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Autore: ragenruin    05/03/2010    15 recensioni
Sollevai il mento di Eric con le dita e posai le labbra sulle sue guance. Prima una, poi l'altra, come avrei fatto con un bambino. Solo che Eric non era un bambino. Era un vampiro grande e grosso e sanguinario, che nei suoi mille anni di vita aveva fatto cose orrende che non volevo nemmeno provare a immaginare. Eppure, quando allontanai il mio viso, sul suo non lessi nulla che non fosse puro e innocente. Dopo aver assistito all'incontro di Godric con il sole, Sookie raccoglie la sua camicia e va in cerca di Eric. Ambientata tra "I will rise up" e "New world in my view".
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non per sempre

 

 

 

 

Era finita.

La luce azzurrina del sole appena sorto mi feriva gli occhi, annebbiati da troppe lacrime. Non avevo mai assistito a qualcosa di tanto straziante. C'erano stati momenti orribili, nella mia vita, sì, forse molto peggiori di questo; ma la verità è che non mi era mai capitato di assistere al suicidio di qualcuno, o meglio, alla volontaria fine della sua esistenza.

Godric non esisteva più. Era scomparso dal mondo, per sempre, dissolvendosi in una vampata di fiamme azzurre davanti ai miei occhi. Di lui, non rimaneva che una camicia bianca adagiata per terra come un sudario.
O un testamento.
Non avevo tentato di dissuaderlo dalla sua decisione, e non me ne pentivo: sapevo che era giusto così. Godric aveva vissuto duemila anni, io ventisei: che genere di consigli avrei potuto dargli? Lui aveva scelto di andare oltre la morte e vedere cosa c'era. Aveva scelto di diventare qualcosa di diverso, di evolversi, nell'unico modo in cui era concesso per un vampiro.

Eppure, non riuscivo a smettere di piangere.
Mi avvicinai alla camicia di Godric e la raccolsi da terra. Sapevo bene cosa dovevo fare. Quella camicia bianca non meritava di rimanere abbandonata lì, sulla piazzola di atterraggio di emergenza degli elicotteri; né era destinata a finire nelle mie mani. Non avevo il diritto di tenerla io. C’era qualcun altro che l’avrebbe custodita per sempre.
Mi voltai e ridiscesi le scale che collegavano il tetto all'ultimo piano dell'Hotel Carmilla, avendo cura di chiudermi alle spalle tutte le porte. L'edificio era un albergo per vampiri, attrezzato in modo tale da essere impenetrabile alla luce del sole, cosicché essi potessero riposare, durante il giorno, su un comodo letto, anziché in una bara o in uno squallido buco sotterraneo. Sapevo che Eric non era andato a morire per il giorno, non ancora. Un vampiro antico quanto lui non aveva la necessità di addormentarsi all’alba, a patto di trovarsi al riparo dalla luce solare. Richiusi dietro di me l'ultima porta ermetica, ancora scossa dai singhiozzi, e scoprii di aver avuto la giusta intuizione.
Eric era seduto sugli ultimi gradini delle scale, nella penombra. Le sue larghe spalle erano nude e la maglia nera che indossava era ora appesa al corrimano delle scale. Mi avvicinai lentamente, torcendo fra le mani la camicia di Godric per il nervosismo.

Eric non era mai stato il mio preferito, per dirla con un eufemismo. Anzi, mi terrorizzava e mi faceva incazzare, e poi ancora mi terrorizzava. Fino a qualche ora prima ero stata furiosa con lui perché mi aveva convinto a succhiar via dei proiettili dal suo collo e dal suo petto, fingendosi in punto di morte, in modo che ingerissi accidentalmente il suo sangue. E poi aveva riso di me e della mia stupidità, quando Bill mi aveva spiegato che i proiettili sarebbero fuoriusciti da soli. Mi ero sentita umiliata e circuita. Stupida. Come non mai. Eric voleva a tutti i costi mettersi in mezzo fra me e Bill, e chissà per quale ragione. Possibile che fosse perché io gli piacevo?

No. Ad Eric Northman piaceva una sola persona, e quella persona era Eric Northman.

Se è così, allora perché poco prima era pronto a incontrare il sole pur di non lasciare Godric morire da solo?

