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Autore: C r i s    19/02/2010    7 recensioni
«Ogni regalo è speciale. E, nonostante i pacchi sotto l’albero, nonostante la carta usata o la coccarda su ogni busta, il regalo più importante è con chi si è, a Natale. Il regalo più grande è il nostro cuore, ciò che lui può donare. E tu, Lisa, potresti donarlo a qualcuno che ne ha bisogno, ora più che mai. Buon Natale, figliola».
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buon Natale, papà.




Lisa Northon non avrebbe mai pensato di doverlo fare.
Invece era proprio quello che le aveva chiesto Babbo Natale, quell’anno.
L’ultimo anno, in realtà.
Ecco perché lo avrebbe fatto.
Che poi, dove si è mai visto che sia Babbo Natale a chiedere a qualcuno di fare qualcosa per lui, pensò la ragazza entrando nel S. Patrick Hospital.
Che poi Jordan si sia spacciato per Babbo Natale, questo è un altro conto, si trovò ancora a pensare, sbuffando quando vide con la coda dell’occhio l’ascensore chiudersi.
Si avvicinò alle scale, senza bisogno di chiedere all’infermiera dove o come arrivare alla meta.
Mentre camminava, il peso che le riempiva il cuore sembrava aumentare sempre più e, quando arrivò al terzo piano, si fermò, le gambe mollicce e il respiro affannato, ma non per le scale.
Tutto era riconducibile ad un nome.
Jonathan Northon.
Un ennesimo sospiro fece sprofondare la ragazza su di una poltrona, mentre da lontano riusciva a scorgere la porta semichiusa della camera 55.
Proprio come la sua età, guarda caso, pensò la giovane.
Lisa, quel giorno, era stata in orfanotrofio.
Ed era per quel motivo, per Jordan, che era corsa in ospedale e ora sentiva il cuore martellare nel petto.
Jordan si era travestito da Babbo Natale e, con un sacco carico di doni, l’aveva accompagnata all’ Hope Home dove Lisa aveva trascorso la maggior parte della sua infanzia.
A causa di Jonathan Northon.
E anche la maggior parte della sua adolescenza; aveva ventitre anni e non aveva mai smesso di mettersi al servizio della società per aiutare bambini che vivevano come lei, o anche peggio.
Bambini che non avevano mai capito cosa significasse la parola di famiglia, bambini che non avevano mai ricevuto una carezza dalla loro mamma o dal loro papà, bambini che, passeggiando nel parco, osservavano loro coetanei correre con il proprio padre, essere afferrati e poggiati sulle proprie spalle e avvicinarsi ad un prato, magari seguiti anche da un cane.
Bambini che, a Natale, scrivevano questo per Babbo Natale.
Lisa sospirò pensando alla sua infanzia. Anche lei per i primi tempi aveva sperato in Babbo Natale. Ricordava ancora quella volta che rimase chiusa nel ripostiglio, con il cuore stretto in una morsa d’acciaio mentre la neve cadeva silenziosa sul tetto. Lisa aspettava la slitta, aspettava i campanelli, aspettava il classico “Oh Oh Oh” che aveva sempre visto in TV, aspettava il suo regalo, che non era mai ciò che desiderava.
La mattina, tutta intorpidita, Lisa si alzava dal suo nascondiglio e faceva capolino verso l’albero addobbato e, nonostante lei ci credesse sempre, restava sempre delusa nel trovare pacchetti e pacchettini vari, indirizzati a lei.
Lei desiderava una mamma.
E Babbo Natale accontentava tutti i bambini del vicinato, tranne lei.
Tutti i bambini del mondo, tranne lei.
Scuotendo il capo, la Lisa ventitreenne si portò una mano sul collo, stringendovi la sciarpa sentendo improvvisamente freddo.
Cosa faccio qui?
Continuava a domandarselo, e pur sapendo quale fosse la risposta, la rinnegava.
Più passavano i minuti, più le parole di Jordan le rimbombavano nella testa.
Poi si alzò e, stringendosi le braccia al petto, avanzò verso la camera 55.

***

 
 
Il Natale era una delle ricorrenze che Lisa aveva odiato di più al mondo.
Ma crescendo aveva capito che non era il Natale a dover odiare: era la vita.
Nonostante il suo risentimento contro il padre, contro la madre per non esserci stata, nonostante il fratello che aveva rappresentato la stella della famiglia, nonostante il suo minuscolo appartamento di New York, Lisa era felice quel Natale.
Felice perché poteva rendere tale tanti altri bambini, sperando di ricevere ciò che avevano richiesto.
Ma le parole del fratello – Jordan – l’avevano perseguitata per l’intero mattino e, ora più che mai, erano vivide nella sua testa.
Appena entrati nell’orfanotrofio, i bambini si erano immobilizzati alla vista di Babbo Natale. Per loro era un mito, una sorta di presenza onnisciente e onnipotente, quasi come un Dio.
Vederlo camminare nella loro direzione, con tanto di barba e di sacco dietro la schiena, con il cappello rosso e la cinta nera sul pancione, sembrava davvero lui, e non Jordan travestito da tale uomo delle meraviglie.
Per Lisa fu una stretta al cuore quando Babbo Natale si mise in cerchio e cominciò a distribuire i doni, facendo qualche domanda ad ogni bambino e dedicandogli una frase affettuosa e tanti auguri, per il Natale e per la vita.
Fu in quel momento, quando Jordan guardò Lisa, che estrasse un pacchetto rosso dal sacco e lo porse alla ragazza, la quale lo afferrò titubante e, come ogni bambino, ricevette lo stesso trattamento: una frase affettuosa che valse più di ogni altro regalo.
«Ogni regalo è speciale. E, nonostante i pacchi sotto l’albero, nonostante la carta usata o la coccarda su ogni busta, il regalo più importante è con chi si è, a Natale. Il regalo più grande è il nostro cuore, ciò che lui può donare. E tu, Lisa, potresti donarlo a qualcuno che ne ha bisogno, ora più che mai. Buon Natale, figliola».
Le disse, dandole una pacca sulle spalle.
Lisa, dal suo canto, scartò quel regalo. Aprendolo, una palla di Natale le comparve dinanzi agli occhi e, quando Lisa si rese conto di quale palla si trattasse, chiuse gli occhi. Ricordava ancora la maestra che la invogliava, che le sussurrava i suoi pensieri sul Natale, sul fatto che tutti dovessero essere più buoni. Allora Lisa le rispose che anche il suo papà doveva essere più buono, che anche lui dovesse ridarle la mamma. Fu allora che la maestra abbassò il capo e le carezzò una guancia, per poi volarle le spalle e allontanarsi, come tutti gli altri.
Quello era stato il regalo di Lisa per il papà. Il primo ed ultimo che le fece con tutto il cuore.
Aveva solo otto anni.
Ora ne aveva ventitre e, vedendo quella pallina luccicare al contatto con il fuoco del caminetto, sospirò, chiudendo l’involucro e sospirando.
Il quel momento si era sentita sola.

