POV
Edward
La vedo mentre
corre a velocità vampira per tutta casa per sistemare gli
ultimi preparativi
prima del nostro viaggio per l’Italia. Vuole vendetta, non
vede l’ora di
soddisfare la sua voglia di uccidere quei mostri che ci hanno portato
il nostro
angelo. Anche io li voglio e DEVO eliminare. Hanno “ vissuto
” fin troppo.
Il viaggio verso
Seattle è silenzioso e raramente ci scambiamo qualche
sguardo.
Arriviamo e io mi
incammino a prendere i biglietti. Nella mia testa
c’è un solo pensiero: devo
impedire a Bella di partire, è troppo pericoloso. Non posso
permettere che
anche lei sparisca da questo mondo, non posso assolutamente permetterlo.
Mentre
l’hostess
alla biglietteria prepara i nostri biglietti penso ad un modo per
convincere
mia moglie a restare lontana dal pericolo che ci aspetta in Italia.
Cosa posso fare?
Cosa mi invento ora? Perché non le ho parlato prima?
Perché mi riduco sempre a
fare le cose più difficili all’ultimo momento? Ah
già, perché sono per l’appunto
difficili. E poi non potevo farle pesare anche questo fardello mentre
era nello
stato catatonico dovuto alla scomparsa di nostra...figlia.
Quanto abbiamo
sofferto? Non c’è stato mai un dolore
più grande in tutta la mia esistenza,
mai.
Abbiamo entrambi
sofferto immensamente. Abbiamo incredibilmente pianto versando delle
vere
lacrime, che mai avrei pensato di risentire sul mio viso. Abbiamo
cercato di
tenerci interi per l’altro, per non farlo soffrire ancora di
più. Lei come
sempre ha pensato a me, accorgendosi che reprimevo il mio dolore per
non
turbarla ancora di più, anche se ci riuscivo a stento. Alla
perdita di nostra
figlia si era aggiunto anche il dolore che provavo vedendo soffrire lei. Ovviamente se ne accorta e ha fatto
il gesto più doloroso che potesse infierirmi: ha tentato di
scappare per
risparmiarmi quel dolore che lei
m’infliggeva soffrendo.
In quel momento ho
avuto veramente paura che potesse riuscire nel suo intento.
Correva
velocissima anche per me. Non riuscivo a raggiungerla, pensavo di
essere caduto
in un vero e proprio incubo. Non poteva lasciarmi. Dovevamo rimanere
insieme.
Il mio compito di marito, di amante, di uomo
era proteggerla, anche dal dolore che provava. Aveva bisogno
di me. Io avevo bisogno di lei. Non sarei mai riuscito a superare
quel dolore senza lei
affianco. Per fortuna ero riuscito, ancora non so come, a tenerla
vicino.
Soffriva immensamente, e io con lei.
Ci sono! Questa
è
l’unica soluzione possibile! Lo so che dovrò
ferirla e che di conseguenza
ferirò me stesso, ma devo farlo. Devo almeno provarci. Lei
non cederà mai, ne
sono consapevole, ma devo almeno tentare. Devo tentare di salvarle la
vita.
Eccola lì.
È
agitatissima, lo sento. Non sta un attimo ferma.
Mi avvicino e
distribuisco i biglietti lentamente. Sto prendendo tempo, non so se
riuscirò a
mettere di nuovo quella maledetta maschera che odio e che ha fatto
soffrire in
passato tutti e due.
Mi avvicino a lei
e di slancio l’abbraccio. Ho bisogno di sentirla attaccata a
me, anche
fisicamente. Le accarezzo piano i capelli e la cullo. Sento i suoi
muscoli
sciogliersi pian piano lasciando la tensione fuori il nostro abbraccio,
di cui
abbiamo bisogno entrambi.
Mi allontano senza
però lasciarla e la guardo negli occhi.
Come farò a
ferirla così un’altra volta? Come posso farlo?
Sono un mostro, ma devo.
La riabbraccio e
sento che sta percependo la mia agitazione. Sono proprio un mostro, la
sto
anche spaventando con il mio comportamento.