Lui voleva soltanto giocare al gatto col topo, con me, e insegnare a Bill che lo sceriffo può avere quello che vuole. Era una questione di principio, e un capriccio, e una cattiveria bella e buona. Era così e basta.


Tesa come non mai, raggiunsi Eric e finalmente potei vederlo in faccia.
Aveva lo sguardo fisso su un qualche punto del pavimento e le guance sporche di sangue; strisce scarlatte gli rigavano il petto. Aveva pianto. E non solo qualche lacrima, aveva pianto come una fontana. Pensai a come si era messo in ginocchio davanti a Godric e lo aveva supplicato di non morire. L'ultima cosa che mi sarei aspettata da Eric era vederlo piangere, e in quel modo, poi...
Mi ero forse sbagliata su di lui? Forse anche lui aveva un'anima, da qualche parte?

Impossibile. O no?

Sapevo di trovarmi nel posto e nel momento sbagliato, e di essere soprattutto la persona sbagliata. Eric non avrebbe mai perdonato ad un'umana il fatto di aver assistito alla sua debolezza. Non avrebbe mai sopportato un'umiliazione simile. Eppure, sentivo di dover essere lì, con lui, esattamente come avevo sentito di dover assistere alla fine di Godric. Bill non avrebbe mai capito. Avevo cercato di spiegarglielo… inutilmente. Era rimasto a guardare con occhi vacui il suo pallido riflesso sul vetro della finestra, mentre gli dicevo che dovevo essere insieme a lui, perché glielo dovevo, perché lui stava soffrendo, e perché lui mi aveva salvato la vita.

Stavo parlando di Godric, naturalmente.

Bugiarda. Stavi parlando anche di Eric.

Stavo parlando di Godric, perché Godric mi aveva salvato da quel grosso e arrapato bestione in tenuta da marine, quel Gabe.

E Eric ti ha salvato da una bomba esplosa a pochi metri da te, facendoti scudo con il suo corpo. Bugiarda.


Mi sedetti anche io su un gradino, accanto a lui, ma non diede alcun segno di aver notato la mia presenza; mi feci coraggio, mi schiarii la voce e dissi:
- La camicia di Godric. Ho... pensato... che avresti voluto tenerla.
Silenzio.
Nessun suono, nessun alito provenne da Eric. Il suo corpo non si mosse di un millimetro. La sua schiena, bianca e incurvata nella sua rigida immobilità, sembrava quella di una statua del Bernini.
Silenzio, ancora.

Quando iniziai a convincermi che Eric fosse caduto in uno stato catatonico, lui si voltò, guardò prima me, poi la camicia. La prese tra le mani, e, dopo averla fissata per un lunghissimo istante, se la strinse al petto, raggomitolandosi su se stesso come un bambino e sporcandola, con tutta probabilità, del suo sangue. Lo sentii emettere un verso strozzato, come se per troppo tempo avesse trattenuto il respiro. Paragone sciocco, lo so, i vampiri non hanno la necessità di respirare.
Dovevo toccarlo, era più forte di me. Non riesco a rimanere indifferente di fronte a qualcuno che sta male… neppure se questo qualcuno è un odioso, arrogante, subdolo, egomaniaco capo vampiro.

Allungai la mano destra e gli sfiorai i capelli, poi mi feci coraggio e glieli spettinai, per nulla certa che un tale gesto avrebbe potuto essergli di qualche conforto.
Il cuore mi accelerò immediatamente, perché non ero per nulla abituata ad avere un contatto fisico con Eric. Il ricordo del sogno assurdo che avevo avuto su di lui soltanto poche ore prima mi investì di colpo e un brivido mi attraversò da capo a piedi, sebbene sapessi che quella perversa attrazione che avevo iniziato a provare per lui non era farina del mio sacco, ma solo un prodotto del suo sangue in circolo nel mio corpo. Fatto sta che quel sogno mi aveva lasciato le farfalle nello stomaco, e la cosa mi faceva paura.
Non era il momento di pensarci.
Accarezzai con la punta dell’indice il suo orecchio e la linea della sua mandibola, ruvida di una barba di appena qualche millimetro, poi la sua nuca, dolcemente, ricordando il piacere che mi procurava il pelo soffice della mia gatta Tina. La pelle di Eric era morbida e liscia, anche se fredda. Era strano, e bello, toccarlo. Lui non mi scacciava, non diceva nulla di aspro o di odiosamente ironico come faceva di solito, semplicemente se ne stava immobile, accettando il tocco della mia mano. Non so per quanto tempo durò quel momento.

