alice telecomando alla mano.
«Prometto di non scappare con la cassaforte,» mugugna lei senza staccare gli occhi dalla televisione.
«Ci conto,» sospira fingendosi esasperato. Mentre con la mano controlla di avere il portafoglio nella tasca dei pantaloni getta un’occhiata inquieta all’amico, il quale sembra assorbito dalla lettura.


Il freddo lo sorprende appena fuori dal portone, in agguato, pronto a pungergli le guance e inumidirgli gli occhi. Con il calare del sole si è fatto ancora più intenso, ‘sì che chi ha intenzione di sfidare la sera è costretto a coprirsi il più possibile, anche calare il cappello fino a impedirsi quasi del tutto di vedere.
I pugni stringono la stoffa interna delle tasche, l’aria gelida attraversa i vestiti e trafigge con mille aghi il corpo caldo d’appartamento e prima digestione.
“Devo sbrigarmi se non voglio beccarmi una congestione,” borbotta fra sé.

Il tabaccaio si trova in fondo alla strada in cui vive e non è troppo frequentato – insomma, incontrare un vecchio conoscente e restare intrappolato per quarantasei minuti a parlare di passato e donne è precisamente una botta di culo che avrebbe preferito evitarsi.
Sviando domande e proposte, riesce a salvarsi con una promessa vuota e piuttosto banale, liberandosi il necessario per potersi avviare a casa.
«Mi raccomando, musone, fatti sentire!» gli urla dietro l’amico un po’ brillo. Evita deliberatamente di rispondergli, cercando di celare al vento le orecchie infreddolite.

Il sapore del fumo in bocca è un’amara vittoria; si costringe a buttare via la sigaretta quando ancora manca qualche tiro, rammentando le lamentele di quel pomeriggio a riguardo dell’odore che permane dopo aver soddisfatto quel poco salutare bisogno.
Non essendo a conoscenza della condizione degli ospiti, quando entra non annuncia il proprio ritorno: appende la giacca e si strofina il viso contro il cappello caldo, prima di appoggiare anche questo.

__________


Nel momento in cui fa il proprio ingresso nel salotto, oltre al metro e mezzo d’inutile corridoio, fa giusto in tempo a vedere la mano di Alice che lo saluta mentre entra nella camera degli ospiti e chiude a chiave la porta. Oz, ancora sul divano, stordito dal sonno, ha la testa abbandonata in avanti e il libro aperto sulla prima pagina del quarto capitolo.
Gilbert sorride mentre ricorda quanto quello stesso ragazzo odiasse leggere, quando erano piccoli.

Apprezzava il modo in cui racconti di ogni genere sapessero portarlo in un altro mondo, fra altre mura e altre sensazioni, però il fatto di poter solo seguire lo svolgimenti della storia, quasi inerte, talvolta lo sviliva un poco.
Preso da un moto di tenerezza, Gill si china per baciare la tempia di lui; delicatamente gli allontana i capelli dal volto, restando a osservarlo per qualche momento – fino a quando non alza gli occhi assonnati.

«Ehi,» gli sussurra, «vuoi che ti porti a letto?»
Il modo in cui Oz si stropiccia gli occhi e annuisce sono portatori di un’innocenza tale che è impossibile dar retta al doppio senso. «Vieni,» lo invita mentre gli toglie la coperta di dosso e ricicla come segnalibro una busta da lettere vuota individuata su una mensola vicina.
Lo tiene delicatamente per il braccio, mentre lo guida verso la propria camera: ha ceduto il letto all’amico con immenso piacere, tanta era la sorpresa per l’inatteso, insperato incontro.

È come un bambino che ha tentato con tutte le forze di restare sveglio il più a lungo possibile – l’uomo lo aiuta a togliere i jeans e la camicia per indossare il pigiama chiaro che gli ha prestato. Nel farlo controlla lo stato del terribile marchio a fuoco, ormai cicatrizzato però a rischio d’infezione, che ha scoperto sul suo petto quel primo giorno.
«Alice...» parla all’improvviso, quasi un riflesso nel sonno. Nightray s’irrigidisce, colpito da quell’improvvisa uscita: non riesce a spiegarsi il sollievo che lo pervade, quando gli occhi di Oz si aprono, lucidi di sonno.

