Come
da regolamento: Con questo scritto, non voglio in nessun modo plagiare
o offendere in alcun modo i personaggi. La storia non raffigura la
realtà, ma è
semplicemente frutto della mia mente malata.
Hey, My Little
Brothers
“Mamma,
mamma … Io il flatellino lo voio chiamale Bobby”
enunciò un bambino
saltellando per tutta la cucina, felice al pensiero di aver finalmente
trovato
un nome adatto per il suo futuro compagno di stanza e di giochi.
“Kev, ti ricordo che avrai un fratellino, non un
cane” rispose sorridendo la
madre. Sorrideva ogni volta che sentiva il suo primogenito parlare.
Aveva due
anni, e non ne voleva sapere di utilizzare la “R”.
”Quindi
non va bene?” chiese quello un po’ pensieroso e
scocciato al
pensiero che tutti gli sforzi mentali affrontati alla fine avevano
fatto
cilecca. Di fronte alla no della madre
aggiunse:”Vollà dile che ne celchelò un
altlo!” e tornò ad essere spensierato, correndo
via dalla cucina come un matto,
il suo adorato mantello di Batman che sventolava di qua e di la.
*
“Joe, giochiamo a nascondino?” propose il maggiore
al secondogenito, quattro
anni e due in meno del suo fratellone.
“No, tu vinci sempre!” rispose un po’
arrabbiato quello. Non sopportava di
perdere. Ogni volta che lo faceva, finiva con il piangere a dirotto,
per poi
tornare a giocare dopo due minuti scarsi.
“Allora cosa vuoi fare?” Chiese di nuovo Kevin,
paziente. Non gli piaceva
costringere la gente a fare qualcosa, anche se in effetti provava una
certa
gioia vedere il minore che piangeva, voleva dire che lui aveva vinto
… di
nuovo.
“Facciamo un mucchio di foglie e ci buttiamo!”
replicò Joseph, iniziando a
prendere un rastrello di plastica, di quelli che si usano per giocare
con la
sabbia. A dirla tutta, lo abbandonò dopo due secondi: non
raccoglieva un bel
nulla.
I due bambini si misero così a passare il pomeriggio a
raccogliere foglie,
imbottiti da cima a fondo con giubbotti e sciarpe per far fronte alla
fredda
aria autunnale che già da qualche settimana incombeva sul
New Jersey e sugli
Stati Uniti d’America.
Sì, giocavano quei due fratelli, così piccoli,
eppure già con un rapporto
splendido da far invidia a chiunque. Una volta finito di raccogliere
tutte le
foglie in un mucchio tutto colorato di rosso, giallo e arancione,
indietreggiarono di qualche metro per prendere la rincorsa e poi
iniziarono a
correre, tenendosi per mano, concludendo col buttarsi simultaneamente
in
quell’ammasso tutto colorato, ridendo come matti, sotto lo
sguardo vigile della
madre che stava seduta in un angolo del giardino, felice di aver messo
al mondo
due creature così splendide, e sfiorandosi per un momento il
pancione che si
era ritrovata, per la terza volta.
*
“Lo aiutiamo noi” si offrirono i due maggiori,
riferendosi al fratello minore,
che stava cercando, senza riuscirci, di vestirsi. Stavano tutti e tre
nel
backstage del musical di “Peter Pan” che a breve
avrebbe dovuto avere inizio,
vedendo come protagonista il piccolo Nicholas.
“Ahia Joe! Mi fai male!” si lamentò
proprio quest’ultimo, dolorante per via del
secondogenito che gli stava mettendo forzatamente la scarpa al
contrario.
“Scusa, scusa!” si affrettò a rispondere
Joe, dispiaciuto per aver fatto male
al minore.
“Vieni che ci penso io!” si offrì
prontamente Kevin, che nel giro di pochi
secondi riuscì ad infilare correttamente le scarpe a Nick.
“Come sto?” chiese il bambino, infilandosi il
cappello a punta.
“Perfetto!” risposero in coro i due maggiori, che
lo strinsero in un abbraccio
in stile “Teletubbies”. Si sentì un
“click” e quel momento venne immortalato,
per sempre.
*
“E se poi non mi fanno più uscire?”
chiese un Nicholas spaventato. I giorni di
Broadway erano oramai finiti da tempo, sembravano tempi troppo felici,
rispetto
a quello che il ragazzo stava affrontando in quel momento. I muri
bianchi
dell’ospedale sovrastavano ogni cosa, e di certo non
aiutavano i pazienti a
tirarsi su di morale.
“Vorrà dire che non usciremo più di qui
neanche noi” rispose semplicemente
Kevin, seduto sul letto del tredicenne.
“Oppure troveremo un modo per portarti via”
aggiunse Joe, il più fantasioso del
“trio Jonas”.
“Ragazzi, uscite un attimo, vostro fratello deve fare
un’ iniezione” irruppe
improvvisamente un medico nella stanza. Ma i due non si mossero, no.
Anzi,
presero la mano del minore e restarono li a guardare, anche se sotto lo
sguardo
contrariato dell’uomo.
I woke up on my roof with my brothers
There's a whale in the pool
with my mother
And my dad paints the house
different colors
Where would we be if we
couldn't dream
I know we get a little crazy
I know we get a little loud
I know we're never gonna
fake it
We are wild, we are free
We are more than ya think
So call us freaks
But that's just the way we
roll
You've got moves,
I've got shoes, let's go
dancing
Pop-and-lock, battle dance
against Hanson
If we lose all the girls
they'll be laughing
Where would we be if we
couldn't dream
Cause we're old enough to
know
We're never letting go
That's just the way we roll
Si scatenarono tutti e tre
alle note di quella
canzone. Correvano,
di qua e
di la, come facevano da piccoli, quando ancora abitavano a Nashville e
giocavano buttandosi nelle foglie. Sembrava stessero giocando,
tirandosi
sguardi complici che ormai valevano più di mille parole.
Quegli sguardi che
tanto erano serviti quando uno di loro aveva bisogno di conforto e gli
altri
cercavano di dargliene, senza parlare; forse perché il
dolore che provava uno
di loro coinvolgeva anche gli altri due, che non avevano le forze anche
solo
per parlare. Lo sapevano anche loro, ormai, che prima di essere Kevin,
Joe e
Nick, loro erano fratelli.
*Spazio
Autrice*
Forse
qualcuno di voi ha già letto
questa One Shot, dato che l’ho pubblicata anche nei forum
ufficiali dei Jonas
Brothers e di Selena Gomez. Se vi può servire, sono Layls94
=)
Spero
commenterete,
Layla