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Autore: michiyo1age    28/02/2010    4 recensioni
Temari è una giovane promessa sposa del periodo Edo appartenente ad una ricca famiglia. Quando si sposa comincia a scrivere le memorie dei primi anni del suo matrimonio:"Matrimonio per procura, ecco come sono finita qui dentro. Mia madre, quando ero piccola, mi ripeteva sempre che il matrimonio è questione di fortuna e io in alcuni momenti pensai di essere nata sotto una cattiva stella."
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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capitolo 1


Matrimonio per procura, ecco come sono finita qui dentro.

Mia madre, quando ero piccola, mi ripeteva sempre che il matrimonio è questione di fortuna e io in alcuni momenti pensai di essere nata sotto una cattiva stella.

Primogenita di un potente signore del sud del Giappone e per giunta unica figlia femmina, non ero una grande minaccia per il patrimonio del mio onorevole padre che ebbe la gioia di altri due figli maschi per salvaguardare le sue terre e le sue rendite.

Appena venni a conoscenza di questo meccanismo risi, anche per mesi: come poteva l'onorevole padre fare questi calcoli se anche lui, come tutti, avrebbe dovuto lasciare tutto a Kankuro e morire? Insomma dopo essere morto non si portava mica tutto nella tomba, no?

Forse per quei gridolini incontrollati per quel buon umore offensivo verso la tradizione ero stata punita in quel modo.

Mia madre morì dando alla luce Gaara e in seguito il mio onorevole padre, lungi dall'essere triste per la morte di una moglie troppo mite per il suo carattere ombroso ci lasciò in balia della servitù. Almeno di questo gliene devo rendere grazie, se non fosse stato per il suo totale disinteresse verso la sua prole, io, Kankuro e Gaara saremmo degli estranei l'uno verso gli altro, chiamandoci “nobile sorella”, “rispettabile fratello” o appellativi del genere che, posso giurare, poco si conformano con noi.

Sono poco più giovani di me, i miei fratelli, ma in ogni caso mi sono sempre sentita più come una madre che come una sorella maggiore. L'ironia della sorte che sempre mi accompagna mi fa notare di come io, che contavo più di tutti e due, ora nella casa di mio marito non conto un bel niente. Kankuro sempre agitato e manesco avevo avuto qualche problemino proprio nei primi anni di gioventù, protagonista di innumerevoli scazzottate, aveva fatto preoccupare tanto l'onorevole padre quanto me. Alla fine si era calmato proprio alla morte del nostro unico genitore, ormai divenuto possidente dei territori di Suna che avrebbe ceduto volentieri al nostro fratello minore se non fosse stato un ragazzo così lontano dal mondo terreno.

Forse il primo trauma di Gaara era stata la morte della mamma, che aveva lasciato un vuoto dentro di lui, ma vi assicuro che da bambino era il più dolce e tenero fratellino che si possa desiderare, curioso come non mai, sempre pronto a interrogare giovane o vecchio che fosse sulle mille cose che catturavano la sua attenzione. Dopo l'onorevole padre aveva notato durante la cerimonia del tè a cui presenziavamo tutte le settimane che Gaara era diventato un ragazzino davvero bello e con delle movenze affascinanti che catturavano il suo prossimo. Gli occhi da macellaio del mio onorevole padre puntarono subito con cupidigia la sua carne fresca per ricavare ottimi agganci diplomatici con le terre confinanti.

Se l'era portato in giro, il povero Gaara che per nulla al mondo aveva desiderato di trovarsi una compagna, infatti molto spesso rinchiuso nel suo silenzio mi era parso di cogliere un'aura intorno a lui. Poco tempo dopo con nostro grande sgomento, io e Kankuro, apprendemmo che il suo più grande sogno era quella di divenire un monaco buddista per poter vivere in santa pace.

Il nostro onorevole padre si sarebbe naturalmente opposto al suo disegno, ma fortunatamente questa fuggente figura paterna si spense poco prima di rinchiuderlo in un matrimonio combinato da cui non sarebbe riuscito a fuggire.

Ero così felice e allo stesso tempo terribilmente afflitta per la malattia dell'onorevole padre proprio per l'alternanza di questi due sentimenti contrastanti. Come poteva una figlia gioirsi della morte prossima del proprio genitore?

I miei fratelli, ne ero sicura mi avrebbero lasciato vivere con loro per sempre invece di destinarmi a qualche estraneo, visto anche che, a ventuno anni, avevo raggiunto quasi l'età della zitellaggine e nostro padre non si era mosso prima in tal senso. Molto spesso pensavo che non trovasse l'acquirente giusto a cui vendermi, ma dopo fui costretta dal proseguo degli eventi a capire che forse si era proprio dimenticato di me.

Infatti fu troppo semplice per lui trovarmi marito quando ormai non gli rimaneva più molto da vivere. Era straordinario vedere quel moribondo contorcere il viso gialliccio in un orribile sorriso sintomo di un'euforia immensa. Non posso immaginare chi non sarebbe stato felice di vedere la propria figlia maritata con una delle più grandi famiglie di Edo, molto vicina sia allo shogunato che all'imperatore, per di più avevano generato solo un figlio così da non dover preoccuparsi di altro.

E fu così che incontrai mio marito il giorno del nostro matrimonio. Con me avevo una ricca dote fatta di kimono di seta dipinta dai più abili artisti del paese, sotto-kimono di ugual pregio e i geta che erano appartenuti a mia madre. Nella mia nuova vita portavo con me alcune scatole di latta che mi erano care, contenenti i mie oggetti preferiti della nostra bella villa e numerosi fogli e inchiostro di cui, su raccomandazione dei miei fratelli, avrei dovuto servirmene spesso.