«Alice dice che somiglio a Jack,» mormora a voce tanto bassa da risultare quasi inudibile. «Non lo dice, però lo pensa, lo pensa ogni giorno quando appena sveglia trova me al posto suo».
Ogni parola è pregna di una malinconia e una rassegnazione indescrivibili, pugnalate al cuore di Gilbert accompagnate da grida di dolore e giubilo. Si china per accarezzare Oz in un tentativo silenzioso di consolarlo, trovandosi trascinato debolmente sul materasso; non avrebbe bisogno di molta forza per allontanarsi da quella stretta, però l’ultima cosa che desidera è abbandonare l’amico in un simile stato.

«Se lei ha bisogno di avere al proprio fianco Jack per lei sarò Jack,» i fonemi si susseguono con difficoltà, la lingua impastata rallenta il lavoro di un cervello [decisamente] instancabile.
«Per me sarai Oz»: Gill non riesce e non vuole trattenere quel che ha dire, mentre lo avvolge in un abbraccio e lo stringe a sé.

L’altro sorride, poi non parla più.

__________


È trascorso quasi un mese dalla comparsa di Oz e Alice, eppure le domande senza risposta sul passato di entrambi sono innumerevoli. Non che le occasioni di parlarne siano mancate – molte sono state le volte in cui il discorso e stato aperto, altrettante le battute saccenti o gli imprevisti che hanno allontanato ogni proposito a riguardo.
Ogni volta che la ragazza dice qualcosa di oscuro o d’improvviso pare triste e pensierosa il padrone di casa drizza le orecchie e, senza che la coppia di ragazzi se ne renda conto, presta più attenzione ai loro discorsi: qualche volta ha sentito di mocciose scappate da case pericolosamente abbienti e rifugiate da dei Nessuno poi scomparsi nel nulla.

La vicinanza di lei e Oz di sicuro non è qualcosa che aiuta Gilbert nelle sue ricerche.
Ha paura che lui si arrabbi per un’eccessiva invadenza, prendendola come un’aggressione alla persona alla quale è tanto legato; quando si prepone di proteggere o salvare qualcuno nulla può intervenire, nessuno può mettere una parola fra lui e il suo obbiettivo. Questo è forse ciò che lo indispettisce maggiormente.


«Gill?»
Alza gli occhi dalla padella che ha di fronte per rivolgersi frettolosamente a Oz; «Dimmi pure,» gli sorride per un attimo mentre con il capo gli fa cenno di allontanarsi dai fornelli. «Attento agli schizzi,» lo avvisa.
«Sì,» obbedisce prendendo uno sgabello e sistemandosi spalle alla finestra, appena fuori dal raggio d’azione.

Attendono qualche attimo, poi il padrone di casa domanda «Prima, cosa—»
«Oh,» lo interrompe ridendo, «non farci caso, a volte parlo senza pensare, ormai dovresti saperlo».
Con l’ausilio di una presina prende il coperchio e lo posa sul tegame insieme al cucchiaio di legno, poi si volta in direzione di Vessalius.
«A me invece sembra che in questi giorni tu abbia pensato anche troppo,» si appoggia al piano della cucina e incrocia le braccia sul petto, «Mi sfugge invece cosa possa renderti così: vuoi dirmi cos’hai? Non ti costringerò a rispondere... per ora,» aggiunge in un tentativo di fare dell’ironia.
Oz inspira ed espira, chiudendo gli occhi e lasciando la testa a ciondoloni. «Non preoccuparti,» mormora con la voce resa strana dalla posizione.

L’uomo muove un paio di passi in direzione del compagno, mettendogli le mani sulle spalle per richiamare la sua attenzione: «Permettimi di aiutarti, Oz,» scandisce guardandolo dritto in faccia.
Ha bisogno, bisogno di sentire di poter ancora fare qualcosa per quel ragazzo, prima di perderlo irrimediabilmente. Perché se n’è accorto, se n’è accorto e ne soffre moltissimo – si trovano di fronte a un punto di non ritorno, impossibile recuperare i discorsi che tentavano di risultare seri dell’infanzia.

Una strada a senso unico.

