1. Something Unexpected
My Way Comes
L'uomo è un essere genuinamente, incondizionatamente
abitudinario.
Io potrei esserne la prova tangibile: fino a un mese fa
ero letteralmente spaventata a morte al solo pensiero di vivere lontano dalla
mia famiglia. Credevo, anzi ero sicura, di non potercela fare.
Fino all'ultimo momento avevo pensato di mandare tutto
all’aria e continuare la mia vita ordinaria. Ma così avrei compromesso il mio
futuro.
D'altronde se mi sono spostata qui è stato per andare all'università.
Per fare il mio dovere.
Così eccomi qui, per le strade di Newark, New Jersey. Non
proprio un posto che la maggior parte della gente considera esattamente raccomandabile, ma io ci sto bene.
E mi sono abituata. Sì, mi sono abituata a non vedere i
miei genitori, con l'eccezione di qualche fine settimana ogni tanto, mi sono
abituata ad entrare ogni giorno in quell'edificio grigio che è la sede della
mia l'università e mi sono abituata alle mie due coinquiline.
Ripensandoci, se qualcuno un mese fa mi avesse detto che
avrei anche solo pensato queste parole gli avrei riso in faccia. Ma sapete come
si dice, tutto cambia per non cambiare
nulla, è tutta questione di abitudine. Giusto il tempo di adattarsi,
ingranare la marcia e ripartire. Nel mio caso poi, non c'è nient'altro da fare.
La strada davanti a me sarà sempre dritta. Niente curve, niente deviazioni
improvvise. È già tutto programmato. È sempre stato così nella mia vita. Tutto è già
deciso, e non c'è spazio per sorprese o pazzie. È sempre stato così, e lo sarà
sempre.
«Sono tornata!» Apro la porta di casa
mentre le note di una sdolcinata canzone strappalacrime mi vengono incontro, a
testimonianza del fatto che Ellen è in casa.
Ellen è una delle mie due coinquiline. Ha deciso di
spostarsi in città dopo aver trovato lavoro al bar dell'ospedale, e quando è in
casa si diverte a mettere le canzoni di Britney Spears o quel genere lì a tutto
volume. Non esattamente il mio genere, ma ormai ho fatto l'abitudine anche a
questo.
Mi sporgo dalla porta della sua camera: la vedo intenta a
smaltarsi le unghie di un accesissimo viola mormorando quelle che - secondo lei
- sono le parole della canzone.
«Ehy! Ciaaaooo!» devo aumentare il mio tono di voce di
almeno un’ottava per farmi sentire, ma finalmente alza lo sguardo.
«Jules, ciao! Non ti ho sentita entrare...» Sfido io.
«Sì, me ne sono accorta!» ridacchio «Tutto ok al
lavoro?»
«Uhm... Direi di
sì... Tranne per uno che pretendeva che capissi che 'pasta di gomma' significasse
'chewingum' nel suo vocabolario... ah, questi vecchi
di oggi...» dice scuotendo la testa.
Sorrido mentre spingo la maniglia della mia camera in
affitto ed entro. Ecco, questa camera
è un'altra di quelle cose a cui mi sono dovuta
abituare. È maledettamente e
disgustosamente rosa. Le pareti sono
rosa, le tende sono rosa. Non che odi eccessivamente il rosa, ma sicuramente
non è un colore per me, e qui ce n'è decisamente
troppo. Colpa della signora Guilles, la padrona
di casa, convinta che il sogno di ogni ragazza rispettabile sia di avere
un'intera stanza rosa. Fortuna che ho cercato di rimediare alla situazione
tempestando letteralmente quelle pareti degne della casa di Barbie con il
rosso, nero, bianco e blu dei poster dei miei artisti preferiti, e con foto,
scritte, e locandine di film. Di sicuro la signora Guilles
non si scandalizzerà per un po’ di scotch attaccato al muro. E sono pronta a
scommettere che ha già pronta una latta di quell’odioso colore nell’evenienza
di dover ridipingere la stanza.
