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Autore: Averroe    14/02/2010    6 recensioni
I Volturi sono esseri inverecondi, e lo sappiamo. Carlisle è un medico eccelso - o così si dice - nonostante la sua natura, e sappiamo anche questo. Edward e Bella vivono un amore meraviglioso e commovente, e lo risappiamo - non se ne può più. I vampiri della Meyer sberluccicano alla luce del sole, e ci passiamo sopra con una certa - leggerissima - perplessità. ...Ma non ci stiamo dimenticando di qualcuno?
Un qualcuno decisamente autorevole nel settore, che non vede minimamente di buon occhio il successo della saga in questione, né tanto meno quello dei relativi personaggi...
“Che diamine!”, inveì, sventolando un foglio di carta spessa e raffinata in faccia ad uno spaurito ometto baffuto dagli occhi bovini. “Questo è troppo!”
Genere: Demenziale, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella moda il Classico non muore mai

 

 

 

 

La vasta landa deserta si tingeva d’un lividore opaco ai primi inconsistenti albori del nuovo giorno.

La terra brulla giaceva infeconda, sferzata lievemente da una brezza che trasportava con sé un puzzo impercettibile. Odore di morte.

Fra le zolle irregolari punteggiate da spruzzi di arbusti secchi e striminziti, consumati dalla polvere, occhieggiavano macchie biancastre. Frammenti d’un candore ingiallito dal tempo. Solo osservandoli con estrema attenzione sarebbe stato possibile rendersi conto di cosa si trattasse. Ossa. Resti umani mezzo sepolti nel terreno e nell’indifferenza.

E proprio al centro della piana desolata si ergeva una cupa fortezza di pietra. Le torri svettanti nella cappa di denso silenzio si tendevano verso il cielo plumbeo in uno slancio mozzo, le cime diroccate. Una delle facciate era crollata, rivelando fazzoletti di buio pesto corrispondenti a porzioni dell’interno della fortezza.

E, d’un tratto, nello scuro grigiore dell’esordio dell’alba, nell’immobilità cianotica di quel tetro mattino, un urlo agghiacciante, un urlo bestiale che pareva provenire dalle remote profondità di quella terra polverosa si liberò dai recessi della roccaforte in rovina, dilaniando il silenzio stagnante nella landa.

“Non è possibile! Sono attorniato da un branco di incapaci! Basta, basta, non se ne può più! Quei … quegli … quelle specie di … quei maledetti imbecilli!”

Nella grande sala principale dell’ala ovest del palazzo, dove ad arredare l’ambiente stavano i relitti d’una sontuosità sfarzosa ormai corrotta dal tempo, un individuo allampanato abbigliato con un bizzarro mantello porpora e nero gesticolava concitato accanto al finestrone attorniato da tende sdrucite.

“Che diamine!”, inveì, sventolando un foglio di carta spessa e raffinata in faccia ad uno spaurito ometto baffuto dagli occhi bovini. “Questo è troppo!”

“A … a-a … ave-v-veteA-avete ragione, signore.”

“Per Ecate, certo che ho ragione!”, sbraitò l’individuo sgranando gli occhi allucinati attorniati da occhiaie viola e moderatamente antiestetiche. “Per cosa credi che io eserciti la mia venerabile autorità su quella combriccola di cretini, eh?”

I-io … i …”

“Rispondi!”

L’omuncolo incespicò indietro, atterrito. Si umettò le labbra e aprì la bocca senza emettere alcun suono.

“Parla, pezzo d’idiota!”, lo aggredì l’altro, irruente. “Rispondi, sottospecie di braciola ambulante, se non vuoi farmi da spuntino fuori programma!”

“Ah … Be-behI-io credo …”

“Allora?”, incalzò l’individuo, incrociando le braccia al petto con aria inquisitrice.

“Ecco … p-per … per amministrare i territori lontani, signore?”

“NO!”

L’ometto sussultò quando la mano pallida simile ad un artiglio del suo interlocutore gli si serrò attorno al collo.

…E buon appetito a me”, cantilenò l’uomo ammantato, in un sibilo quasi allegro.

