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Autore: Anthy    28/02/2010    5 recensioni
Ebbrezza... Può essere provocata da tante cose: dalla velocità che scompiglia i capelli; dal vino, che dolcemente scende giù per la gola.
Dalla caccia.
Ma chi è la vera preda? Un felino delle montagne... o la vampira di cui Edward è innamorato?
O, semplicemente, lui stesso?
[Rivisitazione di parte del Capitolo 21 "La prima caccia", in Breaking Dawn. Edward Pov]
Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fruits'
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Grape - Ebbrezza
Grapes-
Ebbrezza







“ « Mmm», disse Edward.
Alzai lo sguardo e lo vidi,
appoggiato comodamente
contro il tronco di un albero,
mentre mi osservava pensieroso.”

Breaking Dawn, Capitolo 21 – Prima Caccia



Il puma, ruggendo, menò un fendente nell’aria.
Ma lei non s’impressionò. Maestosa ed elegante, quasi senza peso, stava sospesa sul ramo, osservando quella che era la sua preda.
Mi appoggiai ad un tronco là vicino, i miei occhi concentrati sulla figura di mia moglie.
Sembrava così... delicata, nonostante le labbra arricciate in un sordo ringhio.
Sentivo la paura della belva, percepivo il suo sangue venir pompato velocemente al cuore, mentre inquieta si muoveva avanti ed indietro.
I felini come loro non scappavano, neppure di fronte a cacciatori sicuramente più forti di loro; no, combattevano e perivano nel difendere il loro territorio.
Così fu.
Aggraziata ma decisa, la mia Bella balzò giù dall’albero.
Verso il puma.
Puma che era già pronto ad artigliare il nemico.
Sentii l’adrenalina invadermi i muscoli; il bisogno di muovermi, di scattare per proteggerla si fece impellente. Strinsi i pugni e mi irrigidii, come una statua.
Ed osservai.
Gli artigli colpirono; soffocai nella gola un ringhio rabbioso nello stesso istante. Ma, ovviamente, il colpo non scalfì minimamente la pelle adamantina della mia compagna. Altrettanta fortuna non ebbe il suo vestito.
Senza battere ciglio, Bella aveva già scansato la zampa dell’animale, che si dimenava impazzito nella sua presa. Paura primordiale lo scuoteva.
Non dovette faticare a lungo, Isabella. Riuscì a portare il volto sotto la gola del felino... e morse.
Trattenni il respiro,  mentre l’odore di sangue si diffuse in aria. Il veleno si accumulò naturalmente nella mia bocca, nel sentirlo; la mia lingua passò automaticamente fra le labbra, ricercando – o ricordando – quel sapore, più volte assaporato nel corso della mia non vita.
Fissai mia moglie: i lunghi capelli castani ricadevano selvaggi sulla schiena; lembi di pelle erano visibili laddove il vestito era stato strappato.
Le sue braccia avvolgevano il felino, gocce di sangue cadevano formando una pozza ai suoi piedi. E lei continuava a nutrirsi, con bramosia. Vedevo il profilo del suo volto, mentre suggeva con forza dal puma: gli occhi chiusi, le labbra spalancate, la fronte rilassata.
Il mio sguardo scese, lungo la curva del seno, che si intravedeva grazie ad uno squarcio che coinvolgeva tutto il suo fianco.
Le gambe erano nude, le cosce tornite si mostravano ai miei occhi in tutto il loro bianco candore.
Così bella, così perfetta, così mia.
Ancora, strinsi maggiormente i pugni, costringendomi a non saltarle addosso, a fissarla da lontano, mentre consumava il suo primo spuntino. Ma il piacere che mi scaldava il petto nel saperla al mio fianco, nel saperla eternamente mia, era difficile da scacciare. L’avevo strappata dalla mortalità, l’avevo colta dai suoi simili per renderla come me. Ero stato egoista.
Ma l’amavo. Dio, se l’amavo.
Ed ora, che la vedevo alzarsi, con un movimento sensualmente involontario, mi sentivo ardere dalla voglia di toccarla, sfiorarla, pulirle il rivolo di sangue che le cadeva dalle labbra.
Si voltò verso di me, senza alzare il capo.
Dovetti concentrarmi per mantenere la calma, per celare i miei pensieri così pieni di lei. Ma era difficile, quando quel vestito, ormai ridotto ad uno straccio, scopriva parti che accendevano la mia brama di lei.
Parti da toccare, sfiorare, baciare e leccare...
« Mmm...», mi lasciai sfuggire, perso nella morbidezza del suo corpo, nelle curve seducenti dei fianchi scoperti.
Il suo capo si alzò.
Occhi vermiglio mi fissarono. Occhi dannatamente eccitanti.
« Immagino che avrei potuto fare di meglio», c’era preoccupazione, nelle sue parole. Anche timidezza.
Ma capii cosa l’aveva intimorita: aveva frainteso il mio sguardo, il mio sospiro... non aveva capito che c’era solo desiderio in essi, e non rimprovero.
Sì, c’era lo stesso desiderio che faticavo a ricacciare in un angolo, anche ora che mi era richiesto un maggiore controllo. Cercai di rassicurarla, tenendo per me parte dei miei pensieri.
« Te la sei cavata alla grande. È solo che...», deglutii nervosamente, indeciso su quanto dire, su quanto ammettere. « stare a guardarti è stato molto più difficile di quanto immaginassi».