Basta! Devo farlo
e devo farlo ora.
< Edward?
Cos’hai? Ti sento teso. Dimmi cosa succede. >
Sciolgo lentamente
il nostro abbraccio e la fisso negli occhi. Ancora non sono riuscito ad
indossare la maschera, me ne accorgo dalla mia voce tremante e inquieta.
< Bella...io...
>
Mi guarda confusa
e preoccupata.
Finalmente trovo
il coraggio e raffreddo improvvisamente il mio sguardo e indurisco la
mia voce
< Bella non voglio che tu venga in Italia con noi >.
Mi fissa. È
confusa, spaventata. Non riesce a capire cosa dico. Cosa le sto
facendo? Come
posso farle una cosa del genere? Non posso ferirla di nuovo. Ma la devo
proteggere da quei mostri, assolutamente.
<
Ed...Edward...ma cosa...? > la sua voce trema. Ha capito che le
sto
provocando la stessa ferita di allora, e ne è spaventata.
< Bella,
saresti solo d’intralcio. Ci...ci condanneresti tutti
> No! Non ci sono
riuscito. La mia voce ha tremato al momento sbagliato, così
rischio di farle
scoprire il mio piano. Ma non ce l’ho fatta a trattenermi, il
dolore era troppo
per me.
La vedo triste e
ferita. Le ho fatto del male, ancora una volta. Non riesco a reggere
ancora il
suo sguardo e allora abbasso gli occhi.
Poi, la sento
sussultare. Alzo lo sguardo e vedo la sua espressione cambiare. Da
triste e
ferita diventa sorpresa e poi consapevole e...arrabbiata.
Si è
accorta del
mio gioco sporco. Non l’ho mai vista arrabbiata con me. Il
suo sguardo mi
lancia tutta la rabbia che prova addosso.
Poi, come se
vedessi la scena a rallentatore, la vedo alzare il braccio destro,
tirarlo
indietro e poi in avanti con violenza, fino a far sbattere il suo palmo
contro
il mio viso.
Non mi provoca
dolore fisico, ma la sorpresa e l’istinto mi fanno voltare il
viso e il dolore
che mi ha procurato dentro mi fa stringere gli occhi.
Mi ha fatto
malissimo quello schiaffo. Non lo aveva mai fatto. E so di essermelo
meritato,
questo però mi fa ancora più male.
Me lo sono
meritato. Anche se mi ha fatto malissimo, me lo sono meritato tutto
quanto. È
arrabbiata. È furiosa con me, lo capisco dal suo sguardo di
fuoco che mi sento
bruciare addosso.
Sentii
distintamente il suo singhiozzo rimbombarmi nelle orecchie. Mi decisi a
guardarla: stava piangendo.
No! Amore mio non
piangere...ti prego.
Il suo sguardo non
era più arrabbiato. La vedevo mentre percepivo il senso di
colpa che la stava
divorando, ancora con il braccio alzato.
Ero un mostro.
L’avevo ferita con la mia bugia, l’avevo fatta
arrabbiare, e ora la stavo
facendo piangere perché si sentiva in colpa per il suo gesto.
L’unico che
si
doveva sentire in colpa, l’unico responsabile di tutto ero
io. Io, io e
soltanto io.
Altre lacrime
cominciarono a scendere dai suoi occhi tristi e spaventati e le
solcavano le
guance seguendo le orme che altre gocce avevano lasciato.
Abbassò lentamente il
braccio e cominciò ad indietreggiare continuando a fissarmi.
Passo dopo passo
si allontanava all’indietro facendo scendere altre lacrime
dai suoi occhi.
Volevo raggiungerla ma non riuscivo a muovermi. Avevo il terrore che
scappasse
da me.
D’improvviso
si
fermò, ma non per tornare tra le mie braccia.
Cominciò a correre senza una metà
tra la folla singhiozzando.
No! Non te ne
andare! Ti prego.
< BELLA!
