- Autore: Akrois
- Titolo: Girotondo ~
- Titolo del Capitolo: Un nibbio.
- Personaggi: Prussia (Gilbert
Beilschmidt), Nord Italia (Feliciano Vargas)
- Genere: Storico (?), romantico, ma
che ne so io.
- Rating: Arancione.
- Avvertimenti: One-short,
AU, shoen-ai ho come il timore di essere andata OOC.
Qualcuno mi dica se ci sono andata o no. Ç_ç
- Conteggio parole: 2.245
- Note: Questa storia è ambientata
durante la campagna di Russia ù_ù Il reggimento ha i
numeri scelti a casaccio in un attimo di disperazione, ma i libri di Hassel mi siano testimoni non ho scritto una totale boiata ù_ù Non betata, neanche riletta
decentemente, una cagata, lunga,
rompiballe, odio questa cosa.
Scritta
per il contest indetto da Kurenai.
- Note dell’ultimo minuto: ora che sono a
mente fresca e felice lascio qui le note specifiche, ergo:
“ivan” era il nome con cui i soldati tedeschi identificavano
i russi. Per i russi, invece, i tedeschi erano tutti “fritz”.
Sven Hassel
(che poi è uno pseudonimo xD) è stato un soldato
durante il periodo della Germania nazista e faceva parte del battaglione di
Disciplina (ergo dove sbattevano i criminali che però potevano essere utili ù_ù) e ha scritto diversi libri sulle proprie esperienze.
Sono tradotti malissimo ma meritano una letta, a mio dire ù_ù
Il T34
era il carro armato russo per eccellenza.
Il grado
di Gilbert è tenente.
Arsch significa “culo” ed la parola
con le quale venivano identificati gli omosessuali in quell’epoca.
Fine ù_ù
Prompt: Trincea.
Un Nibbio.
Strinse
gli occhi nel buio dello scantinato, avvertendo il rumore di qualcosa di
viscido schiacciato sotto il suo piede. C’era un odore fortissimo di chiuso e
cadavere e tra buio, puzzo e silenzio pareva di trovarsi in una cripta. Si
portò le mani alla bocca –C’è nessuno?- gridò, muovendo qualche passo.
Non
ricevette alcuna risposta. Fece un cenno a un uomo poco dietro di lui – Passami
una torcia-, il fante caracollò nella sua direzione, porgendogli la torcia.
Diresse
il fascio sul pavimento notando una grossa macchia di sangue secco. Increspando
le labbra alzò leggermente la torcia, andando ad illuminare un giovanotto
seduto per terra.
Il
ragazzo alzò lo sguardo, fissandolo con due occhi atterriti da cerbiatto
davanti al cacciatore e cominciò ad arretrare in mezzo al sangue.
Gilbert
lo guardò – Tu chi sei?- domandò chinandosi verso di lui. Aveva un visino
liscio e rotondo, con gli occhi grandi e le ciglia lunghe come quelle di una
donna. Solo il cappello con la piuma
d’aquila degli alpini ben calato sul capo lasciava a intendere la sua età (a
meno che gli alpini non avessero cominciato ad arruolare i ragazzini delle
parrocchie). Il ragazzo non rispose, scansandosi ancora un po’.
- Ehy, italiano, sto parlando con te!- sbottò, allungando una
mano verso di lui. Il ragazzo scattò in piedi, trascinandosi dietro qualcosa
che fece un gran rumore. Gilbert abbassò la torcia, illuminando un corpo
violaceo e coperto di sangue secco. Il viso era ridotto a poco più che una
massa di carne, gli mancava un occhio (Gilbert rabbrividì, pensando a quella
cosa viscida che aveva pestato prima) e buona parte dei denti.
Si alzò
con calma, afferrando il ragazzo per il colletto – L’hai ammazzato tu?- disse,
fissandolo negli occhi.
Il
ragazzo scosse la testa freneticamente, mentre grosse lacrime cominciavano a
comparirgli agli angoli degli occhi. Gilbert sospirò – Non piangere, ragazzo.
Chi l’ha ucciso?
Il
ragazzo alzò il pugno. – Russi?-, il ragazzo annuì.
-
Capisci il tedesco, ragazzo?-, il ragazzo annuì di nuovo. – Puoi parlare?-, il
ragazzo scosse la testa.
- Sei
muto?-, altro cenno positivo.
- Prima
lo eri?-, altro cenno negativo.
- Cosa
ti hanno fatto?-. Il ragazzo lo guardò con il labbro che tremava. Grosse
lacrime scivolavano sul viso, scavando nello sporco che si era accumulato sulla
pelle chiara. Mosse la mano che teneva serata quella del cadavere, alzandolo
verso di lui.
