Cioccolatino.
Sebastian non capiva
come l’amore tanto decantato da Grell Sutcliffe potesse
persuadere una creatura qual era lo Shinigami ad umiliarsi pur
d’ottenere l’attenzione di un demone; sapeva,
tuttavia, che si trattava d’una deformazione sentimentale
alquanto fastidiosa.
In particolar modo quando, mentre si preoccupava di portare a termine i propri compiti in quanto maggiordomo della famiglia Phantomhive, il Dio della Morte si insinuava nella sua esistenza per l’uno o l’altro motivo.
L’ultima volta era stato perché sentiva un’eccessiva mancanza del suo Sebas-chan.
Quel giorno, evidentemente, si trattava d’un cubetto rivestito di carta scarlatta.
Sebastian l’osservò per un lungo istante, percorrendo con lo sguardo le rughe del tessuto vermiglio che lo ricopriva sino a dove la faccia inferiore svaniva, inghiottita dai palmi tesi nella sua direzione sui quali era adagiata.
Infine inarcò un sopracciglio. -A che cosa dovrebbe servire?- s’informò in tono piatto.
Il mietitore batté ripetutamente le palpebre in un nauseante rimarcare la presenza delle lunghe ciglia finte. -Non conosci il giorno di San Valentino, Sebastianuccio?- si stupì. Dinanzi l’espressione incolore del demone, condusse una mano all’altezza del cuore e si pronunciò con smisurata passione: -È la ricorrenza più romantica dell’anno, durante la quale gli uomini corteggiano le dame facendo loro dono d’una rosa rossa e gli innamorati si scambiano del cioccolato come simbolo dei reciproci sentimenti-. Ammiccò al cubo avvolto dalla carta. -Questo è il mio regalo per te, Sebas-chan!- dichiarò con entusiasmo.
Sebastian corrugò la fronte, considerando la possibilità di liquidarlo con l’affermare quanto odiasse i dolci che gli umani al contrario trovavano tanto squisiti, ma non poteva permettersi di provocare l’indole infantilmente capricciosa dello Shinigami – per quanto potesse essere deliziosamente appagante – e prolungare ulteriormente quella discussione – con il rischio, peraltro, d’un ritardo nello svolgere i suoi doveri.
-Se lo mangiassi, te ne andresti e mi consentiresti di portare a termine i miei incarichi?- chiese.
-Sì!-. Grell sorrise. -Sì, te lo prometto!-.
-Bene-. Il maggiordomo assentì col capo. -Lo mangerò-.
Permise che il Dio della Morte scartasse il cioccolatino e l’accostasse alla sua bocca socchiusa.
E poi, nello stringersi attorno al cubetto marrone, inavvertitamente le sue labbra sfiorarono le dita del mietitore.
Un po’ come un bacio, pur senza lingua.
In particolar modo quando, mentre si preoccupava di portare a termine i propri compiti in quanto maggiordomo della famiglia Phantomhive, il Dio della Morte si insinuava nella sua esistenza per l’uno o l’altro motivo.
L’ultima volta era stato perché sentiva un’eccessiva mancanza del suo Sebas-chan.
Quel giorno, evidentemente, si trattava d’un cubetto rivestito di carta scarlatta.
Sebastian l’osservò per un lungo istante, percorrendo con lo sguardo le rughe del tessuto vermiglio che lo ricopriva sino a dove la faccia inferiore svaniva, inghiottita dai palmi tesi nella sua direzione sui quali era adagiata.
Infine inarcò un sopracciglio. -A che cosa dovrebbe servire?- s’informò in tono piatto.
Il mietitore batté ripetutamente le palpebre in un nauseante rimarcare la presenza delle lunghe ciglia finte. -Non conosci il giorno di San Valentino, Sebastianuccio?- si stupì. Dinanzi l’espressione incolore del demone, condusse una mano all’altezza del cuore e si pronunciò con smisurata passione: -È la ricorrenza più romantica dell’anno, durante la quale gli uomini corteggiano le dame facendo loro dono d’una rosa rossa e gli innamorati si scambiano del cioccolato come simbolo dei reciproci sentimenti-. Ammiccò al cubo avvolto dalla carta. -Questo è il mio regalo per te, Sebas-chan!- dichiarò con entusiasmo.
Sebastian corrugò la fronte, considerando la possibilità di liquidarlo con l’affermare quanto odiasse i dolci che gli umani al contrario trovavano tanto squisiti, ma non poteva permettersi di provocare l’indole infantilmente capricciosa dello Shinigami – per quanto potesse essere deliziosamente appagante – e prolungare ulteriormente quella discussione – con il rischio, peraltro, d’un ritardo nello svolgere i suoi doveri.
-Se lo mangiassi, te ne andresti e mi consentiresti di portare a termine i miei incarichi?- chiese.
-Sì!-. Grell sorrise. -Sì, te lo prometto!-.
-Bene-. Il maggiordomo assentì col capo. -Lo mangerò-.
Permise che il Dio della Morte scartasse il cioccolatino e l’accostasse alla sua bocca socchiusa.
E poi, nello stringersi attorno al cubetto marrone, inavvertitamente le sue labbra sfiorarono le dita del mietitore.
Un po’ come un bacio, pur senza lingua.