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Autore: _Dreams_    02/03/2010    12 recensioni
Bella è una ragazza di Phoenix: dolce, solare, sempre con il sorriso sulle labbra. Purtroppo, un giorno, un evento doloroso le cambierà completamente la vita e questo la spingerà a trasferirsi a Forks, da suo padre. Nasconde la vera se stessa dietro a una maschera, per non soffrire ancora. Però, arriverà Lui, che le cambierà la vita.
Non può piovere per sempre, prima o poi arriverà qualcuno che sarà in grando di rischiararare la tua vita... E, in quel momento, l'unica cosa giusta da fare è ascoltare il proprio cuore.
Estratto del capitolo:
«Tu non sei così Bella. Tu non sei così», iniziò a dire con voce dolce. «Io so come sei veramente, mi hai dato modo di conoscere la vera te stessa», bisbigliò, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«La vera te stessa…», sorrise gentilmente, intrecciando le nostre dita, «ha un animo puro, dolce. E tu Bella, hai un cuore grande, talmente grande che neanche ti immagini», mormorò avvicinandosi, posando la sua fronte contro la mia.
«Il mio cuore batte solo per te», sussurrai flebilmente. Le lacrime presero a rigarmi il viso, ma non le fermai. Perché mai avrei dovuto farlo? Le lasciai scendere.
Sul suo viso si dipinse un sorriso, quel sorriso che tanto amavo. Le sue braccia andarono a circondarmi la vita, stringendomi forte al suo petto. Posai la testa nell’incavo del suo collo, stringendomi a lui più che potei; mentre il suo viso andò ad immergersi nei miei capelli.
«Tu. Sei tu la mia vita», mi sussurrò nell’orecchio, posandomi poi un dolce bacio sulla fronte.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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popo
Ciao a tutti! E' da un pò di tempo che ho questa storia in mente, ma mi son sempre rifiutata di scriverla, perchè non mi sentivo all'altezza.
Ma poi ho deciso di provarci. Amo scrivere e in questa fan fiction ci ho messo parte di me stessa.
Ammetto di avere un pò di strizza e mi sto imponendo di non scappare e di cliccare il tasto: aggiungi una nuova storia.
Ma mi son fatta forza e quindi: eccomi qua! Sono sincera, non so che ne sia uscito fuori, anche perchè la mia mente è molto malata xD
Sarà un pò triste all'inizio, volevo avvisare, ma col tempo tutto si rimetterà più o meno apposto ;)

Ringrazio infinitamente Sharon (Shasha5) per la splendida immagine che mi ha fatto!
E vorrei dedicare a lei il capitolo e a un'altra persona per me molto speciale: Mary.
Lei sa chi è ;) Grazie ragazze, vi voglio un mondo di bene-
Grazie, grazie, grazie.
Ok, la smetto di blaterare, anche perchè se inizio non finisco! xD
Buona lettura!