- Ho
capito, ho capito. Non ti chiederò altro, smetti di piangere ragazzo. Hai la
tua tessera?-, ancora un cenno negativo. Gilbert sospirò – Quanti anni hai? Diciotto,
diciannove?-.
L’italiano
aprì e chiuse la mano libera – Cinque, cinque, cinque, cinque…
Che vuol dire?- l’italiano indicò se stesso e ripeté il gesto –Hai vent’anni,
ragazzo?
L’italiano
annuì. Gilbert si voltò verso i soldati dietro di lui – Allora, ci sono gli ivan nei paraggi?
- No
signore- rispose uno, battendo i tacchi – nessun’Ivan signore, ma ci sono i
segni di un T34 qua attorno.
Gilbert
borbottò qualcosa sui porci comunisti e poi si voltò verso il ragazzo – Allora,
piccolo… Aquila? È una piuma d’aquila quella?
L’italiano
annuì. – Ragazzo non mi pari tanto un’aquila, però. Hai lo sguardo un po’
spento. – l’italiano sorrise debolmente – Che ne dici di “nibbio”? Piccolo
nibbio sembra il nome di un apache rincretinito, ma ti dovrai accontentare
finché non riprenderai a parlare. – il ragazzo inclinò la testa di lato.
- Forza,
molla quel cadavere e usciamo, prima che tornino gli ivan.
Non vorrei che si portassero dietro i grandi rinforzi per farci fuori.-
Il
ragazzo prese a tremare, stringendo a se la puzzolente carcassa con le lacrime
che tornavano a scorrere. Gilbert sbuffò – No, non puoi portare con te quel
coso. È morto, non vedi?-, il ragazzo scosse la testa furiosamente, agitando il
corpo esanime.
- Non
agitarlo così, che puzza ancora di più!- latrò Gilbert bloccandogli il polso –
Ascoltami bene, piccolo nibbio, o molli qua quel cadavere o ti dovrò moncare
una mano. Non ho tempo da perdere, io.
Il
ragazzo si bloccò, fissandolo con le spalle scosse dai singulti – Hai capito o
ti devo spaccare le dita?- domandò irritato Gilbert, notando che le dita
dell’italiano si staccavano lentamente dal polso del cadavere.
- Bene.
Sei bravo- disse poggiandogli una mano inguantata tra i capelli lerci.
Lo prese
per un gomito, trascinandolo fuori della cantina, ignorando le lacrime che gli
scorrevano sul viso mentre vedeva il cadavere allontanarsi.
- Io
sono Gilbert Beilschmidt, l’Oberleutnant del
ventisettesimo carristi e del cinquantacinquesimo fanteria- spiegò puntandosi
addosso una bottiglia di vodka – quello grosso e cesso che s’ingozza
indegnamente laggiù è il mio Leutnant Wolfe. Cioè, ha anche un cognome, ma per quel che serve
puoi anche ricordarti solo Wolfe, tanto di sicuro non
lo chiamerai mai.- tracannò un grosso sorso di vodka e sbatté la bottiglia per
terra – Sappi che fra tutte le truppe che ti potevano trovare sei capitato in
quella peggiore, piccolo nibbio, ma finché sarai sotto l’ala dell’illustre
sottoscritto sarai al sicuro come l’oro nelle casse di Hitler.-, l’italiano
sorrise, picchiandosi un dito sul cappello.
- Sì,
sei un alpino, ho visto.- annuì Gilbert – Sei entrato per amor di patria, o
perché sei stato obbligato?- l’italiano alzò due dita – Ti hanno obbligato?
Povero nibbio.- Gilbert gli porse la bottiglia, ridendo davanti alla faccia
contratta con cui l’italiano aveva ingoiato l’alcolico.
- Te
l’hanno mai detto che sei adorabile, piccolo nibbio?- esclamò dandogli un
buffetto sulla guancia.
- Ehy, Gilbo, attendo a come
parli-, esclamò un grosso caporale poggiato a un carro parcheggiato poco più in
là – non vorrei che il mio tenente fosse marchiato come arsch e mandato in un campo!-,
Gilbert gli lanciò addosso un sasso, colpendolo alla spalla – Non dire un’altra
parola, vecchio, o ti regalo con un fiocco in testa al primo Ivan che incontro.-,
gli urlò contro irritato.
