Titolo: Little
World
Personaggi: Lottie,
Jack e Glen.
Pairing: Onesided LottiexGlen.
Rating: Verde.
Genere: Introspettivo.
Avvertimenti: One-shot,
missing-moment.
Note: Questa
è la prima volta che pubblico nel fandom di Pandora Hearts.
Non è la prima volta che scrivo su questo manga, ma
è la prima che pubblico - avevo in cantiere una OzxAlice, ma
non so se la finirò mai. ... COMUNQUE! Questa One-shot
risale a tempo fa, qualcosa come sette mesi fa, credo.
Perché la pubblico adesso? Boh. Non lo so.
E' una fanfic senza pretese - infatti non mi piace per nulla come l'ho
scritta. Leggetevela pure e, se vi va, recensite!
Questa fanfic è dedicata alla Frà. Non ricordo perché, ma le avevo detto che gliel'avrei dedicata, quindi...
Disclaimer: Questi tre idioti di 100 anni prima e tutti gli altri personaggi di Pandora Hearts appartengono a Jun Mochizuki.
Little
World
Jack
era un idiota.
Un
grande idiota, aveva realizzato
Charlotte, fissandolo mentre porgeva con disinvoltura dei fiori
– fra sorrisi
smielati e parole altrettanto lusinghe – alle dame nella
residenza dei
Baskerville.
Un
idiota di come non ne aveva mai visti.
Ma
lei questo lo sapeva. Sin dal loro primo
incontro aveva capito che a quel ragazzo – uomo? Bambino?
- mancava
qualche rotella.
Terzo
figlio di una famiglia nobile di
basso rango, un semplice costruttore di carillon, eppure... lui era
l'unico
che, per quanto avesse potuto osservare Charlotte, riusciva a far
sorridere il
Padrone Glen.
E
lo vedeva sorridere genuinamente, mentre
parlava con l'idiota.
Si
sentiva il cuore leggero, Charlotte, nel
vederlo inarcare gli angoli delle labbra in quel sorriso sincero.
E
più vedeva quei due parlare – e ridere –
più si sentiva esclusa. Non faceva parte del loro piccolo
mondo – nessuno
avrebbe potuto -, ma si sentiva in qualche modo tradita.
Come
poteva Jack, un Vessalius,
essere il miglior amico del capo dei Baskerville, il Padrone Glen?
Erano
due entità troppo distanti, ma allo
stesso tempo troppo vicine. Erano due facce della stessa medaglia.
Vivevano
l'uno all'ombra dell'altro, e quell'ombra li legava indissolubilmente.
E
loro, semplicemente, sorridevano.
Charlotte
li osservava da lontano mentre,
rinchiusi nel loro piccolo mondo, si passavano fra le mani un orologio
da
taschino. Padron Glen ancora sorrideva.
“Ah!
Giusto in tempo, Lottie...”
Jack
l'aveva vista.
“Vieni
qui, vieni qui.”
Aveva
un sorriso idiota stampato su quel
volto da bambino troppo cresciuto che, nonostante tutto, le piaceva
tanto.
Quella sua espressione contenta a volte era irritante, ma il suo modo
di porsi
alle persone, anche se si fingeva stupido -sì,
perché poteva solo
fingere - era strabiliante. Riusciva sempre a catturare l'attenzione di
chi
aveva davanti con poche e semplici parole, accompagnate da un
espressione
seria, da adulto.
Adulto.
Un
modo d'essere che per lui sembrava
sconosciuto.
E,
mentre Jack le mostrava l'orologio da
taschino oro, chiedendo il suo parere, Padron Glen si allontanava.
“Qual
è il nome della canzone...?”, aveva
domandato, curiosa.
Le
piaceva. Era una melodia malinconica,
nostalgica e dolce. Le infondeva un senso d'ansia e di pace assoluta.
“Lacie.”
Padron
Glen sorrideva ancora.
La
guardava e sorrideva.
“Ho
scritto io quella melodia...”
Non
poteva entrare nel loro mondo,
Charlotte. Ma finché il suo padrone, il suo capo, la sua
guida, avesse sorriso
in quel modo – non importava a chi – per lei era
abbastanza. Le bastava saperlo
felice.
“Ehi,
Jack...”
Aveva
sussurrato il suo nome piano, lo
sguardo ancora rivolto al profilo di Padron Glen che s'allontanava.
“...
Mh?”
Si
era voltata appena in tempo per vederlo
spalancare gli occhi, incredulo. Non lo chiamava spesso per nome. Di
solito,
per attirare la sua attenzione, lo afferrava per la treccia –
avrebbe tanto
voluto strappargliela quella cosa dalla testa -, chiamandolo 'Ehi, tu'.
“...
Un giorno mi spiegherai come si
costruiscono questi?”, aveva domandato, indicando l'orologio
da taschino che
aveva ancora davanti al volto.
Improvvisamente
le importava dell'hobby di
Jack... o forse no. Forse voleva solo conoscere meglio una cosa che
Padron Glen
aveva trovato interessante, o forse il suo era solo un tentativo per
cercar di
capire quel Jack.
“Oh,
qualsiasi cosa per una ragazza carina
come te...!”
Ed
ecco di nuovo quell'espressione stupida.
“Jack”,
gli aveva afferrato la mano che
reggeva l'orologio da taschino, senza fissarlo in volto –
quel sorriso
l'avrebbe solo infastidita.
“Mh?”
“Questa
canzone... Lacie, a chi è
dedicata?”
Il
volto di Jack era tornato serio, gli
occhi velati da una lontana tristezza.
“Io...
io credo che questo dovresti
chiederlo direttamente a Glen” e poi si era allontanato,
riponendo l'orologio
in tasca ed incamminandosi verso il passaggio segreto che Glen gli
aveva
mostrato tempo addietro.
Lottie
lo aveva osservato per qualche
istante, confusa.
Forse
quell'orologio da taschino, per quei
due, era più di quello che appariva.
Era
un piccolo pezzo d'arte che avevano
realizzato entrambi, assieme. Avevano riposto la loro anima in quel
piccolo
oggetto. E quella canzone doveva avere un significato profondo che,
probabilmente, lei non avrebbe mai scoperto. Aveva osservato bene il
volto di
Jack quando gli aveva posto quella domanda e già immaginava
una possibile
reazione di Glen a quella sua curiosità.
Non
avrebbe mai ottenuto una risposta, non
da quei due, almeno.
Perché
a lei non era permesso di entrare a
far parte di quel piccolo globo caldo di luce che era l'amicizia fra
Jack e il
suo padrone. Non poteva; in qualche modo nemmeno voleva.
A
Charlotte, infondo, bastava sapere che
Padron Glen fosse felice e che Jack continuasse a fare l'idiota.
Se
solo fosse mancata una delle due facce
di quella medaglia, Charlotte lo sapeva, nulla sarebbe più
stato come prima.
Tutto sarebbe andato distrutto, spazzato via, come le note di quella
melodia
che si perdeva nel vento.