***

 
Non bussò quando arrivò alla porta.
Non le sembrava il caso, del resto non l’aveva mai fatto.
Come del resto, non era mai entrata in quella camera.
Ebbe una scossa quando vide un ammasso di capelli grigi sparsi su di un cuscino. La prima cosa che la colpirono furono proprio loro. L’ultima cosa che ricordava del padre erano i capelli, castano chiaro come i suoi. Passò in rassegna il viso, scoprendo più rughe di quanto pensasse avesse. In quel momento, sembrava un settantenne.
Gli occhi erano chiusi, le labbra semiaperte e le braccia così esili da far paura. Una flebo era conficcata nel polso e la macchina emetteva un bip ogni tre secondi.
Lisa si avvicinò alla finestra, carezzando una giacca poggiata su di una poltrona lì vicino. Ebbe una scossa quando sentì dei passi dietro di lei, ma quando si voltò si rese conto che probabilmente la sua mente le giocava qualche brutto scherzo.
Era Natale, l’ultimo Natale che probabilmente Jonathan Northon avrebbe festeggiato.
Lisa aprì lentamente la finestra, osservando i granelli di neve cadere sul prato, mentre un senso di malinconia le prese il cuore. Si voltò verso quell’uomo, l’uomo che per una vita intera aveva ignorato l’esistenza di una figlia e aveva pensato unicamente a se stesso, alla perdita della moglie e alla carriera di un figlio maschio, l’unico che avesse voluto.
Lisa ricordava ancora le parole del padre ogni qual volta lui la guardasse e tentasse una discussione.
Se tu non fossi venuta al mondo, magari tua madre ora sarebbe qui!
Quelle parole erano una cicatrice in più sul suo cuore. Ecco perché, col tempo, Lisa cominciò ad ignorare la sua rabbia nei propri confronti, ignorò tutte le sere che il padre tornava sbronzo in casa e piangesse sulla cornice del comodino della sua camera, ignorò quando il padre tornò a casa, il giorno di Natale, portando con sé una donna che lo abbandonò esattamente il Natale dopo.
Lisa cominciò ad ignorare tutto quello che riguardasse il padre, fino ad ignorare egli stesso.
In quel momento, però, non poteva ignorare il rimorso che cresceva in lei.
Si sedette al suo fianco, afferrando la palla natalizia e girandosela nelle mani.
I dottori avevano parlato chiaro, seppur non con lei, ma ora sapeva.
Il coma era irreversibile e Jordan avrebbe fatto staccare le macchine prima che scattasse la mezzanotte del giorno dopo.
Lisa strinse le labbra e chiuse gli occhi, per poi avvicinarsi alla fronte gelida dell’uomo che giaceva su quel letto e fermare il proprio respiro.
Una lacrima solitaria le scese lungo il viso, ma fu solo una.
In tutta la sua vita aveva versato abbastanza lacrime da allestire un proprio lago, tutto a causa di quell’uomo, ma in quel momento la rabbia, il dolore, il risentimento, tutto era accavallato dalla tristezza, dalla consapevolezza che quell’uomo la stava per lasciare.
Agganciò la palla natalizia accanto ad un fiore e sorrise, prendendo il cappello da Babbo Natale che Jordan le aveva lasciato in borsa e, sedendosi al suo fianco, recitò la canzone natalizia che avevano ascoltato per anni in chiesa, oppure dietro la finestra mentre un coro recitava quelle parole fuori la porta di casa.
Quando ebbe finito, poggiò nuovamente la fronte su quella del padre. Il cuore premeva contro il petto e, quando una seconda lacrima le cadde, si schiuse in un sorriso, nonostante il padre non l’avrebbe mai potuta più vedere.
«Ti voglio bene, papà».
Due mani si poggiarono sulle sue spalle e, senza aprire gli occhi, capì che ora si sentiva in famiglia, a casa.
«Lui lo sa, Lisa», mormorò Jordan, baciandole il capo e stringendosi a loro.
E, mentre la neve cadeva, nelle loro menti risuonò la frase che il padre gli aveva sempre sussurrato prima che si addormentassero, la notte.
Quello che conta è la famiglia.
Lisa si strinse ancora di più al papà e, nonostante gli spasmi, riuscì a rispondere a Jordan.
«Lo so anch’io… Buon Natale, papà, ovunque tu sia».

 
   
 
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