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Autore: Oducchan    18/02/2010    2 recensioni
[...]-West? Che sta succedend…-
Ludwig non lo sente, il gemito protratto e l’urlo sofferente di Gilbert, non lo sente perché ode soltanto le grida della città che muore, i pianti delle donne e le maledizioni degli uomini, il dolore, il panico, il terrore dei bambini.
Dresda muore, Gilbert. Dresda muore, Sassonia urla, Germania cade.
E la notte accoglie la fine di due fratelli, unico Stato marchiato dall’Infamia.

13-14-15 febbraio 1945: Dresda viene rasa al suolo dallo sforzo congiunto di RAF e USAAF
[scene Prussia/Germania]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Germania/Ludwig, Inghilterra/Arthur Kirkland, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cercavo ispirazione per un San Valentino storico. Ho trovato questo.
Se qualcuno trovasse fastidioso il modo in cui tratto l’argomento, me lo comunichi liberamente. Dopotutto gli stessi inglesi e americani sono incerti se definirlo crimine di guerra o meno.
Il cambio di tempo verbale è voluto.
Per la mia Sempai <3 (perché altrimenti non sarebbe Prussia/Germania XD)
 
 
 
Our bloody Valentine [Dresden Night]
 
 
 
 
13 febbraio 1945, Berlino. Ore 17.20
 
La città taceva, sprofondata nella coltre di neve che avvolgeva ogni cosa in un gelido abbraccio candido, tanto che a uno sguardo poco attento sarebbero sfuggiti i segni evidenti del conflitto.
Germania sospirò, rassegnandosi ad alzarsi dalla scrivania per gettare un altro ceppo di legna secca nel vasto camino, in cui sfrigolava un fuoco morente che avrebbe dovuto scaldarlo. Si prese il tempo di sistemare per bene il nuovo ramo nelle molle degli alari, per poi accostarlo delicatamente alla fiamma per farla attaccare meglio: se avesse sbagliato a calibrarne l’angolazione, le vampe si sarebbero estinte immediatamente e allora avrebbe dovuto ricominciare da capo.
Era stanco, Germania. Tutto il paese, ormai, era ridotto in ginocchio, persa l’esaltazione delle conquiste iniziali, e da quando l’esercito era entrato in rotta perdendo sempre più terreno si disperava ormai di giungere a una qualsiasi vittoria. Dalla disastrosa esperienza delle Ardenne Ludwig era rientrato nella capitale stremato, indebolito e provato, sia fisicamente che moralmente, coperto di ferite da capo ai piedi e con la netta sensazione di aver raggiunto il proprio limite. Invece niente, il suo boss non aveva ascoltato nemmeno una parola del suo resoconto, continuando a urlare come un ossesso predicando la resistenza ad oltranza di ogni reparto su tutti i fronti, anche a discapito dei soldati ormai esausti e in fase di ritirata praticamente ovunque. L’indomani sarebbe dovuto partire per il fronte italiano per cercare di tamponare le perdite – anche se il terrore che dilagava negli occhi di Veneziano e la sua confusione nel vedersi brutalmente separato da Romano sarebbero valse più di un centinaio di pugnalate.
Un cigolio della porta che girava sui cardini lo distrasse, allontanando temporaneamente le lacrime della Nazione Italiana dalla sua memoria, e si voltò ad accogliere il nuovo venuto; quasi trasecolò dalla sorpresa, quando si ritrovò davanti il sorriso – anche se più ironico e smorzato- sardonico e gli occhi – seppur ammantati di una patina di sconforto- arroganti di suo fratello.
Prussia.
Gilbert.
Gilbert?!?
-Hallo, West. Contento di rivedere il tuo meraviglioso fratellone?-
Germania batté le palpebre, esitante. In effetti, erano passati mesi dall’ultima volta che le due Nazioni hanno potuto parlare tra loro, essendo stati destinati a due fronti differenti: il suo ritorno alla capitale non poteva che significare che le loro ultime difese erano crollate. Come a prevenire la sua domanda, Gilbert accentuò la piega delle labbra, mentre si slacciava la giacca dell’uniforme e se la sfilava dalle spalle gettandola in un angolo.
-Budapest si è arresa proprio oggi – annunciò, passandosi una mano tra i capelli nivei -Ieri i sovietici hanno spazzato via le difese sulla Vistola. Direi che c’è bisogno di entrambi qui molto più che altrove-.
Se non fosse stato per la divisa sgualcita assai diversa e le occhiaie che gli segnavano assai pesantemente gli occhi cremisi, Ludwig avrebbe avuto la sensazione di essere tornati indietro di quasi settantacinque anni, a quel pomeriggio in cui aveva fatto irruzione, coperto di polvere e di sangue, in camera sua, sbraitando che si erano appena riunificati e che erano diventati una cosa sola. Almeno, Gilbert era ugualmente malconcio, anche se molto meno entusiasta.
Buffo. Settantacinque anni prima erano al massimo della gloria, capaci di tenere il mondo in una mano. Invece ora era il mondo che a stringerli nella morsa del suo pugno, precipitandoli sempre di più nel buio.
-Quindi goditi la compagnia della mia incantevole persona finché puoi, visto che quel pazzo furioso vuole mantenere le linee ovunque e probabilmente ci spedirà a farci ammazzare il prima possibile – Concluse Gilbert, appoggiandosi pesantemente alla poltrona di velluto accanto al camino. Però ci fu un’ombra di sollievo che gli attraversò lo sguardo, nel farlo, che si propagò anche al viso, tanto da mutarlo in quello del fratello che aveva sempre conosciuto.
E non poté far altro che lasciarsi scaldare da quella presenza familiare, certo che, almeno per quella sera, avrebbe potuto fare a meno delle preoccupazioni.
 
