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Autore: margotj    28/02/2010    0 recensioni
L'ossigeno è l'elemento chimico più comune della crosta terrestre. Si trova in forma di gas ed è costituito da due atomi O2. Due. È necessario per vivere. Ma un'esposizione prolungata all'ossigeno puro è tossica. E provoca conseguenze.
Genere: Triste, Malinconico, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Greg House, James Wilson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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O2

[HouseMD]



di MargotJ



Spoiler per: quinta stagione di Dr.House. Allusioni varie.

Pairing: House/...

Rating: NC17, Slash, Angst

Timeline: post 5x16. Dopo i titoli di coda.


Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.


Nota dell'autrice: sperimentazione letteraria. Come promesso alla mia miusa, volevo scrivere qualcosa di brutale, per buttare giù un poco di nervosismo. Fa bene essere perversi ogni tanto. Essendo già di questo avviso, mi sono anche divertita a giocare con uno stile un poco diverso dal solito in cui non è mai del tutto chiaro chi stia parlando di chi. Tanto oggi non ho nulla da fare...



L'ossigeno è l'elemento chimico più comune della crosta terrestre.

Si trova in forma di gas ed è costituito da due atomi O2.

Due.

È necessario per vivere.

Ma un'esposizione prolungata all'ossigeno puro è tossica.

E provoca conseguenze.



Nocebo


Da wikipedia: Nocebo è un termine, contrario di placebo, utilizzato per etichettare le reazioni negative o indesiderate che un soggetto manifesta a seguito della somministrazione di un falso farmaco completamente inerte. Le reazioni non sono quindi generate chimicamente ma interamente dovute al pessimismo e alle aspettative negative. Autosuggestione.

Lo aveva trovato in piedi sul gradino di casa con il portafoglio in mano.

Lo aveva guardato pagare la sua 'infermiera' e aveva accettato che gli tenesse aperta la porta.


Come a un vecchio.

Come a uno storpio.


“Non mi chiedi cosa sono venuto a fare?” - lo aveva sfidato Chase, con le mani in tasca, fermo nell'ingresso.

“Sei venuto ad ascoltare il mio respiro.” - aveva risposto House, piegando la testa indietro per slacciarsi la giacca - “Molto romantico.”


Aveva cercato di non pensare al suo sguardo fisso sul movimento rigido del bastone e della sua gamba. Aveva cercato di non sentire come i pensieri di un cervello in fase di snebbiamento stessero nuovamente penetrandogli la mente come aghi.


“Sai, Chase, per una volta potrei accontentarti.”


Sentiva male.


“Vuoi sentire il mio respiro?”


Voleva far male.


“Io conosco alla perfezione il tuo respiro.”


Non riusciva più, dannazione, 'a cercare di non pensare'.

Ma, chiusa la porta, ci aveva provato comunque: aveva cercato di non pensare quanto potesse fargli male nel premerlo contro il muro del corridoio, piantandogli addosso le dita, le unghie, gli occhi. Aveva cercato di non pensare che era così da settimane, mesi, anni e che, a cercare, non c'era ancora nulla degno di tutto questo sforzo.


“Ma che perdita di tempo.” - aveva sussurrato a se stesso, i denti a minacciargli la gola. Altro dolore. Si appoggiò pesantemente a Chase, per restare in piedi. E per schiacciarlo.


Non cercare. Non cercare di. Non pensarci e basta.


“Come sempre.” - aveva replicato il ragazzo nell' afferrargli un labbro tra i denti, con violenza.


Come un lupo.


Sangue. Sangue e alcool.


Un lupo. Un lupo tra i lupi.


***


Sapeva come spogliarlo. Aveva imparato. Le mani si staccavano dai suoi bicipiti il tempo necessario per lasciar cadere i vestiti ma non lui.

Lo afferrava per la cintura e gli bastava una mano per aprire la fibbia e i pantaloni. Con l'altra era un gioco, un gioco di presa e dolore, la sua schiena, la scapola magra tra le dita in un continuo sussulto.

Poi si piegava, le dita strette per posarsele sulla spalla. E si rialzava, le mani a frugargli la vita, il costato.

Premere in certi punti non generava piacere ma bastava a tenerlo in piedi.


E House, Greg, non chiedeva altro.


