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Autore: ellephedre    21/02/2010    13 recensioni
Un anno e mezzo dopo la battaglia con Galaxia, Ami Mizuno ha davanti a sé una lunga vita, un destino da guerriera Sailor e paure che preferirebbe dimenticare. Ma incontrerà chi la costringerà ad affrontarle. A vincerle.
"Ami Mizuno aveva capelli tanto scuri e lucenti da aver passato il limite del nero. Erano blu i fili corti che le adornavano la testa, schiariti da un sole che aveva deciso che il colore della notte era troppo cupo per lei. Una spiegazione romantica, a giustificare la differenza con le chiome corvine dei suoi genitori.
Sailor Mercury aveva il colore dei capelli di sua madre. Un poco più scuri, una differenza quasi irrilevante. Il taglio degli occhi era identico: grandi occhi dolci, le avevano detto le sue amiche, con lunghe ciglia e palpebre vispe che non si sarebbero mai azzardate a pesarle sullo sguardo. La bocca. Le era sempre piaciuta. La luce artificiale faceva brillare il rosa scuro delle sue labbra come un frutto maturo e delicato; il sole le donava la tonalità di un bel fiore in boccio."

Oltre il quarto capitolo la storia continua con delle scene.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Acqua viva
Acqua viva

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


Gennaio

Alexander stava per mangiarle l'alfiere.
Naturalmente Ami lo aveva previsto, pertanto non le restava che continuare a rimuginare su quali sarebbero state le prossime mosse di entrambi nelle combinazioni
più probabili.
Poteva usare il cavallo per mangiare il pedone scuro di lui, ma Alexander aveva già in posizione un altro pedone che avrebbe mangiato il suo cavallo bianco se lei avesse tentato una mossa simile. Salvare l'alfiere e perdere il cavallo - facendo perdere a lui solo un pedone - sembrava stupido, ma liberava la strada perché il suo alfiere bianco puntasse a quello di Alexander dall'altra parte della scacchiera, dove lei aveva già posizionato un pedone che fino a quel momento era stato lasciato in pace. Dopo aver mangiato l'alfiere nero di lui, il suo alfiere bianco avrebbe potuto essere mangiato dalla Regina nera di Alexander, ma solo in una mossa suicida, poiché questo avrebbe significato lasciare la Regina alla mercè del pedone bianco ritenuto fino a quel momento inoffensivo.
Il bilancio di quella particolare combinazione di mosse la portava a perdere il cavallo e l'alfiere, mentre Alexander avrebbe perso un pedone, un alfiere e soprattutto la Regina.
Lui non sarebbe mai cascato nel tranello dell'ultimo passaggio, quindi non le rimaneva che puntare sull'alfiere che aveva nelle vicinanze del Re nemico. Esattamente dall'altra parte del sovrano nero, aveva posizionato l'altro cavallo e perciò avrebbe potuto ambire a-
«Potrei farti scacco matto in altre sei mosse. E tu?»
Ami completò il ragionamento. «Sei anche io. Ma tu hai calcolato il numero di mosse pensando al mio comportamento più probabile?»
«Certo. Potrei farlo in quattro, ma tu non lo permetteresti mai.»
«Il numero che ti ho dato io invece è il più piccolo possibile.»
«Mi sembra che siamo ancora in parità.»
Notando l'inflessione blanda della voce di lui, Ami alzò lo sguardo. «Non vuoi più giocare?»
«Per oggi no. Se vuoi posso lasciare la scacchiera com'è adesso. Potremmo riprendere quando tornerai qui.»
Lei rimase a fissare il terreno di gioco. «No, ti concedo la vittoria. Questa era la nostra prima partita, preferisco ricominciare daccapo la prossima volta. Ora che ti conosco meglio come giocatore ho più probabilità di batterti.»
Lui sfoderò un sorriso. «Anche io ora conosco le tue tattiche.»
«Sbagli.» E non era presuntuosa a pensarlo. «Può sembrare che io abbia uno stile, ma
sostanzialmente agisco in maniera analitica. Tu sei bravo, ma hai il difetto di lasciarti tentare troppo dalle grosse prede.» Se lei l'avesse scoperto prima, avrebbe sfruttato quel punto debole fin da principio.
«Perciò... mi hai concesso la vittoria solo perché eri sicura che alla fine avresti vinto tu?»
Ami preferì limitarsi ad una minuscola scrollata di spalle: per quanto fosse la verità, non voleva sembrare troppo arrogante.
«Sai, sbagli quando dici che non hai uno stile.» Alexander aveva poggiato la guancia contro il dorso della mano. «A scacchi sei micidiale e brutale, non conosci pietà.»
Addirittura? Non era così cattiva.
«Quando mi mangi un pezzo hai una luce assassina negli occhi.»
Non era vero. «... Sì?»