13 febbraio 1945, portaerei al largo della manica, ore 17.20
 
Ordini.
Quelli erano gli ordini; e per quanto fosse lui stesso la Nazione in nome della cui salvezza era richiesto di agire e non avesse la minima intenzione di costringere migliaia di aviatori a decollare, avrebbe partecipato al raid così come era stato deciso dal Governo. Dette un’ultima occhiata al piccolo foglio di carta vergato dalla scrittura del suo boss, su cui erano riportate le coordinate del suo obiettivo, prima d’infilarlo con cura in una tasca della divisa e accelerare il passo, per non distaccarsi e perdere il resto della formazione. Qualche soldato lo guardò con curiosità, altri accennarono a un saluto militare imbarazzato quando transitò di fronte a loro; pochi sapevano chi lui fosse in realtà, dal momento che il Governo aveva decretato di non diffondere la voce per non creare allarmismo o ondate di sensazionalismo: lo vedevano come un semplice tenente, pronto a decollare con loro, a combattere con loro, ed eventualmente morire con loro.
Un sorriso amaro gli torse gli angoli delle labbra in una smorfia. Buffo come questo fosse molto lontano dal vero: gli avevano permesso di partecipare solo perché era pressoché certo che di pericoli non ce ne sarebbero stati, avendo mantenuti segreti i piani elaborati a Yalta; anche se tuttavia Arthur non era pronto a giurarci, che l’avessero fatto confidando nella sua incolumità. Non erano sicuramente i primi a prendere la faccenda “le Nazioni sono persone” seriamente, bastava pensare a come avevano gestito la questione francese…
S’infilò senza sforzo nella cabina di pilotaggio, cercando di arginare il flusso di quei pensieri inopportuni, e per l’ennesima volta ripercorse le direttive affidategli dal Consiglio militare sulla missione odierna, limitandosi a chiedersi marginalmente se gli americani fossero già al lavoro o meno, dal momento che prevedevano pioggia.
Il rombo del motore in avviamento offuscò per qualche istante il suo udito, mentre si concentrava sulle direttive di decollo.
L’Operation Thunderclap ha inizio.
 