Prologo

Felicità. Non ero mai stata in grado di comprendere il significato di questa parola; dopotutto per una come me la felicità non esisteva e mai sarebbe esistita.
Di questo ne ero pienamente sicura; la vita non aveva fatto altro che offrirmi emozioni negative e… dolorose. Tutto cambia, quando meno ce lo aspettiamo.
E ora, grazie a lui - che era entrato a far parte della mia vita, rischiarando i miei giorni – non potei fare a meno di pensare a quanto ero stata stupida e cieca.
Perché avrei trascorso ore ed ore ad ammirare il suo viso, senza mai stancarmi.
«Bella...», sussurrò il mio angelo personale, posando una mano sulla mia guancia, accarezzandola dolcemente.
Chiusi gli occhi, beandomi appieno del suo tocco caldo e gentile, che avrei tanto desiderato non avesse mai fine; perché una sua semplice carezza era in grado di destabilizzarmi completamente.
Prese a seguire il contorno delle mie labbra, che al suo tocco si dischiusero leggermente.
Aprii gli occhi, scontrandomi così con due pozze verde smeraldo, che erano in grado di penetrarmi l’anima. Mi persi nei suoi splendidi occhi e sentii le gambe cedermi, ma non ci feci caso, dopotutto quella reazione era spontanea… accadeva ogni volta che mi rivolgeva quello sguardo così carico d’affetto, che mai e poi mai mi sarei meritata.
«Edward io…», provai a parlare, ma senza risultato; le parole non ne volevano sapere di uscire dalla mia bocca, tanta era l’emozione che provavo in quel momento.
«Tu non sei così Bella. Tu non sei così», iniziò a dire con voce dolce. «Io so come sei veramente, mi hai dato modo di conoscere la vera te stessa», bisbigliò, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Aprii e chiusi la bocca più volte, incapace di parlare.
«La vera te stessa…», sorrise gentilmente, intrecciando le nostre dita, «ha un animo puro, dolce. E tu Bella, hai un cuore grande, talmente grande che neanche ti immagini», mormorò avvicinandosi, posando la sua fronte contro la mia.
Sentii le lacrime premere per uscire, ma con una grande forza di volontà riuscii a ricacciarle indietro.
Il mio occhio cadde sulle nostre mani unite; le alzai e le posai sul mio petto, dove in quel momento vi era il mio cuore, che batteva all’impazzata.
«Lo senti il mio cuore?», domandai retoricamente, con voce incrinata.
Annuì impercettibilmente, accarezzandomi la guancia con la mano libera.
«Il mio cuore batte solo per te», sussurrai flebilmente.
Le lacrime presero a rigarmi il viso, ma non le fermai. Perché mai avrei dovuto farlo? Le lasciai scendere.
Sul suo viso si dipinse un sorriso, quel sorriso che tanto amavo.
Le sue braccia andarono a circondarmi la vita, stringendomi forte al suo petto.
Posai la testa nell’incavo del suo collo, stringendomi a lui più che potei; mentre il suo viso andò ad immergersi nei miei capelli.
«Tu. Sei tu la mia vita», mi sussurrò nell’orecchio, posandomi poi un dolce bacio sulla fronte.

1. Ricordi indelebili

Pov Bella

La vita è difficile. Nulla è prestabilito; è un continuo mutamento… di gioie, dolori e perfino di scelte. Scelte importanti, che in parte influenzano sul futuro.
A volte entra in gioco il destino, in grado di cambiarti la vita e di farti provare sensazioni sconvolgenti, che non avresti mai voluto sentire.
La cosa migliore sarebbe andare avanti, perché la vita continua e ha il sopravvento su tutto… ma com’è possibile tutto ciò, se l’unica cosa che una persona desidera è affogare nel dolore?

«Signore e signori allacciate le cinture di sicurezza, tra meno di cinque minuti atterreremo all’aeroporto di Forks», annunciò una hostess; il suono della sua voce mi destò dai miei pensieri e mi fece rinsavire.
Lentamente aprii gli occhi e guardai l’orologio: erano quasi le tre, il tempo era passato abbastanza velocemente.
Guardai fuori dal finestrino; il cielo era terso, segno che da un momento all’altro avrebbe iniziato a piovere. Dopotutto cosa mi sarei dovuta aspettare dalla cittadina più piovosa d’America?

Phoenix, la mia città natale, dove avevo trascorso diciassette anni della mia vita. Tutto era perfetto, avevo molti amici e una famiglia su cui contare; mia madre Renée e suo marito, Phil… ma si sa, prima o poi tutte le cose belle finiscono.
Renée e Phil, due semplici nomi all’apparenza, ma il solo pensiero era in grado di causarmi un dolore indescrivibile, che mai e poi mai mi sarei aspettata di provare.
Mi tormentai il labbro inferiore e rivolsi lo sguardo al soffitto, cercando in tutti i modi di fermare le lacrime che minacciavano di scendere da un momento all’altro.
Non dovevo piangere, era da deboli. Tu sei forte, non sei debole; la mia mente continuava a ripetermi questa frase come una mantra.
Sospirai rassegnata e dopo minuti – che a me parvero ore – l’aereo finalmente atterrò e alcuni passeggeri si alzarono frettolosi, smaniosi di essere all’aria aperta… come se fuori ci fosse stato qualcosa di interessante.
Come un automa presi la valigia, scendendo dall’aereo e subito il leggero venticello mi sferzò il viso, scompigliandomi dolcemente i capelli. Portai una mano tra i capelli, frustrata e mi guardai in giro, in cerca della famosa auto della polizia di… Charlie.
Non avevo mai avuto un buon rapporto con lui, era da tre anni che non avevo sue notizie ma dopo tutto quello che era successo si era fatto sentire, proponendomi – forse a malincuore – di venire qui da lui. Non ebbi scelta, era l’unico parente che mi rimaneva e se avessi potuto decidere non sarei mai venuta qui… ma non potevo restare a Phoenix, non dopo la loro morte. Solo pronunciare il loro nome faceva male, maledettamente male; così da codarda scappai, rifugiandomi in questa – a mio parere – schifosa cittadina.