Oz è più giovane di qualche mese, eppure in quel momento a Gilbert sembra di essere un inerte bambino il quale, adorante, è in ginocchio di fronte a un padre vecchio e stanco.
Osserva, sangue del suo sangue, come chini la testa di lato per poi sorridere malinconico. Le dita, rese fredde dal prolungato contatto con il vetro, disegnano tragitti umidi sulle sue guance, sugli zigomi.
«Gill,» lo chiama in un sussurro che pare non essere mai esistito.
Nascoste dietro a occhi che brillano d’incertezza, nel buio e nel silenzio, molte voci gridano d’essere liberate; è per metterle a tacere, per eliminare ogni segreto e inganno anche solo per un secondo, che mentre si alza in punta di piedi attira a sé l’altro.

Gli posa un bacio lieve sulle labbra, lento e agitato come solo chi non è stato abituato a simili gesti, e trema in maniera irripetibile quando Gilbert risponde alla dimostrazione.


«Oz, fermati! Oz, Oz, Oz!»
Fuori dalla villa urlò per ore tenendo le palpebre serrate per non lasciare libere le lacrime e con le braccia rigide lungo i fianchi; uniche tracce dell’incendio erano l’odore di bruciato nell’aria e la devastazione di quella sala, grande, nella quale uomini sconosciuti si muovevano in cerca di tracce dell’origine del disastro.
A qualche metro da lui, un paio di Vigili del Fuoco parlavano fra loro.

«Ci sono morti?» s’informò il secondo, quando il primo lo raggiunse dal breve incontro tenuto con i paramedici.
«Qualche intossicato e una ragazzina sotto shock, però sopravvivranno»: a quelle parole il più giovane sospirò, prendendo poi un pacchetto di sigarette dalla tasca.
«E del moccioso disperso? A momenti Erik si perdeva le palle per lui».
«Nel posto c’era un’uscita utilizzata dai camerieri – potrebbe esser passato di là ed essersi nascosto in qualche ripostiglio, salterà fuori entro domani sera».
Rise fumo. «Dannati ricconi...»

__________


Parole lasciano le labbra di Gilbert l’una dopo l’altra, compongono frasi, entrano ordinatamente a far parte di quel monologo che lui ha passato giorni a elaborare: la festa di compleanno, il senso di colpa per non essere riuscito a impedirgli di tornare nella sala, l’addio a tutti, l’arrivo alla tenuta dei Nightray, l’incontro con Xarxes e Sharon, la fuga. Sono immagini che si dipingono nitide dietro le sue palpebre, sono sensazioni che cerca di trasmettere con ogni vocabolo che ha a disposizione.
Gli occhi di Oz nei propri e il cuore in mano, fa del proprio meglio per metterlo a corrente di quel che è successo durante la sua misteriosa assenza.

Al tardo pomeriggio si sostituisce presto la sera, e Alice ancora non sembra voler tornare dalla propria passeggiata. “Pioveva e mi sono ritirata dai servi,” spiega di volersi trattenere per cena da Break e dalla giovane compagna con un sms; Gill improvvisa qualcosa per sé e Vessalius, lasciando perdere le zucchine ormai immangiabili.
E continua a parlare mentre fruga nel frigorifero con lo sguardo, parla seduto al fianco di Oz quando questo si offre di lavare i piatti e il televisore racconta l’aria, a volume basso, un sottofondo continuo.
Uno parla, l’altro ascolta in silenzio, si ciba di ogni fonema e lo digerisce. Trattiene commenti, scuse, lacrime – il protagonista è Gilbert e deve rimanerlo.

Alla fine del resoconto sorride.
Dopo aver spostato per un attimo gli occhi sullo schermo televisivo, torna a rivolgersi all’altro.

«Io farò tutto il necessario per rendere felice Alice, come ho fatto da quando l’ho incontrata».
L’uomo lo attira a sé con un sospiro contrariato, poi parla fra i suoi capelli. «E tu?»
«Io sarò felice così,» si separa quel che basta per poter tornare a guardare in viso Gill. «Io sono felice così».

Un bacio.
Per ogni parola persa nell’aria, per ogni respiro lontano, per ogni dolore e lacrima, per ogni gomito sbucciato contro il muro lo abbraccia forte come se stesse per perderlo – come se sapesse già di non averlo suo, deciso a godere di ogni momento in sua compagnia prima di perderlo definitivamente.

«Stupido».

  
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