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Autore: Keif    24/02/2010    3 recensioni
Fabrizio Rangoni detesta profondamente il lunedì mattina perché vuol dire inizio di una nuova terrificante settimana.
Lui, che lavora da vent'anni nella stessa scuola sgangherata a differenza dei protagonisti delle fiction e dei film tanto in voga tra i quindicenni chioccianti, non apprezza né rispetta i suoi studenti, anzi li odia sinceramente. Il suo unico desiderio è raggiungere la fatidica domenica per dormire un'ora in più e ritirare lo stipendio a fine mese.
E' forse chieder troppo, insomma?
«Mi preparo con estrema soddisfazione a calcare il numerino due in rosso, da me tanto amato, nel mio fido registro azzurrognolo [...] a meno che non esca dallo zaino il corpo maciullato della madre l'insufficenza non gliela toglie nessuno. Di questo passo riuscirò finalmente a farlo bocciare!»
Genere: Romantico, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Monday Morning


Io detesto i miei studenti.
Li odio tutti, uno più dell'altro.
Volete sapere perché? Semplice: loro urlano, saltano, dormono, mentono, mangiano e ciarlano; a volte fanno persino tutte queste cose insieme benché le leggi della fisica, del buonsenso e della buona educazione lo impediscano. E' quasi impressionante la capacità intrinseca di un qualsiasi liceale di parlare a macchinetta per cinque ore di seguito ingerendo contemporaneamente quantità inimmaginabili di schifezze ipercaloriche che ucciderebbero un qualsiasi essere umano di mezza età.
Ma credete che loro muoiano? Ah, certo che no! A dispetto delle statistiche sui suicidi giovanili, sugli omicidi di madri stressate e sui morti per alcol e droga loro sopravvivono!
In realtà sono convinto che rimangano su questa terra per un motivo preciso: dare fastidio a me.
In vent'anni di insegnamento non ho avuto un alunno - mica tanti, dico uno per togliermi lo sfizio! - che abbia deciso di schiattare prima di arrivare all'esame di maturità. Tutti vivi, fastidiosi e dotati di facoltà di parola. Maledetti.
Momento in cui il mio disprezzo per loro si ingigantisce in tal modo da sembrare quasi impossibile contenerlo è il lunedì mattina; oggi nella fattispecie.
Dopo aver passato una domenica terribile litigando con mia moglie perché il sesso coniugale non è più quello di una volta, nel senso che mi fa un certo ribrezzo anche solo sfiorarla, aver sentito i piagnistei della mia figlia adolescente, poveri i suoi professori, ed essere stato costretto a portare il cane a passeggiare nell'unico parco esistente in questa città, che per la cronaca è a dieci kilometri di distanza da casa mia, l'ultima cosa che desidero è entrare in una classe dalle pareti giallognole ed incontrare diciassettenni brufolosi e sudaticci.
Eppure, dato che ho scelto Lettere Classiche come facoltà universitaria, questo è il mio triste destino.
Con un sospiro sconsolato, stringendo convulsamente il manico della mia valigetta logora, varco la porta della II B e il mio sguardo vaga sulla sfacelo che sono riusciti a combinare nell'arco di - dò un'occhiata all'orologio- minuti sei!
Hanno superato loro stessi, mi congratulerei se fossero esseri umani e non microcefali monodotati: cartacce, macchie di inghiostro, caffè per terra e... sbaglio o quello è un pezzo di schienale di una sedia? Oh, non m'interessa. Tanto sono i bidelli che puliscono, mica io! Ah pardon: collaboratori scolastici. Non sia mai che il loro fondamentale ruolo nella società venga sminuito da me in questo maniera orribile.
«Buongiorno ragazzi» dico gelido varcando la soglia dell'aula. Non sono sicuro che mi abbiano sentito, dato il caos che regnava, ma appena mi hanno visto è calato il più completo silenzio. Sì, faccio questo effetto: ho imparato a farmi rispettare negli anni.
Perlini fa una smorfia dietro la mia schiena, fingo di non vederlo ma farò in modo di interrogarlo e di affibbiargli un bel tre; mi sento particolarmente generoso oggi.