L’italiano
si portò una mano alla bocca, fissando Gilbert stupito. – Sconvolto?- disse
l’uomo ghignando – Sappi che qui è così. Fidati, vedrai volare botte peggio,
piccolo nibbio. Ci si pesta tra tedeschi e tedeschi, russi e tedeschi, russi e russi… un macello generale.
- Ora
che il fronte è elastico, poi...- sbottò un uomo poco più in là – o posso dire
che siamo in ritirata, Oberleutnant?- domandò
ridendo, Gilbert rise a sua volta – Come, non credi nella vittoria della grande
Germania, Joseph?
L’uomo
si fermò un attimo, prendendo fiato e stampandosi sul viso un’espressione più
che seria mentre diceva – Certo, come credo a Santa Klaus, agli unicorni e alla
Baba Yaga.- per poi
riprendere a ridere – Ma non ditelo a vostro fratello, Oberleutnant,
non vorrei essere fucilato dalla gendarmeria!- Gilbert scoppiò a ridere – Non
sono sicuramente così infame, Joseph, mi limiterò a far la spia alla prima
truppa SS che passa, senza scomodare mio fratello.
L’uomo
scoppiò a ridere e Gilbert fece lo stesso. L’italiano ridacchiò leggermente.
- Mio
fratello è nelle SS.- disse Gilbert fissando il cielo
notturno. L’italiano si sollevò su un gomito, fissandolo mentre si sistemava la
custodia della maschera a gas sotto la nuca.
- Voleva
aiutare la nazione, sai. Era un bravissimo ragazzo pieno di buona volontà-
disse strappando un filo d’erba e pulendolo dal fango con le dita – molto
intelligente e dotato. Lo adoravo, sai?
L’italiano
gli sfiorò i capelli con la mano – Era davvero un bravo ragazzo. Ma voleva
andare in alto, sai, essere un’aquila. Voleva volare nel cielo e portare con sé
la Grande Germania.
Sospirò,
cominciando a sminuzzare meticolosamente il filo d’erba – Credo che essere aquile
sia tremendo, perché se sei più in alto di tutti rischi di farti più male di
tutti se cadi. E se sei un’aquila tutti gli animali terricoli ti odiano e
sputano sul tuo cadavere. – buttò a terra i pezzetti d’erba e sorrise al
ragazzo – I nibbi hanno capito tutto: volano troppo in basso per farsi davvero
male ma abbastanza in alto da farsi rispettare.
Passò
una mano fra i capelli dell’italiano, sorridendo – Tu mi vuoi bene piccolo
nibbio?
Il
ragazzo annuì convinto.
Gilbert
sorrise stancamente – Sai, il mio fratellino non me ne vuole più. – disse
passandosi la mano sul viso – Lui mi ha mandato qua, sai? Mi ha mandato qua
perché ero un bastardo senza fiducia nel regime e denunciandomi si è fatto un
bel salto di carriera. Io anche me lo sono fatto il salto: dal piscio alla
merda.
Ridacchiò
amaramente – A quanto pare solo così un figlio di puttana che persino mio
fratello mi ha abbandonato.-
L’italiano
lo guardò per un po’, fissando una goccia d’acqua lucente che scivolava sullo
zigomo dell’uomo. Poggiò la testa sul suo petto, sospirando.
Gilbert
portò una mano sulla sua spalla, sorridendo – Anch’io ti voglio bene, piccolo
nibbio.
Gilbert
scivolò lungo le pareti fangose della trincea, il mitra che ribalzava sul
petto.
L’italiano
lo abbracciò sorridendo e lasciando un bel po’ di lerciume sulla divisa grigia,
ma tanto era già sporca di suo, quindi non se ne diede troppa pena.
- Allora
piccolo nibbio, com’è andata? Quanti sporchi ivan hai
fatto fuori?
L’italiano
aprì e chiuse più volte la mano, sorridendo ancora di più. Gilbert non credeva
che l’italiano sorridesse così perché aveva ammazzato dei russi. Gli era molto
più facile credere che l’italiano sorridesse così per un qualche ancestrale
istinto che lo portava a sorridere stupidamente quando credeva di aver fatto
una cosa giusta. A lui bastava che non si facesse ammazzare, in fondo.
Tirò
fuori dallo zaino una bottiglia di acquavite, porgendogliela. L’italiano ne
scolò un lungo sorso, buttandola giù senza smorfie – Ti sei abituato, eh
piccolo nibbio?
Disse
sorridendo e prendendo la bottiglia – Certo che in questi ultimi mesi ti ho
fatto bere, eh? Ricordi quando ti sei ubriacato fuori da quel bordello?
L’italiano
arrossì di botto, nascondendo il viso tra le mani, mentre Gilbert scoppiava a
ridere.
