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Autore: Vagabonda    28/02/2010    5 recensioni
È uno scempio. Come osò tal donna appropriarsi del mio scritto in tal modo ignobile, e per giunta deformando e riscrivendo la storia a suo piacimento? Parlò di vampiri e fanciulle, ma la faccenda è bel diversa. Poiché voi, miei cari lettori, non conoscete il real accaduto. Ma non disperate: quivi narrerò il giusto ordine di fatti, e di come due pover’anime non ebbero modo di prender unione, a causa della Provvidenza poco provvidente.
Genere: Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Okay, premetto che non sono pazza. O forse sì, ma non importa. Eheh.
Questa storia non è nata come presa in giro del romanzo del Manzo (Manzoni, il mio amicone) ma per sdrammatizzare la lettura del mattone a scuola. La prof. ci sta facendo una testa così con questo libro, e io sono stata varie volte vicina a buttarlo giù dalla finestra. Così mi sono detta: ehi Elena, perché non cerchi di farci amicizia? Ed è nata l’idea per questa storia.
Con le parole iniziali non voglio però assolutamente offendere zia Stephenie! Io adoro i suoi romanzi, e non mi sognerei mai di rinnegare Twilight e i suoi personaggi (specialmente quel figaccio di Edward).
Perciò…nessuno si senta offeso. E chiedo perdono per le imprecisioni stilistiche, ma entrare nella testa del Manzo non è per niente facile! Infatti alcune frasi sono prese direttamente dal libro originale, spero di non compiere qualche atto punibile penalmente…ripeto. Questa storia è nata per divertire, non per plagiare libri né per offendere nessuno.
Detto questo…spero sinceramente che vi piaccia! Fatemi sapere con una recensione please, ne sarei molto felice!
Un bacione a tutti!
Ele







È uno scempio. Come osò tal donna appropriarsi del mio scritto in tal modo ignobile, e per giunta deformando e riscrivendo la storia a suo piacimento? Parlò di vampiri e fanciulle, ma la faccenda è bel diversa. Poiché voi, miei cari lettori, non conoscete il real accaduto. Ma non disperate: quivi narrerò il giusto ordine di fatti, e di come due pover’anime non ebbero modo di prender unione, a causa della Provvidenza poco provvidente.


Quello stralcio piovoso del piccolo stato sul mare, ove una graziosa cittadina di tremila anime risiede tra verdi fronde e nuvole plumbee. Ivi comincia la storia che mi presto a raccontare, ma per riservatezza de’ persone e fatti non farò nomi di luoghi né di contee.
Tornava una rigida sera d’inverno, giorno 21 del mese di Novembre, lo sceriffo Charlie Swan, protettore della legge del paesino citato di sopra. Canticchiava un canto popolare, dondolando le braccia lungo i fianchi cinti dall’uniforme e cadenzando i passi incerti, a causa del problema di bilanciamento della sua persona. Era diretto verso casa, una modesta dimora ai margini del bosco, e per giungervi percorreva il sentiero sdrucciolevole del paesino. La viottola proseguiva in modo continuo, fino a giungere a un bivio, segnato da un muracciolo in mattoni che divideva in due la strada. Lo sceriffo alzò lo sguardo e le parole della canzoncina gli morirono in gola, poiché aveva visto una cosa che non si aspettava, e che mai avrebbe voluto vedere.
Due giovani stavano, l’un dirimpetto all’altro, all’incrociarsi delle due viottole. Un di costoro, un moretto dagli occhi a mandorla, un certo Eric Yonkie, a cavalcioni sul muracciolo, con una gamba spenzolata al di fuori, e l’altro piede posato sul terreno accidentato; il compagno, noto come Mike Newton, in piedi, appoggiato al muro con le braccia incrociate sul petto. L’abito e il portamento, per non parlare del’aspetto, non lasciavan dubbi al pover’uomo sulla provenienza dei due tizi.
Sebbene differenti per color de capelli e conformazione fisica, essendo uno moro, l’altro biondo, il primo smilzo, il secondo piuttosto muscoloso, entrambi portavano larghi pantaloni e una camicia nera. Avevano entrambi attorno al capo un cappellino verde, dal quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: una cintura lucida di cuoio, calata all’altezza dell’anche: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de’ bravi. Tale specie, ora alquanto diffusa, proliferava peggio delle felci e degli abeti, lì così rigogliosi. Eran specialmente ragazzini a farvene parte, tutti segnati da quel vestire e muovere.
Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettare qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a Charlie Swan fu il dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui. Poiché, al suo apparire, entrambi i ragazzacci si eran guardati, sogghignando malignamente. S’eran poi alzati, l’uno dal muracciolo, l’altro portandosi in posizione eretta, e s’eran incamminati incontro a lui. Il pover’uomo se non fosse stato sì turbato da loro, avrebbe certamente riso del muoversi così inusuale: si diceva infatti che apparissero come belve pronte ad assalire l’ignara preda, ma a vederseli così, lo sceriffo provava una grande smania di burlarsene. Difatti i passi dei due giovani erano malfermi, resi in tal maniera dai pantaloni larghi; le mani correvano spesso alle cinte, per sorreggerle e impedire di imbrogliarsi con esse.
Ma il pover’uomo non era nelle condizioni adatte ad uno scherzo, giacchè quel due loschi individui erano in quel luogo per lui. E vedendoseli venir incontro, fu assalito da mille pensieri. Spiò velocemente se tra se stesso e i due bravi vi fosse una qualche via d’uscita, ma subito gli sovvenne che non ve ne erano. Fece un breve esame se avesse peccato contro qualche potente, un politico o via dicendo, ma la coscienza testimoniava il contrario, e ciò lo rassicurava alquanto. Casualmente si volse, lo sceriffo, come per sistemare l’uniforme, e guardò se dal sentiero veniva qualcuno, ma non vide nessuno. Non v’era anima nemmeno oltre i margini, vicino al bosco, solo lui e i due bravi.
Che fare, dunque? tornare indietro non era a tempo: darla a gambe era il medesimo che dire inseguitemi! o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, sperando in una soluzione breve e indolore per lo stesso. Quando si trovò a fronte dei due fanciulletti disse mentalmente: ci siamo; e si fermò traballante.
-Signor sceriffo,- esordì il moro, piantandogli gli occhi terribili in faccia.
-Dite?- domandò afono il pover’uomo.
-Lei ha intenzione,- proseguì l’altro, più minaccioso del primo –lei ha intenzione di permettere l’unione di sua figlia Isabella con Edward Cullen!-
-Insomma…- rispose, con voce tremolante Charlie Swan, sempre più incerto sui piedi –insomma. Mai ho approvato questo matrimonio, ma si sa i giovani…- s’interruppe –si sa il comportamento di alcune persone d’oggi. Fanno i loro pasticci…e noi parenti non c’entriamo...noi diamo la benedizione.-
-Or bene,- gli disse il bravo, sporgendosi verso l’orecchio, ma parlando in tono di comando –questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.-
-Ma signori miei,- replicò Charlie Swan con tono docile e mansueto –se dipendesse da me, certo che non s’avrebbe alcuna unione! A me, che non vien nulla in tasca…-
-Orsù,- lo interruppe il primo –non vogliamo sapere altro, non interessa. Solo uomo avvertito…- e fece un gesto con la mano.
-Ma giovanotti come voi son ragionevoli…-
-Ma,- parlò in fretta il compagno –ma il matrimonio non si farà, o…- e qui una buona bestemmia, -o se si farà, qualcuno se ne pentirà, e…- un’altra bestemmia.
-Zitto, zitto,- riprese il biondo –il signor sceriffo sa amministrare la legge, e certo non commetterà un errore così sciocco, e noi siam galantuomini, che non vogliamo fargli del male, purchè abbia giudizio. Signor sceriffo, l’illustrissimo signor James nostro padrone la riverisce caramente.-
Al sentir quel nome, nel cuore del poveretto nacque un grande timore; poiché era risaputo che James era un uomo potente e temibile. E lo sceriffo volle ribattere a quei due ragazzacci, ma solo un farfugliare confuso uscì dalla sua bocca.
-Disposto…disposto sempre all’ubbidienza…- non gli restò che dire.
-Benissimo e buona notte, messere.- disse l’uno, guardando l’altro, ed entrambi si allontanarono con aria soddisfatta.
Afflitto era invece il povero Charlie Swan, che ora doveva riferire quella triste notizia alla figlia. Egli non era un uomo cattivo, ma come vi sarete di certo avveduti, nemmeno un cuor di leone. Amava Isabella come la sua vita, e mai avrebbe permesso che un signorotto potesse arrecarle alcun danno. Eppure, il coraggio gli era mancato a fronte di que’ due ragazzacci, che portavano il verbo del loro signore.