Mi senti respirare, dottor Chase?” - aveva domandato, sovrastandolo, trionfante, le braccia ai lati della sua testa.

Mi stai assordando.” - aveva risposto, in un ansito, senza controllarsi.


Trucchi, giochi di equilibrio, puro calcolo. Menti scientifiche, corpi avvezzi a gesti precisi, accorgimenti imparati sui testi universitari... e nulla che togliesse il gusto del perverso.


Non è divertente se mi lasci prevaricare...”

Tu prevaricherai comunque, Greg... divertiti...”


Ma era sempre così, con House. Dovevi pensare fino a sentire male ma... che gusto. Che gusto! Sfida, diagnosi, errore, ancora diagnosi. Adrenalina, drenalina, adrenalina.


Perchè sei qui, Chase...”

Dovevi chiedermelo prima di cominciare...”


Oh, si, Chase lo sapeva. Sapeva che certi giorni bastava passargli la cartella di un paziente per sentire il desiderio di chiudersi in un bagno del reparto. E con due giri di chiave.


Prima...”

Si, prima.... molto prima. Ora non ha più importanza.”


Oh, si, Chase non si vergognava. Certi giorni lo aveva persino fatto.

Ma quello era lavoro. E al lavoro fai ciò che puoi, poi vai a casa e dimentichi.

Se riesci. E, se non riesci...


Filosofeggi?” - sorrideva mostrando i denti, come un predatore. E faceva ancora più male - “Adesso?”

Perchè no.” - aveva risposto Chase, inarcandosi, andandogli incontro - “Dopo sarebbe... un clichè...”


Se non riesci ricominci da capo. La sostanza non cambia. Sono ancora muscoli, decisioni, sfida e dolore. E adrenalina.


Tutto è clichè. Basta parlare.” - chiuse gli occhi, mentre il tallone di Chase lo colpiva nuovamente, riempiendolo di dolore. E spinse più forte - “Shhhh...”


Adrenalina, adrenalina, adrenalina.

E l'adrenalina, prima o poi, ti fa scoppiare il cuore.


Sei... un... “ - contrai muscoli, premi. No, non in quel punto, lo farai soffrire - “...bastardo...”

Altro... clichè... Robert...”


House si era piegato, cercandogli la bocca.

Chase aveva voltato la testa, senza guardarlo.


Non un bacio. È placebo, lo sai, non vicodin. Non serve a nulla.


***


Allungò le dita, percorrendo la linea del costato. E, quando giunse al livido, semplicemente si fermò, il dorso della mano sull'enorme curvatura bluastra.

“Geloso di Foreman?” - domandò House, voltandosi a guardarlo. Chase era sdraiato a pancia in giù, una mano sotto il mento, con aria pensierosa. La bocca piena, da ragazzino e perennemente imbronciata, era una doppia linea scura su un viso sempre più magro.

“No. Tempo sprecato.” - replicò. Aveva gli occhi persi verso qualcosa di indefinito - “Ti è piaciuto?”

“Mi sono innamorato perdutamente.” - rispose House, guardandolo con attenzione. Ma Chase non diede l'impressione di badarci particolarmente.

Era cambiato, si era indurito. La leggera alzata di spalle che accompagnava molte risposte denunciava uno spregio che non aveva mai manifestato.


Mai prima di essere licenziato.

Mai prima di essere stato colpito, con un bastone, in una conversazione sopra le righe con il proprio principale.

Mai prima di essere stato estromesso, richiamato, sedotto, tormentato, sottomesso, picchiato.


Si, quella linea dura che univa le labbra rendendole un unico inespugnabile cancello l'aveva creata House. E ne era perfettamente consapevole.


Ora gli occhi di Chase lo stavano fissando. Dritti nei suoi. Ma da quanto?


“Ti manda Wilson?” - domandò , ricambiando l'occhiata. E Chase si raddrizzò, quel tanto che bastava da appoggiare sui gomiti, i capelli biondi già a ricadere sul viso.


Greg avrebbe voluto scostarglieli.


“Credevi che non avrebbe mai scoperto chi ti prescriveva il metadone?” - ritorse, deciso.


Greg avrebbe voluto afferrarli e tirarli, fino a farlo gridare.