La risata sguaiata di Gilbert interrompe per l’ennesima volta le sue elucubrazioni su future azioni militari e sugli assetti dell’esercito da modificare per la prossima battaglia. Distoglie lo sguardo dalle fiamme guizzanti che si rincorrono nel camino, osservando metodico il saltellare sconclusionato di suo fratello attorno alla poltrona che dovrebbe ospitare, almeno in teoria, la sua persona, mentre brandisce un barilotto di birra chiara e un bicchiere recuperato chissà dove .
-…e poi, ja, quello stupido russo è venuto verso il meraviglioso me, ja, e sai che m’ha detto? “Arrendetevi”. Arrendetevi, a me! Al glorioso Prussia! E ho dovuto lasciargli Budapest senza nemmeno avere la possibilità di suonargliele come si deve, Damm vodka-essen*!-
Ludwig sospira, alzandosi a malincuore in piedi, pronto a sobbarcarsi degli enormi pesi del ruolo di fratello minore. Ma quasi immediatamente, Prussia gli capitombola addosso, tentando di stringergli le braccia al collo in un impeto di nefasta allegria.
-Brindiamo, West. Brindiamo alla nostra meravigliosa sconfitta!-
Ludwig non reagisce subito. Dovrebbe rispondere rassegnato, comprendendo che suo fratello non è più in possesso delle sue -scarse- funzioni mentali, sequestrare il boccale che agita in mano e scortarlo con decisione a letto. Sorbirsi – più o meno recalcitrante – la sua solita dose di effusioni – sì, decisamente più meno che altro- e poi aspettare che l’alcool faccia effetto per spegnere la luce e tornare al lavoro. Solo che stavolta lo sbuffo un po’ divertito non gli riesce, anzi, non gli riesce per niente: sembra quasi un singulto di dolore.
Dunque anche Gilbert li dà per vinti? Anche il suo stesso fratello ha perso la fiducia di uscire in qualche modo da quella stupida e dissacrante guerra?
Lui per primo vorrebbe che tutto quello avesse fine, le stragi, gli stermini, le epurazioni, le battaglie, le ritirate; lui per primo darebbe qualunque cosa per tornare indietro e cancellare l’orrore suscitato nelle Nazioni conquistate e alla sua stessa gente. Ma riconoscere che anche Prussia si consideri già in ginocchio, fa molto più male di quel che aveva previsto.
-No, bruder. Alla nostra vittoria-
E con un gesto rapido, le dita si chiudono sul manico di vetro, prima di avvicinare il bicchiere alle labbra e scolare il liquido ambrato.
 