La risata dolce di lui le piacque. «Non preoccuparti. Appena smetti di giocare torni quella di sempre.»
Ma mi piaci anche così, fu come sentirglielo dire. Ami ne arrossì. «Anche tu...»
«Che cosa?»
Lei avvampò solo nella propria testa. «Niente.» Guardò Alexander dappertutto tranne che in viso, e finì con lo scorgere l'ora sull'orologio da polso di lui. «Oh, è tardi. Ho ancora un quarto del programma della prossima settimana da ripassare. Devo andare.» Si alzò, senza aspettarsi che lo facesse anche Alexander. Puntualmente, era arrivato quel momento in cui stare da sola con lui in camera sua la faceva sentire in imbarazzo, nervosa e... ansiosa di rimanere. Accadeva quando smettevano di discutere di libri e quando, in generale, cominciavano a guardarsi negli occhi tanto da smettere del tutto di parlare.
«Aspetta.»
Era arrivata sulla porta, ma si girò.
Alexander la raggiunse. «Gli scacchi me l'avevano fatto dimenticare. Non vuoi un bacio anche oggi?»
Lei non riuscì più a nascondergli le guance accaldate. «Sai che parlarne mi fa sentire...»
«Lo so. Preferisci che lo faccia senza chiedere.»
Oltre il culmine dell'imbarazzo per lei c'era solo la rivincita dell'orgoglio. «No. Posso farlo io a te.»
Vide Alexander addolcirsi, sorridere, e si sentì meglio che mai nel capire di essergli pari: lo destabilizzava anche lei, in quel modo quieto e intimo che avevano scoperto tra loro. Abbandonarono la loro piccola sfida e ciascuno dei due baciò l'altro, un unico dono che non vide vincitori.
Il loro bacio era calore morbido e umido, intenso. Dolce, così avvolgente da essere solo piacere. Ami lo assaggiò per riconoscerlo, per riappropriarsene e non venirne travolta. Era una corsa a fasi: quando il bacio di lui cambiava, lei doveva calmarsi daccapo. Voleva farlo in eterno.
Sentì il fruscio della camicia di lui contro la propria maglia, le braccia che la stringevano per la vita. Lo accarezzò sino alle spalle, sentendo l'abbandono che arrivava. Quando gli portava le braccia attorno al collo non c'era più spazio tra loro e quello era il bacio che lei amava maggiormente fra tutti. Ma senza scarpe era scomodo, doveva alzarsi in punta di piedi e-
Tentando di tirarla su, Alexander le sollevò involontariamente la maglia sulla schiena.
Lei ridacchiò. «Aspetta.» Si ricoprì. «Si era impigliata.»
«Hm?»
«La maglia. Non te n'eri reso conto.»
La confusione di lui non svanì, ma la reazione non la sorprese: a volte lei gli faceva quell'effetto e se ne beava. Alexander era capace di farla arrossire dieci volte al giorno, ma a lei per stordirlo bastava un piccolo bacio ben dato. Anche se l'ultimo non era stato tanto piccolo. Non resistette e gli sfiorò la bocca con le labbra un'ultima volta, un contatto che le strappò un sospiro felice. «Meglio che vada o diventa troppo tardi.»
«... ah-ha.»
Lo prese per una mano e si fece accompagnare alla porta del secondo piano dell'appartamento. Alexander lo occupava da solo; lei la trovava una bellissima casa: confortevole, ordinata, piena di oggetti interessanti. Ogni mobile era posizionato in proporzione perfetta rispetto allo spazio che occupava in una stanza; vi era armonia di forme, di linee. Anche nell'ingresso la scarpiera si trovava esattamente a metà tra porta e scalino; lo aveva notato subito.
Si abbassò a infilare gli stivaletti.
«Martedì vengo a prenderti con la moto
» le disse Alexander. «Ci muoveremo più velocemente, così non arriverai in ritardo al doposcuola.»
Anche se avrebbe voluto uscire tutti i giorni con lei, Alex era estremamente comprensivo con le sue necessità di studio. Erano le stesse che aveva lui e si ammiravano a vicenda per la passione che riuscivano a sviluppare per qualunque argomento, ogni sfida d'esame. Si incoraggiavano l'un l'altro. Era... perfetto.
Ami uscì dalla casa di lui e si diresse al pianerottolo con l'entrata dell'ascensore. Alexander la seguì fuori senza mettere le scarpe. Il pavimento era immacolato, conosceva solo il passaggio di lui, della signora Shoko Kaiba, dei suoi genitori e... nessun altro, che lei sapesse.
L'ascensore era fermo al piano inferiore.
Alexander lo notò. «See you then.» La colse di sorpresa abbassandosi e prendendosi un piccolo bacio che la fece sorridere.
«See you.» Volle essere l'ultima a fargli quel regalo, e lo baciò di nuovo. «Alla fine... sono stati tre.» Le porte dietro le sue spalle si aprirono.
«Quattro. Ma dovevamo rifarci.»
Lei entrò in ascensore. «Sono d'accordo. Bye.»
«Bye» la salutò Alex, un'ultima carezza alla mano che si staccava dalla sua.