“Oh, lascialo andare”, intervenne in quell’istante una voce di donna, melliflua.

L’uomo richiuse la bocca che aveva accostato al collo del disgraziato con un risolino vagamente isterico. Quindi rizzò il capo con evidente irritazione.

“Posso sapere cosa diavolo vuoi da me, Roxanne?”

L’interpellata avanzò nella penombra della stanza con andatura felina, sorridendo bieca.

“Ti pare il caso di sopprimere gli inservienti in questo modo scriteriato?”

“Come ti permetti? Ti ricordo che stai ancora digerendo il mio nuovo maggiordomo, giovincella impudente!”

“Via, Dracula, non scaldarti tanto”, interloquì la donna muovendo una mano in aria con espressione annoiata.

Non scaldarti tanto? NON SCALDARTI TANTO? Come puoi …”

E-eh … signore …”, tossì intanto l’ometto, gracchiando fuori la poca aria che transitava attraverso la gola ancora chiusa nella morsa del celeberrimo vampiro, in quell’istante un filino su di giri.

Il conte Dracula non si curò minimamente dell’intervento.

“… Rivolgerti così a me? Dico a me, che …”

S-signore …”

“… Sono l’essere più …”

“Signore …”

“… Più …”

“Signore …”

“Che diavolo vuoi, razza di pirla privo di utilità alcuna?! Ho anche perso il filo, porca d’una miseria!”

“Ma … m-ma, signore …”

“Cosa c’è?!”

“Ecco … L-la … la vostra …”

“Cosa?”

“La …”

“Insomma, che vuoi?”

L-la vostra mano, signore.”

Il vampiro battè un paio di volte le palpebre livide, perplesso. Corrugò le sopracciglia.

“La mia mano? Che diavolo c’entra la mia mano?”

“Si … s-si sta … si sta sciogliendo, signore.”

Il conte fissò l’omuncolo con aperta ostilità, visibilmente incapace di comprendere le sue parole.

“Che hai detto, razza di …”

“La tua mano, Dracula”, intervenne Roxanne, placida. “Si sta sciogliendo. Spostala”, suggerì poi, ghignante.

Il vampiro lasciò andare istantaneamente l’ometto indifeso, che caracollò a terra rotolando sul tappeto consunto, e voltò il capo con uno scatto.

“Oh, maledizione!”

L’arto sinistro del conte, sulla traiettoria della scarsa luce filtrante dalla vetrata, era esposto al barbaglio soffuso e stava squagliandosi sul dorso, colando in una sostanza biancastra.

“Fossi in te farei dare una rinnovatina all’arredamento, a cominciare dalle tende”, commentò serafica la donna, studiando con compiaciuta immobilità il collega che controllava i danni. “Qui cade tutto a pezzi.”

“Zitta, tu”, ruminò quello, inviperito. “Non è certo colpa mia se le mie rendite hanno subito un crollo spaventoso, negli ultimi tempi.”

“Non se più molto richiesto, eh?”, canterellò Roxanne con beffarda noncuranza. “Sei passato di moda, caro il mio conte.”

“Ti ho detto di tacere! Che razza di sgarro … Oggi è la mia giornata sfortunata. Ho bisogno di qualche creatura innocente su cui scaricare la mia ira distruttrice … - Roxanne alzò gli occhi al cielo - … Tu!”, tuonò il conte additando l’ometto summentovato, che frattanto aveva tentato di darsela a gambe, salvo poi arrestare la propria fuga incespicando terrorizzato di fronte alla donna ospite del suo padrone pochi passi più in là. “Tu, essere inutile! Fa’ impalare i prigionieri!”

M-ma, mio signore”, obiettò quello, ragionevole, “pochi giorni or sono mi avevate ordinato di lasciarli morire di fame …”

“Ho cambiato idea! Esegui!”

S-s-s-signorsì, signore!”

E con evidente sollievo l’ometto sparì, scaraventandosi a ridosso delle pareti fuori dalla stanza.

Dracula sospirò beato, sciogliendo le spalle.