Inghilterra cerca invano di calmarsi. Deve mantenere la calma, anche se l’affollarsi di neri nuvoloni sotto la fusoliera di sicuro non contribuisce a tranquillizzarlo. Il tempo non è sicuramente dei migliori, nemmeno la Natura li appoggia: sarà in grado di mantenere la rotta e raggiungere il bersaglio, in quelle condizioni?
O sarà il caso di far rientrare a terra tutta la formazione, rinviando il raid a una giornata migliore? Sempre che dalla base glielo permettano, di rientrare. A qualcosa servirà pure, essere la Nazione. Insomma, non possono mandare al suicidio un battaglione intero, anche se la vittoria si avvicina di giorno in giorno e Germania ormai appare in rotta, non vuol dire che qualche apparecchio della Luftaffe sia ancora nei dintorni, pronto ad abbatterli tutti.
Le dita hanno un leggero spasmo sui comandi. Inspira ed espira, per l’ennesima volta, e tenta di non pensare a quel che sta facendo. Di pensare qualunque cosa che non sia la missione, il tempo e le bombe.
Lo sguardo cade invariabilmente fuori dal finestrino appannato, sulla fitta coltre scura che impedisce la vista del terreno a parecchi metri dal suolo. Se i calcoli sono giusti e il radar non l’inganna, probabilmente si sono inoltrati di molto rispetto la Manica e probabilmente si sono lasciati alle spalle il Belgio, se non anche il Lussemburgo. Da qualche parte lì sotto le armate di terra stanno combattendo le ultime battaglie campali, stanando i tedeschi dalle ultime roccaforti, e stanno sicuramente avanzando verso Berlino, man mano con maggior entusiasmo. Dopo la vittoria riportata nelle Ardenne, vendicatisi della disfatta di pochi anni prima, probabilmente stanno dando di slancio l’assalto a quel che resta della linea Sigfrido. E probabilmente stanno anche riuscendo a sfondarla definitivamente, dopotutto hanno portato in Normandia il meglio della tecnologia alleata, ci sono truppe di ogni nazione e sono truppe fresche, e non deve preoccuparsi, anche se sono al comando di quella rana vinofila, che starà conducendo le operazioni con la sua solita stupidità, sarà tanto di guadagnato se si sbriga a tornare, altrimenti dovrà andare di nuovo a salvare capra e cavoli, dannato francese incapace….
-Inghilterra?-
La voce di Canada, gracchiante, che proviene dall’apparecchio radio, lo riscuote da tutte le sue elucubrazioni. Recupera una parte di stabilità persa nel deconcentrarsi, e afferra la manopola per rispondere.
-Qui Drago Rosso, vi ricevo. Falcon, ti ho già detto di non usare il mio nome quando…-
-Non rispondevi- pigola in risposta l’altra Nazione, e a Inghilterra pare quasi di vederlo, tremare come una foglia con il microfono in mano – Ti ho chiamato tre volte-
-Va bene. Cosa c’è?-
-Al…ehm, White Eagle non decolla, stanotte. La sua formazione non riesce a prendere il volo, con il maltempo, partirà domattina per darvi il cambio-.
Arthur esala un gemito, frustrato. Ecco, lo sapeva, se lo sentiva che sarebbe successo qualcosa, che quell’idiota d’un americano avrebbe trovato il modo per fare di testa sua. Scuote la testa, nervoso, e stringe con più energia i comandi.
-Abbiamo un maledetto codice per le comunicazioni, Falcon-
-Lo so, ma…- la voce già flebile della colonia parve diventare quasi evanescente, persa tra i crepitii della radio di bordo – il tempo…-
-D’accordo. Passo e chiudo-
Ignorando le proteste più o meno indignate di Matthew, Arthur interrompe la conversazione con un gesto secco, e si concentra maggiormente sulla rotta, evitando che l’aereo gli sfugga dalle mani per le turbolenze che sta incontrando. Più sotto, il cielo lampeggia tra le nubi, segno che il temporale sta iniziando.
Il momento è quasi vicino.
 
Le labbra di Gilbert hanno un suono quasi viscido, sulla sua gola.
Ludwig tenta di far presa su quel pensiero quasi evanescente che s’aggira sul fondo della sua mente, facendovi leva per tentare di ricordare cosa c’era d’importante che doveva fare. Eppure, più si sforza più i suoi pensieri restano infossati in un nulla indistinto, tornando irrevocabilmente ad incepparsi su quelle labbra e sulle dita sottili che si sono intrufolate nella sua divisa. Delle dita fredde, ma incredibilmente abili, a suo parere, data la velocità con cui si muovono, tracciando linee immaginarie sul suo torace; è anche vero che Gilbert è sempre stato bravo, a dribblare la sua razionalità in quel modo per raggiungere i suoi scopi, riducendolo a una gelatina nel giro di...
Nononono, non deve distrarsi assolutamente, non è il momento, deve ricordarsi che…che…che…
La bocca di Prussia scivola dolcemente, accarezzando sinuosa la giugulare e addentando piano la pelle sopra lo sterno, strappandogli un ansimo più affrettato e una fitta quasi dolorosa all’inguine.
Gott, sa davvero come prenderlo, quando vuole…
Il suo respiro concitato gli graffia l’udito, riducendo a brandelli il resto della sua mente, dandogli solo il tempo di barcollare in qualche modo verso la camera da letto.
 