Alexander chiuse dietro di sé la porta di casa.
La maglia si era impigliata. Non te n'eri reso conto.
... non vi era stato artifizio nel tono di lei.
Non le era nemmeno venuta in mente la possibilità che lui avesse un ulteriore scopo. Se Ami lo avesse lasciato continuare, la sua mossa successiva sarebbe stata quella di accarezzare la pelle scoperta dalla maglia. E poi tirare ancora più su il tessuto, accarezzando e...
Forse avrebbe dovuto essere più chiaro?
Se Ami non ci stava ancora pensando, era importante iniziare a farle prendere in considerazione l'idea. Non voleva metterla a disagio, ma doveva farla abituare. Piano, certo.
... Quanto piano?
La prospettiva dell'attesa gli causò un momento di delusione: voleva fare l'amore con lei il prima possibile. Subito gli sembrava già tardi. Voleva sollevarle la maglia e baciarla sul collo, sentire come Ami sospirava nel ricevere carezze sulle gambe, sullo stomaco, e dove non si era mai sentita toccare. Voleva farle perdere quelle sue inibizioni che lui adorava, ma soprattutto voleva perdere la testa lui stesso nell'esperienza. Con Ami sarebbe stato perfetto all'ennesima potenza: si fidava di lei. Era Ami che amava e finalmente l'esperienza che desiderava da anni con ogni senso fisico diventava giusto con un'altra persona. Non era mai stato così.
"Non sai quanto ti amo."
La dichiarazione di Misani - la prima ragazza con cui aveva quasi fatto sesso - aveva spento i suoi bollori come acqua sul fuoco.
Io nemmeno un po', aveva pensato lui tre anni prima. E gli era sembrato sbagliato continuare a toccarla fingendo un sentimento che non provava. E di che diavolo di amore parli? Neppure mi conosci.
Si erano lasciati il giorno dopo.
Non che lui si fosse arreso: in giro per la scuola - ovunque si trovasse - aveva continuato a conquistare, affascinare, baciare. God, era sempre stato così facile, e con Ami... mai. Con lei non era mai scontato.
Quella serie di passati tentativi aveva raggiunto il suo culmine con Erisa Asami. Invero, una fine ingrata. L'ultima ragazza che aveva avuto prima di Ami non solo gli aveva dimostrato di non avere la minima idea di cosa gli passasse per la testa, ma persino di non essere interessata a saperlo.
Avvinghiati sul letto di lei, a metà tra lo scherzo e il complimento, Asami aveva pronunciato poche parole che gli erano rimaste scolpite in testa.
"Zitto, zitto" aveva ridacchiato lei.
"Perché?" Lui si era messo a ridere. "Non ti interessa sapere quello che penso?"
"Naah. Sei così bello che per quel che mi importa potresti anche essere stupido."
Era stato un momento di chiarezza lampante. La frase lo aveva descritto alla perfezione: era un idiota, tanto sottomesso ai propri bassi istinti da essere pronto a far sesso con una ragazza che aveva cominciato ad annoiarlo quando parlava. Dopo pochi giorni Asami era già diventata un'estranea a cui lui preferiva non rivolgere la parola quando lei era di cattivo umore, giusto per non sopportare un problema in più. Se quella prima volta che non vedeva l'ora di lasciarsi alle spalle fosse stata con Asami, non avrebbe nemmeno voluto che lei lo abbracciasse a rapporto finito. E - si era chiesto - dove stava la differenza con tutte le altre pseudo-relazioni che aveva avuto?