“Dimenticavo, non mi servono più i tuoi servigi. Ho smesso. Vicodin forever.”

“Si, l'ho sentito dire. È un bene. Ma lo hai fatto per le motivazioni sbagliate.”


Estromesso, richiamato, sedotto, tormentato, sottomesso, picchiato.

Si facevano le cose peggiori per le motivazioni sbagliate.


“Oh, le tue parole colpiscono il mio cuoricino tormentato. Mi affido a te, angelo della medicina...”

“Io non sono Wilson, House. Non sto cercando di salvarti.”


Vero: Chase non era Wilson. Alla fine non sarebbe rimasto.


“E io non sono Cameron, Robert.” - scandì House, con lentezza - “Non sono la soluzione ai tuoi problemi.”


I miei problemi... Chase si sarebbe voluto fare una risata a riguardo.


“Lo so.” - replicò, alzandosi e sparendo in bagno. Trovare i vestiti fu questione di un attimo. Il suono dell'ultimo bottone allacciato si confuse con lo scatto della porta che si apriva.

Chase, il viso umido e i capelli gettati indietro, lo fissò, nel riflesso dello specchio. In piedi, lo stipite a sostituire il bastone.

Nessuna incertezza per quell'alzarsi dal letto e seguirlo che doveva essergli costato un enorme sforzo.


Cercò di non fissare le pastiglie, in flaconi ordinati sul ripiano. Troppi flaconi.


“Ormai è tardi per chiedermi perchè vengo da te.” - mormorò, guardandolo, senza voltarsi - “Ma questo è il momento giusto per chiedermi se voglio andarmene.”


Non sei la soluzione ai miei problemi.


“E vuoi, Chase? Vuoi andartene?”


Non sei la cura, non sei il sollievo, non sei la spiegazione.


“Sempre. Ma posso aspettare.”


Non sei nulla. Ma mi fai comunque male.


“Domattina. Domattina andrà bene.”


Greg avrebbe voluto fare un passo, uno solo e dannato, fino a Chase.

Ma sapeva di non potere. E di poter dare la colpa alla propria gamba.


“Bene.” - mormorò dunque, voltandosi - “Allora vieni a vegliarmi se ci tieni tanto. Voglio dormire.”


E, se smetterai di sentire il mio respiro, non fare nulla. Non sentire nemmeno la mia mancanza. Per favore.


Placebo


Da wikipedia: per placebo si intende ogni sostanza innocua o qualsiasi terapia o provvedimento che, pur privo di efficacia terapeutica specifica, provochi una serie di reazioni dell'organismo derivanti dalle attese dell'individuo. L'effetto placebo è una conseguenza del fatto che il paziente, specie se favorevolmente condizionato dai benefici di un trattamento precedente, si aspetti o creda che la terapia funzioni. Autosuggestione.

Lo aveva trovato in piedi sul gradino di casa con il portafoglio in mano.

Lo aveva guardato pagare la sua 'infermiera' e aveva accettato che gli tenesse aperta la porta.


“Risparmia le tue gentilezze. Non sono vecchio.” - commentò, passandogli sui piedi - “E nemmeno storpio.”


Si fermò, valutando le proprie parole. E piegò la testa indietro, per guardarlo.


“Ah, si.” - si corresse - “Sono di nuovo uno storpio. Contento?”


Wilson sospirò, lasciando cadere la sciarpa sullo schienale del divano. Si avvicinò, posando le dita della mano destra sulla sua giugulare.

“Attento...” - lo ammonì House sentendo le dita della sinistra scivolargli lungo la nuca - “Così vicino stai invalidando il numero delle le mie pulsazioni...”


L'odore dell'alcool era forte sulle sue labbra. Wilson represse un moto di sconfortato nervosismo.


Su di te le vittorie e le sconfitte hanno lo stesso profumo.


“Se il metadone ti sta aiutando devi continuare a prenderlo.” - replicò, in un soffio. E House lo fissò, indagandolo fin nell'anima.

Quando House ti fissava in quel modo avevi l'impressione che potesse strapparti il male da dentro, come un predicatore propenso ai miracoli. Altre volte, come ora, potevi sentire la tua anima risucchiata fuori dal corpo.

Ma bene... e la tua etica, raggio di sole?”