 
13 febbraio 1945, ore 22.14. Spazio aereo tedesco
Ci siamo.
I ricognitori hanno già sganciato i segnalatori, vede i razzi al magnesio riflettere la luce indicandogli i bersagli e i bagliori rossi degli identificatori di destinazione.
Le formazioni dispersive hanno iniziato gli altri attacchi; ora manca solamente che l’azione vera e propria abbia inizio.
La radio fischia, segnalando l’arrivo di una nuova comunicazione. Il tempo di premere un pulsante, e la voce del Comandante Smith riempie la cabina, cancellando in un istante il rombare del motore e i mille dubbi che agitano la sua mente.
-Comando a Plate Rock Force: arrivate e bombardate il bagliore rosso degli indicatori come previsto-
Le dita indugiano appena un istante. Ma poi, premono il pulsante, rilasciando sull’obbiettivo grossi proiettili di piombo.
 
13 febbraio 1945, ore 22.14. Berlino.
Il dolore arriva all’improvviso, subitaneo e accecante. Pare che una costola di destra si spezzi, si pieghi, perfori il polmone e affondi senza pietà. Lo coglie impreparato, tanto che non comprende subito, barcolla muto strabuzzando gli occhi, incredulo all’atroce sofferenza improvvisa. Boccheggia, Ludwig, cercando di restare in piedi, di resistere, di capire cosa avviene; ma subito tutto si centuplica, la fitta raggiunge il cervello tanto che pare spaccargli in due il cranio, il fianco pulsa, pare quasi che sanguini. Sono dieci, cento mille bombe, granate che esplodono sulle case spezzandogli il fiato, proiettili che distruggono le strade e i palazzi, ordigni che spezzano vite e distruggono ogni cosa. Le labbra si aprono, gli occhi si sbarrano, le ginocchia si piegano.
-West? Che sta succedend…-
Ludwig non lo sente, il gemito protratto e l’urlo sofferente di Gilbert, non lo sente perché ode soltanto le grida della città che muore, i pianti delle donne e le maledizioni degli uomini, il dolore, il panico, il terrore dei bambini.
Dresda muore, Gilbert. Dresda muore, Sassonia urla, Germania cade.
E la notte accoglie la fine di due fratelli, unico Stato marchiato dall’Infamia.
 
Le bombe s’abbattono una dopo l’altra sulla città tedesca, distruggendo ogni cosa. Case, scuole, chiese, ospedali, ogni cosa svanisce in una nube di polvere e cenere, nel fragore assordante dei bombardamenti. La stazione arde, impedendo alle centinaia di civili di continuare a fuggire; e donne, uomini, vecchi e bambini muoiono, uno dopo l’altro, incapaci di sottrarsi, impossibilitati a nascondersi, impotenti di fronte alla morte che avanza.
Sotto due ondate di attacchi, la città inizia a crollare, bruciando su se stessa. Dresda, simbolo del periodo umanista, simbolo di tutto ciò che c’era di bello in Germania. Dresda, che conteneva anche il peggio della Germania del periodo nazista.  E da essa si erge un grido d’orrore, un grido disumano di atroce sofferenza.
Dresda muore, inghiottita dal fuoco, tendendo un’ultima volta le braccia al cielo.
 