Non recavo con me alcun ornamento salvo un pettine di fattura notevole donatomi dal mio fidanzato per mezzo di terzi, assieme ad un piccolo rotolo che mi informava che quel monile apparteneva alla sua famiglia da cinque generazioni. Ne fui affascinata e pensai che cercassero di giocarmi in quel modo lo stesso scherzo che fu fatto ad Amaterasu molto molto tempo addietro.

In ogni caso lo infilai fra i miei capelli tra le rassicurazioni di Gaara sul mio futuro sposo. L'aveva incontrato nelle sue peregrinazioni a fianco di nostro padre e lo riteneva un ragazzo tranquillo, taciturno e anche quando apriva la bocca, di poche parole. Con queste flebili rassicurazione mi addentrai verso l'ignoto, timorosa di tutto, ma di sicura di ogni cosa: nessun poteva scalfire il mio carattere di ferro.

Entrai nella sala dove si sarebbe svolta la cerimonia e vidi nel kimono nero da cerimonia il mio fidanzato: un ragazzo davvero, aveva due anni in meno di me, alto, smilzo con il codino da samurai composto da spessi capelli corvini, gli occhi anch'essi neri come la pece si piegavano verso il basso conferendo al mio futuro padrone un sguardo perennemente annoiato e seccato. Il viso già molto lungo di suo veniva reso un ovale perfetto dall'attaccatura dei capelli decisamente alta. Le sopracciglia costituivano due righe staccate dagli occhi che si accordavano con quella strana curva rivolta verso il pavimento, ovvero la sua bocca.

Fui sospinta da mio padre, che ormai arrancava con un bastone, verso di lui tutt'altro felice di vedermi. Ero certa di averlo visto persino sbuffare cosa che non mi aiutava di certo in quel giorno orribile. Gli lancia un'occhiata di puro astio che fu a malapena ricambiata da una annebbiata.

I parenti ci fecero accostare l'uno all'altro.

-Guardate quanto sono innamorati- esclamò mio padre ebbro di gioia contemplando forse l'immagine fittizia che si era costruito o forse molto più probabilmente le immense proprietà e influenza del Clan Nara.

La mia espressione doveva essere fortemente scettica poiché la vidi rispecchiata sul viso di mio fratello e Kankuro mi mimò l'ordine di comportarmi come si conveniva. Quindi abbassai gli occhi in gesto di timore e sottomissione e semplicemente mi sposai.

Durante il ricevimento che seguì non parlai con nessuno, men che meno con mio marito che scambiava poche parole con amici o parenti. Fui presentata alla signora Nara che mi parve una donna piuttosto severa e acida, ma la stimai immediatamente: lei aveva avuto fortuna nel matrimonio lo si vedeva a colpo d'occhio. Non avevo mai visto una donna tenere così in pugno il marito che seguiva pigramente gli ordini e subiva apaticaìo le sferzate della moglie.

Data la rassomiglianza anche fisica tra padre e figlio sperai nel mio intimo di essere altrettanto fortunata.

Era evidente che non lo sarei stata.

Scoprii ben presto che Shikamaru Nara aveva un carattere forte inossidabile e poco flessibile. Le deboli speranze che mi ero creata furono abbattute la sera stessa del nostro matrimonio.

Naturalmente tutti mi avevano parlato dei mie dovere coniugali, ma nessun mi aveva spiegato in che cosa consistessero. Fu atroce per me quando quell'atono ragazzo cominciò a sciogliermi il laccio, l'obi, la cintura fino a sfilarmi l'uchiake, il kimono il sotto-kimono e le due sottovesti e infine le calze che con un moto di vergogna cercai di tenere. Tremavo come una foglia e volevo fuggire lontano, dai miei fratelli magari, ma mi vergognavo li nuda come un verme e debole, debole, debole.

-Ti chiami Temari, giusto?- si assicurò dubbioso il mio assalitore.

Annuii appena cercando di capire cosa volesse da me ora che non avevo più nulla. Penso che se lo avessi saputo avrei chiuso le gambe fino a fonderle l'uno con l'altra, ma invece lo fissai inebetita mentre si spogliava delle pesanti vesti e sbuffando mi lanciava occhiate a tratti quasi interessate alla mia vista, a tratti irritate.

Appena ebbe concluso con la svestizione chiuse il fusuma alla sue spalle dove vi era acceso il lume così da far rimanere in quella stanza degli orrori solamente un pallida ombra che delineava a malapena i nostri corpi. Si avvicinò piano e con un movimento esitante fece una leggere pressione sulle mie gambe bianche come il latte. Come ho già detto non sapevo a che cosa andassi incontro e intimorita lo lascia fare.

Fu l'esperienza più orribile e terribile di tutta la mia vita.

Quando si fu staccato da me lo vidi appoggiarsi placidamente al fuuton e addormentarsi poco dopo dandomi le spalle. Non capii mai se fosse una sua abitudine oppure un riflesso condizionato. Durante l'atto non mi aveva mai guardato e sinceramente neanch'io mi sarei data una solo occhiata dovevo fare paura con gli occhi sbarrati e le lacrime agli occhi.

Io quella notte non mi addormentai.

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Buon giorno!

E dopo secoli di silenzio eccomi qua pronta con una nuova fic naturalmente shikaxtema, il nero non va mai dimenticato. Questa fic è del genere fic-storiche e lo ambientata nel periodo Tokugawa più o meno correttamente ovvero ho fatto tutte le ricerche possibili, ma non sono immune dai anacronismi storici.

Spero che vi piaccia in ogni caso recensite presto e ditemi, per favore, se il capitolo è troppo lungo in modo tale che i prossimi possano essere più brevi e che possa dimezzare anche questo.

Alla prossima settimana

   
 
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