“La mia etica non conta quanto la felicità di una persona.”


“La mia... felicità...” - sillabava, provocandolo. Ma a Wilson non importava.

“La tua felicità.” - aveva confermato, con lentezza rassicurante.


Si fanno le cose peggiori per le motivazioni giuste.


Gli occhi gli erano divenuti densi, le pupille incredibilmente piccole, in barba a ogni droga assunta.

Dopo, Wilson aveva solo sentito il tuono attutito del bastone sul tappeto.


E lo aveva guardato, in attesa.


“Cosa vuoi fare, Greg.” - aveva domandato, in un misto di tristezza e consapevolezza.


Cosa, che non abbiamo già fatto. Cosa, che non ha mai funzionato.


“Andare a dormire.” - aveva risposto House, movendo un passo. La pressione alla coscia stava divenendo un peso, una roccia che si faceva largo tra i muscoli cedevoli, lacerandoli e cristallizzandoli.


Andare a dormire. Sulle mie gambe. Ancora una volta.


“Sei qui per il mio respiro, no? Vieni a sentirmi russare.” - lo aveva provocato, allargando le braccia.


Dormire, dormire e sognare, perchè no. Sognare cellule che si distruggono, sangue che invade tessuti, elettricità che si spande e poi scompare.

Sognare la vita, sognare la morte.

Smettere di respirare. E sognare per sempre.


Wilson si era semplicemente insinuato, sorreggendolo.


***


Io non posso prescrivertelo. Ma non ho dubbi che Chase lo farà.” - mormorò, slacciandosi la cravatta, posandola ben piegata sul cassettone. Lo intravedeva, in piedi, davanti allo specchio del bagno. E si voltò, quando la vide la sua testa scattare indietro.


Un colpo secco, le pastiglie giù per la gola.


Nient'acqua. Siamo fatti di acqua. Il veleno ne troverà di certo in giro nel mio corpo, tra bourbon e tutto il resto.


House mantenne la testa inarcata chiudendo gli occhi, le dita ben strette al lavandino.

Greg...” - quella voce, alle sue spalle. Era già nudo? Quasi? Possibile che i bottoni slacciati vibrassero in quel modo? O erano i passi?

“Chase?” - domandò, ignorando la preghiera contenuta in una sola parola - “Chase è storia vecchia. La sua parola preferita è no.”


“Non ti ha mai detto no. Dice no agli altri quando si tratta di te.” - replicò, incrociando le braccia e guardandolo. Il continuo zoppicare gli stava rovinando la schiena magra, le anche iniziavano ad essere asimmetriche.


Era splendido.

Ma era ciò che sentiva: un leone ormai vecchio.


“Tu invece... i no li dici di persona.”

“Io non sono Chase.” - io posso sopportare gli intrusi. E i rivali - “Ormai dovresti saperlo.”


Lentamente, House abbassò il capo e aprì gli occhi. Nel riflesso, fissi nei suoi.


Non lo dimentico mai. E nemmeno Chase.


Per questo alla fine se ne è andato. Credo.


***


Aveva avuto tante donne. Tante donne e troppe mogli.

Per questo non ne sapeva molto né di passione né di brutalità.


“Perchè sei qui, Wilson...”

“Perchè sapevo che tu, da me, non saresto venuto...”


Wilson aveva mani perennemente calde e morbide. Sapeva usarle.

Aveva una voce bassa, troppo simile a un respiro per non sembrare un portatore di vita. Sapeva trovare le parole.


“Capisco...”


Veniva spontaneo dirgli grazie. Sempre.


“Capisco, davvero...”

“Non ne dubitavo... ma capire non significa nulla se non salva...”


House si mordeva le labbra e taceva. Non un gemito scambiabile per dolore, non un sussulto che scuotesse le fondamenta del loro equilibrio. Galleggiare nella chimica, sentirlo affondare nel proprio corpo.


“Certo, capisco...” - capisco... l'ho già detto, vero?

“No, Greg.. non è vero... questa è una cosa che non puoi capire...”


Respira, penetra, dimentica il resto.

Tu ed io, il ritmo solenne del pensiero.


“Perchè non vuoi essere felice...”

“Lo sono.”


Respira, inarcati, dimentica il momento.


“Non ora. Per sempre.”

