Serie TV > The Mentalist
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Autore: allanon9    27/02/2010    4 recensioni
E' il compleanno della figlia morta di Jane ed è davvero una brutta giornata per lui. Spoiler per la seconda stagione.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Autore: Allanon9
Spoilers:
Qualcuno per la seconda stagione.
Pairing: Jisbon.
Rating: Leggermente
angst.
Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction non mi appartengono, ho solo preso liberamente spunto dalla serie "The Mentalist" di proprietà della CBS.

 

A bad day.

 

Teresa Lisbon camminò nervosamente verso il bullpen dove sperava di trovare Jane.

“Rigsby, sai dove diavolo si sia cacciato Jane?” chiese al giovane seduto alla sua scrivania.

“E’ andato via un quarto d’ora fa capo, ha detto che doveva sbrigare una faccenda.” Le rispose Wayne mettendo via le carte che aveva appena finito di compilare.

“Oh! Ok.”

Teresa tornò nel suo ufficio interdetta. Aveva bisogno di parlare col suo consulente su una questione inerente il caso che stavano trattando e il non trovarlo al suo solito posto, disteso sul divano, la innervosiva.

Si sedette alla scrivania pensando al comportamento tenuto quel giorno da Jane.

Per tutta la mattina era stato irrequieto, almeno più di quanto lo era di solito, nel pomeriggio aveva dato noia a tutti con le sue frecciatine antipatiche e per finire si era preso un pugno in un occhio da un congiunto della vittima offeso da una sua domanda particolarmente cattiva.

A volte non riusciva proprio a gestirlo anzi non ci era mai riuscita davvero, Jane era una mina vagante e si era vista costretta, per l’ennesima volta, a fargli una lunga e piuttosto severa ramanzina. Forse l’aveva offeso un po’ dandogli del bambino immaturo anche se, di solito, le sue parole scivolavano come l’acqua sulle sue spalle, ma non stasera. Era andato via dal suo ufficio con lo sguardo ferito e i denti stretti.

“Accidenti  a te Jane!” esclamò a voce alta e, con un sospiro, compose il suo numero col cellulare.

“Pronto.” Rispose la voce un po’ roca dell’uomo.

“Jane, dove sei? Ho bisogno di parlarti subito.”

“Lisbon, sono a casa ma…” cominciò lui.

“Allora arrivo subito.” Disse lei riagganciando senza lasciargli il tempo di replicare.

Uscì dall’ufficio ed incrociò Cho.

“Ehi, ho rintacciato Jane e sto andando a casa sua, ci vediamo domani.”

“Ehm…capo, io te lo sconsiglio.” Disse Cho con la sua solita calma serafica.

“Cosa mi sconsigli?” chiese lei fermandosi sorpresa.

“Non è una buona idea che tu vada a casa sua perché oggi non è un gran giorno per lui.” Continuò il suo sottoposto ermeticamente.

“Insomma Cho spiegati, non capisco cosa stai dicendo.” Si spazientì Teresa.

Lui rimase silenzioso a pensare se parlare o no, poi si risolse per il sì.

“Ok, te lo dico. Oggi è il compleanno di sua figlia, me l’ha confidato ieri sera prima di andare via facendomi promettere di non dirlo a nessuno.”

Quelle parole spedirono il cuore di Teresa dritto dritto sotto la suola delle sue scarpe; una profonda tristezza le strinse la gola, era senza parole.

Ecco spiegato l’umore di oggi di Jane. Ma perché non si era preso un giorno di ferie?

La risposta le venne facile: per passarlo con chi?

“Accidenti Cho, perché non me l’hai detto prima?” sussurrò nervosamente.

“Te l’ho detto, mi ha fatto giurare che non né avrei parlato a nessuno.” Rispose Cho alzando le spalle.

“Poi ho sentito la vostra discussione poco fa ed ho deciso di parlartene. Sei stata molto dura stavolta Lisbon.” Finì di dire lui allontanandosi.

“Cho, se tu mi avessi informata prima, non credi che sarei stata meno dura con lui? Si è anche preso un pugno dal fratello della vittima!” esclamò lei arrabbiata più con se stessa che col suo collega.

“Tu sai quanto Jane odi la pietà degli altri, è stato meglio così credimi.”

E si allontanò.

Teresa si morse le labbra ed uscì dal CBI, doveva vederlo immediatamente e provare a rimediare.

 

Intanto Patrick Jane era seduto, ginocchia al petto, sulla spiaggia di fronte casa sua.

Indossava gli stessi abiti della mattina: pantaloni e gilet grigio scuro e camicia blu chiaro, la giacca l’aveva lasciata appesa al pomello della porta di casa, non era nemmeno entrato per posarla.

