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Autore: beanazgul    22/07/2005    8 recensioni
di PlasticChevy traduzione di: beanazgul aka Adûnaphel Nota: Questa è la traduzione della storia originale in inglese “The Captain and the King”, scritta da PlasticChevy, un’autrice di fanfiction dotata di grande talento. E' ispirata al mondo del Signore degli Anelli, ma si tratta di un’ AU, cioè una versione alternativa del testo di Tolkien, i cui eventi prendono una strada diversa ad Amon Hen....se vi è sempre dispiaciuto vedere Boromir morire alla fine del primo libro/film, allora questa storia fa per voi! Se avrete la pazienza di avventurarvi in questa miriade di capitoli vi assicuro che non ve ne pentirete: vi lascerà senza fiato! PlasticChevy mi ha gentilmente dato il permesso di tradurla e io ho cercato di fare del mio meglio per rendere giustizia alla sua bravura, anche se è un lavoro molto impegnativo perché la storia è molto complessa e mi rendo conto che una traduzione non è mai all’altezza dell’originale! Disclaimer: Il Signore degli Anelli e tutti i suoi personaggi sono proprietà di J.R.R. Tolkien e dei suoi eredi. Li sto utilizzando solo per divertimento, non per vendita o profitto.
Genere: Drammatico, Azione, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Aragorn, Boromir, Merry, Saruman
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il Capitano e il Re

Epilogo: L’ultimo Sovrintendente

26 settembre, 30 Quarta Era.

Le torce sussultarono all’aprirsi delle maestose porte in fondo alla sala. Aragorn vide le fiamme vacillare e riprendersi, e capì che il tempo per il suo dolore privato era finito. Eppure non si voltò ad accogliere gli uomini che giungevano camminando attraverso il Grande Salone. I suoi occhi rimasero fissi sulle fiamme che vegliavano solenni al di sopra della piattaforma, le sue mani strette attorno allo scettro bianco posato sulle sue ginocchia.

Uno dei due uomini, il più giovane, si fermò a qualche passo dalle scale, mentre l’altro salì fino al primo gradino, dove si trovava il Seggio del Sovrintendente, e attese in rispettoso silenzio che il Re lo interpellasse.

Finalmente, Aragorn parlò, senza voltarsi. “E’ il momento?”

"Questo spetta a te deciderlo, mio Re”, rispose Faramir.

Aragorn inspirò profondamente per cercare di guadagnare un po’di calma, poi si alzò lentamente, faticosamente in piedi. Aveva trascorso tutte le veglie della notte su quella sedia di pietra, ripetendo ancora e ancora le parole di addio che non riusciva a credere nel suo cuore, e piangendo lacrime che non sembravano finire mai. Con l’approssimarsi del giorno, aveva trovato un po’ di calma, se non la pace, e suoi occhi erano asciutti. Ma il suo corpo era stanco, rigido per gli anni e per il freddo, e ogni momento dei suoi centoventi anni gravava pesantemente sulle sue spalle. Faramir si avvicinò salendo un altro gradino, come per aiutarlo ad alzarsi, ma Aragorn lo fermò con un gesto. Andò incontro a Faramir fermandosi sul gradino più basso, e posò lo scettro di traverso sul seggio del Sovrintendente.

"Grazie per essere venuti”, disse. Volgendo uno sguardo desolato al più giovane dei due, aggiunse, “Grazie a entrambi”.

"Tutto ciò che devi fare è chiedere, mio signore. Siamo ai tuoi ordini”.

Aragorn scosse il capo stancamente, voltandosi di nuovo verso le torce gocciolanti. “Questo non è tempo per gli ordini, amico mio, ma per il dolore, e le difficili decisioni”.

Abbandonando le formalità, Faramir strinse con fermezza il braccio del Re, e disse, “Sai bene che io e i miei siamo con te, qualunque cosa tu decida. Non avere paura di noi, Aragorn, e non dubitare di te stesso”.

"Ecco perché ti ho convocato qui prima degli altri. Devo essere certo che tu capisca”, mormorò Aragorn.

"Io capisco. E non vorrei che fosse diversamente”.

Aragorn si volse nuovamente per guardare Faramir, con occhi così scuri e vuoti che sembravano divorare la luce con la loro disperazione. “Io non infrangerò il mio giuramento”.