Sospiro mentre butto distrattamente la borsa sul letto e
infilo le cuffie del lettore CD per il sacro momento
della mia musica. Sicuramente il miglior momento della mia giornata. Le note di
"Stairway To Heaven" finalmente coprono la litania che giunge dalla
stanza accanto e mi trasportano in un'altra dimensione. La musica mi ha da
sempre fatto quest'effetto ed è la cosa che amo di più al mondo proprio per
quel suo misterioso potere di portarmi lontano da tutto e tutti, di farmi stare
bene, di mettermi a mio agio. Nonostante il dolore, nonostante i ricordi che
fanno male, lei è sempre stata il mio appiglio e la mia speranza, il mio unico
conforto quando tutto intorno a me andava a rotoli. Atteggiamento che si potrebbe
definire masochista il mio: la musica era
la causa dei miei mali, ma anche l’unico antidoto ad essi.
Fin da bambina però mi ha sempre affascinato. L’ho anche
studiata per un po’. Lezioni di
pianoforte. E poi... poi ho abbandonato. Se me ne pentirò? Chi può dirlo...
forse non era la mia strada. O forse me ne sono già pentita.
Con dolore mi accorgo che è già ora di cena. Mi alzo svogliatamente
dal divano e mi avvio verso la cucina come un automa, trascinando i piedi. Sono
ancora intenta a decidere quale tipo di schifezza surgelata cucinare oggi,
quando sento suonare il campanello. Ovviamente Ellen non ha sentito niente, è
ancora troppo intenta a ballare e cantare “Hit Me Baby One
More Time”, così tocca a me aprire alla porta. Chi è
che rompe a quest’ora? Se è la signora Guilles, io...
Ma quando apro non mi trovo davanti la signora Guilles.
Mi trovo davanti un ragazzo mai visto prima. Non troppo alto, i capelli rossi
ai lati e color dell’ebano al centro, piercing al naso e sul labbro, e degli
occhi grandi, di un colore tra il verde e il nocciola, limpidi. Due occhi che
quasi mi accecano, tanta è la luce che sembrano emanare.
Mi sorride imbarazzato, prima di dire:
«Ehm, ciao! Ero passato per dare questi a Ethan» mi
mostra dei block-notes che evidentemente
appartengono a Ethan, il nostro vicino di casa
«...ho suonato, ma non apre nessuno... ma lui aveva detto che li voleva indietro oggi, così ho pensato
di lasciarli a voi, nel caso in cui...»
Accidenti, com’è logorroico, il ragazzo!
«Oh, Ethan sarà uscito. Non ti preoccupare, dalli pure a
me, ehm...»
«Frank», mi dice sempre con quel sorriso stampato in
faccia «Frank Iero. Sono un collega di Ethan.»
«Così sei all’università anche tu? Strano, non ti ho mai visto... Beh, non che
sia una così attenta osservatrice...» dico più a me stessa che a lui. Lui
infatti mi guarda divertito. Accidenti. Sto pensando ad alta voce. Che figura!
Cerco di ricompormi. «Ehm, comunque, io sono Julia. Julia Stevens. Ma gli amici
mi chiamano Jules. O Jul. Piacere di conoscerti!» Dico, stringendo la sua mano. È calda, grande,
e la sua stretta è decisa. Mi colpiscono le sue dita, lunghe e affusolate.
«Non è che io frequenti così tanto... Sarà per questo che non mi hai mai visto!» mi
regala ancora una volta un sorriso come pochi se ne vedono: spensierati,
sinceri. Poi fa un cenno verso l’interno della casa, e facendo l’occhiolino,
aggiunge sottovoce: «La migliore delle canzoni di Britney.»
Oh, cavolo. Quella stupida canzone. Sono abbastanza
sicura di essere diventata color pomodoro maturo, quando farfuglio con tono
sconcertato «Oh, scusala, è la mia coinquilina, lei la adora...»
Lui ride nuovamente. «Effettivamente, anche io preferisco
di gran lunga loro» esclama poi,
indicando la tshirt dei Misfits che ho addosso, senza smettere di sorridere. «Beh, comunque... ti
ho disturbato abbastanza per oggi, ora è meglio che vada. È stato un vero
piacere conoscerti, Jules... E grazie!» mi guarda ancora una volta con quei
suoi occhioni luminosi, prima di voltarsi lentamente per andarsene. Proprio in
quel momento noto un tatuaggio sul suo collo. Uno scorpione. Inusuale, ma
veramente bello.