Raggiungo la cattedra e mi siedo mentre come ogni mattina mi ritrovo a rimpiangere i bei tempi delle punizioni corporali: potrei prendere a sberle Brighetti che sta palesemente copiando la versione di greco, nascosto dietro una fortificazioni fatta di zaini, portapenni e diari. Non fossi così stanco, assonnato ed irritato apprezzerei la faccia tosta e l'evidente stupidità di questo ragazzo. Ma oggi è lunedì, sono le otto e venti e non ne ho la forza:
«Brighetti, Pelini, interrogati» mormoro a voce perfettamente udibile aprendo il registro e reprimendo un sorriso sadico.
Ecco: questi sono i momenti in cui il mio lavoro non mi sembra così terribile: entrambi alzano la testa di scatto, mi fissano terrorizzati, deglutiscono, si lanciano uno sguardo dubbioso dalle parti opposte della classe e rimangono qualche secondo a fissarmi, senza avere il coraggio di alzarsi in piedi. Potrei sentire i loro piccoli e solitari neuroni riflettere il più velocemente possibile: meglio un impreparato, indi un sicuro due, o un tentativo di prendere tre?
Li osservo tamburellando con le dita sulla cattedra, fingendo insofferenza. In realtà me la sto godendo un mondo.
«Allora?» domando guardando prima l'uno e poi l'altro assumendo un'espressione seccata «Che dobbiamo fare? Venite?»
Ah! Brighetti ha sospirato. Questo è un no, di sicuro. Mi preparo con estrema soddisfazione a calcare il numerino due in rosso, da me tanto amato, nel mio fido registro azzurrognolo.
«Ecco professore, a dir la verità io...» che vi dicevo? Afferro la penna rossa ed aspetto interessato mentre lui si sforza di cercare una scusa convincente.
Sapete, sto conducendo un interessante studio sulle balle che gli studenti inventano per spingere a pietà un professore cosicché questi pronunci la famosa frase "per oggi passi ma...". Ovviamente io non ho mai pronunciato tali ripugnanti parole; a meno che non esca dallo zaino il corpo maciullato della madre l'insufficenza non gliela toglie nessuno. Di questo passo riuscirò finalmente a farlo bocciare!
«A dir la verità lei...?» ripeto per spingerlo a continuare «Ecco, io ieri ho studiato» sì, come no «e ho anche fatto la versione» chiude di scatto il quaderno da cui stava copiando mentre io annuisco accondiscendente «Ovviamente» borbotto ironico «ma?» «Ecco, solo che mio fratello si è sentito male e abbiamo dovuto portarlo al pronto soccorso...» quasi mi sfugge una risatina, ma con fatica riesco a mantenere un' espressione impassibile.
«Brighetti non dica assordità! Lei non ha un fratello, ricorda?» bercio gioioso, la classe sghignazza «Questo è un due» segno il numerino calcandolo per bene «Pelini? Viene o ha una scusa un po' più credibile?»
Pelini pensa, cerca sostegno nella sua compagna di banco che gli fa un cenno di assenso, probabilmente per non rischiare di essere interrogata lei al posto di Pelini, e finalmente si alza e si avvicina alla cattedra. Ed è questo il momento in cui tutta la frustrazione e la rabbia accumulata si scaricano, concentrandosi sull'obbiettivo di distruggere definitivamente l'autostima di questo poveretto.
E per rendere la cosa ancora più divertente, voltandomi verso il ragazzo esclamo « Non faccia quella faccia, avanti! Comunque le vada l'interrogazione stia sicuro che avrà un voto maggiore di quello che gli ho messo nella versione di greco. Anche perché sarebbe piuttosto difficile che lei riesca a peggiorarlo. A proposito, gliel'ho portata sa?» dò una piccola pacca alla mia cartella poggiata accanto a me «non è entusiasta?»
La classe intera sposta l'attenzione sulla mia borsa e comincia a sudare freddo. Sinceramente nemmeno a me fa piacere riportare i compiti corretti, ogni volta sono costretto a sopportare una sfilza di lamentele piagnucolose tenendo a freno il bisogno di uccidere, ma ne vale la pena solo per vedere l'espressione desolata di Pelini
«Cominciamo quindi? Mi dica... ma sì, una domanda facile!» piccola pausa per creare suspance «mi traduca in greco il verbo "vedere", mi dica il paradigma e poi lo coniughi all'ottativo aoristo medio» ghigno rilassando la schiena sulla schienale della sedia fissando la mia vittima che si passa la mano tra i capelli, disperata.
Ah, che sensazione di appagamento! Altro che analista!

  
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