Le lacrime affiorarono agli occhi di Faramir. "Né io ti chiederei mai di farlo”.

"E tu, Elboron?" Aragorn lanciò uno sguardo penetrante al giovane che stava in piedi dietro il padre. “Accetti la decisione del tuo Re? Ti accontenterai del futuro che egli ha scelto per te?”

Elboron si fece avanti rapidamente, mettendo il ginocchio a terra davanti al suo signore con il capo chino, la sua mano sull’elsa della spada. "Sono soddisfatto, mio Sire."

"Alzati, lascia che ti guardi”.

Il giovane si alzò in piedi con naturalezza, e sollevò lo sguardo incontrando gli occhi del Re. Aragorn lesse nel suo volto l’orgoglio, la saggezza e la comprensione, accompagnati da un velo di tristezza che lo faceva apparire più vecchio dei suoi anni. Somigliava a Faramir tanto nel volto che nel carattere, e mai per un attimo Aragorn aveva dubitato della sua lealtà o del suo valore come soldato e alleato.

Cercando di sorridere, mise le mani sulle spalle di Elboron, e lo baciò sulla fronte. “Sei un grande conforto per me, figlio di Faramir."

"E cosa sarà di Caladmir?", chiese Faramir a bassa voce. "Cosa sarà del figlio di Boromir?”

Aragorn lasciò andare Elboron e fece un passo indietro. Di nuovo i suoi occhi corsero alle torce, e alla figura che giaceva immobile tra loro, e non rispose.

"Non è forse degno anch’egli dell’amore del suo Re?”

"Sì. Certo che ne è degno".

"Non prenderà dunque il posto di suo padre?"

Ancora una volta Aragorn si sentì investire dal peso della sua perdita, e le sue spalle si incurvarono sotto di esso. “I figli di Boromir avranno tutto quello che potrò dare loro, sul mio onore”.

Prima che Faramir potesse parlare di nuovo, Aragorn si voltò e salì gli ampi gradini fino alla piattaforma. Faramir lo seguì, e insieme si avvicinarono alla portantina. Le torce danzarono al loro passaggio, come ritirandosi dalla loro venuta.

Aragorn le osservò con disprezzo. “Perché hanno messo le torce così vicino a lui?”

"La Guardia della Torre le ha accese come segno di onore. Non pensavano di fare male, e ora a Boromir non possono più dare fastidio”.

"Lo so. Eppure non posso fare a meno di rabbrividire al pensiero”.

"Anche io." Faramir osservò ancora le sinistre luci, poi si affiancò al re per guardare la figura distesa tra di esse.

Lì, su una lettiga decorata con drappi bianchi e argento, giaceva Boromir, figlio di Denethor, Principe di Anórien e Sovrintendente di Gondor. Le sue mani erano incrociate sul suo petto, vuote, e il suo capo era scoperto, tranne che per la nera benda che copriva i suoi occhi. Il tempo era stato generoso con lui, come era solito con i discendenti di Númenor, anche con quelli di lignaggio inferiore come i figli di Denethor, ma le ferite e la malattia avevano scavato la sua carne, dandogli un aspetto smagrito e a prima vista severo. Per Aragorn, che conosceva quel volto meglio del proprio, e che aveva visto la morte in molte guise, non appariva né innaturalmente austero né particolarmente pacifico. Era semplicemente morto, come tutti gli uomini quando la passione e il fuoco della vita li abbandonano. Boromir aveva bruciato di un fuoco più caldo e più ardente di molti altri, ed era per questo che, ora, la sua immobilità causava un dolore così insopportabile a coloro che lo guardavano.

In quel silenzio carico di emozione, Aragorn poteva sentire il sibilo e lo schioccare delle torce, e percepiva il dolore di Faramir come una presenza viva tra di loro, un respiro freddo che soffiava timore nell’aria. Il suo dolore era perso nell’oblio dello sfinimento, per il momento domato, ma a un grave costo. Gli era occorsa tutta la notte per farlo, e aveva costretto il suo corpo e il suo spirito quasi al limite della sopportazione, e sapeva che prima o poi il dolore lo avrebbe assalito di nuovo, affondando artigli avvelenati nel suo cuore. Ma non poteva permetterlo ancora, non fino a quando il suo dovere fosse terminato, e il suo amico riposasse nella Casa dei Re, dove un giorno Aragorn lo avrebbe raggiunto.