Nonostante non indossasse nulla di pesante, fosse la fine di febbraio e il vento soffiasse gelido dall’Oceano, scompigliandogli i capelli, Patrick non aveva freddo.

Aveva lo sguardo perso nell’orizzonte buio. Appoggiò il mento sulle ginocchia e pensò a com’era bello il rumore delle onde sulla spiaggia e al potere che aveva di calmare il suo animo tormentato.

Era stata una pessima giornata. Si era comportato veramente male, ne era consapevole, ma a volte non sapeva cos’altro fare per reagire all’angoscia che lo attanagliava.

Si toccò l’occhi sinistro, gli faceva un po’ male, ma tutto era preferibile al silenzio mortale che regnava nella casa alle sue spalle e dentro di lui.

Da sei anni a questa parte quello era uno dei giorni più brutti dell’anno per lui.

La sua piccolina, se fosse stata ancora viva, avrebbe compiuto dodici anni e lui si trovò a chiedersi come sarebbe stata, che tipo di adolescente sarebbe diventata.

Un dolore acuto al cuore gli tolse il respiro e non si accorse della donna che l’aveva raggiunto alle spalle.

“Jane…” la voce di Teresa Lisbon lo fece trasalire.

“Lisbon.” Disse schiarendosi la gola e sbattendo velocemente le palpebre, come svegliandosi da un lungo sonno.

“Mi dispiace per oggi pomeriggio Jane, ma cerca di capire la mia posizione…” cominciò col dire Teresa.

Lui sorrise alzandosi lentamente e pulendosi i pantaloni dalla sabbia che vi si era attaccata.

“Non importa. Come sapevi che ero qui?” Le chiese guardandola con quei suoi incredibili occhi di bambino sperduto.

“Ormai credo di conoscerti un po’ Jane.” Gli rispose Teresa.

Lui allargò il suo sorriso per un attimo, poi tornò serio.

“Cosa volevi dirmi?”

“Niente che non possa aspettare domani a dire il vero.” Confessò lei arrossendo leggermente.

“E allora perché hai fatto tutta questa strada?” continuò lui imperterrito.

Lei fece finta di non aver sentito e disse: “Ma non hai freddo? Io sto gelando.”

“Non è mai troppo freddo quando si ha il gelo dentro, Lisbon.”

La tristezza di quelle parole, pronunciate dalla sua bocca sorridente, la colpì come un pugno nello stomaco.

“Jane…” sussurrò, grata al buio che nascondeva la sua espressione contrita.

“Lascia perdere Lisbon. Dispiace anche a me per oggi, dico sul serio. Ora se non ti dispiace vorrei andare a casa e provare a dormire.”

“No Jane, non devi rimanere solo, non stasera. Vieni con me a bere qualcosa…” Disse lei trattenendolo per il braccio.

“Il buon vecchio Cho!” esclamò Patrick. “Non voglio la tua pietà Lisbon, sto bene tranquilla. Vai a casa.”

E liberatosi gentilmente dalla sua mano, si incamminò su per la spiaggia.

“Jane.” Lo inseguì lei. “Non ti chiudere così, permettimi di aiutarti.”

Lui si fermò sulla soglia di casa.

“Non oggi Lisbon, ma grazie.” E recuperata la giacca entrò nell’edificio.

Teresa rimase ferma davanti alla porta chiusa, il vento freddo che le sferzava il volto.

Bussò alla porta. “Apri Jane, per favore.”

La porta si aprì lentamente e lei entrò nell’ampio atrio.

La prima cosa che notò fu l’assenza di mobilio, niente quadri alle pareti o tappeti sul pavimento di legno lucido, solo un immenso nulla.

Jane la guardò un attimo negli occhi e fece una piccola smorfia leggendo perfettamente i suoi pensieri.

“Visto perché volevo che te ne andassi?”

“Che vuoi dire?” arrossì lei.

“Ah Lisbon, lo sai che riesco a leggerti come un libro aperto…vieni ti offro qualcosa da bere, cosa preferisci?” le domandò facendole strada verso la cucina.

La stanza era enorme e vuota, se si escludevano i fornelli, il lavello e un divano che somigliava molto a quello che c’era nel bullpen al CBI.

“Quello che bevi tu andrà benissimo.” Disse lei sedendosi sul morbido divano.

“Allora preparo del the.”

Mentre metteva il bollitore sul fuoco, le disse: “Non ti piace qui vero?” e si girò a guardarla ancora una volta negli occhi.

Lei arrossì di nuovo.

“E’ una bella casa Jane, ma dove sono i mobili?”