Persa nei miei pensieri non mi resi conto che un uomo sulla quarantina si stava avvicinando a me, non potei non riconoscerlo… Charlie.
Un sospiro mi sfuggì dalle labbra e con passo apparentemente deciso gli andai incontro.«Ciao Bells», mi salutò avanzando di un passo, tendendo la mano, come per volermi sfiorare i capelli.
«Ciao», risposi impassibile, indietreggiando; non volevo avere nessun tipo di contatto con lui… nessuno.
Ritirò la mano e guardò il suolo imbarazzato. Presi la valigia e feci per incamminarmi, ma prontamente mi fermò.
«Ti porto io la valigia», disse accennando un sorriso, con la speranza - forse - di spezzare quel silenzio che si era momentaneamente creato. Non feci nemmeno in tempo a rispondere, che con un gesto delicato e deciso mi tolse la valigia dalle mani e si recò in auto, dalla parte del guidatore.
Non mi preoccupai di ringraziare ed entrai in quel rottame, sbattendo la portiera. Mi sedetti e chiusi gli occhi, appoggiando la testa allo schienale; l’ultima cosa che volevo fare era pensare.
Per il resto del viaggio non volò una mosca; l’unico rumore era la radio, il cui suono riecheggiava nell’abitacolo, spezzando quell’odioso silenzio.
«Siamo arrivati», sussurrò Charlie, guardandomi di sottecchi.
Annuii leggermente e velocemente mi diressi in casa. Una volta arrivata in soggiorno il mio occhio cadde sulla sedia a dondolo e mi si mozzò il respiro; era la stessa dove, ogni sera mia madre si sedeva, cullandomi dolcemente per farmi addormentare.
Mi portai una mano al petto e una sensazione di vuoto m’invase, tanto che sentii le gambe cedermi e dovetti aggrapparmi al frigorifero per non cadere.
Sentii dei passi alle mie spalle. Scossi leggermente la testa e – seppur con scarsi risultati – cercai di riprendermi.
«Bells…?», mi chiamò con voce incerta Charlie.
Bells…
Bells…
Bells…

Il modo in cui mi aveva chiamata continuava a ripetersi nella mia testa, come un disco rotto.
Mi voltai furente. Non avrebbe dovuto chiamarmi così… Mai.
«Come mi hai chiamata?», domandai, cercando di regolarizzare la voce.
«Bells, ma ch-», iniziò, ma non lo feci finire; interrompendolo bruscamente.
«Tu non hai il diritto di chiamarmi così, né tu né nessun altro!», urlai, facendo un passo avanti.
«Ma…», tentò di dire, ma come poco prima non gli feci concludere la frase.
«Io non sono Bells, sono Isabella e basta. Odio sentirmi chiamare con quel nome, lo odio! », urlai. «Loro mi chiamavano così… Loro. Bells è morta il giorno di quel maledetto incidente, non dimenticarlo», dissi con voce incrinata. Fece per rispondere ma non gliene diedi il tempo, perché con uno scatto repentino gli tolsi la valigia dalle mani e corsi su per le scale. Arrivai in camera mia ed entrai, sbattendo la porta; lasciai la valigia in un angolo e – anche se avevo ancora i vestiti da viaggio – mi buttai sul letto, nascondendo il viso nel cuscino.
Perché io? Perché a me?
Queste domande continuavano a ripetersi incessantemente nella mia testa. Le lacrime presero a rigarmi le guance e un singhiozzo mi sfuggì dalle labbra.
No, no, no. Non dovevo piangere.
Con un gesto secco della mano asciugai quella maledetta acqua salata, imponendomi di essere forte. Mi massaggiai le tempie con le dita e un sospiro sfuggì dalle mie labbra.
Mi recai vicino alla valigia e presi a mettere apposto le mie cose, molto lentamente; dopodichè presi l’occorrente e mi diressi in bagno… avevo bisogno di una doccia.
Il getto dell’acqua calda entrò a contatto con la mia pelle e in parte mi rilassai; chiusi gli occhi, lasciando la mente libera da tutto e da tutti.
Trascorsi un tempo indefinito sotto la doccia, minuti o forse ore… ma non m’importava.