In quel pensiero risiedeva il suo tormento e la sua speranza. Il dono di Ilúvatar era davvero amaro, eppure almeno era concesso a tutti gli Uomini. Persino ai Re venuti dalla leggenda. Da una parte aveva davanti a sé la sua Regina e il suo regno, che lo chiamavano ai suoi doveri verso la Terra di Mezzo, dall’altra la speranza di ritrovare un caro amico, e Aragorn si sentiva preso e strappato tra queste due strade, insanguinato dall'agonia della perdita e dei lunghi anni.

Ma Aragorn sapeva che i suoi dubbi non potevano durare. Sapeva che presto avrebbe dovuto aprire le porte della sala, sopportare mentre il corpo del suo Sovrintendente veniva portato fuori, e guardare il suo viaggio senza ritorno verso la Casa dei Re. Poi avrebbe dovuto riprendere la sua corona e i suoi doveri, nonostante la ferita nel suo cuore e il posto vuoto alla sua destra, e nessuno avrebbe mai immaginato quanto vicino Aragorn fosse stato a scegliere l’altra strada, mentre sedeva in solitudine piangendo nell’oscurità. Ma anche questo era il fardello di un Re.

Rivestendosi della sua regalità come di un mantello, Aragorn si raddrizzò e sollevò il mento. Non portava ornamenti tranne una stella sulla fronte legata con un filo d’argento, la stessa che aveva indossato alla sua incoronazione, sui campi di Pelennor, eppure sembrava che la corona alata di Eärnur scintillasse sulla sua fronte. Rivolgendosi all’uomo accanto a lui, disse piano,

"E’il momento. Chiama la Guardia e fa’venire i Mezzuomini”.

Uscirono dalla fresca penombra dell’anticamera nel sole brillante di una mattina d’autunno. Eppure ad Aragorn parve che la città fosse ricoperta da un manto di neve. Drappi bianchi erano appesi a ogni finestra e balconata, ondeggiavano sui tetti dei palazzi, legati alle aste, e il bianco adornava gli abiti di ogni creatura che affollava le strade della silenziosa città in lutto. Fiori, bandiere, nastri e tessuti legati o intrecciati. Dalle finestre superiori della Cittadella sventolavano bianchi stendardi di seta, ammantando la pietra di bianco scintillante. La Guardia della Torre, rispendente nella livrea nera e argento, portava strisce bianche di traverso sul petto, che coprivano l’emblema dell’Albero e delle Stelle, in ricordo della leggendaria cavalcata del loro capitano fuori dai Cancelli. Persino l’Albero Bianco aveva deciso di onorare il figlio di Gondor. Sebbene il tempo della fioritura fosse ormai passato, durante la notte un grande bocciolo si era aperto, mostrando su un ramo basso, proprio a portata di mano, il suo dono profumato.

Aragorn entrò nel Cortile, e sotto gli occhi di tutti si avvicinò all’Albero. Dietro di lui, quattro uomini della Guardia portavano la lettiga, fermandosi al limite dello spazio verde. Ai lati della portantina stavano due piccole figure, che avrebbero potuto essere scambiate per bambini tra gli alti Uomini del Sud, se la loro fama non li avesse preceduti e il loro portamento non li annunciasse come Principi della loro razza. Merry e Pipino avevano raggiunto la città appena una settimana prima, inattesi, in tempo per dire addio al loro amico prima che scivolasse oltre la portata delle loro voci. Merry aveva vegliato con Aragorn durante gli ultimi giorni della malattia di Boromir e aveva posato un bacio di addio sulla sua fronte quando era morto. Ora gli hobbit stavano accanto a lui insieme ad Aragorn, all'ombra dell'Albero in fiore.

