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Autore: allanon9    15/02/2010    4 recensioni
Una lunga Oneshot AU senza spoilers,la prima che scrivo su The Mentalist.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Allanon9
Spoilers:
Nessuno

Pairing:
Jisbon
Rating:
AU
Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction non mi appartengono, ho solo preso liberamente spunto dalla serie "
The Mentalist" di proprietà della CBS.

 

SOGNI

 

Era da un’ora che Teresa Lisbon provava a rintracciare il suo consulente, Patrick Jane, senza successo.

Il telefono squillava ma lui non rispondeva. Che fine aveva fatto? Era insolito che non rispondesse al secondo squillo.

“Avrà preso uno di quei tranquillanti per dormire, capo.” Ipotizzò Grace Van Pelt con la sua solita calma.

“Uhm…” mugugnò Lisbon “Può darsi.”

Stava per ripetere il numero di Jane, quando il suo cellulare squillò.

“Lisbon.” Rispose.

“Agente Teresa Lisbon?” chiese una voce all’altro capo.

“Sì?”

“Chiamo dall’ospedale, conosce un certo Patrick… Patrick Jane?”

Il cuore di Lisbon cominciò a galoppare. “Sì, cos’è successo?”

I suoi collaboratori si avvicinarono a lei, improvvisamente interessati.

“Il signor Jane ha avuto un incidente d’auto ed è stato portato qui due ore fa. Abbiamo trovato solo questo numero tra le sue cose, potrebbe venire subito?”

“Ma sta bene?” la voce di Lisbon tremava leggermente, ma l’espressione seria e tranquilla dei suoi occhi era immutata.

“Venga e ne parleremo di persona.”

Il tu tu della linea chiusa la innervosì.

“Capo…” disse Cho chiedendogli spiegazioni con lo sguardo.

“Jane ha avuto un incidente ed è ricoverato all’ospedale. Devo andare. Cho, Rigsby voi andate ad interrogare il sospettato, Van Pelt rimani qua e vedi se riesci a rintracciare qualche familiare di Jane. Ci sentiamo presto.”

E quasi correndo uscì dalla saletta riunioni del CBI.

“Non troverai nessuno Grace, Jane non ha nessuno.” Disse Rigsby uscendo anche lui, seguito da Cho.

L’animo tenero di Van Pelt tremò, che cosa orribile aveva detto Rigsby, non avere nessuno era come essere morti per lei.

 

Teresa arrivò all’ospedale in meno di un quarto d’ora, aveva corso come non aveva mai fatto prima.

Si rivolse all’infermiera dell’accettazione.

“Sono l’agente Lisbon, ho ricevuto una vostra chiamata per il ricovero di Patrick Jane.”

La donna le sorrise e guardò la lista dei pazienti.

“Si agente, aspetti che chiamo il medico interessato al caso.”

Dopo aver riappeso il telefono la donna le porse un formulario.

“Il dottore sta arrivando, nel frattempo che aspetta può riempire questo?”

Lei lo prese annuendo  ma appena cominciato a leggerlo, si rese conto di non sapere rispondere a tutte quelle domande.

Stava per dirlo all’infermiera quando arrivò il dottore.

“Buonasera agente Lisbon, sono il dottor McGuire ed ho in cura il signor Jane.”

“Come sta dottore, sta bene vero?” l’ansia che le traspariva dalla voce la mise a disagio.

“La sua situazione è stabile, ha un polso fratturato, niente di grave, ma è la situazione neurologica che ci preoccupa.” Disse l’uomo con molta serenità.

“Che intende, non capisco.”

“Il signor Jane ha sbattuto la testa piuttosto violentemente, la sua auto è un modello vecchio, senza airbag.”

Puntualizzò, lei annuì.

“Ha un embolo, che stiamo cercando di far riassorbire, che preme sul cervello. Se entro le prossime ore non succederà dovremo operare e ci serve l’autorizzazione di un familiare visto che il paziente è ancora incosciente.”

Lisbon si passò una mano sul viso.