Poi Eric si mosse. Si girò verso di me e appoggiò la testa sulla mia spalla. Questa proprio non me l'aspettavo. Cosa dovevo fare?

Decisi che la cosa migliore era starmene ferma e aspettare.
Sentivo la punta del suo naso sfiorare il mio collo, appena sotto l'orecchio. Lo sentii inspirare delicatamente, come se stesse assaporando il mio odore. Oh, no, guai in vista, pensai. Ogni singolo neurone del mio cervello gridava pericolo. Ma, ahimé, ultimamente i neuroni non stavano avendo molta voce in capitolo, nella mia vita.
- Perché lo hai fatto? - chiese Eric all'improvviso, facendomi sobbalzare. La sua voce era un sussurro rauco soffiato nel mio orecchio; rauco, come se non parlasse da secoli.
- Fa-fatto cosa? – farfugliai, completamente presa alla sprovvista.
- La sua camicia. Perché. – disse lui in un soffio. Sembrava stesse riducendo il numero di parole da usare al minimo indispensabile.

Mi schiarii la voce.

- Ho pensato che fosse giusto portartela. Sei… Insomma, tu sei l’unico parente di Godric – dissi, sentendomi un’idiota per aver usato la parola “parente”; ma non me ne venivano in mente altre più calzanti.
Eric non rispose; sembrava in attesa che continuassi.
- Da quando è… è morta mia nonna, ogni tanto vado nel ripostiglio in cui lei teneva le sue cose per lavorare all’uncinetto e stringo forte la sciarpa che stava facendo per me. E’… rimasta a metà, sai. Non so perché, ma quando faccio così la sento più vicina.
Eric tacque per un bel po’. Non sapevo se stesse riflettendo sulle mie parole o meno. Non dava segni di vita, pur continuando a tenere la testa reclinata sulla mia spalla.
Accidenti… stavo consolando Eric Northman.

- Com'è stato? – sussurrò poi, e io trasalii di nuovo dalla sorpresa.
- Oh. E' stato... molto... rapido. - Non mi era venuto in mente nulla di più intelligente da dire.
- Ha sofferto? - volle sapere dopo qualche istante.
- Non lo so, Eric. - Scelsi di essere sincera. - Se ha sofferto, di certo non lo ha dato a vedere. Era così sereno... Non aveva un briciolo di paura. E' stato lui a dover rassicurare me.
- Cos'ha detto? – mormorò.

Deglutii. Non era semplice spiegare la conversazione che avevo avuto con Godric appena prima del sorgere del sole. Il groppo che sentivo in gola si accentuò, e trovai arduo iniziare la frase.
- Mi ha chiesto come lo avrebbe punito Dio. Io gli ho detto che Dio non punisce, perdona.

Non potevo vedere Eric in faccia, ma riuscivo ad immaginare la sua espressione risentita: Eric non avrebbe mai chiesto scusa a nessuno per il fatto di essere un vampiro, figuriamoci se poteva accettare l'idea di una punizione divina, o tantomeno di un perdono di cui credeva di non aver bisogno. Mi domandai se a questo punto la sua visione delle cose sarebbe cambiata, e quanto.
- E poi mi ha detto che trovava sorprendente che io mi trovassi lì e piangessi lacrime umane – conclusi.

Eric rimase immobile, la sua testa bionda ancora appoggiata delicatamente nell’incavo tra il mio collo e la mia spalla.

- Avrei dovuto esserci io, con lui. Non tu. Avrei dovuto bruciare con lui - disse aspramente dopo alcuni istanti.
- Ti sbagli.