Inchinandosi davanti all’Albero in segno di rispetto, Aragorn ne spiccò il fiore. Voltandosi verso il punto dove giaceva l’amico, si portò il fiore alle labbra e vi depose un bacio, mormorando alcune parole in elfico, poi lo posò delicatamente sul petto di Boromir, sopra il simbolo ricamato del Corno di Gondor. Accanto a lui, Merry singhiozzò senza vergogna, e quel suono fu alle orecchie di Aragorn più straziante e bello di tutti i discorsi dei saggi. Posò una mano sulla testa di Merry, come aveva visto fare a Boromir così tante volte, e si rivolse alla folla silente.

"Sono prostrato dal dolore, e non ho animo per i discorsi". La sua voce, sebbene bassa e resa ruvida dal pianto, risuonava chiara nel Cortile e sembrava quasi echeggiare nelle strade sottostanti. “Questo dovrebbe essere il momento per solenni parole, ma non so che cosa dire. La mia perdita non posso esprimerla. La vostra perdita, che affligge tutta Gondor e tutta la razza degli Uomini, la conoscete bene quanto me. Boromir è morto”.

Aragorn dovette fermarsi per riguadagnare la voce che gli si spegneva in gola. Poi proseguì. “La linea dei Sovrintendenti è giunta al termine. La Casa dei Sovrintendenti a Rath Dínen è in rovina, e mai più sarà ricostruita. E Boromir, figlio di Denethor, ultimo Sovrintendente di Gondor, riposerà per sempre a fianco di Elessar nella Casa dei Re."

Un leggero mormorio di sorpresa attraversò la folla, e Aragorn sollevò una mano per zittirlo. I suoi occhi percorsero i visi che lo circondavano, vedendo il loro dolore misto a curiosità, soffermandosi sui volti che conosceva, che amava, che commiserava. Ma più a lungo di tutti, gli occhi del Re si soffermarono su una piccola figura quieta un po’in disparte, vestita interamente di nero, poco distante da Faramir ed Éowyn, che stava con lo sguardo abbassato, attorniata dai suoi tre figli. I suoi abiti erano sobri e non portava ornamenti, salvo una gemma bianca al collo. Un fazzoletto copriva la sua testa abbassata, nascondendo gran parte del suo viso. Aragorn conosceva molto bene quel viso, e per un attimo fu grato che lei non incrociasse il suo sguardo. Non avrebbe sopportato di vedere il dolore nei suoi occhi, mentre il suo era ancora così vivo e terribile.

Il suo sguardo si spostò da Gil al giovane in piedi al suo fianco, e il suo cuore si strinse per il dolore e il rimpianto. Così somigliante al padre nel viso e nel portamento, così simile a lui nel carattere, che spesso, quando lo guardava, ad Aragorn sembrava di vedere la giovinezza di Boromir replicarsi davanti ai suoi occhi. Un giovane guerriero appena entrato nella virilità, con la luce della speranza e del valore che ardeva nei suoi occhi, splendente come il sole che scintillava sull’Anduin. Caladmir. Gioiello di luce. Il gioiello di Boromir, il dono che egli lasciava a Gondor e al suo Re in quest’ora oscura.

Fu a Caladmir, alle sue sorelle e alla madre che soffriva in silenzio, che Aragorn parlò, ma le sue parole commossero ogni creatura che le udì.

"Un Re deve portare molti fardelli. Alcuni sono facili da sopportare, altri spezzerebbero la volontà di un uomo non sostenuto dall’onore e dal senso del dovere. Boromir questo lo sapeva bene, perché per amore del suo Re, ha sofferto per le mie scelte come nessun altro. Ma lo ha fatto volontariamente, perché mi amava. E io amavo lui, lo amerò sempre, anche se dovesse giacere cent’anni nella morte senza di me. Spesso sono stato costretto a scegliere tra il bene di Gondor e il suo, e ogni volta, egli ha accettato che i doveri di un re vengono prima di tutto. Che Gondor viene prima di tutto. Perché anch’egli considerava Gondor più preziosa di ogni legame di sangue o di amicizia.

"E per questo, poiché egli ha condiviso i miei dolori e sofferto per me, è mio dovere continuare dove Boromir ha iniziato, per Gondor. Udite ora i giuramenti del vostro Re, pronunciati in onore di Boromir.

"La sua famiglia avrà sempre posto nel mio cuore, e sarà sotto la mia protezione finché vivrò, onorata per i propri meriti e per quelli di Boromir. Faranno delle loro vite ciò che più piacerà loro, e, sebbene come Re non possa dar loro benefici ereditari, come amico farò per loro tutto ciò che è in mio potere.