“Il signor Jane non ha nessuno qui a Sacramento, stiamo cercando di rintracciare qualcuno, ma temo che non ci sia nessuno da trovare.” Disse tristemente lei, l’enormità di quella verità la colpì con più violenza di un pugno nello stomaco.

Solo.

Patrick Jane era dannatamente solo.

“Allora dovrà essere lei a prendere la decisione, c’era il suo numero nella rubrica del signor Jane alla voce ‘In caso di necessità…’. “

“Ok. Posso vederlo?”

“Certo, mi segua.”

“sa com’è avvenuto l’incidente Dr. McGuire?”

“Sembra che ilsignor Jane fosse appena passato ad un semaforo quando un pirata della strada è passato col rosso.”

“Era ubbriaco?” chiese Lisbon con la voce triste.

“No, era sotto l’effetto di stupefacenti.”

Il dottore la guidò nell’ultima stanza in fondo al corridoio.

“E’ cosciente?” chiese Lisbon esitando ad entrare.

“No, lo teniamo in coma farmacologico. A più tardi agente Lisbon.” Disse il dottore lasciandola sola.

Lisbon entrò nella stanza .

Jane era disteso nel letto con  i capelli ricci che spuntavano disordinatamente da una benda bianca chiazzata di sangue,aveva  la flebo attaccata al braccio destro, il polso sinistro era ingessato e aveva vari lividi sul viso, la sconvolse non poco il fatto che fosse così pallido ed immobile, lui che non riusciva mai a stare fermo un attimo.

“Jane, mi senti?” gli chiese lei toccandogli il braccio.

La sua pelle era calda, ma nessun altro segno le diceva che lui era vivo.

“Che mi combini Jane, quante volte ti ho detto di non correre con quel trabiccolo.” Continuò Teresa, gli occhi pieni di lacrime.

Si sedette accanto a lui e rimase ad osservarlo in silenzio, non sapeva che cosa dire o fare.

 

Patrick aprì gli occhi di scatto, aveva sentito qualcuno che lo chiamava.

La stanza bianca  era inondata di luce e lui dovette schermarsi gli occhi per poter vedere qualcosa.

“Dove sono?” chiese all’ombra vicino a lui.

“Non vedi Patrick? Sei in una sala d’aspetto.” Rispose l’ombra con la voce di una donna.

A Patrick sembrava familiare, ma non riusciva a metterla a fuoco.

“Chi sei?” chiese ancora a voce così bassa che lui stesso stentò a sentirla.

“Non mi riconosci Patrick?”

“No, so che ti conosco ma c’è troppa luce e non riesco a vederti chiaramente.” Rispose lui.

La donna fece un gesto con la mano e la luce si smorzò permettendogli di vederla bene.

Era una bella donna sulla quarantina con capelli biondi ed occhi azzurri, indossava un abito bianco senza maniche corto sopra il ginocchio. Sorrideva.

“Adesso sai chi sono?” gli chiese dolcemente.

Lui fece segno di no con la testa, sapeva di conoscerla ma non riusciva a ricordare chi potesse essere, ed era una cosa strana per lui, aveva una mente fotografica.

“Non importa, ricorderai.”

“Dove sono? Ah sì, in una sala d’aspetto…ma cosa aspetto?” Patrick si sentiva così confuso.

“Non ricordi cosa ti è successo?” gli chiese ancora la donna sedendosi accanto a lui.

Patrick chiuse un momento gli occhi e si sforzo di ricordare.

Era fermo al semaforo, stava andando a casa, nella sua enorme casa vuota. Quando era scattato il verde era ripartito e poi aveva sentito un dolore lancinante alla testa e più niente.

“Un incidente, mi hanno tamponato.” Sussurrò.

La donna annuì.

“Allora sono morto. Dove sono loro, posso vederle?” Un’ improvvisa gioia guizzò nei suoi occhi azzurro-verdi e, animato da una nuova forza, si alzò dalla sedia incapace di stare fermo.

“Calma Patrick, le vedrai ma non ora, non è ancora il momento.” La donna gli poggiò una mano sul braccio.

“Ora ascoltami: non sei morto, non è ancora venuto il tuo momento Patrick. Hai ancora tanto da fare e da dare, devi solo avere il coraggio di vivere.”

