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Autore: Lady Kant    10/03/2010    1 recensioni
Sono in guferia… e nemmeno per scrivere un messaggio. Sto semplicemente fumando una sigaretta, affacciato a una delle finestre. E mentre fumo non posso fare a meno di fare di arginare i miei pensieri, che quest’oggi vertono su quelle che potrebbero essere definite le mie figure paterne in 18 anni di vita.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. JOSEPH DARRENS

Mio padre. O almeno quello che credevo tale. O ancora meglio, quello che credevo essere il mio padre biologico. Di lui non ho alcun ricordo, nemmeno il suo viso, eppure in questi anni, l’ho sempre amato e adorato. Mi è stato portato via che avevo cinque anni. Un lungo viaggio in treno, la mia stanchezza smezzata da lui che mi mise sulle sue spalle per farmi respirare in quel carro merci, dove erano stipate circa centocinquanta persone senza distinzione di sesso ed età. Lo stesso uomo che mi teneva per mano mentre scendevamo dal treno, e che in un attimo ho perso, spinto via da un soldato. Quello stesso uomo di cui porto fieramente il cognome e il nome, di cui mi sono vantato di essere figlio… Quell’uomo di cui ho solo dei flash come ricordi. La mia piccola mano di bambino stretta nella sua di uomo fatto. Una carezza sulla testa. Delle braccia protettive attorno al mio corpo, mentre vengono urlate delle frasi in tedesco, ma non vedo da chi. Di quella sera, quando ci portarono via, ricordo bene che chiusi gli occhi per non guardare. Avevo paura, tanta… e se avessi saputo cosa mi attendeva avrei preferito essere ucciso. E nel tempo, il pensiero di quell’uomo, del suo coraggio, unito al ricordo di mia madre, mi ha fatto andare avanti. Ci sono stati mesi in cui, rannicchiato in quello che avrebbe dovuto essere il mio letto, chiudevo gli occhi e ascoltavo il vento che spirava nel blocco, pensando che fossero loro a parlarmi e a rassicurarmi. Poi… ho smesso di pensare, di sognare, di giocare nel giro di poco tempo… e quei pensieri non li ho più formulati…
Dopo qualche anno, ho ripreso a pensare, ad essere autonomo… ma ero troppo cresciuto per lasciarmi andare a quelle fantasie infantili, che non potevo più permettermi. Ciò nonostante… il suo ricordo, i suoi modi di fare, anche se sono abbastanza sicuro di ricordare esclusivamente quello che voglio io, mi fanno sorridere. E adesso, a distanza di 13 anni, la doccia fredda. Quell’uomo non è mio padre… non è il mio padre biologico… E ora, mi chiedo se lui sapeva di non essere davvero mio padre e nonostante tutto mi avesse accettato come figlio. Mi chiedo come sarebbe adesso la mia vita, se lui fosse vivo. Non avrei mai saputo del mio vero padre? Non sarei mai venuto ad Hogwarts? Sbuffo fuori il fumo e scuoto la testa… queste domande non avranno mai risposta. Tutto quello che posso fare, è chiduere gli occhi, immaginare di averlo davanti a me e sorridergli, mormorando semplicemente “Grazie”.

2. WILLIAM MCFARLAND

La mia sigaretta è quasi a metà. E ora i pensieri vagano su una figura decisamente più recente. Per anni ho avuto un vuoto. Non vivevo con nessuno, ero da solo, in mezzo alla strada, quando non stavo a scuola. Poi, a 15 anni, il mio rapimento, la segregazione in una cella per oltre un mese, la mia lite con la preside, la mia fuga dalla scuola. E poi, entrando nella casa della preside senza nemmeno saperlo, per rubare, in modo da poter mangiare, è iniziato tutto. Scoperto dall’elfo domestico della casa, una chiacchierata/litigata con la preside, il suo invito a rimanere li… e il mio cascarci come un pollo. Non scorderò mai il primo giorno che vidi William. Già lo conoscevo. Era a capo dei ribelli, era il mio capo, la preside stessa mi aveva inviato da lui… ma lo vidi per la prima volta in una veste diversa da quella di capo. Mi sorrideva, e io stavo serio, non lo guardavo nemmeno. Sono stati più i litigi con lui che i bei momenti. Ricordo che rise al mio imbarazzo, mi diede una pacca sulla spalla, rassicurandomi che non mordeva. Ricordo quando venni trascinato dalla preside a comprare un vestito elegante per il matrimonio del suo fratellastro. Non volevo, gli chiesi aiuto ma me lo negò. Alla fine la cosa ebbe risvolti parecchio comici. Io che tentavo la fuga e lui che mi riacciuffava al volo per le orecchie, che mi aiutava a sistemare il cravattino al collo perché non sapevo fare il nodo. E poi… tutto sparito in un soffio. Abbiamo iniziato a litigare, pesantemente, arrivando spesso e volentieri alle mani. Non scorderò mai, il fatto del marchio dell’ordine. Mi rifiutai e mi voltai per andarmene… e lui mi legò con un incantesimo. Riuscii a farmi liberare e scappai via… ma ormai mi aveva marchiato come traditore. E la sera dopo, quando tornai a casa, mi aggredì, torturandomi con la sua magia. Ero e sono irrequieto, ribelle, propenso a fare quello che mi passava per la testa. E questo ha portato a ulteriori fratture.
Osservo incantato la mia sigaretta fumarsi da sola per qualche secondo prima di tornare a intossicarmi i polmoni. A ben pensarci eravamo uguali. Due testoni cocciuti. Posso comunque affermare di avergli voluto bene, nonostante il nostro ultimo incontro. Ha rotto la mia privacy, si è insidiato nella mia mente. Non so se l’ho perdonato, ma ormai non ha più importanza. E’ andato in Francia, ha raggiunto sua moglie… mi hanno lasciato qui.