 
Il ritorno è particolarmente silenzioso. Non ci sono comunicazioni radio, nessun commento tra gli altri membri della formazione, niente: il nulla della notte nera e il silenzio del vasto cielo accompagnano il volo della pattuglia Raf. Solo all’arrivo dell’alba, che accarezza con le sue delicate dita rosate i profili metallici degli aerei, i piloti riescono a ritrovare un sottile velo di calore nei loro cuori. Ecco, la portaerei, gli ufficiali e i marinai: s’iniziano le procedure d’atterraggio, si scende a bordo con ordine, si seguono le direttive con rigore e finalmente si torna ad avere suolo, seppur mobile e seppur incerto, sotto ai piedi.
Arthur scende dal proprio velivolo con un balzo leggero, sfilandosi dalla fronte gli spessi occhiali che gli proteggono il viso, e si appoggia con stanchezza contro il fianco del suo Avro lancaster, cercando di calmarsi e di respirare con regolarità. S’è sforzato di lasciare ogni cosa fuori dalla sua mente, di concentrarsi su Coventry e Londra, di lasciar fluire il ricordo ancor vivido del dolore delle ferite – ferro incandescente che affondava nella carne, lama gelida che squarciava e toglieva il respiro, quel dolore, il dolore della distruzione e della morte, delle ferite che puzzano di cadavere – ma non è servito a nulla. Ha sentito come se fosse lì presente quel grido di morte, l’ha sentito distintamente ululargli nei timpani e ghiacciargli il sangue. Eppure non s’è fermato.
Dio, non s’è fermato.
Barcolla appena, passandosi una mano sugli occhi per scacciare la visione di sangue e tentando di mitigare il malessere che gli attanaglia la bocca dello stomaco.  Tenta di sfilarsi la cuffia che gli protegge il capo, ma dopo qualche secondo di lotta faticosa che non porta a risultati decide che è meglio aspettare, prima si toglierà il resto della divisa, e magari tenterà anche di dormire.
-Ehi, Inghilterra!-
Il tempo che gli serve per voltarsi sembra pesare più di ogni cosa, come se avesse un macigno legato alla schiena. Il sorriso e l’energia di America fanno violentemente a pugni con tutta la spossatezza che s’abbatte sulle sue spalle, tanto che sorge vivo il desiderio di collassare lì, seduta stante, ed evitare un penoso colloquio con quello scimunito senza cervello.
-America- saluta invece, pregando che la sua voce strascicata lo invogli a lasciar perdere e a saltare senza alti indugi sul proprio aereo per proseguire con il lavoro. Invece Alfred non capisce nulla, come al solito, anzi: si ferma al suo fianco, terminando di sistemarsi l’uniforme e aggiustando il giubbotto che dovrebbe, in teoria, salvargli la vita in caso di ammaraggio. Chissà se funziona davvero, su uno come America.
-Allora, siete riusciti a colpire l’obiettivo? Tutto perfetto?- trilla la sua voce con il suo stupido accento d’oltreoceano, e Arthur avverte un subitaneo accenno di nausea, nel constatare che è davvero su di giri. Dio, che stupido illuso…
-Sì, tutto perfetto- biascica, sputando ogni parola facendo violenza a sé stesso nel pronunciarle. I conati si sommano, uno dopo l’altro, e iniziano anche a tremargli le mani. Gesù, gli serve un bagno. E anche in fretta.
-Wonderful! Bene, ci vedremo più tardi, immagino che parteciperete ad altri raid, right?-
Per un istante, Arthur vede nella sua mente il decollo e il volo della Eight Air Force fino all’inferno di fuoco e fiamme che è rimasto alle loro spalle; vede le bombe rilasciate dai ventri metallici dei velivoli, vede il sangue e i morti che restano sulle strade, vede la morte danzare nel mare di fiamme. Le cicatrici sulla schiena mandano improvvisamente una serie di fitte al cervello che lo destabilizzano, cancellando per un istante il presente e precipitandolo in ben altri tempi. Contrae le dita ancora appoggiate contro la fusoliera, prima di lasciarle scivolare sul suo profilo.
-America – esala, guardandolo negli occhi ma non vedendolo per nulla, cercando al suo posto lo sguardo infantile e innocente di un bambino che gli ha voltato le spalle secoli prima – Un giorno ci pentiremo di tutto questo-
Le iridi cristalline di quel bambino, però, non ci sono più, in nessuna parte delle iridi glauche di Alfred. C’è fredda determinazione, c’è sfida, c’è un bruciante velo di vendetta che li attizza. E Inghilterra capisce che Alfred non avrà scrupoli, che è già teso verso una vittoria schiacciante dall’odore infame.
-Vorrà dire che quando arriverà quel giorno, ne faremo le spese. Non prima.-
Nei suoi occhi vede un’isola che brucia, mentre si allontana accennando a un saluto col capo prima di salire a bordo di un B-17 e sparire. Nei suoi occhi c’è di nuovo il riflesso di una cattedrale rasa al suolo.
Il Sole sorge all’orizzonte, irradiando sul mare tinte d’arancio fosco e intenso, mentre i bombardieri americano si alzano in volo nel frastuono dei motori e delle eliche; Inghilterra si allontana lentamente, trascinando la sua stanchezza per raggiungere il ponte di comando e telegrafare al suo boss il risultato della prima incursione. I piedi sembrano di piombo, il cuore di metallo.
Un raggio di luce accolse le sue lacrime, nell’alba di un San Valentino lordo di sangue.
 