Aveva raggruppato le sue ex in
due grandi categorie: questa non vorrei vederla in faccia il giorno seguente e questa non vorrei vederla in faccia neppure nel mentre.
Quel giorno aveva capito che ad Asami avrebbe applicato entrambe le definizioni. Così l'aveva lasciata.
Il suo amico di tanti anni, Yamato, non aveva mai smesso di prenderlo in giro per la sua stranezza. "Ti passano dei soldi per rimanere vergine?"
"Lo farò quando mi va."
"Aspetti la principessa sul cavallo sul bianco."
"No, voglio sentirmi a posto." Perciò doveva almeno apprezzare la ragazza con cui sarebbe stato. "Devo... volerle stare vicino."
Yamato aveva sollevato un sopracciglio. "Non ti sei mai fatto problemi finora."
Baciarsi era un gioco, un'intimità che si poteva fingere o che andava bene come passatempo. Per spiegarsi, lui gli aveva detto, "Mentre sei a letto con una, non vorresti almeno volerla guardare in faccia invece di girarti dall'altra parte?" Aveva esposto a Yamato i due gruppi in cui, fino a quel momento, era stato costretto a classificare le ragazze che aveva avuto.
Il suo amico aveva espresso concisamente quello che lui stesso, in fondo, aveva pensato di sé.
"Sei un bastardo."
Già. Aveva problemi a relazionarsi con la gente, lo sapeva. Non riusciva a legarsi alle persone: erano troppe quelle che lo infastidivano, quelle che preferiva ignorare e quelle che, semplicemente, non gli dicevano nulla. A volte stava lontano persino dalle persone che lo interessavano. Posso farne a meno. Con Ami quel problema non era mai esistito: lei lo capiva e lui capiva lei. Avevano bisogno di stare insieme e lui sapeva di volerla guardare in viso in qualunque momento. Le avrebbe tenuto le guance tra le mani per vedere le sue palpebre che si abbassavano, che tremavano, la sua bocca che si apriva. Non si sarebbe mai stancato di baciarla.
E da Ami voleva abbracci. Prima, nel mentre, dopo. Dell'amore di lei si fidava, non poteva più farne a meno.
Si fermò davanti alla scacchiera su cui avevano giocato. Mosse i pezzi nelle sei combinazioni che avrebbero permesso ad Ami di fare scacco matto.
Micidiale, brutale, senza pietà. Per come lo stendeva ripetutamente con un semplice sorriso o rossore, lei era proprio così.
Io mi sono arreso.
Surrender to me too, love.

FINE



Traduzioni:
- 'See you then' = 'Ci vediamo allora'
- 'Surrender to me too' = 'Arrenditi anche tu a me'

NdA - Acqua viva finisce tranquillamente col capitolo 4. Queste che sto facendo seguire sono 'scene', un altro dei miei esperimenti: non faccio che scrivere papiri, sto cercando di esercitarmi con qualcosa di più corto. Non preoccupatevi, non mi distoglie dallo scrivere 'Verso l'alba' :) Uno scritto come questo lo elaboro e lo buttò giù in poco tempo, è un piacere e al tempo stesso un esercizio.
Comunque lo scopo di queste scene non dovrebbe essere di descrivere i patimenti del povero Alexander (:D), quanto di rappresentare momenti di vita quotidiana di questa coppia, dando un'ulteriore idea dei caratteri di questi due personaggi.
Dovrebbe essere una cosa per 'mesi', per ora l'ho pensata così.
'Gennaio' è il mese successivo a quello in cui si svolgono le vicende principali di Acqua Viva.

   
 
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