“Mi sento già meglio.” Poi, come ricordandosi improvvisamente di dover essere profondamente e irreparabilmente nonché apocalitticamente infuriato, scosse il capo con vigore e sbraitò: “Ma quello sciame di poveri idioti …”

“Oh, ti prego”, si lamentò la donna di fronte a lui con uno sbuffo. “Niente melodramma. Qual è il problema?”

Qual è il problema? E tu mi chiedi qual è il problema?!”

“Ecco che ricomincia”, sospirò sconsolata Roxanne, senza essere minimamente calcolata dal conte.

“C’è un problema, eccome se c’è! Un enorme problema! Eccolo qui”, sputò quello schifato, con voce stridula, schiaffandole sotto il naso il foglio di carta spessa, su cui campeggiava un messaggio in grafia curata. La donna lo prese tra le dita affusolate come fosse stato un rifiuto radioattivo.

“Uh, to’ guarda”, cinguettò atona. “Un messaggio dei Volturi.”

“Volturi”, ripeté il conte Dracula, orripilato. “Puah.”

“Quello biondo non è male”, osservò distrattamente Roxanne, rigirandosi in mano il foglio.

“Sì, beh, quello biondo non … Ehi, un momento! Cosa sto dicen … Oh, roba da matti. A parte che non è biondo, è albino. Albino, ma renditi conto. A che punto siamo arrivati. E tu vedi di risparmiarmi le tue valutazioni fondate su basi empiriche.”

“Su che cosa?” La donna sollevò il capo di scatto. “Di’ un po’, credi che mi sia passata Caius?”

Caius, Sempronius e Tiberius Graccus! Aggiungi Cicerone e Cornelio Nepote e hai la collezione completa, perdiana!”

“Screanzato!”

“Ma che screanzato e screanzato, riflettevo sull’elenco di nominativi. Oh, al diavolo, accidenti a questa nuova generazione di vampiri. Non hanno un minimo di credibilità, e intanto mi fanno perdere il lavoro. Twilight di qua, New Moon di là … e chi siamo noi, i figli della serva? Dove sono andati a finire i sani principi dettati dalla tradizione?” Scosse ripetutamente il capo, facendo ondeggiare l’ottocentesco codino dietro la nuca, ostentando profonda indignazione. “Guarda tu che situazione. Tutta la mia gloriosa, secolare fama di spietata e fascinosa creatura della notte gettata al vento per colpa di un … una sfilza di cretinetti smidollati che fanno ridere i polli, sfornati da quella disgraziata …”

“Oh, e falla finita.”

“E no, eh! Ora ne ho piene le tasche. Indistruttibili, ricchi sfondati, sberluccicanti, impomatati e snob. Ma di’, sono vampiri, questi? Eh?”

“Hai dimenticato fighi da paura.”

“Oh, certo! Questa poi. Cosa se ne fa, un vampiro, di essere figo? Un vampiro le dissangua, le donne, non ci prova con loro! Al limite può fare entrambe le cose … Ma ci va una certa esperienza per questo. Vedi il sottoscritto.”

“Oh, ma per piacere. Dunque, vediamo … Egregio Signor Conte Dracula, leader indiscusso di tutte le comunità di vampiri sparse in ogni terra e appartenenti ad ogni generazione …

“… Io dico, un vampiro è un essere crudele, implacabile, è una creatura invereconda, spregevole, che detesta profondamente la luce, che di giorno dorme nella sua brava bara senza dar fastidio a nessuno, diamine, e soprattutto senza giocare al faretto catarifrangente che cammina, e che di notte si diletta a terrorizzare le brave persone prima di ficcare i canini nella loro giugulare e …”

“… Siamo spiacenti di informarLa che nonostante gli strenui sforzi da parte di ogni membro della casata il nostro tentativo di arrestare la sommossa che ha visto coinvolti molti dei clan di vampiri …

“Falliti”, sibilò Dracula, tra sé, assorto nell’ascolto della lettura.

“… Molti dei clan di vampiri a noi noti si è rivelato fallimentare …

“Pezzenti.”