Gli
passò un braccio attorno alle spalle, stringendolo a sé – Forza, piccolo
nibbio, non pensiamo alle cose brutte! La vuoi sentire una bella notizia?- non
aspettò alcun cenno dall’italiano e continuò a parlare brandendo la bottiglia
verso il cielo – Mi hanno dato una licenza! La prima licenza in quasi tre anni!
Ben tre settimane, piccolo nibbio, tre settimane a Berlino, capisci?!-
l’italiano sorrideva felice, trascinato dall’allegria di Gilbert.
- Ti
porterò con me, piccolo nibbio, ti farò vedere la mia città. Ti piacerà,
vedrai, è tutta lucente e piena di gente e… oddio, ci
sono così tante cose che ti voglio far vedere, piccolo nibbio- strinse più
forte il corpo sottile dell’italiano – voglio portarti a casa mia, farti
conoscere mia madre e mio padre, sono due stronzi ma sono geniali e poi ti farò
conoscere anche il mio fra- si azzittì di colpo, abbassando lo sguardo –il mio
fratellino. – l’italiano alzò una mano verso il suo viso, carezzandone una
guancia con dolcezza. Gilbert lo fissò a lungo negli occhi. Ridacchiò.
- Sai
piccolo nibbio, alle volte penso che tu sia stato mandato da Dio per chiedermi
scusa di tutti i torti infami che mi ha fatto. Tipo quello di sbattermi al
fronte o appiopparmi un fratello SS. Se mai Dio ha ascoltato le preghiere che
gli ho rivolto allora tu sei la sua risposta.-
Passò un
pollice sullo zigomo dell’italiano, delineandone la linea del volto e scendendo
poi sulle labbra. L’italiano sospirò. Gilbert si spine contro le sue labbra con
poca grazia (che grazia si può pretendere da un soldato del fronte?) buttandolo
con la schiena sulla parete della trincea. L’italiano emise un flebile lamentio
di dolore.
- Oddio,
ti ho fatto male? Scusami, piccolo nibbio- sussurrò Gilbert, carezzandogli i
capelli – mi sono lasciato trasportare, davvero, mi dispiace, non volevo
assolutamente- il bacio dell’italiano contribuì a dar fine alla marea di
stupidaggini che stavano per uscire dalla sua bocca.
Lo
strinse a se a lungo, parlandogli, baciandolo e parlandogli ancora. In effetti,
il fatto che l’italiano non parlasse non era un problema poiché la sua logorrea
bastava ampliamente per entrambi.
Gli
parlava specialmente di Berlino, di quello che c’era di bello a Berlino, di
quello che gli avrebbe fatto vedere a Berlino, di quello che amava di Berlino,
di quello che amava di lui e lo stringeva forte e sorrideva con quella faccia
immensamente stupida, dimenticando che erano in una buca fangosa (leggi
trincea) in mezzo al territorio russo e che sarebbero morti di sicuro a parlare
così allegramente.
Gilbert si
svegliò alle prime luci dell’alba, troppo eccitato per dormire ancora.
L’italiano era raggomitolato contro un suo fianco e gli dava le spalle.
Sorrise
andando a baciarlo su una guancia – Buongiorno, piccolo nibbio.
Anche il
piccolo nibbio sorrideva, notò. Peccato che quel sorriso fosse un po’ troppo in
basso per essere un sorriso e sanguinava troppo.
Gilbert
sussurrò qualcosa, restando per qualche minuto immobile accanto al corpo già
freddo.
Tolse il
cappello da bersagliere da sotto la divisa dell’italiano, sfilando lentamente
la penna nera e infilandola con reverenza nella tasca interna della divisa.
Si
arrampicò fuori dalla trincea, voltandosi poi verso i mucchietti di neve, fango
e cadaveri poco più in là.
-
Chiunque l’abbia fatto- latrò con voce roca – deve sapere che lo ammazzerò.
Arrivò
incespicando fino al resto della truppa e poi se ne andò verso la stazione,
pensando a tutte le cose belle di Berlino, a quello che avrebbe visto a
Berlino, a quello che amava di Berlino e a quello che amava del piccolo
bersagliere italiano rimasto senza nome che stava abbandonando in una trincea
in Russia.
Per la
cronaca, Gilbert Beilschmidt, l’Oberleutnant del
ventisettesimo carristi e del cinquantacinquesimo fanteria è morto per strada,
ammazzato da un ragazzetto cencioso che gridava “abbasso l’esercito!”.
La cosa
divertente era che anche lui pensava “abbasso l’esercito”.