>
trovai la forza necessaria per chiamarla, una, due, cinque, dieci
volte, ma lei
non mi sentiva. Non si fermava, non tornava da me.
Feci per
rincorrerla, ma un braccio mi si parò davanti per fermarmi.
Era Esme.
< Edward.
Lasciala andare, si sentirà malissimo adesso, lasciala
sfogare. Tornerà. Sta
tranquillo >.
Come potevo stare
tranquillo dopo quello che le avevo fatto? Come?
Ma forse Esme
aveva ragione, le dovevo lasciare il suo spazio, almeno adesso, ma non
volevo
che si sentisse in colpa per qualcosa di cui ero io il solo colpevole.
Senza accorgermene
mi ero portato una mano sulla guancia che aveva ricevuto lo schiaffo.
Il
ricordo di quel gesto mi faceva malissimo. Doveva essere distrutta e
arrabbiata
sul serio per aver fatto una cosa così. Anche se non mi
aveva fatto male
fisicamente, mi aveva ferito tantissimo dentro.
Ero solo uno
stupido. Un buono a nulla.
Mi stavo
innervosendo, non riuscivo a stare lontano da lei, soprattutto ora che
ero
consapevole che la causa della sua fuga ero io. Tutte quelle voci fuori
e
dentro la testa mi ronzavano e mi davano fastidio. In quel momento
avrei
preferito non avere il mio potere, avrei avuto un po’ di pace
almeno nella
testa.
Però un
pensiero
mi investì bruscamente. Qualcuno aveva detto il mio nome.
No, non qualcuno, ma...Bella.
Perché
aveva
distaccato lo scudo se non voleva avermi vicino?
“ Edward! Ho
paura! ”
Cosa significava?
Cosa la spaventava? Perché aveva paura?
Un presentimento
si fece largo in me, un terribile presentimento. Mi alzai di scatto e
cominciai
a correre, cercando di moderarmi senza molto successo, verso la
direzione che
aveva preso prima Bella.
I miei famigliari
mi guardavano confusi, però decisero di non seguirmi.
Avevano capito che stava
succedendo qualcosa, ma preferirono non intromettersi.
Mi feci largo tra
la gente. Dov’era? Poi una scia mi investì. Non
era un odore umano, ma era...un
vampiro. Era famigliare, l’avevo già sentito.
Decisi di seguirla, e feci bene.
A un certo punto
la scia si confondeva con quella di mia moglie e poi proseguivano
insieme, come
se fossero unite. Cosa significava?
Mi stavo agitando
parecchio e cominciai a guardarmi intorno frenetico e spaventato dai
miei
stessi pensieri.
In mezzo alla
folla vidi infine un’imponente figura vestita di nero, che
attirò la mia
attenzione, che stava camminando verso l’ascensore. Scorgevo
dei capelli
castani che spuntavano dal suo braccio e delle gambe fasciate da dei
jeans
chiari dalla parte opposta.
La figura
entrò nell’ascensore
e come si girò per premere il pulsante potei vedere il suo
viso. Aveva capelli
arruffati e scuri, la pelle bianchissima e perfetta, un sorrisetto
soddisfatto
ed inquietante e degli occhi piccoli e...rossi.
Era lui il vampiro
di cui avevo sentito la scia prima, ma questo voleva dire che...
Abbassai lo
sguardo fino alla figura che giaceva tra le sue braccia, con la testa
che
ciondolava, i capelli di un castano rossiccio molto famigliare che si
muovevano
leggermente per l’aria che tirava, la pelle bianca e senza
nessuna
imperfezione, il viso contratto leggermente in una smorfia di paura, le
guance
segnate da scie di lacrime che continuavano ad uscire passive dai suoi
occhi
chiusi da palpebre tremanti e la bocca appena socchiusa, due labbra
rosse e
carnose con quella piccola imperfezione che rendeva ancora
più bello quel viso
dolce, segnato dal terrore e inerme, tra le braccia di colui che
sarebbe stato
il suo carnefice.
Non era possibile.
Bella.
< BELLA! NOO!!
>