Disgraziatamente il numeroso clan di Olympia …

Dracula fece scattare avanti il mento in un moto di puro fastidio, assumendo un’espressione sofferente.

… E’ riuscito ad organizzare una forza di notevole portata per mezzo della quale ha osato osteggiarci nel nostro immediato intervento, causato dal fondato sospetto dell’esistenza di una creatura di dubbia natura nata da … Oh, porca vacca, che disgusto.”

Il conte annuì febbrilmente, poi scosse il capo, poi emise un rantolo rauco, arricciando il naso aquilino.

“E’ una vergogna!”

“E io che credevo che alle donne umane di adesso venisse inculcata fin dalla prima infanzia l’attenzione per l’uso dei contraccettivi …”

“Contraccettivi, già, già …”, borbottò tra sé il conte Dracula, prendendosi il mento tra l’indice e il pollice. “… Già … No, un momento … Ma cosa … Oh, perdiana, Roxanne, che diavolo c’entrano adesso i contraccettivi? Ma non ti rendi conto? Non capisci a quale scempio siamo arrivati?”

“Farsi mettere incinta da un vampiro”, ponderava intanto la donna ad alta voce, senza degnarsi di ascoltarlo. “Bisogna essere proprio cretine …”

Cretine? Cretine è dir poco! Ma come si fa, dico io? Come?”

“Le ragazze d’oggi sono disposte a tutto, pur di avere un briciolo di fama …”, mormorò distrattamente Roxanne, riprendendo a scorrere il messaggio con gli occhi.

“Chiamalo briciolo”, piagnucolò Dracula, tirando di più la tenda sulla finestra, attento a non esporsi alla tenue luce del primo mattino. “Com’è triste ripensare ai bei tempi andati, quando ero ancora l’essere più temuto e rispettato di ogni terra … Di giorno nella mia splendida bara in mogano, di notte nelle stanze delle duchessine dei territori limitrofi …”

“Duchessine che l’indomani, casualmente, si risvegliavano con due buchi sul collo e i canini tre volte più lunghi del normale”, lo troncò incolore Roxanne, con una certa acredine.

Dracula s’interruppe con una mano sollevata a mezz’asta, battendo le palpebre. Sollevò le sopracciglia, riaccostandosi alla vampira con espressione conciliante.

“Via, tesoro, non vorrai farmi credere che avresti preferito restare a vita in quella fogna camuffata da corte raffinata al massimo del fulgore? Avresti fatto la fine di tua madre …”

“Dracula, non ti starai mica scusando?”, lo canzonò l’altra, provocatoria. “Fammi il favore, se non mi avessi portata via tu per aggiungermi alla tua collezione me ne sarei andata io. E certo non avrei avuto la possibilità di vivere svariati secoli. Questo non toglie che tu sia un perfetto idiota.”

“Spudorata”, borbottò il conte tra sé, corrucciato.

“Dunque”, mormorò la donna, indifferente al broncio del collega, avvicinando il foglio al viso.”Vediamo qui … E siamo stati perciò costrettibla, bla, blaIn ogni caso ci siamo premurati di sincerarci che l’umana fosse divenuta una bla, bla E dunque pare che per il momento la situazione non crei bla, bla, bla Abbiamo dunque per il momento raggiunto un accordo, nonostante non siamo riusciti a perseguire lo scopo di arruolare i soggetti interessanti nelle nostre fila. È per questa ragione che ci è parso opportuno inviarLe i saluti dell’intera famiglia Cullen.”

Cullen!”, gridò il conte Dracula, strabuzzando gli occhi e portandosi una mano alla gola, come se il solo pronunciare quel nome avesse potuto farlo morire asfissiato. “Cullen! Io odio i Cullen! Li detesto! Accidenti a loro e alla loro fottuta dieta animale! È colpa di quella famiglia di disgraziati senza spina dorsale che sono in queste condizioni! Cullen! E quei cretini dei Volturi osano farmene il nome! Maledizione, che razza di incapaci! Neanche a leccarmi i piedi come Dio comanda suono buoni!”