3. DAVID TALBOT

Tiro un’altra aspirata di fumo. Sorrido come un idiota pensando a lui. È il più sorprendente per quanto mi riguarda, anche perché mi è piaciuto da quasi subito. La prima volta che l’ho visto ero in un corridoio, ben oltre l’orario, con la mia ragazza. Ci ha beccato in atteggiamenti piuttosto intimi… da li, mi è scattata la molla di combinargliene di tutti i colori. Nonostante sappia la verità continuo ad architettare dispetti da fargli, peggio di un moccioso disobbediente. Ridacchio ripensando a quando gli ho trasfigurato i vestiti, in abiti da donna. Sembrava più un travestito che altro. E la sua punizione il giorno seguente, subito dopo la sua lezione. E la mia risposta qualche giorno dopo, facendogli evanescere i pantaloni davanti a tutti, con il risultato di ricevere un bel po’ di ceffoni da parte sua, e poi farci una chiacchierata su quanto accaduto, mentre mi massaggiavo il viso “scaldato” dalle sue mani, per poi passare alle domande su di me. Risposi, leggermente reticente e un po’ imbronciato per i ceffoni presi, ma non riuscivo a odiarlo per quegli schiaffi… sapevo di essermeli meritati. E la volta successiva che l’ho visto… mi disse la verità. Mi disse di essere mio padre, mi mostrò il ricordo di mia madre che gli diceva di attendere suo figlio. Ero io quel figlio. A ben guardare tra me e lui c’è anche una vaga somiglianza, anche se somiglio più a mia madre, anche a vedere la sua immagine nei suoi ricordi. Ero lieto di quella visione. Avevo dimenticato il viso di mia madre, e grazie a David, ho potuto imprimerlo a fuoco nella mia mente. Sulle prime la presi malissimo. Gli urlai che era un bugiardo, che aveva modificato il ricordo… e lui sorrise e mi disse di controllare. I ricordi modificati sono facilmente riconoscibili… il suo era troppo lineare per essere stato alterato. Era… è mio padre. Quando realizzai la cosa caddi in ginocchio, ero sconvolto. Lo guardavo come se fosse un alieno, con gli occhi letteralmente sbarrati. Poi… ci siamo piano piano avvicinati. Ho imparato a conoscerlo, a riconoscere i suoi sguardi, di intesa, di complicità, di ammonimento. Ogni tanto mi da qualche schiaffo, ma sempre perché glieli tiro letteralmente dalle mani. Lo so. Sono consapevole di essere un rompipalle assurdo se mi ci metto. Ma… è sempre disposto ad ascoltarmi, a darmi consigli, se deve rimproverarmi non urla, non mi crucia, ma mi mette a sedere davanti a lui e mi parla da uomo a uomo, lasciandomene passare più di quante io meriti. Spesso quando parla mi poggia le mani sulle spalle, e mi congeda sempre scompigliandomi ancora di più i capelli. L’ho visto triste e arrabbiato quando gli raccontato la mia storia. E ora… ora finalmente mi sento meno peso sulle spalle.

Ho finito la sigaretta… la lascio cadere giù dalla finestra. Un volo di cinquanta metri come minimo. Ho ancora un sorriso idiota sul viso. Mi sento… sollevato, felice, guardo a terra, poi una voce mi fa sollevare lo sguardo -Ruben… sei qui, allora- è lui. È mio padre, mi si avvicina, sorridendo. Annusa appena l’aria, si accorge che ho fumato. Mi guarda storto, severo -hai fumato…- non è una domanda, è una constatazione. Torno serio e mi limito a fare cenno affermativo con la testa. Ora non lo guardo più, e lui si limita a darmi un colpetto leggero sotto al mento per farmi alzare lo sguardo. Poi ghigna, conosco quell’espressione, sono già rassegnato e infatti -Punizione Darrens. Vieni con me- mi dice voltandosi e uscendo dalla guferia portandomi probabilmente nel suo studio. Lo seguo, obbediente, e anche se so bene che sono nei guai, non riesco a fare a meno di tornare a sorridere.
  
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