Contraddire Eric, questa sì che era una grande strategia di sopravvivenza. In pratica gli stavo dicendo che Godric non lo voleva tra i piedi mentre moriva, il che era l'equivalente dell'offrirgli la mia giugulare e dire: azzanna. Cercai di spiegare il mio pensiero con tutto il tatto di cui ero capace.
- Godric non voleva che tu rimanessi con lui, perché non sarebbe stata una tua scelta. Saresti morto non con lui, ma per lui, e lui non voleva questo, perché ti… amava, e perché aveva già causato la morte di troppa gente. Non capisci? Lui non voleva solo abbandonare questo mondo: intendeva riscattare la sua esistenza di fronte a degli occhi umani. E' per questo che si è offerto spontaneamente a Newlin, Eric! Sperava che mostrare la sua fine agli umani sarebbe stato un giusto modo di ripagare le vite che ha spezzato, come se... come se un essere umano degno di questo nome… avrebbe potuto godere nel vederlo avvolto nelle fiamme! - Mi accalorai nel mio discorso, rendendomi conto troppo tardi che stavo parlando in modo brutale a qualcuno che aveva appena subito un gravissimo lutto. Comunque, non avevo mai pensato in modo logico a queste cose, le avevo solo intuite con il cuore; perciò spiegavo a me stessa, non soltanto ad Eric. Lui, intanto, aveva sollevato il viso e mi stava fissando con aria attonita. La punta del suo naso sfiorava quasi la mia.

Non lo avevo mai visto così da vicino.


Di solito, nei rari momenti in cui mi ero ritrovata a poche spanne di distanza da Eric Northman, lui incombeva su di me con la sua altezza disumana e io ero costretta ad alzare la testa all’insù per guardarlo in faccia. Adesso no. Riuscivo a vedere la trama della sua pelle, le sottili ciglia bionde che incorniciavano le sue palpebre leggermente abbassate e macchiate di sangue ormai quasi rappreso, le iridi grigio-verdi con quella corona azzurra che circondava la pupilla.

Aveva un buon odore.

Che strano.

- E' lui che ti ha detto questo?
- ... No.
- E allora come fai a saperlo?
- Io... non lo so. L'ho sentito, ecco. Ho sentito che dovevo esserci, che Godric aveva bisogno di una persona umana al suo fianco nel momento della fine... una persona che gli offrisse il perdono di cui aveva bisogno, che... che... chiudesse il cerchio... riconciliandolo con la sua umanità. Credo di aver fatto la cosa giusta. Mi puoi capire?
Sentivo gli occhi umidi. Eric mi fissò per un lungo istante; poi disse, tanto tristemente che pensai fosse sul punto di piangere ancora:

- Sembra proprio che tu abbia capito Godric meglio di me. Sono stato soltanto d'intralcio. - La sua voce vibrò appena, mentre tornava ad abbassare il viso.
Sollevai la mano e gli accarezzai la guancia rigata di sangue. Lui inclinò leggermente la testa da un lato, e di nuovo mi ritrovai a paragonarlo mentalmente al mio gatto.

- Smettila, Eric. Sai bene che non è vero. Il vittimismo non porta da nessuna parte, mai – dissi, pratica, ripentendo le parole che tante volte nonna Adele aveva detto a me. Eric si curvò fino ad appoggiare la guancia sul mio petto e senza rendermene conto... mi ritrovai ad abbracciarlo e ad accarezzargli i capelli e la schiena nuda e bianca.

- Farà sempre così male? - chiese, con voce rotta dal dolore.
- Per un po'.

Lo sentii piangere di nuovo, sommessamente, e seppi che avrei dovuto mandare in tintoria il mio vestito, subito. Il sangue non va mai via facilmente, soprattutto quando si secca.

- Ma non per sempre.


Oh, al diavolo il vestito, al diavolo la faccenda del sangue che crea stupidi legami, al diavolo tutto. Sono sempre stata una persona che segue l’istinto, e l’istinto in quel preciso istante mi stava parlando molto chiaramente. Sollevai il mento di Eric con le dita e posai le labbra sulle sue guance. Prima una, poi l'altra, come avrei fatto con un bambino. Solo che Eric non era un bambino. Era un vampiro grande e grosso e sanguinario, che nei suoi mille anni di vita aveva fatto cose orrende che non volevo nemmeno provare a immaginare.
Eppure, quando allontanai il mio viso, sul suo non lessi nulla che non fosse puro e innocente.