"Il suo titolo di principe ritornerà alla Corona di Gondor, fino al momento in cui troverò un altro degno di portarlo. Faramir rimarrà principe di Ithilien e Capitano-Generale del nostro esercito. I Figli di Faramir e i figli dei suoi figli reggeranno l’Ithilien in nome del Re, come nostri amati e stimati consiglieri, fino a che durerà la loro stirpe.

"Per quanto riguarda la Sovrintendenza..." Di nuovo un mormorio percorse il Cortile, ma stavolta si spense spontaneamente. Aragorn si mosse dalla sua posizione dietro il feretro e tese la mano verso Faramir, che stava in piedi, con Éowyn e Elboron al suo fianco. Faramir si avvicinò, portando lo scettro bianco del Sovrintendente nelle sue mani. Si inchinò rapidamente a Aragorn, porgendogli lo scettro sui palmi aperti. Aragorn lo prese, sollevandolo sulla testa, così che tutti coloro che erano radunati nel Cortile e sulle mura potessero vederlo, bianco e scintillante nella luce del sole.

Poi gridò, con voce forte e ruvida per le lacrime, “Una volta, in un’ora oscura e disperata, mentre giacevo sui campi di Rohan aspettando la morte, feci un voto. Giurai che Boromir sarebbe stato il mio Sovrintendente, o nessun altro. Giurai che ci sarebbe stato un solo Sovrintendente a Gondor, fino a che io sarei stato Re. Ascoltate le mie parole, popolo di Minas Tirith, e siate testimoni del mio giuramento! Boromir, figlio di Denethor, il migliore degli amici e il più coraggioso dei guerrieri, fratello nel mio cuore anche se non nel sangue, è il mio Sovrintendente oggi e per tutti i giorni del mio regno!”

A queste parole, un chiaro squillo di tromba echeggiò sulle mura. Lo stendardo bianco che ondeggiava sulla Torre di Echtelion volò a terra, il nastro reciso da un coltello. Poi caddero tutte le grandi bandiere di seta appese alle finestre della torre. E da ogni mano, da ogni casa e da ogni muro, le persone lasciarono cadere i pegni che portavano, in una dolce tempesta bianca. La neve che aveva ammantato le mura di Minas Tirith ora giaceva ai suoi piedi, e ogni voce nella città si innalzò nell’antico canto di lutto per l'ultimo Sovrintendente di Gondor.

Durante il canto funebre, Aragorn abbassò lo scettro, posandolo delicatamente sul corpo di Boromir, come la spada di un eroe. Merry lo aiutò a chiudere le mani di Boromir su di esso, anche se poteva a stento vedere per le lacrime. Poi Aragorn si chinò, posando un bacio sulla fronte fredda.

“Addio, fratello”, mormorò. “Possa il dono di Ilúvatar portarti finalmente la luce”.

Fine.

*** *** ***

Qualche nota dell’autrice sull’Epilogo...

L’anno 30 della Quarta era cade 32 anni dopo la distruzione dell'Anello. Boromir ha 73 anni, Aragorn 120, Faramir 68. Aragorn vivrà ancora 90 anni, e Faramir 52. Imrahil, che ha 95 anni, morirà circa tre o quattro anni dopo (la data esatta non si conosce).

Elboron è il nome dato da Tolkien al figlio di Faramir.

I nomi dei figli di Boromir sono naturalmente inventati. Il maschio si chiama Caladmir, che significa “gioiello di luce". Le femmine si chiamano Estellas e Merilin. Estellas, la maggiore, è stata chiamata così in onore di Aragorn/Estel. Merilin è la parola Sindarin che significa usignolo.

So che molti di voi mi staranno gridando (metaforicamente parlando) che vogliono sapere come è accaduto che Boromir ha avuto tre figli, come è morto, che cosa è accaduto negli anni tra la partenza di Merry e la sua morte… Beh, ve lo dirò... col tempo, come al solito!

(Nota di Bea: il seguito a “Il Capitano e il Re” è in lavorazione, vi tradurrò anche quello, tranquilli!)

  
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