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Autore: fallsofarc    25/02/2010    43 recensioni
"Sentii l’ansia salire, non ricordavo nulla e non riuscivo a capire perchè fossi in quel luogo sconosciuto e non a casa mia; cercai di fare mente locale pensando a cosa avessi fatto la sera precedente ma la mia mente era vuota, l’unico ricordo che avevo era di aver ordinato la pizza poco prima delle venti e di aver fatto una doccia nell’attesa."
Svegliarsi in un luogo ignoto, soli e senza sapere come aver fatto ad arrivarci, sarà un'inquietante sorpresa per una giovane ragazza; e chi è lo sconosciuto comparso dal nulla?
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Svegliarmi si rivelò un’atroce tortura, le palpebre erano pesanti, le tempie pulsavano e la gola ardeva.

Ma la cosa peggiore, dannatamente peggiore, fu non riconoscere il luogo dove mi trovavo né lo scomodo letto che mi aveva accolta.
La stanza era piccola e poco illuminata; un fascio di luce bianca, che arrivava da una piccola finestrella al di sopra della porta, mi permise di scorgere un comodino, una sedia e un piccolo armadio, oltre al letto di ferro su cui ero seduta in quel momento.
Sentii l’ansia salire, non ricordavo nulla e non riuscivo a capire perchè fossi in quel luogo sconosciuto e non a casa mia; cercai di fare mente locale pensando a cosa avessi fatto la sera precedente ma la mia mente era vuota, l’unico ricordo che avevo era di aver ordinato la pizza poco prima delle venti e di aver fatto una doccia nell’attesa.
Abbassai lo sguardo e scoprii di indossare il mio pigiama blu, ma i miei piedi erano scalzi e, frugando con gli occhi per la stanza, non trovai traccia di alcun vestito.
Mi alzai e quasi caddi per un improvviso capogiro, il pavimento di ceramica era gelato e mi fece rabbrividire; aprendo l’armadio trovai, con sollievo, le scarpe che usavo per fare jogging, insieme a qualche ricambio di biancheria e ad un maglione.
Nessuna borsa, nessun effetto personale, nessun altro vestito, niente cellulare, portafoglio o chiavi di casa. E soprattutto: ancora nessuna idea di dove fossi.
Deglutii, ancora più nervosa, e cominciai a respirare a fatica, sentendo la paura stringermi in una morsa; infilai il maglione e le scarpe e mi avvicinai alla porta, temendo di scoprire qualcosa di agghiacciante.
La porta si aprì con uno schiocco sordo e un lieve cigolio, rivelandomi un corridoio bianco e molto illuminato, tante porte uguali e nient’altro.
Avevo paura di fare anche solo un passo o un respiro, una paura immensa, perché non riuscivo a capire né a ricordare e sentivo di essere in pericolo.
Mi guardai attorno per interminabili minuti prima di decidermi ad abbandonare la stanza, ma dovevo uscire da lì, dovevo trovare un telefono e chiamare qualcuno.
Valutai mentalmente che direzione prendere e alla fine optai per raggiungere la porta in fondo al corridoio a sinistra; camminai cercando di fare il minimo rumore possibile e mi sembrò di impiegare ore per fare neanche venti metri.
Con il cuore a mille e il respiro spezzato allungai la mano e tentai di aprire quella porta scura, senza risultato.
Era chiusa a chiave, chiave che chiaramente non era nella toppa; mi girai sbuffando e sentendo il panico crescere, l’unica alternativa era provare con l’altro lato del corridoio.
Percorsi una cinquantina di metri e seguii la svolta a destra, trovandomi così in un altro pezzo di corridoio, non illuminato e ancora più lungo.
Mi strinsi le braccia al corpo reprimendo un brivido, sia di freddo che di terrore.
Guardandomi costantemente indietro, in quel vuoto e silenzio inquietanti, mi avviai verso il fondo, dove mi attendeva una porta bianca.
Il suono delle mie scarpe da ginnastica contro il pavimento, per quanto tenue, era quasi assordante, così come il battito furioso del mio cuore.
Ero troppo giovane per avere un infarto ma temevo di essere una candidata papabile, visto il numero di pulsazioni al secondo e la morsa che sentivo dentro.