“Datti una calmat …”

“Calmarmi?! Non ci penso nemmeno, a calmarmi! Cullen! Quei maledetti! Sviliscono la nostra nobile razza, nutrendosi di gazzelle come una qualunque belva senza capacità di intendere e di volere, e per di più stanno sempre alla ribalta, lasciandomi nell’oblio e nella comune dimenticanza! Io sono Dracula, che diamine, il conte Dracula! Non un vampiro, IL vampiro! E quei poveri imbecilli spuntati come funghi da non si sa dove mi hanno soffiato il posto, la fama e la gloria imperitura! … Nessuno si ricorda più di me …! … Sono rovinato”, singhiozzò disperato il conte, afflosciandosi su una poltrona ricoperta di strappi. Aveva i capelli in disordine e un’espressione afflitta, afflitta come solo l’espressione di un vampiro afflitto poteva essere.

“Su, su”, mormorò scuotendo il capo Roxanne, prendendo a fargli pat-pat su di una spalla. “Non è mica la fine del mondo … E poi tu sei sempre tu … Voglio dire, tu sei il Conte … Chi sono loro, eh? Nessuno. Sono quei successi immediati e brevi … E’ una meteora, un momento fugace … Non appena … Oh, guarda qui”, fece improvvisamente fissando il fondo del foglio. “In particolar modo Carlisle Cullen.

Il conte Dracula emise un verso strozzato, sollevando il capo di scatto.

Carlisle Cullen …”, ripeté Roxanne, assorta.

“Non pronunciare quel nome.”

Carlisle …”, seguitò imperterrita la donna, riflettendo con le sopracciglia corrugate.

“Basta …”

Carlisle …”

“Ti prego …”

Carlisle Cullen …”

“Eh, ma allora ce l’hai con me!”

“Cosa?”, si riscosse lei con un sussulto, puntandogli gli occhi sul volto. “Oh, scusa”, fece incurante sventolando una mano inanellata. “E’ che questo nome mi ricorda qualcosa …”

“Ma va’? Sarà mica perché tutti i nomi maschili ti ricordano qualcosa?”

La vampira si voltò con uno scatto repentino, inarcando un sopracciglio. “Mi stai dando della sgualdrina?”, si informò asettica.

Dracula emise una specie di grugnito, mettendo su un broncio infantile.

“L’unico che non degni di uno sguardo sono io …”

“Guardati allo specchio e capirai il perché. Sei diventato un catorcio, orm … Oh, ma certo!”, trillò improvvisamente, battendo una manata sullo schienale della poltrona. “Ora ricordo”, dichiarò indifferente. “Dev’essere quel tizio che qualche secolo fa quando abitavo in quella cittadella mortalmente noiosa mi portava le uova la mattina. Poveraccio, all’epoca doveva avere quattordici anni, e mi sbavava dietro senza ritegno … E dire che io lo consideravo molto appetibile … Non nel senso che avrebbe voluto lui, però.” Scoppiò in una risatina perfida, beandosi della propria genuina malvagità di vampira d’altri tempi.

“Non posso crederci”, brontolò il conte, disgustato. “Ma ti rendi conto?”, tuonò scattando nuovamente in piedi. “Non abbiamo un picco e la colpa è di uno che sventrava le proprie galline a costo di poter contemplare il tuo divino fondoschiena ogni santo giorno! Lui, quel … quel … Ah, ma ci penserò io, a sistemarlo! Mi presenterò direttamente a casa sua, e gli farò vedere cosa significa essere un vero vampiro! Lo farò a pezzettini, gli leverò quel maledetto sorriso ebete dalla faccia a suon di schiaffoni, gli farò pentire di stare al mon …”

“Dove vuoi andare, se saranno dieci anni che non metti piede fuori da questo schifo di contea?”

“Silenzio! Dimostrerò al mondo chi è Dracula!”

“Calmati, ti farai venire una crisi di nervi.”