 
Un battito. Due battiti. Tre battiti.
Germania aprì lentamente gli occhi, lottando contro lo stordimento che gli imponeva di richiuderli al più presto per scivolare di nuovo nell’oblio. Un dolore sordo, pulsante, gli attanagliava il fianco destro, come se mille aghi incandescenti avessero penetrato nel medesimo istante la carne; la gola bruciava, stremata dal protratto gridare, e dovette compiere uno sforzo estremo per ricordare dove si trovava; nel farlo, però, i polmoni gemettero, crepitando quasi, annebbiandogli la mente di una fitta coltre scura.
Avvertiva la concitazione del quartier generale, gli ufficiali che urlavano, le infermiere affaccendate, le grida isteriche del loro boss che tentava di fare chissà cosa. Tutto in un brusio di sottofondo che continuava, continuava, continuava, come se Berlino si fosse trasformata in un formicaio impazzito dove tutti sciamavano a destra e a manca senza un minimo di organizzazione e di rigore.
Stanco, infinitamente stanco, mosse soltanto la mano, allungando senza energia le dita, fino a richiuderle su quelle inerti di Gilbert, steso inerme al suo fianco.
La notte accolse il sonno di due fratelli, unico Stato marchiato dall’Infamia.
 
 
13, 14,15 febbraio 1945: Dresda viene bombardata con 6560 tonnellate di bombe incendiarie ed esplosive, causando tra i 25.000 e i 35.000 morti.
 
 
 
Note:
 
La resa di Budapest, abbandonata dai tedeschi, avvenne il 13 febbraio. Il 12, i russi annientarono le ultime resistenze sulla Vistola iniziando l’avanzata verso Berlino. La disperata resistenza tedesca sulle Ardenne si concluse il 28 gennaio con la vittoria degli alleati che poterono avanzare fino alla linea Sigfrido (corrispettivo tedesco della Maginot) su cui condussero un’offensiva a partire dall’8 febbraio [qui affidata a Francis]
 
Per il bombardamento di Dresda e i particolari sulle divisioni aeree di USAAF e RAF, qui
 
Per quanto riguarda i nomi in codice, ovviamente sono frutto dell’ispirazione del momento. Dico solo che Drago rosso è stato scelto come riferimento al Galles. Grazie a coloro che ho mobilitato per delle idee intelligenti al riguardo. Povero Canada XD
 
Ricordo che sia Coventry (la cui cattedrale è quella a cui fa riferimento Inghilterra) che Londra furono pesantemente bombardate durante la cosiddetta “Battaglia d’Inghilterra”. L’isola che brucia di Alfred è invece Pearl Harbour.
 
“Dresda, simbolo del periodo umanista, simbolo di tutto ciò che c’era di bello in Germania. Dresda, che conteneva anche il peggio della Germania del periodo nazista.” : citazione più o meno fedele delle parole di Frederick Taylor sul bombardamento.
 
 
*no, non è una scempiaggine. Ho tentato di tradurre, per la gioia di qualcuno, il termine vodka-niaco. Maniaco è besessen, indi li ho accorpati creando un “dannato vodka-niaco”. Ja, è ovviamente sì, Hallo è ciao.
 
 
Mi auguro di aver detto tutto. So di essere in ritardo coi tempi, ma ci ho messo un po’, tra documentazione e spirito creativo scarseggiante. Spero che vi sia comunque piaciuta.
A presto, besitos
smack
   
 
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