Come avrebbe potuto riferire tale notizia alla dolce donzella? Isabella gli era stata portata via dalla moglie con la quale non viveva più da anni, quando la loro unione era terminata. Sua figlia gli voleva bene, ma non avrebbe mai potuto provocarle volontariamente un dolore del genere. Amava questo Edward Cullen, con il quale aveva desiderio di maritarsi al più presto. Allo sceriffo, il ragazzo non piaceva: aveva fama di essere troppo affascinante, per essere anche un bravo marito. Certamente aveva ammaliato molte altre donne oltre alla sua Isabella, col suo carisma e il sorriso da giovanotto. Eppure, per qualche motivo la fanciulla ne era innamorata; e anche lui ricambiava.
-Che colpa ne ho io,- borbottò lo sceriffo –se i due si voglion maritare? Io sono solo il padre, la ragazza vuol fare il danno, e lui, lui…!- al culmine di questi pensieri, giunse alla porta di casa. Impaziente di trovarsi in compagnia fidata, chiamò subito: -Jessica! Jessica!- avviandosi pure verso la cucina, dove ella certamente si stava adoperando per preparare la cena.
Era Jessica, come ognun se n’avvede, la serva di Charlie Swan: serva affezionata e fedele, che sapeva ubbidire e comandare, anche se spesso si prodigava mal volentieri ai suoi compiti: era anche però una gran chiacchierona, e dalla sua bocca solente uscivano parole che sarebbero dovute essere custodite nel cuore. Forse questo parlare era dovuto all’età giovane della ragazza, che superava di poco quella della figlia dello sceriffo. Tale questione sarebbe apparsa inconveniente per qualsiasi altro caso: ma lo sceriffo ero un uomo di legge, e mai avrebbe osato alzar le mani su d’una creatura.
-Vengo,- cinguettò la fanciulla, ma trovandosi davanti il padrone, esclamò: -misericordia! Cos’ha, signor sceriffo?-
-Niente, niente,- rispose Charlie Swan, lasciandosi andare su d’una sedia.
-Come, niente? Con la faccia che ha? Qualche cosa è accaduta!-
-Per l’amor del cielo, non si facciano pettegolezzi!- strepitò lo sceriffo.
Ma la ragazza non si diede per vinta, e molto ancora chiese al padrone, fino a quando egli, provato per i fatti e desideroso di condividere il suo turbamento con la fidata serva, non le confidò de’ due bravi e delle parole che avevan comandato.
-Oh che birbone! oh che soverchiatore!- esclamò Jessica -non mi faccia parlare, và, non mi faccia parlare…!-
-Zitta, zitta!- intimò Charlie Swan –che niente esca da questa casa! Tacete!-
-Ma se siam soli, siamo soli,- lo tranquillizzò la ragazza –ma ditemi, come farete?-
-Oh vedete,- disse stizzito lo sceriffo –vedete che bei pareri mi vien a dar costei! Viene a domandarmi come farò, quasi fosse lei l’intoppo…-
-Ma! io avrei ben il mio povero parere da dirle…-
-Ma, sentiamo.-
Jessica si sedette sulla sedia a fianco del padrone, incrociando le braccia al petto –Lei è la legge, signore- esordì –e la legge, oh, non si scherza! Dovrebbe denunciarli, questi giovanotti, e il lor padrone…-
-Volete tacere? volete tacere? son questi i pareri da dare a un pover’uomo?- farfugliò Charlie Swan, agitandosi –la legge! una scoppiettata nella schiena, mi danno, mi levano il distintivo…!-
-Eh! le scoppiettate non si danno via come i confetti: e lei, è potente! ha il potere, e i modi…-
-Volete tacere?-
-Io taccio, ma lei non si rovini la salute: mangi un boccone, e ci pensi sta notte!-
-Ci penserò io,- rispose, brontolando, lo sceriffo –sicuro: io ci penserò, ci devo pensare!-
S’alzò traballando –Non voglio prender niente, so io cosa c’ho da prender.-
La ragazza di piegò sul tavolo e ne trasse un bicchiere di vino, il preferito del padrone –Mandi giù questo, che le fa bene,- disse porgendoglielo.
-Eh! ci vuol altro, ci vuol altro, ci vuol altro.-
Così dicendo, s’avviò verso la camera, brontolando sempre contro i bravi e contro questo signorotto, contro la figlia e il promesso sposo. Giunto sulla soglia, si voltò indietro verso Jessica, mise il dito sulla bocca e raccomandò –per l’amor del cielo!- e disparve col passo traballante.
   
 
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