 

Sì. Mi prenderò cura di Eric, Godric.

 

Mi spinse delicatamente indietro, finché non mi ritrovai con la schiena distesa sulle scale e lui appoggiato su di me che mi stringeva tra le braccia. Era pura follia... ero sempre stata a distanza di sicurezza da Eric e lo stesso lui mi terrorizzava, stavo correndo un rischio spaventoso, a Bill sarebbe venuto un colpo... ma in quel momento non provavo la minima paura.

- Non per sempre - ribadii, fissando il soffitto tranquilla, accarezzandogli i capelli biondi, mentre sentivo le sue labbra passeggiare su e giù lungo il mio collo. Sapevo che stava per baciarmi, o per mordermi, o per baciarmi e mordermi, e sentivo che in ogni caso sarebbe stato bello e dolce.
- Non per sempre - ripeté lui, stupito, nel mio orecchio.

 



- Togliti subito da sopra di lei! - urlò qualcuno rabbiosamente, e mi domandai chi potesse avere una voce tanto sgarbata e sgradevole.
Un secondo dopo, mi accorsi che si trattava di Bill.
Un secondo dopo ancora, Eric era in piedi, con la schiena diritta e il volto duro e inespressivo di sempre; Bill lo fronteggiava con i canini estesi e la faccia stravolta dalla furia e dal disgusto, e io ero ancora sdraiata poco dignitosamente sulle scale, che cercavo di capire cosa fosse successo.
- Farai meglio a sparire immediatamente, Eric Northman, e se ti azzardi di nuovo a toccarla, io...
- ... Farai cosa, Compton? - sibilò Eric, scoprendo i canini a sua volta. Bill era un americano del diciannovesimo secolo, Eric un vichingo alto un metro e novantaquattro che aveva vissuto i suoi giorni da mortale quando l'umanità indossava ancora elmi di ferro e pelli di animali e viaggiava su navi di legno. Il suo corpo era fatto per maneggiare una spada di venti chili come se fosse un fuscello. Vi lascio immaginare chi dei due fosse più spaventoso. Bill indietreggiò perché semplicemente non poteva fare altro. Era così… meno… di Eric sotto ogni punto di vista, che provai pena per lui, e mi odiai all'istante per quel pensiero.

Eric ritrasse i canini e riacquistò in un attimo la sua impassibilità. Il suo volto era tornato ad essere quella maschera di ghiaccio che avevo imparato a temere e a odiare. Mi rivolse uno sguardo rapidissimo, non più di un battito di ciglia, una frazione di secondo durante la quale vidi - o credetti di vedere - amore, tenerezza, eccitazione, paura, fiducia, dolore… e ancora amore.

Poi quella cosa strana sparì e non rimase altro che Eric Northman, lo sceriffo dell'Area 5, colui che aveva il controllo totale su tutto e su se stesso, soprattutto su se stesso, che voleva farsi rispettare e temere, ma non amare, quello mai. Si riavviò i capelli, prese la sua maglia nera e se ne andò, in tutta la sua incredibile statura e nella sua bellezza inumana (perché ci avevo messo tanto ad ammetterlo? Di che cosa avevo avuto paura?), e io continuai a seguirlo con lo sguardo finché non arrivò fino in fondo al corridoio e infine sparì nel vano dell'ascensore.

 

- Non per sempre - mormorai, soltanto a me stessa.

 

 


 

 

 

NdA:

 

Eccomi qui, di nuovo, con questa piccola one-shot. Che in realtà è la primissima cosa che ho scritto su TrueBlood, quindi siate clementi. Ho sempre pensato che Sookie, per come l'abbiamo conosciuta nel telefilm, non avrebbe potuto fare altro che andare da Eric e consolarlo. Questo è ciò che ho immaginato sarebbe successo dopo aver visto I will rise up. E per quanto mi riguarda, continuo a far finta che le cose siano andate davvero così, e che Alan Ball semplicemente non abbia voluto farcelo vedere, e che il conseguente sogno di Sookie - quello in cui lei tocca i canini di Eric - sia il suo inconscio che rielabora questa scena, aggiungendoci un bacio e un morso.

Bacioni a tutte, alla prossima!

 

  
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