“Non esiste il per sempre... i tessuti si disfano, le cellule si decompongono. E tutto il resto marcisce. Non c'è il per sempre, lo hai studiato sui libri...”


Mantieni gli occhi chiusi. Ti permetterà di dimenticare che sei con me.


“I libri si possono sbagliare...”

“Anche gli uomini.”


Anche gli uomini. Wilson piegò la testa e i capelli gli solleticarono il mento strappandogli il guizzo di una risata.


Gli uomini sbagliano. Sbagliano sempre. E, talvolta, sbagliano insieme.


***


Wilson, sempre al suo fianco, non era se stesso quando arrivavano alla posizione orizzontale. Era ovunque, ma non con lui.


La sola consapevolezza aveva il potere di farlo eccitare. E, subito dopo, di fargli desiderare ancora droga, alcool, prostitute.


Sei qui per me, da me... ma non con me.


“Povero James, che fa l'amore con se stesso. “ - sospirò, tormentandogli un piede e assestandosi un cuscino dietro la testa.

“Dici?” - ribattè Wilson, alzando una mano e afferrandosi alla spalliera del letto. Intrecciati, affiancati, la gamba di House sotto le sue dita in un leggero e non richiesto massaggio. Piegò la testa, interrogativo - “E' questo che senti?”

“E' questo che comunichi.” - lo corresse, guardandolo. Che clichè, le parole per pagare il sesso - “Sei perso nel tuo senso di amore, nella consapevolezza del giusto e dello sbagliato inevitabile. Sei con te stesso e con la tua bilancia delle azioni... è lei che ti piace far eccitare...”


Alzò le mani, in un leggero tremito. Leggero? Wilson strinse gli occhi.

Non fingi, non mi sbeffeggi. Tremano davvero.


“Posso toccarle i piatti, miss? E il bilanciere... mi permetterebbe di tormentarle il bilanciere? Sono qui apposta...”

“Sei davvero impossibile.”

“Mi piace di più quando mi chiami stronzo. Più appropriato. L'impossibile non esiste.”


L'impossibile non esiste. E non prova dolore.


“Forse pensi. E, se pensi, addirittura ad Amber.”


Wilson non rispose. Abbassò gli occhi, la mano a correre lungo la pelle, la cicatrice in rilievo, indurita come cuoio.


“Non mi piace nominarla quando...” - esordì e si interruppe. Quando cosa?


C'era lei, non c'eri tu.


L'unica per cui avrei rinunciato a te.

L'unica per cui l'ho fatto.


“Quando cosa? Quando tradisci la sua memoria con me?”


Non infierire. Hai trovato il modo di portarmela via, non parliamone più.


“Non lo fare, House. Non fare quello che stai facendo.”


E, quando sono con te, la tradisco. Credo.


“Tu credi?”

“Ho parlato? Credevo di aver solo pensato...”


E, quando sono con te...


“Ah, povero James, che parla solo con se stesso...”

“Non penso ad Amber quando sono con te.” - replicò, piano - “Ma mi sono domandato spesso quanto lei pensasse a te, mentre era con me. Io lo facevo.”


Nessuna risposta. Nessuna sorpresa. Wilson, percorrendo il letto, le mani aperte sulle lenzuola, si piegò su di lui, cercandogli la bocca.

House aprì la propria senza discutere. E chiuse gli occhi.


Io pensavo a te, con lei. Nocebo, dicono i libri che sbagliano.

Non dovresti farmi nulla eppure mi fai male.


“Resterai stanotte?” - domandò, guardandolo, mentre le sue labbra si allontanavano. Sapeva essere curioso nel porre le domande. Ma non sapeva pregare.


“Vengo sempre con l'intenzione di restare.” - rispose, sdraiandosi al suo fianco e afferrando una coperta, per entrambi.


Non mi illudo. Non sei la soluzione ai miei problemi.

Non sei la cura, non sei il sollievo, non sei la spiegazione.


“Buonanotte, allora.” - soffiò, nel buio, senza toccarlo.


Buonanotte, Jimmy.


Non sei nulla. Ma mi fai comunque sentir bene.

E il tuo respiro... sento sempre il tuo respiro. Non privarmene. Per favore.


(08 marzo 2009)


  
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