La maniglia di ottone era ghiacciata a contatto con le mie mani sudate per l’ansia; provai ad abbassarla, invano.
“E’ inutile, sono tutte chiuse.” Mi mancò il respiro al suono di una voce sconosciuta e mi girai di scatto schiacciandomi di schiena contro la porta.
Una figura era ferma in piedi a qualche metro da me, non distinguevo i suoi tratti nella penombra ma dalla voce era un uomo.
“Chi sei? Cos-cosa vuoi da me?” Rantolai in preda alla paura crescente.
“Potrei chiederti la stessa cosa, non eri qui ieri e gli altri giorni, ero solo.” Di cosa diavolo stava parlando e chi era?
“Dove siamo? Perché siamo qui?” Non sapevo se mi avrebbe o meno fatto del male ma avevo bisogno di sapere, di ottenere una qualche risposta.
“Non ne ho idea, sono qui da qualche giorno, almeno credo… Senza un orologio o una finestra non è facile capire quanto tempo sia passato.” Rispose schioccando la lingua scocciato.
“Io non capisco…” Mormorai flebile, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.
“Benvenuta nel club.” Rispose sarcastico lo sconosciuto, che già non tolleravo.
“Cosa c’è dietro alle altre porte?” Domandai, in fondo doveva saperlo se si trovava veramente in quel luogo da giorni.
“Sono tutte chiuse a chiave, a parte quella dove dormo e un bagno… e probabilmente quella dove eri tu…” Osservò, avvicinandosi a me lentamente.
Mi schiacciai ancora di più contro la porta, terribilmente impaurita e indifesa.
“Cosa vuoi fare?” Domandai, sentendomi comunque ridicola: se era un maniaco non mi sarei certo potuta difendere con delle stupide domande.
Si fermò al suono delle mie parole e alzò le mani in segno di resa, poi indietreggiò nuovamente. “Non voglio spaventarti, torniamo alla luce? Almeno possiamo vederci in viso.”
Sibilai un “sì” e attesi che si incamminasse per poi seguirlo titubante; quando svoltai anche io, qualche passo dopo di lui, nel corridoio illuminato finalmente vidi il suo volto.
Era giovane, forse aveva qualche anno più di me ma era difficile da capire, il suo viso era stanco e solcato da profonde occhiaie, i capelli erano sconvolti e indossava un paio di vecchi jeans e un maglione sbilenco.
“Non ti volevo sembrare insensibile, sono solo distrutto e sto impazzendo in questo posto; posso capire come tu ti senta, la confusione e la paura quando ci si sveglia qui sono totali.”
Parlò lentamente, con tono stanco, guardandomi intensamente negli occhi.
“Io non ricordo nulla… non riesco a ricordare nulla di ieri notte, sempre che fosse davvero ieri…” Cominciavo a chiedermi anche quanti giorni fossero passati in realtà dai miei ultimi ricordi certi.
“Ho sentito un rumore qualche ora fa, quindi credo che fosse il momento in cui sei arrivata qui.” Alle sue parole sentii un moto di rabbia crescere.
“Perché non sei uscito dalla stanza per vedere cosa accadeva?” Gli chiesi d’impeto.
Mi sorrise amaro prima di rispondere. “Mhm… Non conosci le regole, deve arrivare ancora il primo biglietto quindi…”
“Che regole? Di che biglietto parli?” Ero esasperata e finii con l’alzare la voce.
“Calmati, agitarsi non serve, l’ho imparato a mie spese… Ogni tanto arriva un biglietto nella camera, c’è una fessura strana in una parete ed entra da lì, ci sono delle istruzioni da seguire e, credimi, è meglio seguirle…” Crollai a terra in ginocchio, il peso di tutte quelle assurdità era troppo per me.
“Ehi, tranquilla, andrà tutto bene.” Si piegò verso di me aiutandomi a rialzarmi e mi guidò, inerme, verso una porta.
La aprì e accese la luce rivelando un piccolo bagno, mi sospinse verso il lavandino e mi consigliò di bagnarmi il viso e di fare grossi respiri.