Era una mezza verità. L’istinto di scattare e proteggerla c’era stato, era vero, ma era durato un attimo. La difficoltà maggiore era tenere lontani i pensieri poco casti che avevo provato nel vederla cacciare, cibarsi, rialzarsi... nonostante la loro banalità, quei movimenti erano riusciti risvegliare il mio bisogno di lei, il bisogno di contatto che sempre provavo.
Ed era maledettamente difficile resistere al richiamo di quel corpo nato per sedurre.
Ma ancora, lei non aveva capito a cosa mi riferissi.
Dolce, ingenuo amore.
« Non è da me lasciarti lottare contro un puma. Ho rischiato un attacco d’ansia per tutto il tempo», mentii con disinvoltura, ripiegando sul lato protettivo che mai si sarebbe spento sebbene lei stessa, ora, fosse più forte di me. Bella era una neonata e aveva bisogno di nutrirsi, non di ascoltare i pensieri eccitati di suo marito.
E, grazie al cielo, aveva creduto alle mie parole. « Che scemo».
Sì, lo sono, ma non per quello che pensi. « Lo so. Le abitudini sono dure a morire», ed era dura spegnere il desiderio che provavo in quel momento. Come fare, quando quel corpo era così sfacciatamente esposto? « Ma apprezzo le migliorie al tuo vestito», mi lasciai sfuggire, con un sospiro, mentre la contemplavo.
Stupido Edward.
Si strinse leggermente fra le spalle, le braccia che andarono ad incrociarsi sotto al petto. Non sapevo se con quel gesto volesse coprirsi. Non ne avevo idea. L’unica cosa che sapevo era che aveva evidenziato il seno pieno, parzialmente scoperto. Da mordere.
La ringraziai mentalmente, quando cambiò argomento. Dovevo concentrarmi: era difficile anche per me, questa nuova condizione. Saperla mia pari, e non più fragile umana, accendeva il mio lato vampiresco, fatto di brama e passione, che fin troppo facilmente si integrava con il mio essere uomo.
Ed ora, ora che non dovevo più preoccuparmi di farle male, di starle alla larga per paura di morderla... beh, mi faceva desiderare fin troppo di starle vicino.
Cercai di scacciare quei pensieri, concentrandomi sulle sue parole preoccupate per la sete che non accennava a diminuire.
Era il problema di tutti noi vampiri, questo.
La sete di sangue.
Ne eravamo succubi, muoveva i nostri corpi, decideva le nostre azioni.
Eravamo creature di gola e lussuria, noi. Anche di egoismo e superbia, per quello. E me ne accorgevo sempre più stando vicino a lei, la mia perdizione, il mio pensiero costante. Il mio cuore.
Ed era bello inoltre sapere che, nonostante fosse una vampira anche lei, il nostro rapporto non era cambiato.
Scherzare, ironizzare... desiderarla. Non potevo che esserne felice.
Così buffa, anche quando storceva il naso per il cattivo profumo dei cervi. E non hai ancora sentito quello dei licantropi.
« Sono erbivori. L’odore dei carnivori è più simile a quello umano», spiegai pazientemente.
« Be’, non proprio». Ed eccola, la solita Isabella testarda, quella che amava controbattere, replicare, vincere.
Potevo desiderare altro?
« Se vuoi possiamo tornare indietro», scherzai, cercando al contempo di rimanere serio. Era così facile accendere piccoli battibecchi, anche inutili, eppure così piacevoli. Intimi. « Chiunque fosse, se erano dei maschi forse non avrebbero avuto paura della morte vedendola arrivare per mano tua». E purtroppo, Isabella non accendeva solo quelli. Il mio sguardo si soffermò di nuovo sul suo corpo, il ventre piatto, le gambe toniche, i piccoli piedi scalzi... mia. « Nel momento in cui fossi apparsa, avrebbero pensato di essere già morti e assunti in paradiso». Sì, perché altro non si poteva pensare vedendola arrivare. Eterea e bellissima, gli occhi cupi che ardevano promettendo piacere sconosciuti.
Se fossi stato mortale, probabilmente mi sarebbero bastate poche parole e avrei obbedito ad ogni suo ordine, pur di compiacerla.
Perché era impossibile fare altrimenti. Anche ora, vedendola darmi le spalle mentre sbuffava un imbarazzato « Andiamo a cacciare qualche erbivoro puzzolente», non riuscivo a distogliere lo sguardo dai suoi fianchi ancheggianti, dal suo fondoschiena sodo malamente celato dal vestito.
Edward, il vampiro maniaco.
Altro che galantuomo d’altri tempi.

***

Note: sera! Questa è la prima parte di questa piccola mini-fic di due soli capitoli.
Lo so, potevo scrivere una one-shot, ma ho voluto dividerla. ^^
E ho deciso di creare una serie: quindi, metterò insieme questa storia con “Apple - Completezza”.
Ho deciso di... come dire... riscrivere, modificare, migliorare/rovinare? Beh, insomma, andare a toccare tutti quei momenti un po’ sensuali che la Meyer ha lasciato nella storia ed abbinarli a qualche frutto! Il perchè di questo abbianamento, in questa fic, sarà spiegato nel prossimo capitolo.
L’altra parte la scriverò stasera e la pubblicherò forse domani o martedì.
Intanto, spero che questa sia stata gradita. ^^

Un bacione
Anthea

   
 
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