Ancora una volta mi ritrovo qui, in questo parco.
Questo luogo che ogni volta è come un secco schiaffo che mi fa girare la testa; questo luogo che mi ricorda te.
Mi ero ripromessa che non sarei più tornata, ma le mie gambe si muovono da sole, opponendosi ancora una volta alla mia debole volontà.
Mi dirigo verso la grande quercia, quella di fianco alla fontana, quella dove io e te passavamo ore ed ore senza accorgercene.
Mi siedo per terra all’ombra dell’albero e con i miei occhi spenti fisso dritto davanti a me; vedo la tua immagine, meravigliosa come sempre, ma quando cerco di sfiorarti la mano, non la trovo.
Mi rifugio nei tuoi occhi color del cioccolato, profondi come due pozzi pieni di parole; fuggo da questa vita attraverso il tuo sorriso ingenuo e sincero, quasi infantile;
mi abbandono al soffio della tua voce, che mi scorre dentro come una densa goccia di miele.
Ma la realtà mi crolla addosso pesante, distruggendo la tua figura e rubandomi quel triste ma confortante sogno ad occhi aperti.
Un oceano di ricordi mi passa davanti agli occhi come un treno in corsa; è solo un secondo, ma li sento tutti, uno per uno rivivo i momenti passati con te e l’amore mi invade.
Non posso fare a meno di sorridere ripensando a quell’anno e mezzo passato insieme a te, passato troppo in fretta per essere vero.
Il ricordo delle emozioni date dalla tua semplice presenza mi stravolge i sensi; dentro di me scorre amore allo stato puro.
Improvvisamente una scena si accende nella mia mente, come un fulmine a ciel sereno: due fari abbaglianti si muovono come impazziti, si avvicinano sempre di più, troppo veloci, troppo crudeli.
Vedo il tuo volto di fianco a me, lo specchio del terrore; sento le tue mani colpirmi, farmi cadere molto lontano da te.
Un secondo dopo sei disteso per terra in una posizione innaturale, gli occhi sbarrati, i tuoi bellissimi occhi…sono come appannati.
Una pozza rossa incornicia la tua testa immobile, come un’aureola di morte che si espande piano piano sul nero asfalto.
I due fari assassini sono ormai lontani: andavano di fretta, non avevano tempo di fermarsi.
Mi avvicino a te lentamente, sperando sia solo un incubo; ti fisso, fisso quel rivolo rosso che scorre sottile dall’angolo della tua bocca.
Sento come se i miei polmoni non accettassero più l’aria che inspiro.
Poi una sirena, delle luci rosse e blu, un gruppetto di medici ti circonda, dei poliziotti mi fanno milioni di domande a cui non riesco a rispondere.
C’è confusione nella mia mente, quasi non mi rendo conto di cosa sta succedendo; mi allontanano da te, ci separano e io non voglio, so che neanche tu lo vuoi.
Infine scompari dietro le porte dell’ambulanza che se ne va lenta e silenziosa.
Scuoto la testa nel vano tentativo di scacciare quei ricordi.
Mi accorgo che le mie guance sono bagnate, non mi interessa.
Fino a poco tempo fa mi sarei vergognata di piangere davanti a tutti, ma ormai non ci faccio più caso, ormai non ha senso preoccuparmi di queste cose.
Senza asciugarmi gli occhi mi alzo, mi allontano dalla nostra quercia ed esco dal parco, promettendo di non tornarci mai più.
Guardo ancora un attimo l’entrata di quel luogo e mi dirigo verso casa, consapevole di non poter mantenere la promessa.
Domani tornerò.