“Oh, maledizione”, imprecò il conte col fiatone. Si sedette, si rialzò, si risedette, si passò una mano tra i capelli, arruffandoli completamente, scattò in piedi, si alzò sulla poltrona, cacciò un urlo, scese con un balzo e prese ad andare avanti e indietro per la stanza, rosicchiandosi febbrilmente le unghie.

“Calmati”, ripeté Roxanne, imperturbabile.

“Certo, certo. Devo calmarmi.” Si schiarì la gola, sistemandosi il colletto col dito indice. “Dove sono i miei tranquillanti? Osvaldo! … Ah, già, Osvaldo è morto, l’hai mangiato proprio iersera.” Tirò indietro i capelli, si massaggiò le tempie. Improvvisamente trasalì, lanciò un’esclamazione terrorizzata, serrò la mano destra attorno al polso sinistro.

“Roxanne! Oh, no! Oh, no!”

“Che c’è?”

“Non c’è polso!”

La vampira lo fissò un istante con aria stralunata, quindi assottigliò gli occhi, incrociando le braccia al petto.

“Dracula.”

“Non c’è polso! Ecco, lo sapevo! Lo sapevo, che prima o poi questa faccenda mi avrebbe ucciso!”

“Dracula.”

“E’ la fine! Per me è la fine!”

“Dracula.”

“Me ne andrò per sempre! Per crepacuore entrerò nell’eterno obl …”

“DRACULA!”

Il conte si interruppe ad occhi sgranati, immobilizzandosi al centro della stanza in ginocchio e con le braccia levate al cielo.

“Cosa?”

“Dracula. È ovvio che non ci sia polso. Tu sei morto.”

Il vampiro batté le palpebre un paio di volte, abbassando gradualmente le braccia.

“Oh.” Si tirò lentamente in piedi, grattandosi il mento. “Hai ragione.”

Roxanne scosse ripetutamente il capo, critica. Il conte si alzò del tutto e attraversò la stanza, sedendosi in poltrona vergognoso.

“Mi sentirei di suggerirti la terapia sostitutiva”, congetturò la donna, beffarda. “uno degli effetti primari della menopausa come dell’andropausa consiste nelle crisi isteriche.”

“L’andr … Ma cos … Roxanne! Io non sono affatto in andropausa, perdiana! Sono un vampiro, tanto per cominciare. E come tale sarò sempre giovane e aitante.”

Roxanne sollevò un sopracciglio con evidente scetticismo.

Dracula corrugò la fronte.

“Oh, beh, al momento non sono nella mia forma migliore, ma … Di certo resto comunque … Il mio fascino inimitabile … Voglio dire … Ho sempre il mio perché.”

“Oh, su questo non c’è dubbio. Anch’io guardandoti mi chiedo spesso perché quel branco di poveri umani che fai sgobbare dalla mattina alla sera – anzi, dalla sera alla mattina – si ostina ad obbedirti. Come fanno a non capire che ormai sei perfettamente innocuo?”

“Innocuo?! Io innocuo?!”

“Ma certo.” Roxanne proruppe in un’imprecazione infastidita quando un filo di luce filtrata dalle tende e dallo strato di nubi basse sull’orizzonte le colpì un avambraccio, scostandosi bruscamente. “Uh, ormai saranno le sette passate. È ora di ritirarsi.”

“Io non sono affatto innocuo”, mugugnò il conte alzandosi di malavoglia, permettendo alla donna di guidarlo fuori dalla stanza. “Sono Dracula … il conte Dracula …”

“Su questo non ci piove”, disse lei indulgente, abbassando la maniglia in ottone ossidato.

I due sparirono oltre la porta, silenziosi come fantasmi.

E così quella mattina la stanza rimase vuota, immersa nel silenzio, interrotto solo dallo sfrigolare del fuoco acceso per ordine del conte nel caminetto. Tra le fiamme ardeva la missiva dei Volturi.

 

Nello stesso istante in cui il disco luminoso del sole emerse completamente dalla fascia di nubi, splendendo in tutto il suo fulgore, nelle viscere della torre più alta della fortezza il conte Dracula chiuse su di sé il coperchio della bara in mogano.

 

…Perché, lui sì, è un vampiro come si deve.

  
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