Scomparve per pochi minuti e ritornò con una bottiglietta d’acqua, che diede sollievo al bruciore immenso che sentivo alla gola.
“Andiamo nella tua stanza, vedrai che ci sarà già un biglietto.” Mi avvisò e il panico mi invase; non avevo idea di che istruzioni fossero scritte in quel foglio che, secondo lui, avrei dovuto seguire alla lettera.
Ritrovare la stanza non fu difficile, era l’unica porta socchiusa; mi bloccai prima di entrare, considerandola come una prigione in cui ero stata intrappolata.
Mi sorpassò ed entrò per primo, accendendo la luce; lo seguii e notai subito un foglio giallo abbandonato sul pavimento.
Fu lui a raccoglierlo e a leggerlo mentre io seguivo attentamente i tratti del suo viso in attesa di un qualche cambiamento di espressione, che non arrivò.
Lo accartocciò gettandolo in un angolo.
“Nulla di nuovo, lo stesso che ho ricevuto anche io; quando senti una sorta di sirena devi chiuderti dentro a chiave e infilarla nella fessura sotto la porta, inutile barare… ogni tot ore accadrà e dopo troverai in fondo al corridoio cibo e acqua, dovrai poi lasciare il vassoio in bagno appena finito di mangiare e qualcuno lo toglierà quando porterà quello nuovo. Se ti stai chiedendo chi sia questo qualcuno non lo so nemmeno io, ho provato ad urlare e ad offenderlo, ho provato anche a non seguire le istruzioni ma ho ottenuto… diciamo nulla di buono.” Il suo discorso mi lasciò ancora più sconvolta, cominciai a temere che non sarei mai uscita da quel posto, sempre che fossi sopravvissuta.
“La chiave ti verrà restituita qualche minuto dopo, sempre attraverso quella fessura da cui passano i fogli, non so cosa ci sia dietro ma non si vede nulla e viene chiusa subito dopo.”
“Che cosa ho fatto di male?” Chiesi, a me stessa, accasciandomi a sedere sul letto, e dando libero sfogo alle lacrime.
“Ehi, non hai fatto nulla, troverò il modo di farci uscire, te lo prometto.” Mi strinse a sé e, dopo una prima titubanza, mi lasciai andare tra le braccia di quel ragazzo sconosciuto.
“Non so nemmeno il tuo nome…” Osservai qualche minuto dopo, tirando su con il naso e staccandomi lievemente da lui.
“Jason, mi chiamo Jason… tu sei?” Mi sorrise gentile.
Ma non feci in tempo a rispondere che il rumore di una sirena riecheggiò nel corridoio: doveva essere il fantomatico segnale.
“Devo andare.” Si alzò da accanto a me, scattando come una molla, e raggiunse la porta.
“No, ti prego!Non lasciarmi sola!” Esclamai in preda al panico.
Si girò, mentre stava già aprendo la porta, mi guardò e sospirò per poi acconsentire; lo vidi chiudere a chiave e infilarla sotto la fessura della porta.
“Ora fai silenzio, chiunque sia non apprezza il rumore.” E storse il naso infastidito, con una mezza smorfia di dolore sul viso.
Deglutii pensando a cosa potesse essergli accaduto prima del mio arrivo e afferrai con le mani spasmodicamente la coperta del letto per scaricare la tensione.
Sentii dei passi e il rumore di qualcosa di metallico che scivolava sul pavimento, forse i vassoi con il cibo; i passi si fecero sempre più vicini e si fermarono, pochi istanti dopo riecheggiarono nuovamente scemando.
Trattenni il respiro finché non calò nuovamente il silenzio; Jason era rimasto tutto il tempo in piedi dandomi le spalle.
Improvvisamente si girò e mi sorrise, gli sorrisi rilassandomi anch’io nuovamente, per quanto possibile.
“Cosa stavamo dicendo Rose?” Mi chiese, avvicinandosi.
“Co-come fai a sapere il mio nome? N-non ho fatto in tempo a dirtelo...” Balbettai mentre il terrore e la consapevolezza mi invadevano e Jason, chiunque egli fosse, era ormai ad un passo da me.




   
 
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