«Figurati... Il piacere è tutto mio... Ciao!»
Per non so quale motivo, resto ancora una manciata di
secondi ferma sul pianerottolo, guardandolo andarsene e non rendendomi conto di fissare esattamente il
punto in cui è sparito per le scale. Sono così immersa nei miei pensieri che
quasi non mi accorgo di Violet, che rientrata anche lei dall’università, mi
agita una mano davanti al viso, cantilenando: «Oh no, persa nei suoi sogni, di nuovo... Pianeta Terra chiama Juliaaa! Jules? Mi farai passare prima o poi?»
Solo allora riemergo dai miei pensieri, spostandomi per
far passare la mia coinquilina.
«Che ti è successo?... È per quel ragazzo con i capelli
rossi, vero? Sì sì. L’ho incontrato per le scale. E
te lo concedo, era veramente carino... Ma che voleva?» mi scruta con sguardo
malizioso.
«Era passato per dare delle cose a Ethan, che non è in
casa. Va all’università con lui.»
«Ah... Mai visto. E perché non l’hai invitato per un
caffè?»
Ecco, ci risiamo. Violet e le sue tecniche per adescare
un ragazzo. E dire che è già fidanzata da più di due anni.
«Perché ha detto che doveva andare. Ed è ora di cena. E...
e non potevo invitarlo a casa dopo un minuto che ci conoscevamo!»
«Certo, certo...» dice, ficcandosi una manciata di
patatine alla paprika in bocca. «Però ti piace. Ammettilo.»
«Ma no che non mi piace! Se neanche lo conosco!»
«Mai sentito parlare di amore a prima vista?»
No, la storiella del colpo di fulmine proprio no.
«Vee, sai che non esiste nessun
amore a prima vista. Come fai a crederci ancora alla tua età?»
Mi guarda offesa, smettendo improvvisamente di masticare.
«Beh, tra me e Mark è stato vero colpo di fulmine» dice,
seria.
«Ok, va bene. Per te è stato colpo di fulmine. Ma... il
mio è stato un semplice incontro con un ragazzo che cercava Ethan e che probabilmente non vedrò mai più. Punto.
Ora possiamo preparare la cena?»
«Uffa, quanto sei cinica tu.» sbuffa «Va beh, come
vuoi... Cosa si mangia stasera?»
Magari
era veramente cinismo. Ma in quel momento pensavo veramente che non l’avrei rivisto
mai più.
Finalmente mi sono presa di coraggio e ho pubblicato
questa mia prima “cosa”...
Beh, che dire? Ringrazio coloro che si sono
avventurati nella lettura di questa [mi ostino a chiamarla così, perché non
sono sicura della sua giusta definizione...] “cosa”, sempre se qualcuno l’ha fatto... certo, non ha
niente a che vedere con le bellissime storie che ci sono qui [giuro, ho letto
delle storie meravigliose su questo sito], ma non so, magari a qualcuno
piace...
Il titolo non è proprio il massimo, ma sappiate che
io sono completamente negata per i titoli.... Figuratevi che la storia l’ho
incominciata a scrivere più di un mese fa, ma non l’ho pubblicata prima di
tutto perché non mi sembrava un granché, poi perché non avevo idea di come
continuare, e infine perché non riuscivo a trovare uno straccio di titolo
decente... Ma oggi, pervasa da non so quale mistico coraggio, mi sono detta “Fuck, let’s do it” [come direbbe
Gerard xD], quindi eccomi qua...
Ovviamente siete liberi di farmi sapere cosa ne
pensate, se volete!
xo,
G
Ps:
dimenticavo! “Non conosco nessuno dei personaggi della storia (purtroppo), la
storia è frutto della mia mente contorta e non scrivo a scopo di lucro (direi
che dovrei essere io a pagarvi per leggere! xD)”