Anschluss
Ricordava il grande corpo sudato e il fiato sul collo.
Gli sembrava ancora di sentire la pelle strusciare contro la sua.
Ricordava i gemiti di piacere resi deboli dalle labbra
serrate e martoriate dai denti.
Ricordava perfino d’essere stato lui stesso favorevole a
ciò: dopotutto era una Nazione e doveva arricchirsi, ne
aveva bisogno o non
avrebbe potuto affrontare la guerra*.
Austria amava suonare.
Le note parlavano di espansione, di potere, di complicità.
Toccava con le dita lunghe e sottili i tasti bianchi del
pianoforte e dava vita e forma a splendide melodie – le dita
plasmavano il
suono.
C’era un Do grave che riecheggiava nella stanza, faceva
rabbrividire.
C’era un La acuto che più volte un polpastrello
andava a
premere.
C’erano lui e la musica.
E anche Germania che lo ascoltava in silenzio, facendo
attenzione al susseguirsi delle note.
“La tua rabbia è
Chopin?” gli chiese una volta.
Roderich si esprimeva con il suo pianoforte e le
composizioni.
Ci metteva amore, impegno e parte di sé – compreso
l’intero
pomeriggio.
Ludwig non lo sopportava quando, come una mogliettina, lo
rimproverava urlando per tutta casa.
Ma quando suonava, Austria, era una delle persone più
piacevoli.
L’indice sfiorò l’ultimo tasto nero, poi
affondò in quello
bianco – un singulto pose fine all’atto
d’amore.
Non c’era tasto che non fosse vergine, ora. Non
c’era suo
dito che non lo fosse.
«Mi è piaciuta questa.»
commentò Germania, che era stato ad
ascoltarlo tutto il tempo.
«E’ per te. Così, magari, capisci che
non devi più lasciare
le mutande in giro, bucate o meno.»
Un suono gutturale da parte di Ludwig e ancora la voce di
Austria:
«Te lo dedico.» si aggiustò gli
occhiali, fece un respiro
profondo.
« Mh?»
«Era un pezzo di Ludwig
Van Beethoven.»
«Ah.»
Germania non seppe che dire. Si stupì leggermente, non lo
capì affatto – le guance si colorarono appena.
E la musica ripartì, come a cercare una via di fuga da quel
momento di silenzio inaspettato, come a cercare di spiegare: gli
invidiava il nome
da musicista. Anzi, gli invidiava l’avere anche solo un nome
proprio.
Lui non era più Austria, né Roderich.
«Ostmark*.» lo
chiamò Germania e lui fu costretto a voltarsi, ma senza
smettere di suonare.
Aveva perso il nome, ma non la sua musica.
Le note erano la
dignità di non aver perso la libertà di
esprimersi.
Note dell’autore: Il titolo “Anschluss” è il termine tedesco (letteralmente connessione, collegamento, inclusione) che fa riferimento all'annessione dell'Austria alla Germania, avvenuta il 12 marzo del 1938.
*Ostmark: l'Austria ufficialmente non esisteva più, prese il nome di Ostmark. Ostmark era il nome comunemente usato in tedesco per indicare l'Austria dopo l'Anschluss del 1938 ad opera di Hitler. Al tempo, infatti, il nome Österreich (appunto Austria) era considerato come un tabù perché non si poteva mettere in discussione l'autorità nazista sul territorio fino ad allora austriaco.