Lui sorrise in quel suo modo particolare che lo faceva assomigliare ad un monello a cui si perdona tutto.

“Li ho buttati non mi servivano più.”

Il fischio della teiera la salvò dal dover replicare qualcosa.

“Latte?” chiese lui.

“No, solo zucchero.” Jane le porse la tazza sfiorandole la mano con le sue dita gelide.

Teresa rabbrividì leggermente.

“Allora cos’è che dovevi dirmi? Dato che sei qui…approfittane.” Le disse sedendosi sul divano accanto a lei e sorseggiando la sua bevanda calda.

Lisbon lo guardò da sopra l’orlo della tazza: i suoi capelli biondi erano scompigliati e più ricci del solito a causa della salsedine contenuta nel vento, le sue guance erano coperte da un velo di barba che cominciava a spuntare e le ombre sotto i suoi occhi azzurro-verdi più profonde, le labbra sembravano più rosse nel pallore del suo viso e la solita espressione canzonatoria era totalmente sparita sostituita da uno sguardo triste e lontano.

Gli occhi verdi di Teresa si soffermarono sull’occhio sinistro ormai livido e, senza rendersene conto, alzò la mano per sfiorarlo leggermente.

“Domani sarà di mille colori.” Sussurrò.

Lui si ritrasse come se avesse preso la scossa.

“Scusa, ti ho fatto male?” chiese lei a disagio.

“Uhm…Allora?”

Lei sospirò. “C’è una cosa che non mi convinta nella deposizione dell’amico della vittima…”

Lui si alzò per posare la sua tazza nel lavello e lei seguì i suoi movimenti, incapace di distogliere lo sguardo dalla sua figura snella ma nello stesso tempo atletica.

“Ho capito cosa vuoi dire Lisbon. Credo che sia lui l’assassino, domani lo smaschererò non preoccuparti.” Le disse rimanendo con le spalle girate al lavandino.

Lei non si mosse, era silenziosa.

“Lisbon…” sussurrò lui incrociando le braccia.

“Jane una volta mi hai detto che potevo fidarmi completamente di te. Beh, anche tu puoi fidarti di me.” Si alzò a sua volta.

“Lo so Lisbon è solo che…Va tutto bene, davvero. Ora vai pure. Mi farò una doccia, prenderò qualcosa per dormire e domani sarò come nuovo, vedrai.” La rassicurò sorridendo.

“Vuoi dire che indosserai di nuovo la tua maschera Jane, te l’ho detto che ormai ti conosco.” Gli toccò leggermente il braccio e di nuovo lui sentì come una scossa che lo attraversava tutto, ma non si ritrasse. Rise nervosamente invece.

“Tutti indossiamo una maschera, non è così Santa Teresa?”

Lei sospirò sconfitta.

“Ok Jane, a domani allora.”

“Grazie.” Disse lui accompagnandola alla porta.

“Di niente.” E uscì nel freddo della sera.

 

Lui appoggiò la fronte sulla porta chiusa e chiuse gli occhi.

Come sarebbe stato facile lasciarsi andare ed abbracciare Lisbon cercando quel calore e quel conforto del quale, disperatamente, sentiva di aver bisogno.

Sarebbe stato bello lasciare libero il suo lato passionale che lo spingeva, inesorabile, verso la sua collega.

Ma non era giusto. Il suo istinto gli diceva che, finché Red John era libero e vivo niente poteva essere normale per lui, l’avrebbe messa in pericolo come aveva fatto con sua moglie e sua figlia e con Bosco e il suo team.

Il pensiero lo fece tremare dentro.

Si riscosse e, salito di sopra, andò a farsi la doccia, indossò il pigiama azzurro e, ingoiate due pillole di sonnifero con dell’acqua, entrò nella sua spoglia stanza da letto. Si coricò sul materasso posto sotto la faccia sorridente e rossa del sangue di sua moglie e di sua figlia, disegnata sul muro.

Mormorò  buonanotte alle ombre che lo circondavano stendendosi sul fianco e coprendosi con la coperta fino al mento.

Il sonno venne lentamente, nonostante i sonniferi e Jane lo accolse con sollievo sapendo che sarebbe stato senza incubi.


Lisbon rimase per un po’  a guardare la luce al piano di sopra di quell’immensa casa. Quando si spense si avviò verso casa, pensando con tristezza all’uomo che viveva chiuso in quel guscio vuoto. Una morsa serrava il suo cuore e, salendo sul suo Suv, mormorò: “Ti prometto che lo prenderò Jane, fosse l’ultima cosa al mondo che faccio.”

Mise in moto l’auto e se ne andò.

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