Una rabbia improvvisa riempi il petto di Patrick, chi diavolo era questa donna? Cosa stava blaterando?

Lui era da 5 anni che viveva ogni giorno come se fosse l’ultimo, sperando quasi che fosse l’ultimo, lottando contro l’impulso di farla finita da se stesso e lei parlava di coraggio di vivere.

“Chi sei? Cosa ne sai tu della mia vita?” Urlò incapace di trattenere l’ira.

“Una che ti conosce molto bene. So tutto di te, del tuo dono, del tuo dolore e della rinuncia ad usare ancora il tuo potere, della tua lotta contro il senso di colpa. Ma Patrick, non è stata colpa tua, devi perdonarti.”

La voce della donna era consolatoria e dolce, quasi materna.

Un improvviso pensiero attraversò la mente di Patrick.

“So chi sei! Io…non credevo che fossi morta, non me lo aveva detto. Credevo che…Non importa.”

Patrick chiuse un attimo gli occhi, tormentandosi nervosamente le labbra con le dita, come faceva sempre quando qualcosa lo turbava.

La donna sorrise.

“Sì, sono morta, ma lui non poteva saperlo perché è successo dopo che è morto lui.” Disse toccandogli il braccio.

“Perché sono qui se non sono morto?” chiese Patrick, sedendosi improvvisamente stanco.

“Non lo so, forse perché potessimo incontrarci dopo tanto tempo, forse per qualche altro disegno che non ci è dato capire.” Gli rispose la donna.

“Io non credo in Dio, e non esiste niente dopo la morte.” Disse lui cupamnete.

“Patrick, guarda…”

Scostò una tenda e Patrick potè vedere il suo corpo disteso nel letto dell’ospedale e Teresa Lisbon seduta al suo capezzale.

“Lisbon.” Sussurrò.

“Vedi Patrick? C’è ancora qualcuno che aspetta il tuo ritorno, non sei solo come credi.”

Lui ingoiò il nodo che gli si era formato nella gola.

“Siamo solo colleghi, io…lei…Non c’è niente tra noi, solo rapporti di lavoro.”

“Se fosse così lei non starebbe piangendo, non trovi?”

Patrick guardò più attentamente l’immagine oltre la tenda, Teresa si stava sciugando una lacrima e gli stava dicendo qualcosa che lui non poteva sentire.

“Lisbon, mi senti?” gridò nella speranza di veder sparire l’angoscia dagli occhi verdi del suo capo.

“Non può sentirti, come tu non puoi sentire lei. Io vorrei tenerti con me Patrick, avrei voluto tenerti con me anche prima, ma non è possibile ora come non lo è stato allora. Devi tornare indietro ma ti prometto che ci rivedremo figliolo, te lo prometto.”

Patrick sentì gli occhi bruciargli, come quella volta che era saltato in aria a causa di una bomba, solo che ora erano le lacrime che pungevano come punture di spilli.

Scosse la testa con decisione.

“No, voglio rimanere, voglio stare con voi, con te e con loro. Mi avevi detto che le avrei viste.” La voce gli tremava, ma si sforzava di non cedere alle lacrime.

“Te le farò vedere, ma non potrai parlargli, stanno bene Patrick e sperano che nache tu starai bene prima o poi.”

Chiuse la tenda sulla stanza all’ospedale e ne aprì un'altra che si affacciava su un grande giardino pieno di fiori.

Patrick riconobbe immediatamente sua moglie e sua figlia, stavano giocando insieme in mezzo al prato e ridevano.

Stavolta lasciò che le lacrime gli scendessero libere sulle guance e le chiamò.

“Neppure loro ti sentono Patrick, mi dispiace ma non posso fare altro.”

La donna che era stata sua madre, richiuse le tende e lo strinse in forte abbraccio.

“Vai figlio mio, ci rivedremo un giorno, ricordalo.”

Lei si sciolse dall’abbraccio e di nuovo la luce fu troppo accecante per lui che non riuscì a tenere gli occhi aperti.

“Non andartene, aspetta.” Gridò, ma lei era sparita insieme all’immagine della sua famiglia che rideva nel giardino.