***

In salotto trovai Charlie spaparanzato sulla poltrona, intento a guardare la televisione. Il mio occhio cadde sull’orologio appeso alla parete: erano le sette.
Non appena sentì i miei passi strascicati si voltò di scatto, rimase a fissarmi per un tempo indefinito, dopodichè si decise a parlare.
«Be-. Ehm Isabella», si corresse subito. «Se hai fame ci dovrebbe essere qualcosa nel frigorifero, ci saranno poche cose perché come ben sai io sono un disastro a cucinare». Sorrise, cercando di alleggerire la tensione. «Però domani potrei andare a fare la spesa, così potrai mangiare qualcosa di commestibile».
«Ok. Tanto non ho fame», risposi con voce neutra.
«Dovresti mangiare qualcosa, sai mi sono dimenticato di dirtelo ma domani sarà il tuo primo giorno di scuola a Forks e devi essere in forza…», cominciò.
«Domani?», domandai leggermente stizzita.
«Sì, domani», rispose in un sussurro.
Feci per ribattere, ma mi morsi la lingua, non era il caso di peggiorare la situazione, che era già schifoso di suo.
«Ok», sospirai. «A che ora iniziano le lezioni?», chiesi, per niente interessata.
«Alle 8. Ma non andrai a piedi», accennò un sorriso. «Ti ho comprato una macchina, un Pick-Up di seconda mano, dalla riserva dei Quileute. Non sarà nuovo, ma è perfettamente funzionante», disse fiero.
«Non ce n’era bisogno», risposi con noncuranza.
«Sì che ce n’è bisogno. Voglio che tu ti trova bene qui, come se fossi… a casa tua», disse in un sussurro.
«Casa mia, come se fosse possibile», sorrisi amaramente. Casa mia era a Phoenix e sempre lo sarebbe stata.
Lo vidi grattarsi il capo imbarazzato e abbassare lo sguardo.
«Ma lo farò, tanto cos’altro ho da perdere… Charlie?», domandai retoricamente.
Aprì la bocca per rispondere, ma poi la richiuse, incapace di dire altro.
«Io vado a letto, dopo tutto domani mi aspetta una giornata ricca di sorprese», dissi sorridendo forzatamente e ciò a lui non sfuggì.
Non aspettai una sua risposta, gli voltai le spalle e a passo lento mi diressi nuovamente in camera mia.
Mi avvicinai alla tenda e la spostai leggermente, così da poter guardare fuori dalla finestra; mi appoggiai di spalle al muro e osservai il cielo… non vi erano stelle, erano coperte da nubi. Cominciò a piovere; chiusi gli occhi e tesi una mano, così da poter sentire le gocce solleticarmi le dita, in una dolce carezza. Aprii gli occhi; il cielo era scuro, un po’ rispecchiava il mio umore. Un sorriso triste si dipinse sul mio volto, ma scossi leggermente la testa, come a voler scacciare i brutti pensieri.
Decisi di dormire, il giorno seguente mi aspettava una lunga giornata.
Mi sdraiai e mi accoccolai sotto il piumone, stringendo le braccia al petto in cerca di conforto. Chiusi gli occhi, liberando la mente, ma presto scoprii che neanche il sonno mi dava pace; perché, ogni singola volta che chiudevo gli occhi, la stessa scena si ripeteva nella mia mente come un disco rotto, come se io fossi lì a riviverla.
Di una cosa ero sicura, ovvero che il destino era stato ingiusto e aveva portato via due delle persone più importanti della mia vita, lasciando il vuoto dentro me.
Sarei mai riuscita a superarlo?


Ehm... eccoci alla fine. Spero di non aver fatto addormentare nessuno, in tal caso mi scuso profondamente, non era mia intenzione O_______O
Grazie a chi è stato così coraggioso da leggere e arrivare fino alla fine. Grazie!
Alla prossima ;) Spero qualcuno recensisca :D
un bacione
Elly


  
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