Gli sfuggì un singhiozzo e poi perse conoscenza.

 

Il telefono di Lisbon squillò.

“Lisbon.” Rispose.

“Salve capo, purtroppo non ho trovato nessun parente di Jane ancora in vita.” Disse Van Pelt con voce triste.

“Lo immaginavo. Grazie Van Pelt, ci vediamo dopo.” E riattaccò.

Si girò verso il letto e sospirò.

Si avvicinò all’orecchio di Jane e sussurrò: “Jane, non mollare. Ora vado alla centrale, ma torno presto non fare scherzi, capito?”

Si sollevò e solo allora notò una lacrima scivolare dall’angolo dell’occhio chiuso di Jane.

Il bep bep del monitor a cui era collegato il dito indice del suo consulente era costante, quindi pensò che fosse solo un riflesso condizionato.

“A dopo.” Lo salutò uscendo dalla stanza.

Salì sull’auto e si diresse al CBI.

Rigsby e Cho erano già tornati dal loro interrogatorio e la misero al corrente degli ultimi sviluppi che, ne erano certi, avrebbero fatto scattare le manette ai polsi del sospettato.

“Chiama il giudice e fatti dare un mandato Cho, appena lo avete in mano tu e Rigsby andate ad arrestare quel farabutto.” Disse sedendosi alla sua scrivania.

“Capo…” cominciò Cho.

“Come sta Jane?”

Lei fece una piccola smorfia “Non bene, le prossime ore ci diranno come finirà.”

L’improvviso squillo del cellulare li fece sobbalzare.

“Lisbon.” Rispose .

“Agente Lisbon, sono il Dr. McGuire, il signor Jane si è svegliato due minuti fa e…”

Lei non lo lasciò finire di parlare, chiuse il telefono e si fiondò fuori dalla porta.

“Capo, che succede?” gridò Cho, preoccupato.

“Si è svegliato Cho, dillo agli altri.”

Ci mise meno della volta prima ad arrivare all’opsedale, il cuore le batteva così forte che sembrava scoppiargli.

Arrivò quasi di corsa alla stanza di Jane che era aperta.

Bussò piano e il dottore si affacciò.

“Agente Lisbon, prego. Non riusciamo a tenerlo fermo, parli con lui o dovremo fargli un iniezione di tranquillanti.”

Lei sorrise.

“Ok.” Entrò nella stanza sorridendo.

“Jane, smettila subito.” La voce di Lisbon ebbe l’effetto di calmarlo un po’.

“Lisbon.” Disse .

“Non mi lasciano alzare, sono stanco di stare a letto.”

Lei gli sorrise con condiscendenza.

“Eri in coma fino a due ore fa, cosa vuoi che ti lascino fare?”

Jane sospirò teatralmente, ma la sua voce suonò roca quando disse: “Sto bene Lisbon, davvero.”

Lei annuì.

“Lo so Jane, ma dovrai fare dei controlli accurati che accertino che tutto sia davvero a posto, la tua testa intendo.”

“Ok.” Rispose lasciandosi andare contro il cuscino stancamente.

“Grazie per essere rimasta con me Lisbon, non lo dimenticherò.” Sussurrò chiudendo gli occhi, non volendo mostrare le sue emozioni.

“Come fai a sapere che io…” cominciò a dire lei, poi scosse la testa.

“Ok, non dirmelo, non lo voglio sapere.”

Lui sorrise. Poteva lasciarle credere che lo aveva visto nei suoi occhi, in fondo era pur sempre un sensitivo, anche se falso.

 

Meno di un mese dopo erano tutti riuniti attorno al tavolo della sala riunioni del CBI, con la pizza del caso risolto, ridendo e stuzzicandosi l’un l’altro sotto lo sguardo condicendente di Teresa Lisbon.

Patrick Jane si sentiva riscaldare dall’affetto che quel team gli aveva dimostrato.

Pensò al sogno che aveva fatto durante il breve stato di coma e sorrise, aveva fatto la scelta giusta, forse sua madre aveva ragione aveva ancora tanto da fare e da dare in questo mondo.

  
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